Alessio Brugnoli's Blog, page 172
November 9, 2017
Non ci arrendiamo !
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Se un uomo non è disposto a lottare per le proprie idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui.
E’ una frase di Ezra Pound, che mi risuonava in mente ieri sera al Mercato Centrale, mentre vedevo Mauro Sgarbi dipingere il bozzetto di un nuovo murale; il nostro sogno è dipingerlo al Mercato Esquilino, per continuare l’opera iniziata circa un annetto fa…
Ebbene, a qualche metro da noi, vi era uno dei più grandi contestatori di tale progetto: dopo tutte le roboanti rodomontate su FB, mi aspettavo che almeno provasse a squittire qualche critica o a belare una protesta.
Invece era lì, nascosto nel suo angoletto, senza neppure fiatare o alzare lo sguardo. Non sapevo se definirlo più patetico o ridicolo.
Se un uomo è grande quanto i nemici che combatte, lui non merita neppure questo titolo, perché non mi sento un lillipuziano: più che altro, non è che una rumorosa e petulante seccatura, in fondo utile, poiché più strepita, più trascina nei suoi intrighi la cattiva politica, più ci fa pubblicità.
E non credo ci sia beffa migliore, per lui… Così. scuoto la polvere dai miei calzari e riprendo a pensare ai vari progetti di street art che mi piacerebbe realizzare i prossimi mesi nel Rione. Il primo è portare al Mercato Esquilino, utilizzando le bacheche pubblicitarie abbandonate, Muri di Carta, l’iniziativa di a.DNA Collective, che con la Poster Art recupera le aree di confine tra gli spazi umani, con interventi tanto effimeri, quanto portatrici di significato.
Nel caso del Mercato, area di frontiera, nello spazio e nel tempo, immagina della Roma che era e che sarà, mi piacerebbe tanto che questi ci facessero riflettere sui demoni e i pregiudizi che ci portiamo dentro ogni giorno: dalle paure agli egoismi, dai razzismi più o meno nascosti, ai muri, quelli veri, che ci costruiamo, per nasconderci a noi stessi e a chi ci è accanto.
Poi, ovviamente, realizzare il bozzetto di Mauro, per contribuire a rafforzare l’identità condivisa del Rione, un ponte tra diverse culture… Infine, il vecchio sogno, di coinvolgere tanti artisti per dipingere i muri di via Balilla, in occasione della sua festa, in cui si realizza l’Utopia dell’Esquilino come dovrebbe essere e come ci impegnamo a costruire ogni giorno
November 8, 2017
Tutti per Uno
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Una delle batture che mi è rimasta più impressa dell’incontro con Tommaso Pincio è stata
L’Esquilino è il rione più americano di Roma
Qualcuno potrebbe storcere la bocca, non vedendo i grattacieli dalle parti di Piazza Vittorio, lo Studio 54 a Viale Manzone. Warhol prendere un caffè da Ciamei o Keruac abbuffarsi di caterinette da Fassi: in realtà, Pincio ha ragione. Come nei quartieri di New York, nell’Esquilino convivono mondi diversissimi, a pochi passi l’uno dall’altro.
In più il Rione, ogni venti o trent’anni, cambia pelle e identità: ogni volta, i nuovi arrivati, per giustificare le loro paturnie, si costruiscono un passato fittizio, in cui tutto era bello e buono, cosa che li porta a litigare con chi è rimasto della vecchia guardia, che ricordano le cose in maniera assai diversa… Ma anche questo costituisce il fascino dell’Esquilino, luogo dove per un Imam, er Califfo non ha che vedere con Baghdad, ma con Tutto il resto è noia, dove Li er Barista si vanta di cucinare la migliore Carbonara di Roma, e forse non ha tutti i torti, dove Gala è la miglior shifu di arti marzali che ci sia e lo sport nazionale dei bengalesi è il tressette.
Fascino che è anche figlio della proiezione del Rione verso il futuro. Da quando è nato, specie con il Mercato, il cuore pulsante dell’Urbe è stato sempre specchio, con i pregi e i difetti, della Roma che verrà. Così, abitare a Piazza Vittorio, è anche un poco scrutare tra le nebbie del Tempo, il sogno di qualsiasi scrittore di Fantascienza.
Per cui, non posso essere felice che il compleanno del Mercato Centrale, l’otto novembre sia dedicato a celebrare il rione che lo ospita. Scopiazzo senza ritegno la presentazione dell’evento
mercoledì 8 novembre dalle 18.00
Tutti per uno!
il primo compleanno del Mercato Centrale Roma
M come Musica
A dare il via ai festeggiamenti ci saranno gli Stag, che alle 17 suoneranno dalla Stazione fino a via Giolitti. Dalle 17.30 ci saranno Livio Magnini (Bluvertigo), con Elio Marchesini e Michele Monestiroli e 10 elementi d’orchestra che riproporranno alcuni famosi brani di stampo elettronico in chiave orchestrale, celebrando il genio dell’Arcimboldo e il primo anno del Mercato.
La musica continua sul mezzanino, dalle 18:00, con Alessio Bertallot e Fabio De Luca che saranno alla postazione di Radio Mercato Centrale per intervistare tutti gli ospiti della serata.
A come arte
Dalle 18:00 Mauro Sgarbi realizzerà il canovaccio del suo nuovo murales, continuazione di quello presente sul “Nuovo Mercato Esquilino”.
Q come quartiere
Alle 18:00, torna l’appuntamento con #MammaRoma, interamente dedicato all’Esquilino.
Da Discoteca Laziale, passando per il Radisson Es Hotel, all’Acquario romano Casa dell’Architettura, dalla proiezione di Show Mas Go On – documentario dedicato ai magazzini MAS – alla presenza della regista Ra Di Martino, all’incontro con Mimmo Calopresti per il suo nuovo lavoro “Cani Sciolti” su Abel Ferrara, da Sonia Hang ad Alessandro Haber che presenterà il suo spettacolo in cartellone al Teatro Ambra Jovinelli E ancora: il Nuovo Mercato dell’Esquilino, la Caritas, l’Associazione “Le Danze di Piazza Vittorio”, Cacciatori di Street Art, Termini TV e Il Coro di Piazza Vittorio.
B come bontà
Gli artigiani in festa offrono le loro bontà!
Uramaki lime e hosomaki color di Donato Scardi
Souté di cozze della famiglia Galluzzi
Montanare pomodoro e formaggio di Martino Bellincampi
Calzone fritto all’amatriciana di Pier Daniele Seu
Nero d’Avola riserva 2012 Azienda Agricola Marabino di Luca Boccoli
Carciofi fritti di Alessandro Conti e Gabriele La Rocca
Supplì con coda alla vaccinara di Stefano Callegari
Hamburger di Chianina di Enrico Lagorio
Gnocchetti in crema di cavolfiore con la ‘nduja di Egidio Michelis
Polpette vegane di Marcella Bianchi
Mousse di ricotta al tartufo di Luciano Savini
Arancine di carmelo Pannocchietti
Pizza rossa e pane e olio di Gabriele Bonci
Spiedini di Fausto Savigni
Gelato di Luca Veralli
Giallina di Beppe Giovale
Tiramisù di Pierangelo Fanti
F come foto
Vuoi farti immortalare mentre disegni con un light maker in una camera buia? Ci pensa IED Roma, nel suo corner fotografico dalle 19:00.
T come torta
Alle 22.00 si taglia la torta, preparata da Gabriele Bonci insieme alla Fondazione IL FARO.
P come party
Il Mercato resta aperto fino a notte fonda con l’after party di K Party con AGM – AGM Monday e Francesco de Bellis
E dai, vieni!
Che dire, è una specie di riunione di famiglia: alla Discoteca Laziale ci sono cresciuto, mi manca da morire MAS, Sonia è la mia salvezza quando io e Manu non abbiamo voglia di cucinare. Il Nuovo Mercato, poi, è una sorta di seconda casa. Ammiro i ragazzi della Caritas, specie quelli del Banco della Salute, canterei nel coro di Giuseppe, se non fossi stonato come un campana, sono innamorato della street art, una volta sono apparso su Termini TV…
E poi diciamola, le Danze di Piazza Vittorio sono la mia strana famiglia allargata, che mi trascina ogni giorni in esperienze che non avrei immaginato di fare… Grazie a loro ho scoperto nuovo mondi e vinco ogni giorno la mia pigrizia, per gridare come Cyrano
Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perché con questa spada vi uccido quando voglio.
E con Mauro, un fratellone con cui ho condiviso tante battaglie negli ultimi due anni: no, non sbeffeggerò, anche se lo meritano, le babbione firmatarie di lettere aperte, le demagoghe che nascondono dietro gli slogan di legalità i loro bassi interessi o le nullità piene di boria e ignoranza che si illudono di essere grandi artisti.
Anzi, li ringrazio pubblicamente: senza i loro meschini intrighi, il murale del Mercato non sarebbe diventato un simbolo della libertà di espressione e non sarebbe conosciuto in tutta Europa… Però, cari rosiconi, una cosa fatemela dire…
Mauro non sarà nato all’Esquilino, non abiterà nel Rione, ma più di voi ha compreso l’anima del Rione: la complessa follia, la sua fame di speranza, il suo impegno quotidiano a sopportare, conoscere comprendere l’altro, per costruire un angolo di paradiso, nel nostro inferno quotidiano.
Tutto questo si celebra Mercoledì, non la grettezza della vostra anima…
November 6, 2017
Terme di Diocleziano: Progetti e approfondimenti archeologici
Non esiste solo il Colosseo e l’area dei Fori Imperiali, Roma è piena di risorse che se fossero adeguatamente supportate e valorizzate ne farebbero di gran lunga non solo la città più bella del mondo ma anche quella più affascinante da visitare. E’ di questi giorni una proposta veramente interessante di Tobia Zevi apparsa sull’edizione dell’Huffington Post del 2 novembre 2017 con il titolo “Una (piccola) proposta concreta su Roma per Virginia Raggi” che riprende il progetto complessivo, mai portato a termine, dell’architetto Giovanni Bulian, responsabile del restauro del Museo delle Terme di Diocleziano avvenuto nel 1989. Tale progetto ipotizzava un unico grande complesso archeologico ed espositivo con l’eliminazione della prima parte di via Cernaia tale da mettere in comunicazione la grande Aula Ottagona con il resto delle Terme in maniera da ricostruire un tessuto archeologico omogeneo tra le varie parti del sito (Aula, Terme, Basilica, Chiostro) ed…
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November 5, 2017
Il Duca d’Abruzzi
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Come sapete, non sono mai stato un grande estimatore dei Savoia: eppure, tra loro vi è un personaggio spesso dimenticato, ma che meriterebbe, per la sua vita avventurosa, di apparire in qualche romanzo steampunk italiano
Sto parlando di Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi. Luigi Amedeo nasce a Madrid il 29 gennaio 1873, terzogenito di Amedeo Ferdinando Maria di Savoia, da due anni re di Spagna, e di Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna, fratello minore di Emanuele Filiberto e Vittorio Emanuele.
Ora, a molti italiani può sembrare strano, ma all’epoca la vita politica spagnola era, come dire, molto sud americana: un susseguirsi continuo di colpi di stato, rivolte e guerre civili. In una di queste era stato preso il primo Savoia libero, era stato trascinato quasi a forza a Madrid ed era stato incoronato controvoglia, sua e del resto degli spagnoli.
Già, perché i repubblicani non volevano avere re, mentre i monarchici applicavano il detto romano
Beppe per Beppe, me tengo Beppe mio
ossia perchè devo averci un re Savoia, quanto avevo tanto bene un Borbone ?
Così Amedeo di Savoia-Aosta, dopo l’ennesimo attentato, subito dopo la nascita e il battesimo di Luigi, mandò tutti al diavolo, prese baracche e burattini, abdicò e se ne andò prima a Lisbona, poi se ne tornò a Torino, stabilendosi a palazzo Cisterna.
si stabilisce nel palazzo Cisterna. Luigi ha poco più di tre anni e mezzo quando nel novembre 1876 muore, a soli trent’anni, la madre Maria Vittoria, di salute cagionevole. E ne ha appena sei e mezzo quando nell’agosto 1879 viene arruolato come mozzo nella Regia Marina, per ricevere un’educazione militare, come da tradizione per i principi della casa reale, destinati a ricoprire alti gradi nelle forze armate.
Nel frattempo viene cresciuto dalla regina Margherita, che gli attacca una passione strana, per uno che i Savoia hanno destinato a essere ammiraglio: l’alpinismo.
A partire dal 1892 che Luigi, accompagnato da alcune guide e da diversi tra gli alpinisti più celebri del tempo, inizia ad effettuare numerose arrampicate, scalando con successo il Gran Paradiso, il Monte Bianco, il Dente del Gigante, le cime principali del Monte Rosa e il Cervino lungo la Cresta di Zmutt, un versante molto pericoloso, scalato, prima d’allora, solamente due volte.
Nel dicembre 1884 diviene allievo di prima classe della Regia Accademia Navale di Livorno e si imbarca a bordo della fregata Vittorio Emanuele, condividendo studi e addestramento con un altro figlio illustre, il coetaneo Manlio Garibaldi, figlio dell’eroe risorgimentale, dimostrandosi un buon allievo, con una media di voti sopra i 16/20
Nel luglio 1889, a soli sedici anni, il cognome conta, viene nominato guardiamarina nel Corpo dello Stato Maggiore generale della Regia Marina e si imbarca sul brigantino Amerigo Vespucci, con cui compie la sua prima navigazione intorno al mondo, durante la quale conosce il tenente di vascello Umberto Cagni, fedele compagno di quasi tutte le sue future esplorazioni. Nel febbraio 1891, al suo rientro in patria dopo un viaggio durato quasi un anno e mezzo, è diventato sottotenente di vascello e, in seguito alla morte del padre avvenuta nel gennaio 1890, è stato nominato da re Umberto I duca degli Abruzzi.
Nel giugno 1893 Luigi è assegnato come ufficiale in seconda alla cannoniera Volturno e nel giro di due mesi è promosso al grado di tenente di vascello. In settembre la nave è inviata in Somalia per sedare dei disordini e rimane a presidiare per un mese il porto di Mogadiscio; da quel momento in poi, Luigi comincia a soffrire di mal d’Africa.
Il 4 novembre 1894 salpa da Venezia sulla Cristoforo Colombo per una missione diplomatica che dura ventisei mesi e che gli consente di compiere la sua prima circumnavigazione del globo.
Durante questo viaggio Luigi inizia a progettare una spedizione sul Nanga Parbat, nella zona meridionale del Karakorum, ma un’epidemia di colera in India e una forte carestia nel Punjab lo inducono a lasciare cadere l’idea. Durante il viaggio lungo le coste del Nord America, il Duca ammira le cime attorno all’isola di Vancouver e apprende dell’inviolata cima del Sant’Elia (5489 metri). Il progetto di scalata è ambizioso, ma la ricerca dei finanziamenti italiani per l’organizzazione dell’impresa non apparire delle più semplici, dovendosi confrontare con la tradizionale tirchieria nazionale, quando si parla di cultura.
Un esploratore normale avrebbe lasciato perdere, ma Luigi va a bussare dalla zia Margherita: questa tanto fa con il marito Umberto, evidenziando come la conquista di una cima inesplorata nel selvaggio West sarebbe stato un ottimo modo per rilanciare l’immagine dell’Italia dopo la batosta di Adua, che il re apre i cordoni della borsa. Così nel 1897 Luigi riesce a partire a spese dello zio e del governo
I tentativi di scalata al Sant’Elia erano stati numerosi, ma i più avevano fallito non tanto sulle pareti della montagna quanto durante la marcia di avvicinamento, che doveva svolgersi attraverso numerosi ghiacciai, senza alcuna possibilità di rifornimento per almeno due mesi. Luigi decide di preparare minuziosamente razioni, fornelli a petrolio per scaldare la neve (e non dover di trasportare acqua), attrezzature caricate su slitte e assolda portatori locali per il trasporto del materiale alle pendici della montagna. Inoltre, e qui era la differenza rispetto alle altre spedizioni precedenti, è accompagnato da
numerose guide alpine, esperte nelle ricognizioni ad alta quota e nell’affrontare i ghiacciai: ciò permette raggiungere la vetta del Sant’Elia, in un mese esatto dalla partenza ai piedi della montagna. Il prestigio della scalata è enorme, soprattutto perché l’impresa è stata condotta in terra straniera, “soffiando” la cima ai padroni di casa.
Dato che l’appetito vien mangiando, dopo questo successo a Luigi viene in mente un nuova impresa, la conquista del Polo Nord, che mieteva vittime ad oltranza tra gli esploratori dell’epoca: Luigi rimette in piedi la vecchia banda del Sant’Elia, compra un brigantino costruito per la caccia alle foche, lo Jason, lo fa modificare e rinominare Stella Polare (Nel 1911, la nave sarà donata al Comune di Roma, per essere utilizzata come “ricreatorio ed educatorio per l’addestramento dei giovani alla vita e agli esercizi marinareschi” e in suo onore è stato chiamato così una zona di Ostia).
Poi si parte da Oslo, sino a giungere nella Baia di Teplitz il 10 Agosto 1899. Qui la Stella Polare viene fatta incagliare, per fungere da campo base della spedizione, ma sfiga vuole che si inclini modello torre di Pisa. In più Luigi ,cade insieme a due compagni, da un costone di ghiaccio; e nei tentativi di togliersi da tale situazione, gli si congelano le falangi di due dita, poi amputate. Ma essendo lui e suoi compagni testardi come muli, mettono in atto piano per realizzare l’impresa. Organizzano tre gruppi da tre persone ciascuno: il principale con viveri per novanta giorni (45 per la marcia verso il Polo e
45 per il ritorno); il secondo, con viveri per sessanta giorni, ed il primo, con viveri per trenta giorni.
Luigi , a causa dell’infortunio subito, cede il comando al suo compagno d’avventure Umberto Cagni che parte con il compagno 21 febbraio 1900, ma dopo appena due giorni è costretto a rientrare alla base per un’infernale tempesta di neve. Tenuto conto dell’esperienza , si cambiano i piani un quarto uomo è unito al primo gruppo; i tempi di marcia di ciascun gruppo sono ridotti rispettivamente a dodici, ventiquattro e trentasei giorni.
Ciascuno dei tre gruppi è dotato di quattro slitte. Ogni slitta, trainata da sette o nove cani, porta un carico di oltre 250 chilogrammi. La suddivisione in gruppi è giustificata dal fatto che un gruppo solo non può trasportare scorte sufficienti per l’intera spedizione.
Ogni gruppo, per ripararsi dalle intemperie durante le fermate ed il riposo notturno, è fornito di una tenda da campo di seta, per difendersi dal vento e dal nevischio. Un sacco di pelle di renna col pelo all’interno, in comune per il gruppo, a tre o quattro posti a seconda del numero delle persone, serve per dormire. Ciascuno poi ha un sacco individuale di tessuto di lana sottile imbottita di piumino, entro il quale prima si infila, per entrare poi insieme ai compagni nel sacco comune di pelle di renna.
Nonostante queste precauzioni, la spedizione incontra un clima da tregenda, arrivano, con sforzi sovrumani e con una fame nera al 86° e 34’ di latitudine Nord, stabilendo il record dell’epoca. Pur non avendo raggiunto il Polo Nord, la spedizione rinnova a Luigi la fama di grande esploratore, anche se il suo rientro a Roma in settembre 1900 coincide con le cerimonie di cordoglio per la morte del re Umberto I, ucciso il 29 luglio a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci, e l’incoronazione del nuovo re, Vittorio Emanuele III.
Tra il 1902 ed il 1904 affronta, per la seconda volta, la circumnavigazione del globo a bordo dell’incrociatore Regia Nave Liguria. A Singapore incontra l’esploratore Giovanni Battista Cerruti di Varazze, altro personaggio da romanzo steampunk, facendo capolino anche nella nostra concessione di Tientsin.
Al ritorno, per vincere la noia, Luigi si impelaga in una nuova impresa: leggendo un necrologio dedicato a Henry Morton Stanley, gli salta all’occhio una sua dichiarazione
“Spero che un uomo votato al suo lavoro, un alpinista appassionato prenda in considerazione il Ruwenzori e lo studi, lo esplori da cima a fondo, attraversando le sue enormi creste e i suoi profondi canali”
E chi, meglio di Luigi, può fare questo ? Così organizza una spedizione, pronta prima ad attraversare l’Africa equatoriale nel caldo torrido e procedere poi verso la salita della montagna, tra ghiaccio e neve. Con la sua solita posse, parte senza clamore nella primavera 1906, nei giorni immediatamente successivi all’eruzione del Vesuvio. L’attraversamento delle zone equatoriali rivela difficoltà, dovute principalmente al caldo, ma grazie ad un folto gruppo di portatori ingaggiati sul posto, Luige riusce a far trasportare ai piedi delle montagne tutto il materiale necessario alla scalata. Insieme alle guide e agli altri compagni di viaggio, scala tutte le principali cime del gruppo del Ruwenzori, vette tutte al di sopra dei 4500 metri, per terminare con la montagna più alta, i 5125 metri del Monte Stanley.
Nel 1909 Luigi decide di realizzare il sogno della gioventù, la conquista delle cime del Karakorum, 400 chilometri di confine naturale tra India e Cina, con vette che oscillano tra i 7000 e gli 8000 metri. La preparazione è meticolosissima e Luigi disegna e progetta tende speciali, per la resistenza oltre i 6000 metri. Il suo sogno è di riuscire a scalare il K2, con i suoi 8611 metri la seconda montagna più alta del mondo dopo l’Everest, ma il cattivo tempo, le continue bufere di neve e la nebbia permettono al gruppo di scalatori di raggiungere solo il largo sperone, denominato da allora Sperone Abruzzi, dove
avevano posto il terzo campo. Tuttavia, le stupefacenti fotografie di Vittorio Sella sono le prime a ritrarre in tutta la sua imponenza e bellezza il K2 e, data la loro nitidezza e precisione, hanno continuato ad essere usate in tutte le esplorazioni successive, anche e soprattutto dalla spedizione italiana del 1954, diretta da Ardito Desio, che con Lino Lacedelli e Achille Compagnoni conquista per la prima volta il K2. Nonostante la rinuncia al K2, Luigi stabilisce successivamente il nuovo record di altezza, raggiungendo i 7498 metri sul Bride Peak, o Chogolisa, pur non toccandone la cima a causa di ininterrotte tempeste di neve.
La storia però interrompe le imprese di Luigi:promosso contrammiraglio alla fine del 1909, dirige controvoglia l’arsenale marittimo di Venezia fino allo scoppio della guerra italo-turca (29 settembre 1911), quando è nominato ispettore delle siluranti, con la missione di vigilare il litorale albanese da Valona a Prevesa. Attività che svolge con eccessivo entusiasmo, affondando navi a destra e manca, causando una serie di incidenti diplomatici con l’Austria Ungheria.
Nominato viceammiraglio nel maggio 1912, dopo la pace con la Turchia, per un anno ha il comando della piazza marittima della Spezia. Con lo scoppio della I guerra Mondiale, Luigi è nominato comandante dell’Armata Navale e deve affrontare problemi simili a Cadorna: le divergenze con Thaon di Ravel, i tentativi francesi di mettere bocca sulla strategia italiana, i problemi organizzativi che portano all’affondamento di alcune navi senza neppure combattere, i politici che chiedevano grandi vittorie da dare in pasto all’opinione pubblica.
Luigi è offensivista: ha in mente di occupare territorialmente una parte della costa nemica per assicurare il sostegno del fianco destro della 3ª Armata, di creare un blocco all’imbocco del canale d’Otranto per impedire alle navi austro-ungariche di uscire dall’Adriatico, di minare le principali linee di comunicazione nemiche e cercare di assicurare il dominio nell’Alto Adriatico anche per sostenere le operazioni del Regio Esercito sull’Isonzo.
La realtà dei fatti è ben diversa: per combattere un battaglia navale, bisogna essere in due e gli austroungarici a tutto pensano, solo che ad affrontare la flotta italiana… Così, Luigi è costretto a mettere da parte i sogni e a gestire il quotidiano. A volte commette errori clamorosi, come nella battaglia di Pelagosa, altri ottenne grandi successi, come lo sbarco a Valona e l’evacuazione dell’esercito serbo, anche se poi, all’Asinara, successe il solito casino all’italiana.
Ma avendo litigato nel 1916 con gli inglesi e con i politici, fu defenestrato. Così,ritiratosi a vita privata, si dedica al suo nuovo hobby, l’esplorazione della Somalia, con frequenti viaggi nella regione del Benadir et dello Uebi-Scebeli, che sarà l’oggetto della sua ultima spedizione esplorativa: a partire dall’ottobre del 1928, la spedizione percorse la valle dell’Uebi-Scebeli fino alle sue sorgenti, effettuando importanti misurazioni e ridisegnando in modo corretto e dettagliato la mappa di quelle zone sconosciute.
Dopo la guerra Luigi, oltre ad avere un pessimo rapporto con Mussolini, litiga anche con il resto dei Savoia, per motivi di cuore: anni prima si era innamorato di una ricca ereditiera americana, Katherine Elkins figlia del re del carbone e dell’acciaio, il senatore statunitense Davis Elkins, ricco sfondato, ma Vittorio Emanuele III gli aveva negato sempre il permesso di sposarla. Da una parte, i Savoia volevano appioppare Luigi a qualche granduchessa dei Romanov, dall’altra non volevano che una molto ipotetica potenziale regina d’Italia, data la probabilità molto bassa che Luigi fosse incoronato, fosse protestante.
Per risolvere il problema, si mosse addirittura Pio X: benché avesse bassa stima per Elkins, il Papa era grande sostenitore del diritto di sciopero da parte degli operai, mentre Elkins riteneva che il modo migliore per risolvere una disputa sindacale fossero le cannonate, propose di nominarlo duca, in cambio di una formale conversione al cattolicesimo. Così facendo, i Savoia non avrebbero potuto negare il matrimonio con una nobile pontificia. Il tutto andò a monte per colpa degli Asburgo, che a causa di contorti ragionamenti sui presunti impatti della questione sul matrimonio morganatico di Francesco Ferdinando, che hanno capito solo loro, protestarono diplomaticamente con la Santa Sede.
Negli anni Venti, Luigi, stanco del tira e molla della famiglia, fa come il padre: manda tutti al diavolo. Si trasferisce in Somalia, dove fonda la SAIS, la Società Agricola Italo-Somala, e costruisce villaggio con un’azienda agricola ben organizzata, una rete di irrigazione, dighe, stalle, magazzini e strutture di servizio. Nonostante l’atteggiamento paternalista, a differenza del re del Belgio, Luigi non sfrutta gli africani.
Addirittura, alla faccia di Vittorio Emanuele, sposa anche una giovane principessa somala di nome Faduma Ali. Afflitto da diabete e da tumore alla prostata, Luigi Amedeo di Savoia muore il 18 marzo 1933 in Somalia, per essere sepolto sulle sponde del fiume Uebi Scebeli, rispettando la sue parole
Preferisco che intorno alla mia tomba s’intreccino le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati
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All’Esquilino i pedoni non sono affatto amati….. Parte seconda
Abbiamo spesso messo in evidenza come il manto stradale a via Giolitti versi in pessimo stato, abbiamo spesso evidenziato come il passaggio pedonale protetto accanto al cd. Tempio di Minerva Medica sia di fatto completamente ostruito da un antico muro di epoca romana, abbiamo misurato la esigua larghezza del passaggio pedonale (78 cm.) dall’altra parte del monumento e alla fine abbiamo criticato l’idea di vietare l’accesso ai pedoni da un lato del tunnel di Santa Bibiana per ricavarne una pista ciclabile con la conseguente soppressione della fermata ATAC della linea 71, ma ora vorremmo far vedere in che stato versano i marciapiedi di via Giolitti.
E mentre i poveri pedoni e ancor di più le persone diversamente abili si devono arrangiare tra buche, ostacoli, restringimenti e divieti senza che nessuno si faccia carico di questi problemi, il Comune, in questi ultimi giorni, ha trovato le risorse per effettuare dei rappezzi…
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November 4, 2017
Il Sepolcro di Largo Preneste
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Mettiamola così, uno dei monumenti più iellati di Roma è forse il sepolcro di Largo Preneste. Primo, perché in mezzo a tutto il traffico della Prenestina, non se lo fila nessuno. Secondo, perché, nonostante gli archeologi si sgolino, si continua a ripete il fatto che sia un colombario, una sorta di condominio postmortem, una tomba ipogea o semipogea, caratterizzata da file di piccoli loculi disposti lungo le pareti e destinati a contenere le urne cinerarie di centinaia di defunti.
Invece, quel sepolcro era qualcosa di ben diverso, simile alle tombe di via Latina o al cosiddetto cenotafio di Annia Regilla, alla Caffarella: un edificio funebre familiare a due o tre piani, con quello centrale utilizzato per i banchetti funebri per celebrare i defunti, l’inferiore, dedicato alla sepoltura vera e propria e il superiore, a scopo puramente decorativo.
Il sepolcro di Largo Preneste non solo apparteneva a questa categoria, ma sotto molti aspetti, introduce diverse innovazioni che poi si ritroveranno nell’architettura romana successiva.
E’ uno dei primi esempi documentati dell’uso dei mattoni policromi, in questo caso gialli e rossi, come elemento base di una decorazione muraria. Inoltre, sulla sua facciata, sopra la cornice che sovrasta l’arco di ingresso, si vedono i resti di un ordine di archetti pensili.
Dato che questi archetti non hanno un ruolo strutturale, è difficile autorizzare che vi fosse un balcone, è molto probabile che la tomba di Largo Preneste sia l’archetipo di un tipo di decorazione che esploderà in epoca tardo antica, la troveremo nella Basilica di Giunio Basso e nel Mausoleo di Costanza, per poi avere ampia diffusione nel Medioevo.
Innovazioni che probabilmente si rifletteva anche all’interno, in cui l’ambiente dedicato ai riti funebri, era coperto da una volta a crociera, di cui si vedono le tracce, ed aveva le pareti scandite da nicchie sormontate da un timpano poggiante su colonnine e mensole, restano ancora tracce di stucco bianco all’interno delle nicchie.
E’ un peccato che sia andata perduta, come gli altri sepolcri, almeno tre, che vi erano accanto, i cui resti sono sotterrati nei giardinetti di Largo Preneste, che creavano una sorta di quartiere funerario dell’alta borghesia di allora..
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Praetoria: il nuovo brevissimo ma stupendo corto di Oats Studios
Oats Studios sembra non aver intenzione di smettere di deliziare tutti gli appassionati di fantascienza. E questa volta lo fa con un cortometraggio brevissimo intitolato Praetoria. Secondo Oats Studios, questo corto sarebbe più che altro un “test” per sondare le acque. Dietro al progetto infatti si nasconde qualcosa di molto più ampio, “a huge galactic story.” Vi lasciamo al filmato. Buona visione!
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November 3, 2017
Oralità
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A margine della discussione sull’identità del cavallo di Troia, il buon Davide del Popolo Riolo ha così commentato
Le ipotesi a questo punto potrebbero essere molte: Ippos non potrebbe essere il nome, o il soprannome, di un personaggio acheo importante per la conquista della città, di cui la tradizione non ha conservato memoria? Oppure potrebbe esserci qualcosa di più complesso sotto: Omero chiama Ettore “domatore di cavalli”. C’era un legame tra la città e i cavalli? E questo in che modo si lega alla guerra contro i micenei?
Commento che mi permette di riprendere un vecchio tema, quello della struttura a cipolla della poesia omerica.
Il nucleo centrale è un fatto concreto e storico: gli eventi bellici connessi alla presa di Wilusa. Eventi che vengono trasfigurati nella poesia orale: dato, allo stato attuale della ricerca, sembra confermato come la Lineare B avesse un esclusivo ruolo amministrativo, rivolto a un pubblico ristretto di burocrati, è possibile ipotizzare come questo passaggio sia stato alquanto precoce.
Ora, semplificando il discorso fatto negli anni Venti da Milman Perry, non esiste una tradizione orale secondo una buona memoria; per cui, per supportarla, servivano una serie di artifici. Il primo, una gabbia formale che imponesse un ritmo costante al racconto.
Il secondo, un insieme di semilavorati, di formule, episodi e temi, che non oltre ad aiutare il narratore a mantenere il filo del discorso, gli permettessero di improvvisare, nel caso lo avesse perso.
Ettore domatore di cavalli è una di queste formule, basata sull’abbinamento nome ed epiteto, che risponde a una caratteristica particolare, l’indipendenza dal contesto: le navi definite veloci, anche quando sono tirate a secco, Diomede “valido nel grido di guerra” anche quando tace, Eumeo, guardiano di porci, chiamato pastore di popoli o l’irreprensibile appioppato Egisto, nel momento in cui sono denunciate le sue colpe di adultero e di assassino.
Questo implica come fossero cristallizzate per tradizione, a riprova di due cose: in alcuni casi potevano essere citazioni di miti e racconti di cui nel crollo del mondo miceneo si era persa memoria, in altri, nel passaggio linguistico tra dialetto miceneo, eolico, era cambiato il senso del termine originale oppure, l’aedo trovandosi davanti a una parola senza senso, l’aveva sostituita con un equivalente metrico o con un falso somigliante.
Per cui, nel mondo ionico, chi provvide ad aggregare e dare una forma unitaria a questi racconti orali, sia per l’unità ritmica e questo set comune di formule, ebbe vita facile… Ed è probabile che questo processo di fusione sia avvenuto più volte e si sia affermata o la versione più autorevole o magari la prima a essere trascritta…
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November 2, 2017
La nave di Wilusa ?
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In questi parecchi miei amici, compreso il buon Li er Barista, continuano a interrogarmi sull’ipotesi che il Cavallo di Troia fosse in realtà un nave. Per cui, per non ripetere sempre le solite chiacchiere, su una storia che non è neppure tanto nuova, mi pare già di averla sentita qualche anno fa.
Ora, come molti sanno, le vicende della presa di Troia non sono narrati da Omero, ma due poemi perduti del Ciclo Troiano: la cosiddetta Piccola Iliade, attribuita a Cinetone di Sparta o a Lesche di Mitilene, composta tra il 750 a.C e il 650 a.C. e l’Iliou persis, la caduta di Ilio, composta da Arctino di Mileto, intorno al 750 a.C.
Quindi, di poco posteriori alla data tradizionale della stesura dell’Iliade, il 762 a.C. Periodo in cui, sui vasi, appaiono anche le prime rappresentazioni di tale vicenda, che quindi, doveva essere già consolidata, nei tratti fondamentali, da parecchio tempo.
E in cui, il tipo di navi fenicie che avrebbero generato l’equivoco, tra l’altro ben diverse da quelle micenee, all’epoca abbastanza diffuse nel Mediterraneo: è difficile pensare che gli aedi dell’epoca possano essere caduti in un equivoco del genere, confondendole con un cavallo.
Per cui, ammesso che la storia del Cavallo di Troia non sia il frutto della fantasia di un poeta preoccupato di non annoiare troppo il suo pubblico e nell’ipotesi, tutta da dimostrare, che tutti i poemi del ciclo troiano condividano una stratificazione del tipo: evento storico in epoca micenea, prima trasfigurazione poetica in ambito eolico, armonizzazione e fusione dei diverse versione in ambito ionico, possiamo forse dare ragione a Pausania.
Ossia probabilmente in luvio o in ittita vi era un termine tecnico per definire una specifica macchina d’assedio, nulla di troppo complicato, forse una sorta di ariete, di cui però non abbiamo evidenza: forse nel passaggio in Lineare B, poi nei vari dialetti greci, questa parola, può essersi talmente deformata da generare un falso simigliante di Hyppos.
Un aedo, per giustificare come si potesse con un solo cavallo conquistare una città, ci costruì sopra la storia dell’inganno, che fu considerata così affascinante, da consolidarsi nella tradizione orale
November 1, 2017
Seneca Morente
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Una delle storie più strampalate relative al rione riguarda il cosidetto “Seneca Morente”, statua di cui si ignora la data di ritrovamento, precedente al 1594, in cui appare negli inventari della collezione Borghese, e che, da qualche accenno documentale, si ipotizza essere stata scavata nella Vigna de Pischini, estesa tra due chiese scomparse: San Matteo in Merulana, uno dei più antichi titolo cardinalizi di Roma, eretto circa il 112 da papa Alessandro I, situata dove adesso c’è l’incrocio tra via Alfieri e Via Merulana e San Giuliano Ospedaliere, dove adesso c’è l’incrocio tra Via Carlo Alberto e Piazza Vittorio.
Entrambe le chiese hanno due storie alquanto interessanti: San Matteo, la cui abside era Via Machiavelli, appena a sud-ovest dell’incrocio con Via Giusti, in pratica sotto l’USI, mentre la cappella di Sant’Elena all’Esquilino si trova vi era la navata, fu restaurata da Papa Pasquale II nel 1110 e poi da Innocenzo III Conti nel 1212.
Innocenzo III, nel lato sud della chiesa, vi fece costruire un ospedale, per i ricovero dei membri malati della familia papalis, ossia gli alti burocrati pontifici. Nel 1499, divenne la prima sede della Madonna del Perpetuo soccorso, l’icona bizantina rubata a Creta da un mercante dell’Esquilino, che dopo essere sfuggito a un’orda di pope infuriati, a esosi doganieri veneti e a una violenta tempesta, tornato a casa, si ammalò gravemente.
Piena di rimorsi, in punto di morte confessò a un amico il suo furto,supplicandolo di ricollocarla in una Chiesa. L’amico promise che avrebbe esaudito questo desiderio, ma anche lui trattenne l’immagine in casa propria fino alla sua morte. La leggenda narra che subito dopo, nei pressi della Casa Tonda, la Vergine sia apparsa a una bambina, che quindi dovrebbe essere una mia antenata, per chiedere di essere portata a San Matteo.
La realtà è forse più banale: gli eredi, non sapendo cosa fare del quadro, lo appiopparono a una chiesa a caso: i Crociferi, visto la loro posizione strategica, San Matteo era sull’unica strada che all’epoca univa Santa Maria Maggiore a San Giovanni, con tra l’altro un percorso stranissimo, una sorta di N, perché arrivata all’altezza di via Machiavelli, deviava verso Sant’ Eusebio, per poi puntare verso San Vito e seguire l’attuale Via Carlo Alberto, decisero di usare l’icona per farvi sostare i pellegrini, costruendoci sopra una bella storia.
Nel 1575, Gregorio XIII fece costruire l’attuale Via Merulana, come linea retta tra le due basiliche papali: come successe poi a San Vito, San Matteo dovette cambiare l’orientamento della sua pianta. L’ingresso, che era preceduto da un portico colonnato, divenne l’abside.
Ai tempi di Innocenzo X, quella che era la reliquia più importante della chiesa, un braccio di San Matteo Apostolo, fu trasferita a Santa Maria Maggiore; fu poi restaurata da Clemente IX, famoso all’epoca per essere anche uno scrittore di libretti di melodrammi. Nel 1798 la chiesa di San Matteo fu devastata dall’esercito napoleoni e fu demolita nel 1810.
San Giuliano Ospitaliere, distrutta per la realizzazione di Piazza Vittorio, era invece dove adesso vi è l’incrocio con Via Carlo Alberto. Sede della Confraternita degli Albergatori e dei Vetturali, è stato il luogo dove è cresciuto Giovanni Rorutesu, immagino l’unico samurai nato all’Esquilino, di cui un giorno racconterò l’avventurosa vita e custodiva una fonte la cui acqua era ritenuta taumaturgica, in particolare contro le febbri. Sappiamo che i Carmelitani benedicevano l’acqua miracolosa il 7 agosto di ogni anno e che preparavano l’acqua profumata al basilico destinata a lavare l’immagine di Cristo in occasione della processione dell’Assunta (15 agosto), la cui ultima fermata avveniva proprio davanti a questa chiesa
Tornando alla nostra statua di Seneca, se il luogo del ritrovamento fosse stato quello avrebbe dovuto far parte o degli Horti Mamiani o degli Horti di Mecenate. Altri archeologi, invece, sostengono che fosse di pertinenza della decorazione dei Trofei di Mario.
Comunque sia, non era una rappresentazione di Seneca. Si ipotizza che rappresentasse un pescatore africano (cosa valida sia per l’attribuzione ai trofei di Mario, data l’origine di Alessandro Severo, sai per gli Horti, dato che da altri ritrovamenti sembra che Mecenate o Tiberio decorassero i giardini della villa con gruppo nilitico, in piccolo simile al Canopo di Villa Adriana) ed è certo che mancasse sia dei piedi, sia della testa.
Tra il momento del ritrovamento e il passaggio alla collezione Altemps, qualcuno, antenato dei pataccari, falsari di antichità romane, che una volta bazzicavano il rione, collocò la statua in un bacino di breccia, riprendendo la posizione del suicido di Seneca, come descritta da Tacito.
Per completare l’opera, fu aggiunta da Silla Giacomo Longhi la testa di un busto ellenistico che desse al tutto un aspetto da intellettuale, stavolta su commissione degli Altemps. Il tutto, ovviamente, per piazzare poi la statua a peso d’oro a papa Paolo V, che come testimoniato dalle dediche di Justius Lipsius, aveva una passione smodata per il filosofo. Statua che fu poi copiata da Rubens che la utilizzò come spunto per un suo quadro.
Da Paolo V passò al cardinale Scipione Borghese che la sistemò in una maniera alquanto pacchiana come documentano le guide di Iacopo Manilli e Domenico Montelatici; si trovò infatti attorniata da due colonne di marmo nero, di dieci palmi, che, al posto di capitelli, ospitavano due “gladiatori”, alti quattro palmi, forse metafora della vittoria della Ragione sulle Passioni.
Li rimase sino ai primi dell’Ottocento, quando Napoleone, con le buone o con le cattive, convinse i Borghese a cedergli la loro collezione d’Arte Antica, pagandola tredici milioni di franchi. Così, il pescatore trasformato in filosofo divenne ospite del Louvre.
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