Alessio Brugnoli's Blog, page 110

May 10, 2019

Dieci anni dopo

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Oggi è il giorno in cui mi ritrovo un anno più vecchio e, come ogni volta, mi ritrovo sempre sorpreso da quanto persone abbiano dedicato un istante del loro tempo per farmi gli auguri.


Passeggiando, mi sono ritrovato a pensare a 10 anni fa: ero a Milano, in un locale trendy sul Naviglio Pavese, mi pare fosse il Maya, ma non ci metterei la mano sul fuoco, la memoria comincia a perdere colpi, e avevo invitato una quindicina di persone a un aperitivo dedicato alla “seconda volta che compivo diciotto anni”.


C’era la comitiva che frequentavo a Milano, Thomas e Paolo che facevano gara a fare battute sceme, Giampiero, il mio capo dell’epoca, una wikipedia umana, che filosofeggiava sui numeri primi, Massimo, ancora lontano dallo scoprire il male che ce l’ha portato via troppo presto.


Dieci anni fa la mia vita sembrava così diversa: non c’era Manu, il mio lavoro era diverso, e anche se non ho raggiunto i risultati di lavoro che speravo, certo non avrei mai immaginato di diventare un’autorità riconosciuta in un paio di campi tecnologici innovatici, con la consapevolezza, a differenza di altri, di non fare chiacchiere, ma fatti.


Erano vive persone a cui tenevo, Massimo, i miei nonni, Elena, ed alcune amicizie non si erano ancora sciolte ed altre erano lungi dal nascere. Lavoricchiavo a Il Canto Oscuro, ma non avrei pensato di riuscire a pubblicarlo.


Mi dedicavo all’Arte, curavo mostre in un paio di gallerie meneghine e scrivevo su riviste, ma tutto avrei pensato, tranne di innamorarmi della Street Art. E non avevo la più pallida idea di cosa fossero la Danza e la Musica popolare. Al massimo andare a bisbocciare al Tocqueville, al Loolapaloosa e all’Alcatraz, o a sentire concerti a Le Biciclette, a Le Scimmie o al Dazio Art Cafè… Chissà se esistono ancora, questi locali… Ero una persona diversa, forse meno ruvido, con più ideali e sogni, ma più egoista e sicuramente non avrei combattuto tante battaglie che affronto ogni giorno…


Insomma, di tempo ne è passato tanto, con le tutte le sue ferite… Ma non cambierei nulla, dei giorni che ho vissuto…

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Published on May 10, 2019 12:46

May 9, 2019

La Stoà di Via Giolitti

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Il punto di forza del progetto di street art all’Esquilino, rispetto ad altri interventi artistici, magari più velleitari, ma di certo più transitori, è nella sua capacità di ridefinire lo spazio urbano e darne un nuovo significato.


Proprio questa capacità, sotto molti aspetti dirompente e rivoluzionaria, ha reso il tutto oggetto di studi e riflessioni, a cui sono stati dedicati numerosi libri e articoli su giornali e riviste specializzati.


L’esempio concreto è nell’evoluzione che sta avendo il portico di via Giolitti 225: quattro anni fa era un non luogo, uno degli spazi che hanno la prerogativa di non essere identitari, relazionali e storici, utili solo a permettere un transito veloce, in cui le individualità si incrociano senza entrare in relazione.


I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita.


L’intervento della street art, come ben raccontato da Mauro Sgarbi, invece sta dando al portico una sua identità, totalmente inaspettata: una versione postmoderna e pop dell’antica Stoà Pecile


Questo era un portico, fatto erigere da Peisianatte, cognato di Cimone, grande rivale di Pericle e figlio di Milziade, eroe della battaglia di Maratona, tra il 475 e il 450 a.C., nella zona settentrionale dell’agorà di Atene. Il portico, costruito in poros, aveva colonne di ordine dorico all’esterno e di ordine ionico all’interno, con i capitelli ionici in marmo; si estendeva in profondità per 12 metri e 60 centimetri su una crepidine dotata di tre gradini che diventavano quattro verso ovest, per coprire il dislivello del terreno.


La peculiarità di questo portico, rispetto agli altri presenti nell’Agora, era la sua decorazione pittorica. Pausania ci racconta dell’esistenza delle seguenti pitture:



La Battaglia di Enoe, di autore ignoto, che rappresentava lo storico scontro in cui le forze argive ed ateniesi sconfissero quelle spartane. La peculiarità, sempre secondo Pausania, è che la battaglia non fosse rappresentata al suo culmine, nello scontro delle falange, bensì la preparazione
una Amazzonomachia di Micone, in cui Teseo sconfiggeva le Amazzoni di Antiope, che tentavano di mettere a ferro e fuoco Atene
Una presa di Troia, che Plutarco attribuisce a Polignoto, incentrata sul tentativo di Aiace di violentare Cassandra.
La battaglia di Maratona attribuita dalle fonti a Polignoto, a Micone o a Paneno, divisa in tre episodi: gli Ateniesi ed i Plateesi pronti ad affrontare i Persiani, i Persiani in rotta e la fuga dei nemici verso le navi.

E’ assai probabile, che questi dipinti non fossero murales, ma, almeno secondo la testimonianza del filosofo tardo antico Sinesio di Cirene, dipinti realizzati su pannelli di terracotta o di legno. Ora, la Stoà Pecile era qualcosa di più di un luogo dedicato al passeggio: era la sede di profonde discussioni filosofiche sull’Uomo e sul suo ruolo nel Cosmo, che diede il nome alla scuola filosofica stoica.


Così, il portico, secondo le intenzioni nostre e di Mauro, diventerà una sorta di anticamera, megafono e apertura al mondo della Scuola di Italiano della Casa dei Diritti Sociali, non solo luogo di formazione, ma spazio di dialogo e costruzione di identità condivise.

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Published on May 09, 2019 11:44

May 8, 2019

Servire lo Stato (Sall. Bell. Cat. 3)

Studia Humanitatis - παιδεία


di F. PIAZZI, A. GIORDANO RAMPIONI, Multa per aequora.  Letteratura, antologia e autori della lingua latina. 1 – Dall’età arcaica all’età di Cesare, Bologna 2004, pp. 353-354.





Fare politica attiva è il miglior modo di servire lo Stato. Ma anche scrivere le gesta altrui può dare fama. Sallustio ricorda che si dedicò alla politica attiva ancora giovanissimo, ma in quel mondo corrotto anche lui fu facile preda dell’ambizione.





3. Sed[1] in magna copia rerum[2] aliud alii natura iter ostendit. pulchrum est bene facere rei publicae, etiam bene dicere haud absurdum est[3]; vel pace vel bello clarum fieri licet; et qui fecere et qui facta aliorum scripsere[4], multi[5] [2] ac mihi quidem, tametsi haudquaquam par gloria sequitur scriptorem et auctorem rerum, tamen in primis arduom videtur res gestas scribere[6]: primum quod facta dictis exaequanda sunt; dehinc quia plerique…


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Published on May 08, 2019 03:15

May 7, 2019

VaporosaMente & Italcon

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Anche quest’anno, per biechi problemi lavorativi, purtroppo essendo pagato, almeno in teoria, per costruire il Futuro, ho sempre meno tempo per raccontarlo, cosa che sotto certi aspetti è la mia condanna, ho dovuto dare buca sia a Vaporosamente, sia all’Italcon. Un vero peccato, perché avrei tanto voluto rivedere e salutare tanti amici…


Per cui, per fare il punto su come è andata, lascio al parola al buon Roberto Cera


La decima edizione di VaporosaMente è terminata e, dopo due giorni di vapore, è giunto il momento del tanto atteso post di ringaziamenti. Prima di procedere vorrei solo fare un breve resoconto a bocce ferme di queste giornate.


Grazie alle case editrici Delos ed Elara abbiamo avuto la possibilità e l’onore di ospitare la quarantacinquesima edizione dell’Italcon, il più importante convegno legato al mondo della letteratura fantascientifica in Italia. Al termine della prima giornata, come d’abitudine, è stato consegnato il Premio Italia nelle diverse categorie in concorso. Non starò ad elencare i vincitori (che troverete a giorni sul sito ufficiale) nè ad esprimere giudizi o preferenze anche se personalmente sono assolutamente soddisfatto delle scelte fatte dal pubblico. Il pubblico dell’Italcon, infatti, è il vero protagonista della manifestazione sia durante l’evento che, soprattutto, per ciò che concerne le candidature e le votazioni. Nel complesso posso dire di essere contento di aver visto tanti nuovi volti interessati alla letteratura di genere e volenterosi di partecipare alla manifestazione anche se, purtroppo, parliamo ancora di piccoli numeri. La letteratura fantascientifica sembra infatti ancora appannaggio di una piccola elite che, strenuamente, continua a lottare per ciò in cui crede in un’isola circondata da un mare di libri. Questa lotta spesso prende la forma di un vero e proprio Jihad, termine che rappresenta una doppia lotta per la propria “fede”: una esterna, come tristemente è noto e, soprattutto, una interna, ben più importante. Lo so, sembrerò polemico e, guistamente, è ridicolo che l’ultimo arrivato si permetta di esporsi così e di fare certi commenti ma, in fondo, a volte può servire una voce fuori dal coro che si prenda certe beghe. Finchè non si supererà questo scoglio, spesso fatto da personalismi sterili e da fraintendimenti, sarà difficile creare un “movimento” (passatemi il termine) che possa diffondere il piacere di esplorare nuovi mondi tra le pagine dei classici e dei nuovi autori. Con questa piccola disamina non intendo naturalmente accusare nessuno degli ospiti incontrati anche perchè nei miei confronti si sono dimostrati assolutamente squisiti, volevo piuttosto lanciare una pietra in un lago che appare piatto ma che nasconde qualcosa sotto la superficie.


Ora smetto di mettere il naso nelle cose più grandi di me e passo ai ringraziamenti veri e propri. In primo luogo vorrei ringraziare la Torino Mini Maker Faire e la fantastica Federica Vargiu per la pazienza e la disponibilità che ogni anno dimostra nei nostri confronti. Un ringraziamento speciale e assolutamente dovuto è da fare ad Armando Corridore di Elara e a Silvio Sosio di Delos, vere menti di questa edizione, capaci di creare un panel fantastico e interessantissimo dal primo all’ultimo intervento. Grazie naturalmente agli editori Solfanelli, Della Vigna, Acheron, all’Associazione Italiana Sword& Sorcery e a tutti gli espositori presenti. Il ringraziamento più grande però va agli autori che hanno arricchito queste giornate (non li nominerò uno per uno solo per non dimenticarne nessuno ma potete leggerli nei programmi delle due giornate) presentando storie, libri, esperienze davvero speciali.


Un ultimo ringraziamento che mi sento di fare è a Giuseppe Lippi. A differenza di molti dei presenti io non l’ho conosciuto di persona ma solo tramite mail e non ho aneddoti particolari. Probabilmente senza il suo lavoro non saremmo arrivati a questo punto e la scena del fantastico in Italia sarebbe molto più povera.

Grazie a tutti.


«L’esistenza è un affar pieno di senza,

Di rinunce, d’affanno e d’astinenza,

Ma io dico al lettor che ha sapienza

Quest’adagio ripeti: Pazienza e Fantascienza.»

(Giuseppe Lippi)


Non posso che sottoscrivere in pieno quanto detto da Roberto: il problema della narrativa fantastica italiana non è la diversità di opinioni, questa anzi è una ricchezza. Il problema è che, invece di confrontarsi, per apprendere qualcosa dall’altro, ci si scontra, con toni da stadio, per difendere idee, preconcetti e posizioni che, viste da fuori, appaiono ben misera cosa. Se impiegassimo tutto il tempo e le energie impiegate per impelagarsi un queste dispute da cortile per collaborare assieme, magari riuscemmo a farci conoscere di più dai lettori…


Detto questo, che lascia il tempo che trova, perché conoscendo i miei polli, continueranno all’infinito a scannarsi su quanti angeli danzino sull’indice della mano, ringrazio ancora Roberto, Armando e Silvio per quanto fatto e spero che la collaborazione di quest’anno tra Vaporosamente e Italcon sia la prima di una lunga serie

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Published on May 07, 2019 05:22

May 6, 2019

Street Art, leggi e regolamenti

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Come è tradizione, appena all’Esquilino si realizza un intervento di street art, c’è una ridotta minoranza di artisti e intellettuali, o presunti tali, che si inalbera. Questo perchè o considerano una qualsiasi intervento per rendere più umano e vivibile il nostro Rione come un atto di lesa maestà, oppure perché vedono invaso quello che nella loro mente, è il loro privato territorio tribale.


Anche stavolta, non hanno perso l’occasione di tacere: così hanno ritirato fuori il loro solito cavallo di battaglia, la mancanza di autorizzazioni e permessi, che renderebbe il tutto illegali. Ahimé, come spesso avviene a Piazza Vittorio, chi meno sa, più strepita, mi tocca fare loro un piccolo ripasso sulle regole attuali relative alla street art.


Prima cosa, dipingere un muro, anche senza permesso, non costituisce reato, come affermato da qualche pittore esquilino: il 5 aprile 2016 la Corte di Cassazione, esaminando il caso Manu Invisibile, street artist sardo che nel giugno 2011 era stato accusato di reato di imbrattamento ex art. 639 del codice penale, per aver realizzato in un sottopassaggio della ferrovia a Milano Lambrate una rappresentazione dei Navigli di notte, ha rigettato il ricorso della Procura di Milano sulla sua assoluzione.


Quindi, posso dipingere dove mi pare e piace ? Assolutamente no, perché, se sono eliminate le sanzioni penali, rimangono sempre quelle amministrative. Per cui, sempre secondo gli ultimi orientamenti della giurisprudenza, servono, per realizzare in santa pace un murale:



Il permesso del proprietario del muro, sia questo un privato o un ente pubblico. In particolare nel caso di condomini, il permesso può essere fornito o tramite delibera dell’assemblea o tramita dichiarazione dell’amministratore. Nel caso di muri di proprietà pubblica, vige la regola del silenzio assenso: se io faccio una richiesta all’ente preposto e questo non mi risponde entro novanta giorni, de facto sono autorizzato a dipingere.
L’eventuale permesso di un eventuale ufficio delegato ad autorizzare la street art. Purtroppo, a Roma, benché se ne parli almeno dal 2014, non esiste nessun regolamento sul tema, per cui tale permesso non può essere considerato vincolante, visto che nessuno ha la delega per concederlo o negarlo.
 Nel caso di edifici vincolati, l’autorizzazione della Sovraintendenza, cosa buona e giusta, per impedire che qualcuno prenda strane iniziative sul Colosseo o San Pietro.

Ora, nel caso specifico, per via Giolitti 225, il ballatoio non è soggetto a nessun vincolo storico e architettonico e vi l’autorizzazione da parte dell’amministratore di condominio, per cui i precedenti requisiti sono soddisfatti. Lo stesso, date le modifiche alla facciata dell’ex caserma Sani, che hanno fatto decadere il vincolo, vale per il Nuovo Mercato Esquilino, in cui vi è il permesso sia del Co.Ri.Me, sia del dipartimento commercio, a cui fa rifermento l’edificio.


Per fare un ulteriore esempio: se io volessi realizzare un murale a Via Cappellini, dovrei scrivere al I Municipio: se non avessi un motivato rifiuto entro i 90 giorni, potrei legalmente dipingere senza alcun problema.

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Published on May 06, 2019 11:57

May 5, 2019

L’ospedale dell’Annunziata





Come accennato la scorsa settimana, la chiesa dell’Annunziata è in realtà una parte di un complesso più ampio, comprendente l’omonimo ospedale, nato dalla fusione e ristrutturazione di una serie di edifici precedente, intrapresa a inizio Quattrocento, che si è articolata in tre fasi successive: la prima, con la porta dell’horologio datata 1415 e la trifora soprastante in gotico fiorito; la seconda, con la porta della Cappella e la bifora dai caratteri rinascimentali, realizzata tra il 1451 e il 1470-1; il terzo settore con la porta della spezieria e l’ultima bifora portato a termine tra il 1512 e il 1522


Il terremoto del 1706 e i rifacimenti dell’Ottocento sino all’ultimo del 1968, hanno profondamente modificato la parte interna dell’edificio, lasciando inalterata la facciata: Svariate furono le destinazioni che l’edificio ebbe nel corso dei secoli. La zona posteriore del palazzo fu adibita a Ospedale Civile sino al 1960, mentre la parte antistante fu destinata a sede della magistratura cittadina, di uffici comunali, del giudice conciliatore, di una scuola pubblica e, per ultimo, del Museo Civico. Oggi, una parte del complesso è destinata ad Auditorium da 250 posti per l’attività della Camerata Musicale Sulmonese.


La facciata del palazzo, per la sua lunga genesi, mostra una sovrapposizione di stili. Il portale ogivale (l’antica Porta dell’Orologio) è di stile gotico (1415 circa) con un arco dove è collocata la statua di san Michele Arcangelo. Le coppie di colonne terminano in due piccoli rosoni rilevati e una Madonna con Bambino di scuola napoletana è posta nella lunetta. Molto bella è la finestra trifora quattrocentesca, con ornamenti di colonnine tortili che insistono su figure leonine e una scultura raffiguranti le Virtù. Lo stemma della città sormonta la finestra assieme al simbolo dell’arme della famiglia di Antonuccio di Rainaldo, importante finanziatore dell’edificio, così come documentato dall’iscrizione ivi posizionata.


La parte centrale del prospetto è di chiara derivazione rinascimentale, con il suo portale sormontato da un timpano (sul quale è visibile un altorilievo raffigurante una Madonna con Bambino e quattro angeli oranti) che conduce alla Cappella del Corpo di Cristo. Al di sopra vi è una bifora con due angeli che reggono uno stemma con la sigla A.M.G.P. (Pio Ente della Casa Santa dell’Annunziata). Questa porzione della facciata risale alla seconda metà del XV secolo.


La parte laterale del prospetto, la cui costruzione fu eseguita tra il 1519 ed il 1522, presenta una bifora che sovrasta il portale dell’antica spezieria, senza timpano con decorazioni anch’esse di impronta rinascimentale che raffigurano, in bassorilievo, l’Angelo e la Vergine.


Su tutta la facciata vi è una cornice del tutto particolare, decorata con putti, araldi, animali fantastici e figure sacre e profane percorse da volute formate da un motivo a tralcio di vite. Sulla facciata alloggiano sette statue che rappresentano, nell’ordine, da sinistra a destra: san Gregorio Magno, san Bonaventura, sant’Agostino, san Girolamo, san Panfilo, il patrono di Sulmona, san Pietro e san Paolo.


Un piccolo campanile a vela, edificato da maestranze pescolane in seguito a una ristrutturazione posteriore al sisma del 1706 e che va a sormontare l’orologio, completa la complessa struttura prospettica.

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Published on May 05, 2019 06:32

The 94 Emperors of Byzantium and their Intriguing Tales

The Byzantium Blogger


Posted by Powee Celdran 



Glory to God who has thought me worthy to finish this work. Solomon, I have outdone you.” -Emperor Justinian I (527-565)



cDNOSmb



Hello again and welcome to another article by The Byzantium Blogger! Here is another article on the Byzantine Empire and this time about the long history of the Eastern Roman emperors from 324-1453, from Constantine I to Constantine XI and all their bizarre and inspiring stories. This article’s main source is the book, “A Cabinet of Byzantine Curiosities” by Anthony Kaldellis (2017), but of course the real source of all these stories are from various Byzantine historians from the era of their empire. The Eastern Roman Empire or Byzantine Empire lasted for 11 centuries and had a total of 94 emperors, 23 of them died violent deaths, 31 were dethroned and replaced by another regime but 8 of the dethroned emperors…


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Published on May 05, 2019 04:53

May 4, 2019

La chiesa della Maddalena

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Uno dei luoghi tanto affascinanti, quanto poco conosciuti della Palermo arabo-normanna è la chiesa della Maddalena: questo, perché, trovandosi dentro al Comando legione Carabinieri della Sicilia, la caserma Carlo Alberto dalla Chiese, dove è il memoriale dedicato al generale ucciso dalla Mafia, è visitabile di straforo solo la domenica a mezzogiorno, quando è aperta per celebrare messa.


Chiesa, quella della Maddalena, che ha una lunga storia: nel 1130, Elvira di Castiglia, prima moglie di Ruggero II di Sicilia, fece erigere una cappella dedicata a tale santa, in modo che fungesse da mausoleo per la famiglia reale degli Altavilla.


Da quanto capiamo dalle cronache dell’epoca, la cappella era contigua al lato sud della primitiva cattedrale, fatta costruire dal vescovo Vittore nel 592, e approssimativamente opposta alla cappella dell’Incoronazione, probabilmente riutilizzava una porzione della moschea araba e si trovava circa opposta alla nostra cappella dell’Incoronazione.


Recenti ipotesi identificano il sito con quello oggi occupato dalla sacrestia dei canonici. Nel 1140 il luogo di culto godeva di privilegi e concessioni.


Nel 1187, la cappella venne fatta demolire, con autorizzazione di Re Guglielmo II, dal famigerato e misterioso Arcivescovo Gualtiero Offamilio, che voleva ampliare la costruzione del nuovo Duomo.


La Cattedrale di Palermo, infatti, aveva subito negli anni precendenti parecchi danni. Nel 1167 Margherita di Navarra, vedova di Guglielmo I di Sicilia, nomina vescovo il cugino Stefano di Perche, cancelliere del regno di Sicilia, il quale cominciò a rubare a destra e manca, tanto che nel 1168, a Palermo vi una rivolta cittadina contro le sue angherie, che colminò nell’incendio della Cattedrale. In più, la chiesa fu flagellata nel 1169 da un terremoto, che fece crollare il campanile e parte della facciata.


Così, Gualtiero decise di impegnarsi nella sua ristrutturazione generale, che colpì anche il mausoleo reale: ora, nella mente dell’arcivescovo vi era l’idea di costruire, nella nuova cattedrale, di una cappella dedicata alle tombe dei suoi re; al contempo però, in attesa del termine dei lavori, vi era il problema di dove custodirle.


Per risolverlo, Gualtiero decise di costruire una nuovo edificio, sempre dedicato alla Maddalena, situato nella zona fortificata ad occidente della città, ricordata dagli storici col nome di “Galka”, da al-Halqah ovvero il ” recinto ”, un’antica cittadella fortificata difesa da una poderosa muraglia, in cui si trovava il ”kasr ”, la prima residenza degli emiri arabi. Per risparmiare tempo e denaro, fu forse riutilzzato il materiale ottenuto dalla demolizione del mausoleo.


Terminata la costruzione della chiesa della Maddalena, così vi furono trasferiti temporaneamente le tombe dei principi normanni, nell’attesa che finissero i lavori della Cattedrale dove avrebbero trovato definitiva collocazione. Vi furono così sepolti Guglielmo I di Sicilia già sepolto nella chiesa ipogea di Santa Maria delle Grazie della Cappella Palatina, la moglie Margherita di Navarra e i loro figli, Ruggero IV duca di Puglia, Roberto principe di Capua, Enrico principe di Capua, lo stesso Guglielmo II di Sicilia.


Conclusa la ristrutturazione della Cattedrale, una parte delle tombe fu trasferita nella nuova cappella funeraria degli Altavilla, un’altra invece, fu trasferita nel Duomo di Monreale. Nella chiesa della Maddalena rimasero solo i sepolcri di Elvira di Castiglia e di quattro figli di Ruggero II. Di tutti questi traslochi, la nostra chiesa non ebbe particolari danni, tanto che divenne suffraganea e unita alla Real Cappella Palatina, godendo di un beneficio di “Jus patronato Regio”, officiata da un sacerdote “beneficiale” appartenente al capitolo della stessa cappella.


Nel 1382 la chiesa divenne sede di una confraternita, sempre dedicata alla Maddalena, e successivamente fu concessa ad alcuni nobili con atto registrato da notar Alojsio De Meo in data 9 novembre 1400.

Nel 1608 passa ai Padri della osservanza di San Francesco, che la ottennero per istanza al viceré Don Fernando Paceco Marchese de Villena (atto di registrazione del 5 luglio 1608 stipulato per atti del notaio Antonio Fiumefreddo).


Nel 1609, i francescani iniziarono la costruzione del loro convento, a destra di Porta Nuova, con la facciata rivolta a occidente, e ammodernarono la chiesa, facendo realizzare il portale d’ingresso di gusto rinascimentale, la parte superiore del campanile e delle pregevoli acquasantiere.


Nel 1647, avvennero però i cosiddetti moti palermitani, assai meno noti di quelli di Masaniello a Napoli: la parte più povera della popolazione, capeggiata dal mugnaio Nino La Pilosa, insorse nel gennaio di quell’anno a causa della carestia. Il vicerè spagnolo, il marchese di Los Velez,temendo il peggio, decise di accettare le richieste dei ribelli, abolendo “perpetuamente” le gabelle fiscali della farina, del vino, dell’olio, delle carni e del formaggio. In più sciolse il senato di Palermo, espressione della nobiltà locale, e e nominò 4 governatori, invitando nel contempo i consoli delle maestranze artigiane, i capi delle associazioni di categorie e dei sindacati dell’epoca, ad eleggere 2 giurati di loro gradimento. In cambio le maestranze contribuirono alla cattura del capo della rivolta, che fu fatto a pezzi con tenaglie arroventate.


Le corporazioni artigiane di Palermo, che rappresentavano il settore privilegiato del ceto popolare, se da un lato covavano motivi di risentimento nei confronti dei nobili, dall’altro ottenevano commesse di lavoro proprio dagli aristocratici, ed inoltre essi temevano il dominio della plebe. Los Velez, in cambio dell’aiuto da esse ricevuto, affidò alle maestranze l’incarico di tenere l’ordine pubblico nella città e il console dei ramai fu nominato capo della polizia. L’atteggiamento del vicerè, favorevole alle maestranze, gli tolse l’appoggio dei nobili, che fecero una sorta di Aventino, abbandonando in massa la città e organizzando una serie di congiure contro il viceré, il quale non trovò soluzione migliore di mandare tutti al diavolo e tornarsene a Madrid.


Con la partenza del vicerè, le corporazioni rimasero da sole a reggere la situazione e, poichè l’abolizione delle gabelle alimentari aveva lasciato la città priva di risorse , fecero il tentativo di imporre tasse che gravassero sui ricchi: tributi sui balconi e le finestre, sulle carrozze, sul vino, sulla carne, sul tabacco.


Il loro capo era Alesi, un orefice che tentava in ogni modo di evitare che Palermo cadesse nel caso, tanto da fare comminare la pena di morte a chi si desse al saccheggio. In più, assieme all’inquisitore Trasmiera convinse il vicerè latitante a tornare a Palermo e a dare maggiore autonomia alla città e maggiore potere alle corporazioni artigiane.


Il ritorno del vicerè segnò il declino della fortuna di Alesi: le classi privilegiate reclamavano il pagamento degli interessi sui prestiti allo stato e volevano vendicarsi delle corporazioni, che appoggiavano Alesi. Si servirono, a tal fine, dei pescatori, che scatenarono un moto in cui Alesi fu catturato ed ucciso.


Il vicerè fu, però, costretto a mantenere le riforme concordate con Alesi: ammissione dei rappresentanti popolari nei consigli municipali, coltivazione a grano dei latifondi incolti, riduzione dei dazi. Esse, però, rimasero solo promesse sulla carta a ricordo di una rivoluzione finita nel nulla.


Nel settembre del ’47 la situazione ritornò alla normalità e nel novembre, in seguito alla morte del Los Velez, fu nominato vicerè il cardinale Trivulzio, un uomo di polso fermo. Per fronteggiare la penuria di cibo fu ordinato, pena la morte, a chi vivesse a Palermo da meno di 10 anni, di lasciare la città; i lavoratori agricoli furono autorizzati a lavorare nei campi anche nei giorni festivi, finchè si fossero ricostituite le riserve alimentari; fu ordinato di dichiarare tutte le riserve di grano esistenti e a chi avesse scoperto depositi nascosti ne fu promessa la metà; fu restaurato l’ordine con la consegna di tutte le armi e fu instaurato un rigoroso coprifuoco.


In più, per evitare che ai palermitani tornassero grilli per la testa, cardinale decise di ampliare il quartiere militare di San Giacomo, dove era l’acquartieramento dei soldati spagnoli, fatto erigere, assieme a un ospedale, nel 1622 dal viceré di Sicilia Emanuele Filiberto di Savoia : fu così costruito un nuovo bastione, che causò la demolizione del convento dei francescani, i quali furono trasferiti, quasi a forza, nel complesso dei Santi Cosma e Damiano (risalente al 1576) affacciato sull’attuale Piazza dei Beati Paoli.


La chiese della Maddalena si salvò a malapena e assieme alla chiesa di San Giacomo della Mazzara, funse da luogo di culto per i soldati. Verso la metà del Settecento la chiesa venne manomessa pesantemente con la modifica e la trasformazione di elementi interni. Furono modificate le colonne delle navi, le absidi laterali furono trasformate in cappelle, le arcate da archiacute diventarono a pieno centro, creando una profonda alterazione di tutto il suo carattere interno in una insignificante veste settecentesca, camuffandone l’architettura al punto che diventava difficile riconoscere in essa l’originale struttura normanna.


A fine Settecento, però, con la scusa di ampliare i dormitori per i soldati, i generali borbonici proposero la sua demolizione: ma re Ferdinando I, che con la Rivoluzione Francese alle porte pensava a ben altro, non firmò mai il relativo ordine.


In compenso, la chiesa della Maddalena cadde progressivamente in abbandono, tanto che nel 1860, quasi prossima al crollo, fu sottratta al culto. Nel 1887 la caserma di S. Giacomo assieme alla Chiesa, passò per acquisto dal demanio all’amministrazione provinciale, e tre anni dopo il vecchio monumento rischiò nuovamente di scomparire, allorché la provincia determinò di abbatterlo per potere ampliare il cortile della caserma. I lavori erano già stati appaltati, era stato iniziato l’abbattimento dei corpi ad essa addossati, ma grazie alla Commissione Conservatrice dei Monumenti, che dovette sostenere una lotta assai dura, si evitò che il prezioso cimelio scomparisse, e nel 1891, con decreto regio, sanzionato il 14 di luglio la chiesa diventava monumento nazionale.


Per evitarne il definitivo crollo, fu chiamato al suo capezzale Giuseppe Patricolo, l’Eugène Viollet-le-Duc siciliano, colui che, con molta fantasia, inventò lo stile arabo-normanno così come lo percepiamo nel nostro immaginario


Patricolo, però, a differenza del suo omologo francese, perché è il primo ed in molti casi l’unico ad aver lasciato testimonianza, in maniera quasi maniacale, delle ricerche svolte attraverso l’analisi dei ritrovamenti effettuati nel corso dei lavori che dirigeva. E questo ci ha aiutato, nel corso degli anni, a capire la natura reale di tale architettura.


Dal 1948 la storica chiesa, che per la sua semplicità suscita un senso di mistico raccoglimento, è adibita a tempio votivo per i Carabinieri caduti in guerra o nell’adempimento del proprio dovere. Detto questo, cosa ammirare nella Maddalena ?


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La straordinaria concezione dello spazio: la chiesa, pur essendo di piccole dimensioni dà l’impressione di un’ampiezza e di una profondità interna più grande di quella reale, e alla maggiore irreale lunghezza si accoppia poi una leggerezza e uno slancio degli elementi portanti.


L’impianto della cappella è di tipo basilicale a pianta longitudinale, composto da tre navate corte, separate da due file di colonne cui la centrale predomina sulle laterali e da tre absidi rivolte ad oriente, (secondo la ritualità bizantina) di cui la maggiore nettamente rilevata all’esterno è incorniciata da due piccole colonne inserite nei tipici rincassi angolari.


L’intersezione del transetto con la navata di centro genera un impianto a base quadrata che grazie a triangoli sferici e raccordi angolari mediava il passaggio dal quadrato alla circonferenza d’imposta della caratteristica cupola emisferica rossa, (elemento architettonico ricorrente nelle chiese dell’epoca) ora non più esistente, sostituita da una copertura piana. Le navate laterali oggi coperte da tetti lignei, in origine avevano volte a botte.


La luce all’interno è data da una doppia serie di finestre a sesto acuto, l’inferiore delle quali e disposta in fila di tre, nei muri dei prospetti laterali , tre nel muro del prospetto principale e una per ogni abside mentre quella superiore e costituita da quattro finestre per i muri laterali della navata maggiore e da una al centro del muro di prospetto.


Il prospetto principale, alterato rispetto alla sua forma originaria, presenta sul fianco destro la torre campanaria che originariamente doveva concludersi con la classica cupoletta rossa. Il portale rinascimentale, oggi ingresso alla Chiesa, sostituisce il portale originale che doveva essere costituito da un robusto portone ligneo incorniciato da rincassi concentrici a sesto acuto.


Nella chiesa vi si conservano alcune opere d’arte, una magnifica statua marmorea di S. Maria Maddalena della scuola dei Gagini, un antica pittura su tavola che raffigura la resurrezione di Lazzaro e conservato in una delle cappelle, nell’anti sacrestia si trova una antica tavola dipinta con fondo dorato, raffigurante Maria Vergine con ai lati due Angeli alati e nel pavimento vi sono diverse lastre tomba.


Vi è poi il calco della Virgo Fidelis, Patrona della Benemerita, e dal Sacrario dei Caduti dell’Arma. Qui è conservato il “tomo”, un libro in pergamena in cui sono elencati i nomi di tutti gli esponenti siciliani dell’Istituzione, caduti in guerra o nell’adempimento del proprio dovere dal 1860 ai giorni nostri.

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Published on May 04, 2019 13:14

May 3, 2019

Come nasce un murale (Parte II)









Il secondo giorno di lavoro al murale è volato via veloce e tranquillo, con qualche risata quando un turista ha scambiato il ritratto di Gaetano per quello di Stalin. Ora va bene che ho un cugino che ha fondato un suo personale partito comunista e che per una serie di complicate vicende, mi sono ritrovato proprietario di una presunta medaglia dell’Ordine di Lenin, però insomma dedicare al Piccolo Padre un murale a via Giolitti, mi pare un poco fuori luogo…


Per cui preso atto che il nuovo ritratto di Gaetano sembra piacere agli abitanti dell’Esquilino più di quello vecchio, affronto temi concreti.


Bilanci


Come sapete, sin dall’inizio abbiamo improntato il progetto Street Art all’Esquilino nell’ottica di massima trasparenza, rendendo pubblici bozzetti, permessi e conti economici. Per cui, anche questa volta, vi tocca subire una breve sbrodolata di numeri


Se ricordate, con il crowdfunding lanciato su facebook all’indomani del danneggiamento del primo murale, abbiamo raccolto 560 euro, al netto della quota trattenuta dal social media.


Di questi:



200 euro sono andati per rifare il muro (intonaco e pagamento muratore).
I rimanenti 360 sono impiegati per comprare i materiali per decorare le serrande della Casa dei Diritti Sociali, per realizzare il nuovo murale e per provvedere alla decorazione delle colonne del portico.

Attività future


A breve, finire la decorazione delle colonne del portico, ahimé interrotta perché il Brico di via Porta Maggiore aveva terminato le scorte di colore…  A giugno, in occasione della festa di San Giovanni, organizzeremo un bell’evento per fare il punto dei progetti di Street Art nel Rione e a medio termine, completare il recupero dell’intero ballatoio.


Stato Ballatoio


E qui giungono le dolenti note: a neppure un mese dal completamento dei lavori, ci sono già le perdite d’acqua che incominciano a danneggiare il soffitto. A mio avviso, un paio d’anni e ristiamo da capo a dodici. Insomma, capisco tutto, ma fare un lavoro di questo tipo, senza che nessuno sia andato a verificare quanto realizzato, oltre che sprecare i soldi pubblici, è prendere in giro tutti i cittadini di via Giolitti !


Detto questo, è il momento dei ringraziamenti a tutti gli abitanti del Rione, che, con il loro impegno, ci hanno permesso di ottenere questo risultato… Ma mi sembra giusto, lasciare la parola al buon Mauro Sgarbi


“Gaetano” è finalmente tornato al suo posto, più potente di prima alla facciaccia brutta di chi ti/ci vuole male!


Un mio amico, un fratello che mi vuole bene e che vorrebbe il meglio per me ma che con il mondo dell’arte nulla ha a che fare, un giorno mi disse: “ma perché non prendi una bella parete di un palazzo e ci fai il ritratto di Gerry Scotti? Finiresti subito sui giornali e in TV, interviste e via dicendo. Ma che aspetti?”


A me questa cosa fa sorridere e capisco che viene dal suo cuore, perché mi vuole bene.

Io però proprio non ci riuscirei, sarebbe come ferire la parte” morbida” che ho dentro. Certo, l’arte va pagata e va pagata anche bene, quanti ce ne sono che si approfittano degli artisti e fanno altrettanto schifo. Ma mai potrei fare qualcosa che non condivida o che faccia parte delle mie corde esclusivamente per denaro!


Gaetano è persona di cuore, 40 anni sulla strada e lo conoscono tutti! Ne ha viste di cose e conosciuto persone, io a Gaetano gli voglio bene! ❤


Grazie ad Andrea Piras e Alessio Brugnoli  quali non avrei potuto fare questo e grazie a tutti quelli che hanno contribuito con quello che potevano!

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Published on May 03, 2019 12:46

May 2, 2019

Come nasce un murale (Parte I)







E’ sempre una gioia, vedere nascere un nuovo murale a via Giolitti: perché è un compimento di una lungo cammino, smesso contrastato. Mi ricordo ancora quando lancia l’idea la prima volta, anni fa, in una riunione di uno dei tanti comitati che tendono a nascere come funghi e morire altrettanto rapidamente, qui all’Esquilino.


Uno dei, ehm, grandi artisti locali cominciò a urlare, a strabuzzare gli occhi, a battersi il petto come un gorilla in gabbia


“Non capisci nulla, l’Esquilino è ottocentesco, la street art non c’entra nulla, è un pugno in un occhio”.


Ben peggio mi accadde, quando, dopo che la Casa dei diritti sociale mi chiese di dargli una mano, nell’ormai lontano 2015, in occasione di Esquilindo, per realizzarlo nel concreto, questo benedetto murale.


Dopo avere contattato e avuto la disponibilitò Mauro, grazie alla nostra cara amica Togaci, parlai della cosa in un’altra riunione: non l’avessi mai fatto… Mai collezionati tanti insulti tutti in una volta!


Nonostante questo, le illazioni sul fatto che avessimo preso soldi in quantità industriali non si sa bene da chi o i tanti dispetti, tutti coloro che hanno creduto e collaborato a questo progetto non si sono mai arresi.


E alla fine, i fatti ci hanno dato ragione: i murales sono finiti in film, in video musicali, in programmi televisivi. Hanno dedicato loro articoli e capitoli di libri. E soprattutto sono amati e riconosciuti come un simbolo del nostro Rione, con i suoi pregi, difetti e contraddizioni, sempre in bilico tra trionfo e disfatta, capace di subire i peggiori colpi, ma sempre capace di rialzarsi.


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Mentre si scartavetra la parete, si dipinge o si spettegola, ogni tanto qualcuno si ferma a guardare il tutto: chi dona con entusiasmo due euro, che vengono accettati, per paura di offenderlo, chi scatta foto, chi fa i complimenti e chi chiede di Gaetano. Tutti, in modo differente, dal barbone al grande vip, ci mostrano il loro affetto ed entusiasmo.


Tra i tanti, fatemelo dire, Paolo Baroni… Insomma, dati i miei mediocri gusti cinematografici e la mia dabbenaggine, è già stato un successo che non l’abbia chiamato Marchesino Pucci… In compenso, abbiamo tutti quanti scoperto e apprezzato un vero signore






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Published on May 02, 2019 12:25

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Alessio Brugnoli
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