Alessio Brugnoli's Blog, page 146
June 19, 2018
Torna la festa di San Giovanni all’Esquilino
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Anche quest’anno, come tradizione, sabato 23 giugno, nel sagrato di San Vito, all’ombra dell’ Arco di Gallieno, si celebrerà la festa di San Giovanni: l’occasione per stare assieme, per vivere il Rione, per rinnovare le antiche tradizioni romane e guardere assieme con speranza al Futuro.
Quest’anno la festa sarà ancora più ricca di eventi e di momenti di riflessioni: di seguito il programma di massima
Programma socio-culturale
Ore 17.00 -18.00 Visita guidata alla chiesa di San Vito e all’area dell’antica Porta Esquilina – a cura dell’associazione Le danze di Piazza Vittorio
Ore 18.00 -19.00 Conferenza sulla condizione carceraria con la partecipazione di operatori e osservatori impegnati nella rieducazione con testimonianze di promotori di Semi di Libertà ONLUS dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino, e religiosi impegnati nelle carceri
ore 19.00 – 20.00 Chiesa di San Vito – Coro di Piazza Vittorio e Piccolo Coro di piazza Vittorio diretti dal maestro Giuseppe Puopolo,
ore 20.30 -23.30 Sagrato della Chiesa di San Vito – a cura dell’associazione Le danze di Piazza Vittorio che eseguirà:
Musica, canto e danze della tradizione popolare italiana e internazionale
Canzoni popolari romane
Programma sociale e commerciale
a) Stand Caritas, con presenza di operatori e materiale divulgativo in distribuzione;
b) Stand Fondazione Empam
c) Stand Ass. Noi di Esquilino, Ass. Arco di Gallieno, Ass. Genitori Di Donato con materiale divulgativo circa le attività delle rispettive associazioni.
d) Distribuzione e vendita di prodotti dell’economia carceraria
e) Altri stand promossi e tenuti da operatori ed esercenti del rione
Programma gastronomico
– Riso, patate e cozze;
– Melanzane alla parmigiana;
– Polpette con pomodoro e basilico;
– Lumache come da tradizione;
– Sanpietrini (gelato semifreddo);
– vino, acqua, birra e pane.
I piatti sono preparati da Machiavelli’s club, Radici, Salotto Caronte, Ristorante da Mario, tutte realtà gastronomiche del rione Esquilino, così come il forno del pane, ovvero Roscioli. Per il vino ci aiuterà 8forwine distributore di vino della zona. La birra verrebbe dal birrificio “Vale la Pena” prodotta dai detenuti di Rebibbia, l’acqua in bottiglia dalla COOP di Via Guicciardini.
Insomma, l’occasione per divertirsi, per riempire lo stomaco con buon cibo e arricchire lo spirito… Che volete di più ? Vincete la pigrizia e venite a divertirvi con noi
June 18, 2018
Napoli bizantina
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Belisario in seguito riuscì a sottrarre ai Goti gran parte dell’Italia e a far prigioniero il loro re Vitige. Il nuovo re dei Goti, Totila, riuscì a ribaltare la situazione conquistando molte città tra cui Napoli difesa dal dux Conone nel 543. Totila e il suo successore Teia vennero infine sconfitti dal nuovo generale Bizantino Narsete nel 553, che riconquistò tutta l’Italia, tra cui Napoli, ponendo dunque fine alla guerra Gotica dopo 18 anni. Napoli ritornò sotto il dominio bizantino.
Inizialmente, l’amministrazione locale è divisa tra lo Iudex Campaniae, la massima autorità civile, il dux, il capo della guarnigione militare e il vescovo, l’autorità religiosa. Come a Roma, in cui rapidamente il vescovo comincia a sostituire il Praefectus Urbi nella gestione della città, lo Iudex Campaniae viene esautorato dall’autorità religiosa.
Poi, per i problemi bizantini nel gestire la pressione longobarda, in entrambi i casi le guarnigioni bizantine sono sostituite da milizie locali, che tendono a nominare in maniera autonoma i loro comandanti.
La differenza tra le due città è di fatto in chi paga gli stipendi: a Roma è il vescovo, che è titolare di ricche rendite fondiarie. A Napoli, invece sono le famiglie magnatizie locali, i capitali provengono sia dall’agricoltura, vista il loro accaparramento delle terre ecclesiastiche, dovuto al loro sequestro, poi alienazioni, conseguenti alla disputa sull’iconoclastia, sia dal commercio.
Per cui, se a Roma l’amministrazione civile si fonderà progressivamente con quella ecclesiastica, a Napoli invece, sarà sostituita da quella militare, che esautorerà il vescovo e che porterà alla nascita di una signoria dinastica.
Inoltre, se il vescovo di Roma, per il primato pietrino, gode di una legittimazione politica e dell’auctoritas, i capi locali napoletani dovranno sempre, in modo o nell’altro, essere soggetti al riconoscimento imperiale di Bisanzio, in un processo di conquista dell’autonomia lungo, complesso e contraddittorio.
Così nel VII secolo il Ducato comprendeva, oltre a Napoli, la ristretta area delle zone costiere (come le vicine Amalfi e Gaeta) che i Longobardi non erano riusciti a conquistare. Si estendeva nell’area dell’attuale città metropolitana di Napoli comprendendo, oltre la città, il vesuviano, la penisola sorrentina e l’isola di Capri, l’area flegrea e le isole d’Ischia e Procida, l’afragolese, i territori di Pomigliano d’Arco, Caivano, Sant’Antimo, Giugliano (fino al Lago di Patria), il nolano, oltre a zone dell’attuale provincia di Caserta come l’aversano.
La popolazione della capitale, Napoli, oscillava in quel periodo tra i trentamila ed i trentacinquemila abitanti. Il palazzo ducale era sito nell’antico quartiere del Nilo, fra l’attuale collina di Monterone e via Spaccanapoli. Il complesso era caratterizzato da cortili, porticati e giardini. Nel contempo, la città era ricchissima di monasteri erano per lo più cenobi di origine greca (retti da monaci basiliani) che trovavano allocazione sulle alture dell’interno o sulle isole ma anche in città, come quello che sorgeva nell’antico Oppidum Lucullianum, sulla collina del Monte Echia o sull’isoletta di Megaride, sebbene
non mancassero conventi in città come il monastero greco di San Sebastiano.
Nel 616, approfittando del caos creatosi nei domini bizantini in Italia a seguito dell’assassinio dell’esarca di Ravenna Giovanni I Lemigio, il duca bizantino di Napoli Giovanni Consino, proclamò la secessione dall’impero della città partenopea. Sconfitto in battaglia mentre tentava di sbarrare il passo all’esercito esarcale che marciava su Napoli lungo la via Appia e catturato dal nuovo esarca Eleuterio, fu messo a morte e giustiziato pubblicamente. Questo episodio contribuì ad accelerare il processo di formazione del ducato, conferendo progressivamente una sempre maggiore importanza alla figura del
duca, nelle cui mani nel 638 vennero accentrati tutti i poteri militari e civili. Il duca di Napoli, nominato dall’esarca di Ravenna, rimase a questi sottoposto fino alla caduta dell’esarcato (751), dopo la quale passò alle dipendenze dello stratego di Sicilia.
Nel 661, l’imperatore Costante II (641-668), contrariamente alla regola che voleva l’esarca di Ravenna unico deputato ad insignire dignità ducale, nominò duca il cittadino napoletano Basilio (661-666), che prestava servizio nell’esercito imperiale.
Nell’ VIII secolo il duca Stefano II (755-767), nei primi anni del suo mandato, mentre l’intera provincia italica era scossa dalla rivolta contro la politica iconoclasta della dinastia isaurica, si mantenne fedele al potere centrale in contrasto con il papato. Nel 761 impedì infatti l’accesso in città al vescovo Paolo II, nominato da papa Paolo I che si opponeva alla politica iconoclasta. Nel 763 riconobbe però l’autorità papale e consentì al vescovo di entrare in città. Nello stesso anno, in aperta opposizione alle direttive della politica imperiale, batté una moneta locale con l’effigie di San Gennaro, il patrono della città, al posto di quella dell’imperatore.
Stefano, in questa tentativo autonomista, cercò di fondare una sua dinastia: associò al potere prima il figlio Gregorio nel 767, e poi,deceduto quest’ultimo, il genero Teofilatto. Il tentativo fallì quando, alla morte del fondatore che nel frattempo era divenuto vescovo di Napoli, ai suoi successori non riuscì di mantenere la dignità ducale, sia per l’opposizione dell’autorità ecclesiastiche, sia per la maggior pressione saracena.
Nel 801 divenne dux di Napoli Antimo: sotto il suo dominio, la città tornò progressivamente nell’orbita bizantina. All’inizio del suo ducato, il patrizio di Sicilia Gregorio gli chiese il suo aiuto per respingere i pirati Saraceni che minacciavano le coste dell’isola, ma il duca si rifiutò, preferendo mantenere la sua neutralità.
Nell’812, Bisanzio inviò una flotta per combattere i pirati con l’aiuto delle altre principali città tirreniche come Gaeta e Amalfi; queste ultime, anche a causa del nuovo rifiuto opposto da Napoli a partecipare alla spedizione navale, ne approfittarono per dichiarare la loro indipendenza.
Alla sua morte, nell’818, mancando un successore designato e non mettendosi d’accordo sui potenziali candidati i nobili locali, chiesero aiuto al Patrizio di Sicilia, che nominò come governatore della città il magister militum Teoctisto,. Dopo tre anni, secondo l’usanza dell’amministrazione militare bizantina, l’ufficiale Teoctisto lasciò Napoli e al suo posto fu inviato un sostituto di nome Teodoro,prontamente cacciato dalla cittadinanza che innalzò al seggio ducale Stefano, un lontano parente della precedente dinastia ducale.
Di fatto, l’aristocrazia napoletana era ormai abituata a scegliere il proprio duca e non voleva che quello che era stato un evento isolato – l’invio di un magister militum esterno designato dal patrizio diSicilia – divenisse una consuetudine. Stefano rimase al potere per undicianni, pare, fino all’832, quando fu assassinato a seguito di una congiura, che sarebbe stata ordita dal principe beneventano Sicone,che in quel momento cingeva d’assedio Napoli. Alla morte di Stefano si aprì un periodo di torbidi che, un omicidio dietro l’altro, vide susseguirsi velocemente, nell’arco di otto anni, ben quattro
duchi: Bono, Leone, Andrea, Contardo.
Al termine di questo periodo di torbidi, la milizia compì il suo pronunciamento e nominò come dux, Sergio, comes di Cuma: il quale, per prima cosa, modificò l’architettura istituzionale del ducato, rendendo ufficialmente la sua carica ereditaria. Poi intraprese una complessa politica estera, basata sul principio del balance of Power. Per prima cosa, intervenne pesantemente nella politica interna dei longobardi, appoggiando la definitiva separazionela divisione del principato beneventano in due istituzioni indipendenti, una facente capo a Salerno,l’altra a Benevento.
Sergio negli anni successivi a tale divisione, istigherà la guerra civile tra i due stati, nell’ottica del dividi et impera; intorno all’850 si alleò con la bellicosa dinastia capuana, apertamente avversa ai signori di Salerno, dando in sposa la figlia a uno dei tanti discendenti di Landone, fornendogli poi l’appoggio per conquistare Salerno nell’851, per per poi cambiare subito idea e fornire il suo aiuto ad Ademario, il principe messo in fuga da Landone, per rientrare nei suoi domini
Poi, intraprese un complesso gioco diplomatico con i saraceni: da una parte, strinse una serie di accordi politici e commerciali con Balarm e una serie di alleanze militari con gli staterelli musulmani nati nel Sud Italia, dall’altra, combatté più volte contro le loro flotte. Nell’845 o 846, infatti, vi furono attacchi di pirati saraceni alle coste campane: è saccheggiata Ponza, forse Ischia, e Miseno distrutta.Probabilmente Sergio, a capo di una flotta di Napoletani, Amalfitani e Gaetani, riesce a contenere i danni e poi a contrattaccare, scacciando i musulmani dal loro insediamento nella parte meridionale del golfo di Salerno, a punta Licosa.
Infine, mantenne rapporti stretti, seppur ambivalenti, con continui cambi di segno, con il papato; una politica complessa, piena di ambiguità, che spesso rischiò di naufragare. La crisi peggiore, che rischiò di incrinare il potere dinastico dei Sergi, avvenne nel 870, con lamorte del duca Gregorio II e la presa di potere del figlio, Sergio II. Sergio I aveva nell’849 fatto eleggere al soglio episcopale il proprio figlio Attanasio, il quale, su istigazione papale, che male vedeva l’alleanza tra napoletani e stati islamici, tentò un colpo di stato contro il nipote, il quale però non si fece trovare impreparato.
Mandò in esilio lo zio a Sorrento, presso il fratello Stefano, vescovo di tale città, arrestò e mise a morte gli altri congiurati e, come segno di sfida nei confronti di Roma, assoldò una milizia di mercenari saraceni; a rendere giustizia ad Attanasio sarebbe stato l’omonimo nipote, eletto al soglio episcopale per volontà del fratello, il duca Sergio II, nell’876. Egli avvedutosi presto delle ingiustizie subite dallo zio, uomo pio e giusto, decise di vendicarlo.
Organizzò, perciò, una congiura con gli optimates napoletani e tra l’877 e l’878 abbatté e accecò il duca, suo fratello, lo inviò prigioniero a Roma, assumendo il controllo sulla città. Il complotto fu appoggiato dal pontefice Giovanni VIII, preoccupato dell’alleanza di Sergio II con i saraceni che aveva avuto come conseguenza un intensificarsi delle scorribande di questi nei territori laziali edell’entroterra campano.
Il sostegno alla presa di potere violenta attuata da Attanasio, aveva agli occhi del papa un unico fine: un cambio di rotta nella politica estera napoletana. A riprova di ciò ci sarebbe anche la nota epistola di Anastasio Bibliotecario scritta per conto di Ludovico II all’imperatore bizantino Basilio I, in cui si criticava proprio l’alleanza tra Neapolis e Balarm
Nam infidelibus arma et alimenta et cetera subsidia tribuentes per totius imperii nostra litora eos ducunt et cum ipsis totius beati Petri Apostolorum principis territorii fines furtim depredare conantur, ita ut facta videatur Napolis Panormus vel Africa.
In realtà, i rapporti economici tra il ducato e l’emirato di Sicilia erano così stretti, che Attanasio aveva le mani legate: così nonostante le minacce di scomunica e gli insulti provenienti da Roma, non cambiò di nulla la tradizionale politica della sua dinastia. Il mutamento avvenne con la riconquista bizantina del Sud Italia e con il mutamento della politica dell’emirato kalbita, che ritenne più conveniente il commercio con gli infedeli rispetto alla Jihad.
Di conseguenza, Napoli dovette interrompere il tradizionale balletto diplomatico, trasformandosi in un fedele alleato bizantino: cosa che ne aumentò la ricchezza dovuta ai commerci e la rese un polo culturale. Nel 1027 il duca Sergio IV donò la contea di Aversa alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, che lo avevano affiancato nell’ennesima guerra contro il principato di Capua, creando così il primo insediamento normanno nell’Italia meridionale. Dalla base di Aversa, nel volgere di un secolo, i normanni furono in grado di sottomettere tutto il meridione d’Italia; nel 1077 Salerno, ultima roccaforte dei longobardi, cadde nelle mani del normanno Guiscardo mentre Napoli per ben due anni riuscì a resistere agli attacchi del principe di Capua Riccardo e del suo alleato Guiscardo.
I duchi che si successero svolsero tutti una politica antinormanna e riuscirono a rimanere indipendenti, ma dopo che nel 1130 Ruggiero II fu incoronato re a Palermo con l’appoggio dell’antipapa Anacleto II, questi ingiunse al duca di Napoli Sergio VII di riconoscerlo come suo re e il duca non poté sottrarsi dall’accettare questo vassallaggio. Subito dopo però egli si mise segretamente in contatto con la lega che si era formata contro Ruggiero e come alleato di Rainulfo d’Alife inflisse a Scafati dure perdite ai normanni nel 1132.
Anche nel 1134, quando Ruggiero giunse con una cospicua flotta per prendere la città dal mare si tentò la resistenza, ma i napoletani erano stremati, il ducato in sfacelo e non rimase che arrendersi. L’anno seguente il duca era ancora contro il re di Sicilia, ma nel 1137, infine, fu costretto a seguirlo contro Rainulfo e morì sul campo di battaglia.
I napoletani, però, non furono molto felici di perdere la loro indipendenza: con l’appoggio di papa Innocenzo II tentarono di costituirsi in una repubblica aristocratica, ma quando nel 1139 il pontefice fu vinto e imprigionato dal normanno, rimasti privi di ogni appoggio, furono costretti a consegnare la città a Ruggiero, inviandogli una ambasceria a Benevento, dove si era fermato. Il nuovo re volle mostrarsi generoso e umano con i vinti, ed il suo ingresso a Napoli fu trionfale. Egli distribuì della terra ai cavalieri e concesse agevolazioni ai nobili causando – però – un certo attrito fra i due ceti; diede il massimo incremento alle lettere e alle arti, favorì il commercio ed impose una moneta d’argento che fu chiamata «ducato» ed una di rame che fu chiamata «follaro». Assicurò alla città un’autonomia amministrativa, lasciandovi come suo rappresentante un conte palatino chiamato «compalazzo» che amministrava il demanio e la giustizia.
Così, come era a cominciata, con una conquista, terminò la storia della Napoli Bizantina
Santa Bibiana, la statua, il restauro e le sorprese
Guardando la statua di Santa Bibiana prima che venisse retaurata si può notare quello che spinse, dopo un attento esame del gruppo di restauratori guidato dalla prof.ssa M. Grazia Chilosi, a spostarla per analizzarla accuratamente ed operare un restauro che le ridonasse la posizione originale che risultava evidentemente alterata da quella che G.L.Bernini aveva pensato nel 1625. Mai e poi mai un genio perfezionista come lui avrebbe accettato che la colonna del martirio non fosse perpendicolare alla base e che la statua fosse visibilmente spostata sulla sinistra e non al centro del basamento come evidenziato nella figura 1
E la sorpresa fu enorme quando si potè constatare che la statua aveva subito diversi interventi ricostruttivi nei secoli precedenti frutto di problemi causati da spostamenti e riposizionamenti mal riusciti
Segni inconfondibili di leve e puntelli (Figura 2) oltre che vere e proprie ricostruzioni (Figura 3) effettuate in epoche diverse…
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June 17, 2018
Il senso della Festa
Come Uomini, sia vittime della consapevolezza della dimensione lineare del tempo: la freccia dell’Entropia è inesorabile, il Cosmos si muta in Caos e aumentando il contenuto informativo, la Realtà diviene sempre più incomprensibile.
Per sfuggire alla disperazione, vi abbiamo sovrapposto al tempo reale un tempo culturale, ciclico e ripetitivo.
Un tempo che rassicura, dando continuità, poiché ciò che è avvenuto prima di me, avverrà anche dopo di me, dando un senso all’esistenza, non facendoci sentire naufraghi nel Nulla, ma linee, punti e colori di un disegno più grande e illudendoci che il Tutto sia prevedibile e quindi comprensibile dalla ragione.
Tempo che trova la centralità nella Festa: questa, nel nostro io più profondo, è vista come come una generazione periodica del tempo, mediante la ripetizione simbolica della cosmogonia, dell’atto della Creazione. Con il ricordo dell’evento mitico (cosmogonia) e la ripetizione di esso, il rito rivive e recupera l’evento rifondatore, separandolo in “illo tempore”, in un passato fuori dal tempo.
Per Eliade, la ripetizione, l’ ”Eterno ritorno” è concepito come recupero di modelli, archetipi, azioni esemplari fondati da eroi o santi civilizzatori, in una valorizzazione metafisica dell’esistenza umana perché connessa a radici trascendenti, tramite cui una qualsiasi comunità va oltre il Caos, ricostruendo la sua identità culturale.
Per il nostro essere Uomini, non possiamo fare a meno della Festa: chiunque voglia privarcene, nel nostro piccolo, il burocrate ottuso che per non lavorare fa finta di perdersi un protocollo, il politicante locale da strapazzo, il benpensante con la puzza sotto al naso, può ottenere un successo temporaneo, ma alla lunga sarà condannato alla sconfitta.
Per questo, rendo onore alla festa di via Balilla, realizzata dai residenti, nonostante tutti gli ostacoli che hanno messo davanti, celebreremo sabato prossimo la festa di San Giovanni all’arco di Gallieno e abbraccio Giacomo, al quale, a sorpresa, con Le danze gli abbiamo festeggiato il compleanno…
June 16, 2018
In attesa di Via Balilla
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In attesa di andare alla Festa di via Balilla, ne approfitto per fare un poco di pubblicità per la seconda edizione della festa di San Giovanni, sperando che la burocrazia capitolina, che sotto la Raggi è riuscita nell’incredibile impresa di essere ancora più ottusa e meno efficiente del passato, si dia una svegliata e non rompa troppo l’anima.
Tra i tanti eventi del 23 giugno, alle 19, nella chiesa di San Vito, ci sarà il concerto de Il Coro di Piazza Vittorio, che eseguirà il Magnificat e il Beatus Vir di Vivaldi… Per cui, partecipate numerosi…
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Poi, concedetemi due righe sulla questione Apollo. Stamattina la consigliera comunale Cinque Stelle Eleonora Guadagno, ha pubblicato su Fb questa nota
Lunedì 25 Giugno la Commissione Cultura effettuera’ un sopralluogo con gli uffici tecnici all’ex Cinema Apollo di Via Cairoli, per valutare l’entita’ dei danni e avviare la messa in sicurezza della struttura per il bene dei cittadini.
Il cinema Apollo, architettura stile liberty , situato nel cuore dell’Esquilino, nacque nel 1918 come Teatro Margherita, per prendere poi il nome del dio greco, e diventando poi cinema a luci rosse. Oltre vent’anni fa fu acquisito dall’amministrazione Comunale, che dieci anni dopo ha promosso la realizzazione progettato il restauro per poi subire un definitivo abbandono.
La Commissione Cultura, dopo vent’anni di immobilismo di destra e sinistra, fin da subito ha rilevato l’importanza di recuperare gli spazi cinematografici chiusi, partendo dai Cinema di proprieta’ Comunale, per ripristinare la loro funzione di presidi culturali con attivita’ prevalente dedicata alla promozione dell’audiovisivo, promuovendo la creazione di una rete dei Cinema del Comune di Roma.
L’appuntamento di lunedì rappresenta un ulteriore passo per il rilancio degli spazi cinematografici.
Ringraziando Dio del fatto che si siano dati una mossa, concedetemi due considerazioni. La prima, è che per far smuovere dalla passività, anche per cose fondamentali, come la salute dei cittadini, questa amministrazione confusionaria e indolente, bisogna andare avanti a muso duro. Senza le denunce dei condomini, senza le manifestazioni a via Giolitti e gli articoli sui giornali, saremmo rimasti a carissimo amico… Questo ci deve servire da lezione, per affrontare tutti i problemi del Rione…
Per cui, chi si lamenta dell’amianto della CGIL a Piazza Vittorio, invece di pubblicare post piagnucolanti su FB o di fare polemica politica senza costrutto, cominciasse a rimboccarsi le maniche.
L’altra è che la Guadagno, che poteva anche citare le numerose battaglie a favore del recupero dell’Apollo compiute dalle tante associazioni e comitati cittadini, invece di fare propaganda elettorale di bassa lega, poteva fare meglio il compitino e studiare più a fondo la questione.
Per motivi strutturali, la famigerata platea ovale e funzionali, il suo ruolo di promozione dell’audiovisivo, qualsiasi cosa voglia significare, è di fatto coperto dall’Apollo 11 e quindi si creerebbe un inutile doppione, l’ex Apollo difficilmente potrà svolgere la funzione di cinema o di teatro, vista anche la presenza dell’Ambra Iovinelli..
Per cui, magari sarebbe il caso di dare un’occhiata, magari anche senza ricordare o ringraziare chi le ha fatte alle tante proposte fatte in questi anni, come ad esempio quella della Casa delle Arti di Strada oppure di un Museo Urbano dedicato all’Esquilino e al suo sviluppo urbano…
Ma questo si sa, significare lavorare e non farsi pubblicità…
June 15, 2018
Eid Mubarak
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L’Imam El-Ghazzali riporta un episodio della vita di Isa ibn Maryam che è stato conservato dalla tradizione.
Un giorno Isa vide un gruppetto di persone dall’aspetto infelice sedute su un muretto sul ciglio della strada.
“Che cos’è che vi affligge?”, chiese loro.
“È la paura dell’inferno che ci ha messo in questo stato”, risposero.
Egli proseguì per la sua strada e ben presto incontrò un altro gruppo di persone dall’aria sconsolata, ognuna delle quali era ripiegata nella propria tristezza. “Che cos’è che vi affligge?”, chiese loro. “È il desiderio del paradiso che ci ha resi così”, risposero.
Egli proseguì il suo cammino finché passò davanti a un terzo gruppo di persone che sembravano aver sofferto molto, ma i cui volti splendevano di gioia.
Isa chiese loro: “Qual è il motivo del vostro stato?”.
Risposero: “Lo spirito di Verità. Abbiamo visto la Realtà e questo ci ha resi dimentichi degli obiettivi inferiori”.
Allora Isa disse: “Sono queste le persone che raggiungono l’obiettivo. Nel Giorno del Giudizio, saranno loro che si troveranno in presenza di Dio”
E’ una vecchia parabola sufi che ci ricorda come, al di là di ogni formalismo, ciò che accomuna ogni Religione non è la paura di peccare, ma l’amore per il Divino; dalla sua conoscenza, nel riconoscerlo nel Mondo e nell’Uomo nasce l’Etica e la Legge e non viceversa.
Con questo spirito, festeggio con i miei tanti amici musulmani l’Eid-ul-fitr, in cui si ringrazia Dio non per avere concluso il Ramadan, ma per la partecipazione ai doni e alle grazie da Lui promesse, augurando loro Eid Mubarak
Perché come affermava Muhammad, che la pace sia con lui
Colui che digiuna avrà la gioia e la felicità in due occasioni: quando interrompe il digiuno e quando incontrerà il suo Signore il Giorno del Giudizio
June 14, 2018
Festival di San Giovanni
Nun c’imbrojjamo co le spesce. Piano.
Un conto è Ssan Giuvanni Evangelista,
un antro conto San Giuvan Batista,
e un antro San Giuvanni Laterano.
Er primo è cquello c’ha la penna in mano,
l’uscello fra le gamme e ffa la lista.
Er ziconno è la statua c’hai vista
che bbattezza er Ziggnore in ner Giordano.
Er terzo finarmente è un Zan Giuvanni
che nun ze pò ssapé cchi bbestia sia,
e nu l’ho mmai capito in quarant’anni.
Sii chi ddiavolo vò, cquesto nun preme.
Però cquer Laterano è una pazzia
c’abbi da dí ddu’-San-Giuvanni-inzieme.
E’ uno dei tanti sonetti del Belli, dedicati alla festa di San Giovanni del 23 giugno, che l’anno scorso abbiamo celebrato all’Esquilino; visto il successo e dato che in fondo, nonostante l’età, non siamo poi così savi, abbiamo deciso di ripetere l’esperienza, sempre all’Arco di Gallieno.
Festa che sarà simile alla precedente, con visite culturali, concerti, balli e lumache come se piovessero: il tutto arricchito sia da una consapevole dimensione sociale, sia, nella parte più ludica, da un’attenzione per la musica tradizionale capitolina.
E già, perché la festa non era solo l’occasione per esorcizzare la paura delle Streghe, ma anche per celebrare, dal 1891 in poi, nel Festival di San Giovanni, la canzone romana. In quell’anno infatti, ricorreva il ventennale di Roma Capitale d’Italia. Se i ricchi divertivano con balli, ricevimenti e assistendo alle corse ippiche sulla nuova pista di Tor di Quinto, i morti di fame si annoiavano a morte, costretti ad ascoltare noiosissimi comizi.
A salvarli dal tedio, fu Pietro Cristiano, libraio olandese che, ispirato da quanto accadeva a Napoli nella festa di Piedigrotta, ebbe l’idea di proporre al proprietario dell’osteria “Facciafresca”, appena fuori porta San Giovanni, di organizzare una sfida a singolare tenzone a base di stornelli tra gli i cantori e cantastorie locali. L’oste, convinto che l’iniziativa gli avrebbe permesso di vendere barili e barili di vino dei Castelli, accettò: però, ritenendo che nessuno si sarebbe divertito ad ascoltare brani triti e ritriti, decise di organizzare una gara per canzoni di nuova composizione, offrendo al vincitore, come
premio, l’astronomica, per l’epoca, cifra di cento lire.
La sera del 23 giugno, fu montato il palco, su cui furono posti un pianoforte, cinque chitarre, tre mandolini, quattro violini e una grancassa e i 14 partecipanti cominciarono a esibirsi… Non l’avessero mai fatto ! Una folla immensa, trascinata dall’entusiasmo e con le idee confuse su come funzionasse un festival, si fiondò sul palco, per ballare il salterello e accompagnare in coro i cantanti… Risultato, il tutto crollò miseramente e solo un miracolo di San Giovanni, evitò una strage.
Visto il risultato, l’oste decise di sospendere l’iniziativa, ma la mattina dopo, trovandosi davanti l’uscio una folla di romani che gridavano
“Datece le canzoni ! Datece a ‘musica der Santo”
affittò in fretta e furia il teatro di varietà Grande Orfeo, che si trovava nell’attuale via De Pretis. Nonostante il costoso biglietto, fu un successone, con la gente accampata anche davanti all’ingresso, La prima edizione fu vinta così da la canzone Le streghe, musicata da Calzelli e su testo di Ilari, che ebbe l’onore di essere cantata dal Leopoldo Fregoli, che all’epoca si esibiva con i suoi primi spettacoli di trasformismo nel Cafè-chantant “Esedra”, nella nostra Piazza della Repubblica.
Canzone il cui ritornello faceva così
M’hanno detto che le streghe
so’ vecchiacce brutte assai
me domanno come mai
nun so’ belle come te
L’anno successivo, quello che doveva essere un evento occasionale, fu ripetuto grazie all’impegno dell’editore Edoardo Perino: questi, torinese doc, si era trasferito a Roma in cerca di fortuna, ma era stato talmente plagiato dalla città, che, nell’agosto del 1887, quando il poeta Giggi Zanazzo e il professor Francesco Sabatini (Padron Checco), gli proposero di rilanciare Rugantino, un vecchio e defunto giornale in dialetto romanesco, invece di mandarli al diavolo accettò con entusiasmo, ripubblicandolo e riempendo l’Urbe di manifesti su cui c’era scritto
Trasteverini, Monticiani, Regolanti e Borghiciani, Salute e doppie! – Sonate er Campanone de Campidojo, e mmagara puro quello de S. Pietro (che intanto vanno bbene d’accordo), sparate l’artijerie de Castello, arzate le bbandiere, mettete l’apparati e accennete li lanternoni, ché Rugantino vostro è arisuscitato!
Perino, convinto che sponsorizzando il Festival di San Giovanni, avrebbe aumentato le vendite der Rugantino, tanto si diede da fare e insistette con Campidoglio, da riuscire a replicare l’iniziativa e renderlo una tradizione, a cui parteciparono pietre miliari della canzone romana come Affaccete ciumaca di Ilari-Feroci, La lumacara, Quanto sei scema di Cotogni-Persichetti, Affaccete Nunziata di Ilari-Guida, Er Barcarolo di Romolo Balzani e soprattutto Nina si voi dormite scritta da Romolo Leonardi, con musica da Amerigo Marino, che vinse l’edizione del 1901
Due piccole curiosità. La prima è che al buon Trilussa, il Festival di San Giovanni non piaceva proprio. Nel 1893, sulle colonne del Messaggero, nella rubrica “Valigia”, aveva addirittura sparato a zero contro la canzonetta romanesca, derivante dagli stornelli popolari con un sonetto che iniziava così
Méttece San Giuvanni , Faccia Fresca,
la spighetta, er garofeno coll’ajo,
er bacetto, le streghe, quarche sbajo,
e fai la canzonetta romanesca.
Ahimè, in una sorta di nemesi storica, una quarantina d’anni dopo, nel 1931, Trilussa fu “condannato” a fare parte della Commissione giudicatrice delle canzoni, assieme a Petrolini, Folgore e Nataletti.
La seconda risale sempre al 1893, fu organizzata per la prima volta la tradizionale sfilata dei carri allegorici, che sfilarono per Via Nazionale, Santa Maria Maggiore, Via Merulana e sul piazzale di San Giovanni, che continuò per parecchi anni…
June 13, 2018
La Sonata del Flauto
Sarò sciocco, ma per me l’inizio dell’estate comincia con la prima sonata in piazza de Le danze di Piazza Vittorio. Perché, appena sento suonare la prima nota e vedo accennare il primo passo di danza, mi sembra che il tempo si sia fermato. Chiudo gli occhi e mi illudo di provare le stesse sensazioni dell’ultimo giorno di scuola.
L’improvviso sapore della libertà. il piacere di godersi il tramonto, l’ebbrezza del sogno che tutto sia possibile, la gioia di rivedere dopo lunghi mesi i vecchi amici. In poche parole, tutto ciò che aiuta a sentirsi vivi.
Perché in fondo, più invecchio, più divento scemo… Oppure, do sempre più ragione a Calvino
In certi momenti mi sembrava che il mondo stesse diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun aspetto della vita. Era come se nessuno potesse sfuggire allo sguardo inesorabile della Medusa. L’unico eroe capace di tagliare la testa della Medusa è Perseo, che vola coi sandali alati, Perseo che non rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma solo sulla sua immagine riflessa nello scudo di bronzo.
Ecco che Perseo mi viene in soccorso anche in questo momento, mentre mi sentivo già catturare dalla morsa di pietra, come mi succede ogni volta che tento una rievocazione storico-autobiografica. Meglio lasciare che il mio discorso si componga con le immagini della mitologia. Per tagliare la testa di Medusa senza lasciarsi pietrificare, Perseo si sostiene su ciò che vi è di più leggero, i venti e le nuvole; e spinge il suo sguardo su ciò che può rivelarglisi solo in una visione indiretta, in un’immagine catturata da uno specchio
Perché la danza e la musica ci liberano dal peso del nostro quotidiano. Tutto le catene che ci costruiamo, i finti idoli che ci adattiamo, per pigrizia e convenienza, ad adorare, le maschere che siamo costretti a indossare, si mostrano per ciò che sono: polveri vaghe e impalpabili, tenute assieme e rese pesanti dalle nostre insicurezze e paure.
Ed è specchio di noi stessi: liberandoci di tutte queste inutili infrastruttura, riscopriamo noi stessi e la nostra natura, che troppo spesso ci atterrisce: danzando, la abbracciamo, accettandola con tutti i suoi limiti e debolezze, ricostruendo la sua armonia perduta, in cui innocenza ed esperienza si abbracciano
E affidarsi all’altro, accettando il rischio e la sfida della fiducia, affinché si possa, assieme, come diceva il buon Blake
Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora.
E per finire, un canto forse banale e che ha poco a che vedere con la musica popolare, ma che mi emoziona ogni volta che l’ascolto… Perché la leggerezza non è una via di fuga, ma una spada affilata con cui combattere Medusa, il Potere ipocrita ed egoista, che ci spinge a vedere nel debole un nemico,lusingando con parole velenose la nostra parte peggiore.
Un battaglia, per difendere il Bello e il Buono forse destinata alla sconfitta, tanti cadono, prima di Perseo, ma che, anche nel suo fallire, ci rende più umani
June 12, 2018
Stasera in piazza !
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Per il settimo anno, stasera ricomincia la stagione in piazza de Le danze di Piazza Vittorio: ogni due settimane, martedì alle 19.00 ce ne scendiamo nei giardini di Piazza Vittorio a suonare e ballare qualcosa dal vivo.
Faremo danze popolari italiane, baltrad francesi e tutto quello che la fantasia e i suonatori ci proporranno da fare.
E oggi, scherzando, ricorderemo una vecchia festa latina, i Quinquatri minori. dedicati a Minerva, in cui si celebravano la musica e la danza come strumenti una comprensione più ampia del Mondo e del Prossimo e perché, in ridere, è l’arma più sottile ed efficace contro gli abusi del Potere.
June 11, 2018
Anniversari per la Street Art Esquilina
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Oggi è un giorno particolare per la Street Art dell’Esquilino: più per caso, che per volontà, l’undici giugno si rincorrono una serie di anniversari.
Il primo è relativo l’inaugurazione del murale di Mauro Sgarbi, Diversità, Elemento di vita, di Mauro Sgarbi. Sono passati due anni e comunque la si pensi di tale progetto, ha dato il la a tante iniziative artistiche che in questo biennio, si sono svolte nel Nuovo Mercato Esquilino, rilanciando il ruolo che avuto sin dalla sua nascita: non solo un luogo in comprare vestiti o cibarie, ma una fucina di idee e provocazioni, un crogiolo in cui, con tutte le sue contraddizioni, si forgia la Roma del Futuro
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Il secondo è invece relativo all’inaugurazione del murale dedicato al buon Gaetano e al restauro delle altre opere di via Giolitti 225… Diciamola tutta, la sfida, che molti all’epoca hanno definito folle e insensata e che tante critiche, insulti e calunni ha fruttato al sottoscritto, è stata vincente. Non è detto che, in futuro, il progetto non possa continuare.
Il terzo, ahimè, è meno gioioso: è un anno esatto che la signora Giusi Campanini ha presentato la sua mozione per cancellare il murale Diversità, Elemento di Vita… Mozione che sia per gli errori grossolani compiuti nella sua stesura dalla suddetta politica, sia per la reazione popolare, è caduta nel dimenticatoio, ma che è stata frutto di una campagna d’odio verso il Bello e il Buono, per poi difendere chissà quali interessi, il cui primo passo è stato questa lettera aperta, firmata da ben quattro persone.
Cari Tutti
Quest’anno si è svolta la rassegna “All’Esquilino un incontro con l’artista….” che ha visto la partecipazione di 10 artisti che vivono e/o lavorano nel rione e che hanno aperto al pubblico le loro case e/o gli studi. Queste visite favoriscono sia i rapporti, i legami fra le persone e la conoscenza di opere d’arte dei vari artisti, che l’architettura del quartiere. L’anno prossimo è previsto il prosieguo vista la grande partecipazione da parte degli artisti (altri dieci), del pubblico e di alcune gallerie del rione.
Numerosi artisti esquilinensi hanno anche partecipato alla realizzazione del “Cantiere dei Poeti” altro progetto partecipato che si è svolto all’Esquilino a seguito di tre assemblee cittadine che ne hanno permesso la realizzazione a piazza Dante.
Altre iniziative hanno animato il nostro rione: “Esquilino il rione dei libri” promossa da due associazione “Noi di esquilino” e ” Il cielo Sopra l’Esquilino”. Progetto che ha allestito dieci Punti libro come biblioteche spontanee in vari esercizi commerciali: bar, parrucchieri, ristoranti e altro ancora, dove si possono liberamente prendere o lasciare libri, leggerli, riportarli, tenerli o passarli a qualcun altro.
Inoltre, grazie alla collaborazione nata tra la Casa dei Diritti Sociali, l’artista Mauro Sgarbi e l’amico Alessio Brugnoli è stato fatto un mural in uno dei luoghi più degradati e nascosti del rione ovvero sui muri della Scuola di Italiano della CDS in via Giolitti. Un’opera molto appropriata che ha posto in evidenza l’attività svolta dalla Scuola ormai da molti anni. Il profilo di Dante e l’emigrata africana seria e attenta che si fronteggiano in un vis-à-vis e invita al dialogo e alla conoscenza reciproca. Ha completato questo primo mural, l’opera di Beetrot con il ritratto di Trilussa e la sua celebre poesia sulla felicità.
L’elemento che accomuna tutte queste iniziative e progetti è il coinvolgimento di persone che vivono nel rione e che hanno interesse con le loro attività a dare un contributo per migliorare la situazione dell’Esquilino. Tali attività si realizzano attraverso processi partecipativi e decisionali con vari incontri con i cittadini per dibattere i temi che ci stanno a cuore e realizzare attività che mettono in risalto i talenti e l’operosità di chi vive il quartiere.
Il secondo mural ci ha invece lasciato molto perplessi. In primis bisogna ricordare che si tratta di un edificio pubblico, storico e vincolato. Realizzato, ci risulta, senza coinvolgere le varie associazioni presenti nel quartiere che si occupano di temi affini, per cui sarebbe giusto che qualcuno esibisca le autorizzazioni….non solo a parole! Visto che l’idea implicava l’uso (o abuso) di uno spazio pubblico e condiviso da migliaia di persone del rione, non era più logico organizzare un tavolo partecipato e invitare ad esempio esperti del settore, artisti del rione, intellettuali o scrittori, registi e cercare di capire come articolare la proposta…..aggiungerei creare una commissione che potesse giudicare le proposte ma soprattutto decidere tutti assieme se fosse il caso di fare un intervento su un edificio storico?? …..ma questa specie di acquario è visibile da un km di distanza!!!
Non siamo contrario assolutamente alla street art ma non deve diventare uno strumento politico o addirittura la panacea per cancellare il degrado dai quartieri!! Vanno condivisi i bozzetti (si tratta sempre di interventi in luoghi pubblici) approvati appunto da una commissione di persone esperte o del settore.
Ora, potrei ironizzare sullo zoppicante italiano di questo testo. O ricordare la poca onestà intellettuale, per essere educati, di un paio di membri di questa ehm oceanica folla di firmatari, che spacciarono le loro opinioni per quelle di un’intera associazione, senza discuterne con gli altri.
O ricordare come uno dei firmatari, che mi ha definito amico e che ha scritto lodi sperticate su La divina accoglienza di Mauro Sgarbi, quando accennai all’iniziativa in una riunione, mi aggredì verbalmente. O chiedere con quale autorità antepongono il loro personale parere di compagni di merende a quello delle centinaia di persone che sui gruppi social dell’Esquilino hanno discusso, anche con particolare animosità, dei bozzetti di Mauro…
Fossero poi autorità indiscusse nel campo dell’Arte… Se volessi infilare il dito nella piaga, potrei ricordare al più esperto di loro in ambito artistico, anche se, per la mia personale opinione, è assai più abile con la zappa che con i pennelli, che lui per esporre è costretto a mendicare una parete in una gelateria, mentre il sottoscritto è stato invitato ad Art Basel Miami, proprio con un progetto proprio sull’Esquilino.
Oppure chiedere, con un pizzico di cattiveria, del loro assordante e forse vile silenzio, per il murale della scuola Di Donato: temo che siano diventati ciechi e muti, oppure siano state vittime di un’inaspettata e alquanto perniciosa amnesia sulla questione dell’edificio pubblico, storico e vincolato.
Potrei metterli alla berlina, pubblicando nomi e cognomi, ma alcuni hanno poi cambiato idea e il loro Rasputin, che pare un Rodomonte nel commentare su Facebook, quando si è trattato di confrontarsi dal vivo con Mauro, è scappato con la coda tra le gambe, dando ragione al buon Ezra Pound, quando sostenne
Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui.
Ma sarebbe tutto inutile e forse sbagliato… Perché io e Mauro siamo loro debitori, come a Giusi Campanini. Senza le loro lagne, i loro intrighi e i loro sforzi, il murale del Nuovo Murale Esquilino sarebbe rimasto uno dei tanti… Invece con il loro impegno indefesso, lo hanno trasformato in un simbolo per la Street Art romana e della sua libertà creativa.
E il fatto che in Autunno, tanti street artist, burocrazia permettendo, trasformeranno la facciata del Mercato in un museo all’aria aperta è anche merito loro…
Alessio Brugnoli's Blog


