Alessio Brugnoli's Blog, page 176
October 11, 2017
S. Laurentii ad Taurellum
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Dai cataloghi medievali, appare come vicino a Sant’Eusebio vi fosse una chiesa dedicata a San Lorenzo, che in alcuni casi, è definita ad Taurellum, appellativo forse derivato dagli Horti Tauriani o dalle Terme di Traiano
Sappiamo che papa Adriano I ne fece riparare il tetto. Il Liber Pontificalis dice
tectum basilicae S. Laurentii ad Taurellum, dum nimis vetustissimum iam esset . . . . restauravit
Da cui appare come già ai tempi di Carlo Magno sembrasse antichissima e che fosse coinvolta negli stessi lavori di ristrutturazione che riguardarono Sant’Eusebio, il che fa sospettare come la sua data di costruzione fosse compresa tra il IV e V secolo
E’ possibile poi che fosse costruita riutilizzando in parte un precedente padiglione di pertinenza di qualcuno dei numerosi palazzi imperiali presenti nel Rione. In Roma antica di Famiano Nardini, infatti, quando si parla del Campus Esquilinus vi è scritto
“Presso S. Eusebio nel Convento ed Orto contiguo furono scoperte varie camere sotterranee dipinte, e la colonna di alabastro orientale scanalata a spira oggi esistente nella Libreria Vaticana”.
Resti che però non sono saltati fuori negli scavi umbertini e di cui sembra essere scomparsa ogni traccia
Ma che fine ha fatto questa chiesa ? A quanto pare, in un giardino presso S. Eusebio, coincidente con quello citato dal Nardini, poco prima del 1708 (forse dagli “scavi Vitieri 1706” segnati sulla FUR. del Lanciani f. 23) tornarono alla luce gli avanzi di una chiesa antica, insieme con quelli di un edificio attiguo forse una diaconia, a circa quattro metri sotto il livello del suolo e quindi dati gli sterramenti di fine Ottocento, molto prossimo al nostro piano di calpestio.
Vi furono trovate delle colonne ed un cornicione che portava l’ iscrizione:
AVXILIANTE DNO DO NRO XPO ORANTE BEATO LAVRENTIO MARTYRE HILARVS ARCHIDIAC FECIT.
Il che fa pensare a papa Ilario , arcidiacono prima della sua elezione nel novembre 461, che, oltre a essere un grande costruttore, fu anche molto devoto a San Lorenzo, tanto da essere sepolto nella Basilica del santo presso il Verano.
Se tale ipotesi fosse valida, come sostenuto dal Vizzi, allora avremmo una data per la costruzione della chiesa, compresa tra il 455, quando Ilario fu consacrato arcidiacono e la sua nomina a papa. Il che renderebbe la chiesa contemporanea a quella di Sant’Agata dei Goti, voluta da Ricimero: il tentativo di creare un polo ortodosso, centrato su Sant’Eusebio, alternativo alla rete di chiese ariane diffusa nell’Esquilino e che trovava proprio in Sant’Agata il suo fulcro.
Braciola, Panetto e gli altri (prima parte)
Alfonsine 2017
72° anniversario della Liberazione (Foto © Alessio Duranti http://www.alessioduranti.it)
Un racconto di Simone Ghelli
***
E infatti sì, non è che potesse andare poi tanto diversamente: perché la scrittura arriva sempre dopo, dovevo saperlo che viene troppo in ritardo, e cinque anni non sono affatto pochi.
Tanto ha resistito, Nello; ed io lì con la penna sotto al naso, a riempir di baffi d’inchiostro dappertutto.
«Ma devo ripetertelo ancora?».
E io che insistevo, che bisognava risentire e analizzare quel passaggio: «Avanti, daccapo!».
Cinque anni, tutte le domeniche, non son pochi davvero. Si stava lì, su quel divano dal tessuto con la decorazione a fiori, e davanti a noi il tavolino di vetro col centrotavola fatto all’uncinetto. Ci stavamo comodi, e ancor di più col Marsala nel bicchierino di vetro e gli amaretti nel piatto. Ogni domenica il lavoro sembrava aumentare anziché alleggerirsi, e per questo dovevo riprendere i…
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Kipple Officina Libraria a StraniMondi
Anche quest’anno, noi di KippleOfficinaLibraria saremo sabato 14 e domenica 15 presso l’UESM, Casa dei Giochi, Via Sant’Uguzzone 8, Sesto San Giovanni, Milano, alla manifestazione StraniMondi, che è molto di più di una rassegna e/o di un mercato librario dedicato al Fantastico e perciò, anche, alla Fantascienza.
Saremo lì con voi ad assistere agli innumerevoli panel che vedranno come protagonisti alcuni degli autori più in vista del Genere, come Alda Teodorani, o Valerio Evangelisti, o Pat Cadigan, insieme ai tanti altri amici che è più facile incontrare che nominare; ci saremo anche noi con i nostri interventi, soprattutto per presentarvi il Premio Kipple e ShortKipple e, anche, per partecipare, con tutti gli amici connettivisti, all’ordalia di sensi olografici della pubblicazione Nuove Eterotopie, edita dagli amici Delos Books.
E voi? Ci vediamo lì? Ci riconoscerete sicuramente, non mancate di venirci a trovare! Per…
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October 10, 2017
I marciapiedi dell’Esquilino
La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani.
E’ una frase di Søren Kierkegaard che bene rende come venga gestita la viabilità dell’Esquilino: un pericoloso e demenziale mix di superficialità, pressappochismo e demagogia. Nelle ultime settimane, poi si è toccato il fondo: dalle bislacche idee sui cordoli a via Principe Eugenio, nonostante l’esperienza fallimentare di Via Labicana, perché nessuno ha il coraggio di mettere i vigili a fare multe, perché, si sa, queste fanno perdere voti, a quell’abominio immondo che è la ehm pista ciclabile di Santa Bibiana.
Abominio perché, per fare sessanta metri e non rompere le scatole agli automobilisti, si è rubata ai pedoni una fermata d’autobus e un marciapiede e soprattutto, non si è garantita la sicurezza ai ciclisti, visto che tale accrocco termina in una buca.
Ed è tragicomico notare come tanti ultras dell’attuale amministrazione, dopo essersi coperti di ridicolo, gonfiandosi il petto per quella schifezza, dinanzi alle ripetute lamentele dei cittadini, abbiano smesso di starnazzare e fingano di essere diventati all’improvviso ciechi e sordi.
Tutto ciò, invece, a scapito dei veri problemi: ora, io non pretendo che Roma come le altre città europee e italiane, nonostante i proclami della Raggi in campagna elettorale, cominci a implementare soluzioni di smart mobility... Però, che almeno si gestisca l’ordinario.
La testimonianza di mia moglie, che con le sue difficoltà di salute, deve ogni giorno affrontare marciapiedi che paiono usciti dalla battaglia di Stalingrado e quella trappola per pedoni che è ormai diventata via Conte Verde, è emblematica; non è una lamentela, ma un invito a mettere al centro della politica non gli slogan, ma i cittadini, con i loro problemi quotidiani.
Passeggiare tra le opere d’arte contemporanea nel silenzio del Chiostro di Santa Marta in Città Bassa
Ogni prima domenica del mese è possibile entrare in un luogo davvero prezioso nel cuore di Bergamo Bassa. Un luogo che, pur avendo più di seicento anni, ha un fascino rimasto immutato nel tempo. Si tratta del Chiostro di Santa Marta, parte di un antico monastero domenicano femminile fondato nel 1300 e andato ormai distrutto. Un vero gioiello dell’architettura rinascimentale, che nei secoli ebbe alterne fortune e che nell’ultimo secolo è entrato a far parte del complesso della Banca Popolare di Bergamo che l’ha riportato all’antico splendore.

E’ nascosto e non è nei percorsi battuti dai turisti, anche se i bergamaschi lo sfiorano ogni giorno per recarsi nei luoghi di lavoro o dello shopping in Venti Settembre. E’ raggiungibile tramite la Galleria Crispi, che affaccia direttamente su piazza Vittorio Veneto e, quando si varca il portone di ingresso, si viene catapultati letteralmente in una dimensione senza tempo.
Camminando tra…
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Castle Rock di Stephen King: il primo trailer della nuova serie TV
Castle Rock, nuova serie TV ispirata ai racconti di Stephen King prodotta da J.J. Abrams, è stata fin dall’inizio avvolta nel mistero. Ora quel mistero inizia poco a poco a risolversi, grazie anche alle immagini del primo trailer della nuova serie televisiva. Ambientato nel Maine (come potrebbe essere altrimenti trattandosi del Re dell’horror?), Castle Rock sarà una serie antologica: ognuno dei dieci episodi racconterà infatti una storia diversa con attori diversi. Vi lasciamo al trailer, che sembra catturare molto bene le atmosfere inquietanti tipiche dei racconti dell’autore statunitense. Buona visione!
October 9, 2017
Saluti al Museo Tucci
Piccola premessa, a scanso di polemiche: io sono cresciuto dentro il Museo Tucci. Da bambino, mio nonno, forse a causa dei romanzi di Salgari che leggevo, facendo un poco di conti, mi sa che potrei fare concorrenza al Che, mi ci portava spesso, le mattine di domenica: così, grazie alle visite guidate in cui ci imbucavamo, conobbi mondi fantastici, che ogni tanto riaffiorano nella mia narrativa. Con il tempo comincia poi ad apprezzare le diverse forme spirituali del buddismo.
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Poi scoprii quello straordinario personaggio che era Giuseppe Tucci, che tra l’altro fa una comparsa nel romanzo che sto scrivendo: fascista, esploratore, spia.
Innamorato del Tibet, vi compie 8 esplorazioni in un arco di tempo che va da 1926 al 1948, quando giunge a Lhasa. Ne compie 5 o 6 in Nepal. L’ultima, nel Mustang, è del 1954. Al tempo questi paesi erano proibiti agli stranieri ma lui riesce a visitare villaggi e monasteri e riportarne manoscritti e xilografie, statue, thangka, i rotoli buddhisti di stoffa dipinta, pezzi d’arte e d’artigianato induisti, buddhisti e bon, reperti archeologici. Rievoca le tracce del passato per trarle dalla dimenticanza e dall’abbandono, scopre civiltà scomparse come quella dei Malla, nel Nepal occidentale, ricostruisce antiche vicende e lascia, con i tesori e con le fotografie, testimonianze e “documenti di culture che stanno modificandosi e forse spegnendosi”.
Come raccontava
ho vissuto nei villaggi e nei monasteri, mi sono genuflesso dinanzi a maestri e immagini sacre, ho valicato insieme con i carovanieri monti e traversato deserti, vasti come il mare, ho discusso problemi di religione e filosofia con monaci sapienti.
In poche parole, una vita invidiabile, basata, sempre citando le sue parole su
tre principi soltanto: retto pensiero, retta parola, retta azione, semplici a dirsi, difficilissimi a mettere in pratica con coraggio e senza cedimenti, senza l’umiliazione del compromesso o gli indegni calcoli del vantaggio e dell’utile
Proprio per questo grande amore, con il cuore soffre terribilmente per la sua chiusura: però, con la testa, cerco di farmene una ragione: ora, non mi pronuncio sui retroscena della vicenda, perché non li conosco bene, ma di fatto la sede di Palazzo Brancaccio, benché piena di fascino, era inadeguata in termini di spazio.
Il Tucci può avere ricevuto negli ultimi anni decine di lasciti importanti, ma per banali questioni di geometria e fisica dei corpi o si accatasta tutto come nella soffitta di mia nonna, oppure questi sono costretti a finire nei magazzini.
E nonostante i tentativi eroici della direzione di ammodernare un allestimento datato, il museo per esempio è rimasto ad esempio sempre indietro rispetto al suo equivalente torinese, dove si sperimenta senza problemi la realtà aumentata.
Questo si riflette nel numero di visitatori: l’anno scorso il Museo Nazionale d’Arte Orientale “Giuseppe Tucci” ne ha avuti 12.318, ossia 34 al giorno, 4 l’ora. Se dal numero togliamo i visitatori seriali, come il sottoscritto o Li er barista, le scolaresche in gita e quelli che si imbucano la prima domenica del mese, perché tanto è gratis, i numeri diventano sconfortanti.
Ciò implica, oltre a grosse difficoltà nel promuovere il Museo, come nonostante tutti i piagnistei, agli abitanti dell’Esquilino, siano questi italiani, indiani o cinese, del Tucci non gliene poteva fregare di meno.
Per cui, se i tempi di allestimento non saranno geologici, se i nuovi spazi saranno all’altezza e se le collezioni saranno valorizzate come meritano, non posso che augurare un grande in bocca al lupo alla nuova sede..
October 8, 2017
Rubino Ventura, ebreo di Modena
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Per riprendere il discorso sui personaggi “peculiari” dell’Ottocento italiano, che possono essere utilizzati come comparse nella nostra narrativa steampunk, oggi parlerò di un compagno d’avventura di Avitabile, assai meno noto, però, di Abu Tabela: Ruben ben Torah, Rubino Ventura, ebreo di Modena.
Se Paolo Avitabile colpisce l’immaginazione per la sua ferocia, Rubino è un individuo completamente diverso: una di quelle simpatiche canaglie che, per mettere insieme pranzo e cena, danno fondo alla loro sfrenata fantasia e a un’incredibile arte di arrangiarsi.
Ruben, che all’occorrenza, a seconda dell’interlocutore, dice di chiamarsi “Jean-Baptiste”, contraendo persino un matrimonio cattolico e raccontando ad una missionaria inglese di avere un pronipote monaco domenicano e segretario particolare di Pio IX, è forse nato nel 1794. E’ stato di certo arruolato nell’esercito napoleonico: però, dato che nessuno avrebbe dato spago a un misero fantaccino, si è costruito a parole una fantasmagorica carriera militare, millantando di avere raggiunto il grado di colonnello, di essere cavaliere della legion d’onore e di aver combattuto a Wagram (1809), nella campagna di Russia e a Waterloo.
Quel che è certo è che il Ducato di Modena, assegnato alla restaurazione all’ultrareazionario arciduca Francesco d’Austria-Este (1779-1846) è non solo poco propizio agli ebrei, di nuovo rinchiusi nei ghetti aboliti da Napoleone, ma pure, tra gli Stati italiani, il meno gentile coi reduci napoleonici. Per cui, qualsiasi fosse stato il suo passato militare, Ruben per non fare la fame, secondo uno storico locale, si mette in società con pittore locale, per piazzare falsi quadri rinascimentali a ricchi lord inglesi: in ogni caso, a causa di un diverbio con la polizia ducale, causato dal suo ehm spirito imprenditoriale, Ruben prende armi e bagagli e se ne scappa a Costantinopoli, dove per qualche tempo fa il mediatore di noli marittimi e il contrabbandiere.
Dato che la giustizia del sultano è assai meno clemente di quelle estense, appena Ruben ha il sentore di essere indagato, scappa a Teheran. Secondo quanto raccontato da lui in vecchiaia, sarebbe stato assunto come colonnello per addestrare la fanteria persiana, ma la gelosia dei consiglieri inglesi l’avrebbe costretto a dimettersi. In realtà il principe Abbas Mirza aveva da tempo riorganizzato l’esercito con istruttori britannici e nel 1821-23 era impegnato in una campagna vittoriosa in Mesopotamia contro l’Impero Ottomano. Sembra perciò più credibile la testimonianza del barone Karl Alexander Hugel secondo il quale a Teheran Ventura avrebbe trascorso dieci mesi in vana attesa di un impiego qualsiasi presso la corte.
L’unica cosa certa è che a Teheran incontra Jean François Allard (1785-1839), un provenzale (di Saint Tropez) che dal 1803 al 1815 e da soldato semplice a capitano aveva servito nel 23e dragons all’Armée de Naples, nei cacciatori a cavallo napoletani in Spagna, nei dragoni della guardia imperiale, nello stato maggiore del maresciallo Brune e infine nei corazzieri a Waterloo, arruolandosi poi nell’esercito egiziano. Secondo Hugel è Ventura, quasi alla fame. a convincere Allard che in Persia non c’è futuro: secondo un altro viaggiatore francese, Fontanier, è l’ambasciatore russo a Teheran a suggerire loro di andare a cercare fortuna nel Punjab, probabilmente nell’intento di usarli come spie.
Sorto nel 1707 dalle ceneri dell’impero Moghul, quello dei Sikh si estendeva ad Est del passo Khyber, tra l’Afghanistan, il Kashmir e il Sindh. Distribuiti in dodici baronie di varia estensione (Misl), con un’assemblea federale (Sarbat Khalsa) e una poderosa cavalleria feudale di centomila guerrieri (Fauj-i-jaghirdari), riuniti nel 1799 da Ranjit Singh (1780-1839) sotto l’autorità di un imperatore (maharaja) e in una capitale (Lahore), i Sikh dominavano saldamente una popolazione composta per un decimo di indù e per otto decimi da musulmani. Il trattato anglo-sikh del 1809 limitava l’espansione meridionale del Punjab Raja al fiume Sutlej, dalla cui sponda indiana, a Ludhiana, un residente britannico monitorava l’ultima potenza indigena non ancora assoggettata alla Compagnia delle Indie Orientali.
Così “Ulur” e “Wuntoors” (Allard e Ventura) cominciano il loro il viaggio a Lahore, somigliando nel caso migliore alla coppia di sergenti impersonati da Sean Connery e Michael Caine nel celebre film del 1975 tratto dal racconto di Rudyard Kipling, l’Uomo che volle farsi re, nel peggiore a Totò e Peppino.
Si pagano vitto e alloggio imbrogliando i gonzi con il gioco delle tre carte nei bazar e e facendo i muezzin; eppure, strada facendo, devono avere avuto un non ben chiaro colpo di fortuna, dato che i due arrivano con molti servitori, affittano una buona residenza e si presentano dal maharajah con una robusta mazzetta di 100 rupie, cominciando poi una trattativa, per essere assunti, degni di due venditori di tappeti.
Che li abbiano mandati i russi, al maharajah non passa mai per la mente: sospetta invece che i due, sedicenti ferengi (francesi) e musahib (compagni) di Napoleone, siano agenti segreti inglesi: alla fine preso per stanchezza, con poca fiducia nelle loro capacità, non li definisce nel contratto sahib (gentlemen), ma gorahs (mercenari bianchi), concede uno stipendio mensile di 500 rupie per addestrare all’europea un piccolo nucleo di forze regolari che prese il nome di “Brigata Francese” o “truppe reali”.
Nel frattempo, entrambi occupano, modello squatters, la casa ottagonale di un sirdar, che era stata in precedenza una polveriera e prima ancora la tomba di Anarkali (“Melograno”), arsa viva per ordine del marito geloso, l’imperatore moghul Akbar. Una volta sposati i due avventurieri si trasferiranno in nuove residenze, Ruben però, che si accaserà a Ludhiana nel 1825 con rito cattolico officiato da un missionario fatto venire da Lucknow, forse era un poco complicato trovare un rabbino da quelle parti, con un’armena, figlia di un ufficiale francese a servizio della begum , ricevendo dal maharajah e dai sirdars fastosi regali di nozze del valore di 40.000 rupie, si terrà la tomba per sistemarvi il gineceo ( zenana) della moglie.
La sua nuova casa è a poca distanza, e si fa notare dai visitatori per un atrio affrescato e una sala da pranzo rivestita di specchi. L’affresco, eseguito da pittori locali, rappresenta le imprese belliche di Allard e Ventura. In un diario di viaggio pubblicato nel 1845, William Barr ironizza sulla grossolana fattura e la mancanza di prospettiva: le figure sovrastano le fondamenta, la cavalleria carica in cielo e i cannoni sono voltati dalla parte sbagliata per permettere ai serventi di caricarli. Nel 1849 la casa di Ventura è requisita per il residente britannico ed è ancor oggi sede del segretariato del Punjab. La zenana di madame Ventura diviene invece chiesa cristiana e poi sede dell’Archivio di stato. Secondo lo studioso Mohammed Ahsan Quraishi durante il soggiorno di Allard e Ventura è stata distrutta una delle iscrizioni persiane che adornavano la tomba e che recitava
“L’uomo o la donna innocente assassinato senza pietà e morto dopo grandi sofferenze è un martire agli occhi di Dio”
Allard il mestiere delle armi lo conosce bene e mette su una brigata di dragoni; Ruben, invece, qualcosa improvvisa e accrocca una brigata di fanteria composta da due battaglioni di sikh e uno di gurkha (Ghoorkha Poltan) con uniformi, armamento e addestramento simili a quelli dei sepoys inglesi. Nonostante queste premesse, per una serie di colpi di fortuna, del tipo esercito nemico che sbaglia la strada, con la sua cavalleria che finisce affogata in un fiume, l’esordio dei due, nella battaglia di Nowshera, è un’inaspettata, specie per il maharajah, e grandiosa vittoria.
Tenendo fede al detto napoleonico
Preferisco un generale fortunato ad uno bravo”
Ranjit Singh decide di dare finalmente fiducia a Rubino: negli anni seguenti gli emolumenti di Ventura sono decuplicati e la sua brigata partecipa, sempre sotto il comando superiore di un generale sikh, perché fidarsi è bene, non fidarsi e meglio a numerose spedizioni per domare ribellioni delle tribù pathans e del fanatico Syed Ahmad Ghazi e sottomettere la regione afghana di Peshawar, distinguendosi nella presa di varie colline fortificate nella valle di Kangra (Kotla, Srikot, Terah, Riah, Pulhar) e nella successiva raccolta di contribuzioni. Proprio la sua abilità nell’accrescere i ricavi delle imposte vale a Rubino la nomina a governatore della provincia di Derajat (1832-35) e poi del Kashmir (1835-37). Pur sospettando giustamente che Rubino trattenga per sé una quota consistente delle imposte, il maharajah chiude un occhio sulle vedendo le rendite delle provincia triplicare e la città di Multan prosperare
Nel frattempo, Rubino si inventa un nuovo mestiere: alla ricerca delle tracce di Alessandro Magno, diventa una sorta di Indiana Jones, esplorando gli stupa abbandonati e anticipando Tucci, scopre la civiltà del Gandhara, rendendosi conto di come le raffigurazioni di Buddha siano influenzate dalla scultura greco romana.
Nel 1837 Ventura ottiene un incarico diplomatico a Parigi e a Londra, ma le notizie sulla cattiva salute del maharajah e sull’intervento inglese in Afghanistan lo convincono a rientrare in anticipo. Col trattato tripartito di Simla del 25 giugno 1838 il maharajah ha accettato di unirsi agl’inglesi per rimettere sul trono di Kabul il vecchio emiro Shujah Shah Durrani spodestato nel 1809, lo stesso uomo al quale Ranjit Singh aveva estorto il celeberrimo diamante Koh-i-Nor.
Nell’ aprile 1839, mentre l’Armata inglese dell’Indo si riuniva a Quetta, Ventura prende a Peshawar il comando di 6.000 soldati del Punjab e 4.000 mercenari gurkha di Shujah Shah. A richiedere che il comando sia assegnato a Ventura era stato l’agente diplomatico inglese a Ludhiana, colonnello Sir Claude Martin Wade, il quale lo ritiene il più capace degli ufficiali europei e l’unico in grado di mantenere la disciplina delle truppe. Queste recalcitrano all’ idea di dover combattere al fianco degl’inglesi, e, non appena l’esercito si meta in marcia, proprio il battaglione scelto, il Ghoorkha Poltan, si ammutina, pretendendo una paga maggiore.
Ventura li fronteggia coi cavalieri irregolari sikh, ma non può impedire che, a bandiere spiegate e a suon di banda, i verdi fucilieri se ne tornino a Peshawar,dove ahimè, vengono impalati dal buon Avitabile.
Alla morte di Ranjit, avvenuta il 20 giugno 1839, il contingente sikh è richiamato a Lahore. Mentre il potere centrale si disfa nelle lotte di successione, il 7 agosto gl’inglesi occuparono Kabul, l’11 novembre uccidono l’usurpatore e il 1° gennaio 1840 sciolgono l’Armata dell’Indo. Tra giugno e dicembre 1840 Ventura sottomette i distretti ribelli di Kulu e Mandi espugnando 200 fortini e il grande campo trincerato di Kumlagarh, e nel 1841 è ricompensato col titolo di conte di Mandy.
Ma le cose degenerano con rapidità: Il 2 novembre scoppia la rivolta afghana, il 6 gennaio 1842 il generale Elphinstone abbandona Kabul con 4.330 militari e 12.000 civili e il 13 la colonna è interamente sterminata a Jagdalak. Avitabile è tra quelli che ne trassero profitto, fornendo alle forze britanniche inviate a vendicare Elphinstone non solo il massimo sostegno logistico ma pure un prestito personale di un milione di rupie, mettendo così al sicuro il suo bottino, riciclato e convertito in un solido credito da riscuotere in Europa, dove fa definitivamente ritorno nel 1843. Le cose sono meno facili per Ventura, sia perché il suo patrimonio era soprattutto immobiliare, sia perché era maggiormente coinvolto nelle lotte di potere grazie al suo stretto rapporto col capo dell’esercito Sher Singh. Costui è assassinato il 15 settembre 1843 e Ventura ne approfitta, vista la mala parata, per congedarsi. Deve però restare un anno a Simla per sistemare le rendite dei feudi ( jaghirs) ricevuti dal maharajah e solo nell’ottobre 1844 può partire per l’Europa.
Giunto a Parigi, dove è insignito della Legion d’Onore, si dedica alla bella vita e a speculazioni azzardate, si ritrova di nuovo povero in canna. Ma Rubino, non si arrende e decide di ritentare la fortuna in India nel 1848, dove intraprese un pericoloso delle parti tra inglesi e sikh. Gioco che gli è propizio, dato che Londra, per toglierselo dai piedi, gli accorda una liquidazione di 20.000 sterline, più un vitalizio di altre 300 annue per l’esproprio della casa e del jaghir intestato alla figlia. Per di più, ottiene 15.000 rupie di arretrati dal morente governo sikh.
Così, con le tasche piene, torna in Francia, dove trascorre gli ultimi anni della vita, muore nel 1858, come un ricco gentiluomo di campagna…
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Per chi fosse curioso, il nome usato da Giorgio Pederiali, quando sceneggiava i fumetti erotici di Rollo, come Biancaneve, era proprio ispirato al nostro eroe…E in futuro mi piacerebbe fare raccontare da Watson, che ha combattuto in Afghanistan e fa una breve comparsa in Lithica, le avventure di Avitabile e Ventura a Beppe e Andrea…
All’Esquilino i pedoni non sono affatto amati…..
Nonostante le rassicurazioni del Presidente della Commissione III – Mobilità del Comune di Roma, Enrico Stefano, che i pedoni dovrebbero essere al primo posto per l’attenzione delle istituzioni riguardo ai problemi del traffico, abbiamo più volte sollevato il problema della sicurezza nel nostro Rione specialmente per quanto riguarda via Giolitti; sembravamo dei profeti nel deserto, ma da qualche giorno a questa parte, specialmente dopo il varo dell’assurda pista ciclabile sotto il tunnel di Santa Bibiana, le lamentele cominciano a fioccare.
Ecco alcuni esempi tratti dai social network:
Nei commenti del nostro post (cliccare sulla data sotto la scritta Esquilino per leggerli) su Facebook la situazione non certo ideale per i pedoni a via Emanuele Filiberto dopo la creazione della corsia preferenziale. Aggiungiamo che è stato soppresso l’attraversamento pedonale all’altezza dell’incrocio con via Domenico Fontana
Le cose sbagliate restano, le cose giuste si sperimentano! Rimuovete subito quello schifo e disseminate le…
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October 7, 2017
La Storia come strumento di lotta politica
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In questi giorni, ho letto spesso questa obiezione, rivolta a chi cerca di riflettere in maniera approfondita sulla questione catalana
E nun scrivete saggi di Storia
Obiezione a cui è e facile rispondere: da una il Presente non nasce da sé, per improvvisa generazione spontanea, ma le sue radici nascono dal Passato e conoscerlo è necessario per comprendere ciò che ci accade accanto.
Dall’altra è che a Barcellona la Storia non è un racconto neutro, ma uno strumento di lotta e propaganda politica: gli indipendentisti, la usano come strumento per giustificare le loro azioni e conquistare l’approvazione interna ed esterna, nascondendo di questa i concreti ed egoistici interessi economici.
Tra le tante balle che sono propinate vi sono il fantomatico impero catalano, con mappe che mischiano territori che furono sotto il lasco controllo di Barcellona in tempi assai differenti, la storia che la Sicilia fosse catalanofona sotto Martino il Giovane o che l’indipendentismo fosse una costante della Storia.
In realtà, questo è un’invenzione assai recente: dalla guerra di successione spagnola al 1870, la borghesia catalana non è secessionista, ma regionalista, sostenitrice del decentramento amministrativo, secondo diverse e ampie declinazioni: si va da quella conservatrice e carlista, che sosteneva una sorta di ripristino delle autonomie medievali, e forme più moderne e liberali, ispirate al modello francese.
Regionalismo che da una parte la porta ad appoggiare il pretendente carlista nella guerra dei Matiners, dall’altra a elaborare una serie di proposte di riforme istituzionali, molto simili a quelle contenute nell’attuale costituzione spagnola, tanto contestata dagli indipendentisti.
Proposte elaborate nel 1843 dalla verdader catalá o da J.B. Guardiola, il padre nobile della proposta di riforma regionale proposta dell’Unìon Liberal del 1860, che non riguardava solo la Catalogna, ma tutta la Spagna.
Persino Joan Cortada, all’epoca considerato un pericoloso estremista, in Cataluña y los catalanes, pur considerando i “provenzali della Catalogna”, usa questo specifico termine, distinti dagli spagnoli, sosteneva come il decentramento amministrativo fosse il fondamento di una Spagna più solida e unita… Probabilmente oggi a Barcellona sarebbe considerato un traditore.
L’indipendentismo è costruito a tavolino dal 1870 al 1880, al termine di un periodo di boom economico che aveva arricchito la borghesia, sia redditiera, sia imprenditoriale e impoverito operai e agricoltori: con la crisi economica, i borghesi, temendo che la politica economica e commerciale di Madrid possa danneggiare i loro interessi, ispirati anche dal nazionalismo che andava di modo all’epoca in Europa, si inventano una finta identità nazionale, prima come strumento di pressione politica nei confronti del governo centrale, poi come utopia secessionista, basata sull’idea che il resto della Spagna sia una zavorra e un rischio per il loro benessere
Si comincia, quindi a livello di alta borghesia e circoli intellettuali, a parlare di indipendentismo nel 1879,con la pubblicazione di Diari Català: da quel momento in poi vi è una sorta di valanga, con la nascita di Centre Català, la prima associazione indipendentista nel 1882 e la pubblicazione di Lo catalanisme di Almrall del 1886, con l’affermazione del fatto che la Spagna debba essere una duplice monarchia come quella austroungarica e il rifiuto dell’identità occitanica.
E in parallelo, visto che il nazionalismo si nutre di simboli, questi sono costruiti a tavolino: la bandiera catalana risale al 1880, Els Segadors è del 1882, si comincia a parlare dell’undici settembre come giorno della patria nel 1886, la presunta danza nazionale è inventata del 1892.
Al contrario le classi popolari si orientarono verso il movimento anarchico: le due posizioni a volte hanno avuto un alleanza tattica, come in questi giorni, a volte, come ne La semana trágica del 1909, quando la classe dirigente catalana, indipendentista, per difendersi dalle rivolte operaie chiese l’intervento dello stato centrale spagnolo e del suo esercito per soffocare i moti.
La buona borghesia di Barcellona non si limitò a reclamare la repressione, ma si chiese ed ottenne da Madrid, l’innalzamento dei dazi per l’importazione, favorendo così la fiorente industria tessile e chimica levantina. In cambio la Catalogna rinunciò al potere politico, accettando il titubante stato liberale castigliano a guida della nazione.
Per cui, la strada migliore per sedare un movimento fondato sull’egoismo di classe, non è dare bastonate a destra e manca, secondo la tradizione locale, anche se Puigdemont e seguaci se le meriterebbero tutte, ma distruggere l’innaturale alleanza tra interessi differenti, con una politica riformista e di rafforzamento del welfare a difesa delle classi popolari. Cosa che però Madrid, a causa dei vincoli dell’Europa, ha difficoltà a perseguire
Alessio Brugnoli's Blog

