Francesca Matteoni's Blog, page 6
May 3, 2020
Sciamani siberiani
Quest'estate volevo finalmente viaggiare in Russia, verso la Siberia. Come meta mi ero prefitta l'Altai su cui tornerò, ma una delle speranze è anche muovermi più a nord e a est, verso le regioni e i popoli principali della cultura sciamanica, repressa durante il regime stalinista e riemersa in seguito, grazie anche a festival, iniziative e a una certa fascinazione tutta occidentale per lo sciamanesimo quale pratica di guarigione. Lo sciamano in realtà è un mediatore, spesso un mediatore fra persone diverse, ovvero appartenenti a popoli, categorie e specie diverse, siano essi umani, animali, elementi, rocce, vegetali, spiriti. Ingraziarsi, bandire, portare pace, chiedere perdono, cercare alleati - in una conoscenza animistica del mondo.
Quando a gennaio cercavo informazioni per una mappa ideale di viaggio, mi sono imbattuta in questo video sugli sciamani degli Altai, che è ancora fra i miei preferiti: What the shamans are silent about . L'aria piovosa, il fiume Katun, e l'Altai come la porta leggendaria verso il divino. "Il fiume Katun è santo per me, quando lo vedo mi sento come se vedessi Dio, qualcosa di sacro". Dice uno degli abitanti. E lo sciamano spiega che non si può dire cosa sia uno sciamano se prima non si dice cosa è l'anima. Ciò su cui gli sciamani tacciono è forse questo infine, l'anima non trascendente della terra.
Poi c'è questa perla. Un breve film documentario girato dall'antropologo Andrei Golovnev presso il fiume Pegtymel e la regione dei Chukchi, che si trova oltre il Circolo Polare Artico. Sono illustrate le tradizioni, il rapporto con la natura e l'uso dell'amanita muscaria per ottenere visioni, testimoniato dalle molte pitture rupestri che rappresentano il fungo come una persona di piccole dimensioni, riconoscibile grazie a tratti antropomorfi e al cappello.
Ne parla sul suo sito in un articolo Giorgio Samorini:
https://samorini.it/archeologia/asia/uomini-fungo-asia/pegtymel/
Qui sotto il film e il link al sito dove si trova:
https://www.cultureunplugged.com/documentary/watch-online/festival/play/2443/Pegtymel
View this movie at cultureunplugged.com
Published on May 03, 2020 12:40
May 1, 2020
Danza delle gru (un sogno)
Sogno di mari, scogliere, approdi artici. Dopo un viaggio rocambolesco mi ritrovo su uno stretto litorale di scoglio e spiaggia, con alle spalle alte montagne. Il mare cresce fra gli scogli ed è impensabile tornare indietro attraverso i monti. Sugli scogli arrivano a posarsi stormi vari. Sono in trappola insieme ad altri compagni, ma non sono preoccupata. Il paesaggio davanti a me è un estremo dell'Artico europeo durante l'inverno. Si posa accanto a noi uno stormo di gru. Sono cinque e molto grandi. A seconda della luce sembrano persone. Danzano, liberando le luci polari che illuminano la via d'uscita. Vediamo una strada nel bosco, che scende dietro di noi verso la valle e il ritorno.
La danza gioiosa delle gru è legata al labirinto di Cnosso secondo Plutarco, che la chiama geranos: viene eseguita a Delo dai sette ragazzi e dalle sette ragazze liberati da Teseo, ripetendo i movimenti sinuosi del filo di Arianna. Nel sogno le gru-persona indicano il sentiero, sottile come un filo e lo fanno muovendosi armonicamente, all'unisono. Da loro nasce un luogo.
Le gru danzano poi a Kullaberg, ne Il Viaggio Meraviglioso di Nils Holgersson di Selma Lagerlöf per un evento speciale che raduna ogni anno tutti gli animali. Per l'occasione si stabilisce una tregua e tutti sospendono la caccia. Penso infine alle migrazioni, a quella terra di Scizia, nell'Asia continentale da cui secondo Aristotele le gru viaggiavano verso le paludi del Nilo. Labirinto, luce nel cielo, danza di persone che sono sia gru che antenati umani. Una mappa onirica che affonda in simboli personali e in miti antichi.
La danza mi ha anche riportato alla mente altri due esempi, molto distanti: le danze dei dervisci , che ruotano fino a raggiungere la trance, senza cadere e così toccando il divino oltre loro stessi; e i cinque movimenti della serie THE OA, dove servono appunto cinque danzatori. Grazie ai cinque movimenti è possibile trascendere letteralmente: lasciare questa dimensione e questo corpo, per viaggiare in altre, recuperando tutte le possibili versioni di noi stessi nel tempo. L'Angelo Originale (the OA, appunto), porta questa rivelazione mentre viaggia accompagnata sia da fratelli amici che dal fratello-ombra, il suo persecutore.

Chissà come questo sogno si relaziona alla pandemia e ai miei molti altri sogni di mare che si alza verso di noi, di inverno che scompare o di animali che portano segni profondamente umani in loro. Sono davvero nel labirinto o questo si disegna piuttosto nei miei gesti? Scendendo per il crinale, fra le grandi conifere, la neve dai rami fa un ponte. Tutto è calmo al risveglio.
Published on May 01, 2020 08:42
April 29, 2020
Nella mezzaluce della pioggia (ancora)

"Ogni elemento della natura ci insegna che se una cosa muore è per fare spazio a un'altra", scrive Henry David Thoreau nel diario del 24 ottobre 1837. Torno al mio posto nel bosco, il paese non resta mai troppo lontano. Piove appena. Camminare quando è appena piovuto e il cielo è basso, grigio, quasi disfatto intorno, è forse la passeggiata che preferisco. Primavera e autunno si toccano in questa pioggia. Procedo lungo la Bure lasciandomi dietro le case, supero la quercia ancora esile, ma in fiore, che abbiamo piantato a settembre scorso, salgo sul ponte di legno restaurato e sono di là. Un di là che è ancora molto "di qua": l'attività umana è ben presente. C'è il campo delle api, con tutte le casette, c'è, poco oltre, il bozzo di Bengasi dove fare il bagno - o almeno un tuffo. Mi fermo solo pochi istanti a salutare. E continuo fra le capanne di attrezzi, i burali, cioè gli orti, in questa mescolanza abitata, fra selvatico e coltivato.

La radura si apre sulla destra. C'è un vecchio metato in abbandono, che ho fotografato molte altre volte: guardo dal mio solito rifugio, seduta su una pietra accanto alle mura. L'erba è alta. Penso a certi miti amazzonici per cui sono gli alberi a tenere su il cielo, impedendogli di cadere. Eppure la pioggia lo disfa in un'intimità. L'ho scritto, lo ripeto per provare a dirlo con efficacia. Giriamo sempre intorno al solito punto, in un avvicinamento fra la mente e il mondo. Quando vengo qui, la solitudine è buona ed è come entrare in uno dei miei sogni migliori. Il rumore dell'acqua è ovunque. La Bure che non mi abbandona. Penso al gatto che ho perduto due anni fa, al suo corpo sepolto nell'orto, al suo spirito ovunque. Non si tratta più solo di amore e del dolore connesso. Penso allo sguardo dell'animale. Così misterioso, pacifico, selvaggio. A volte mi sembra di vedere come lui. E tutti i luoghi sono uno. Si radunano nel prato tutti i posti che ho chiamato casa.

Ancora Thoreau, 19 marzo 1842: "Quando cammino nei campi di Concord, e rifletto sul destino della stirpe anglosassone, e sulle energie inesauribili di questo nuovo Paese a volte dimentico che quella che adesso è Concord un tempo era Musketaquid, e che la stirpe americana ha avuto lo stesso destino. Dappertutto, nei prati, nei campi di mais e di grano, la terra è disseminata di resti di una stirpe del tutto scomparsa, come se fosse stata calpestata su quella stessa terra. Trovo utile ricordare l'eternità che mi precede quanto quella che mi seguirà. Dovunque vada, ripercorro le tracce degli indiani. Raccolgo da terra un dardo che hanno lasciato cadere ai miei piedi, e, se penso al mio destino, mi ritrovo sul loro stesso percorso, calpesto quel che fu il loro focolare e dalle sue braci estraggo gli strumenti, semplici ma indistruttibili, per la capanna e la caccia. Ogni volta che pianto il mio granturco nello stesso solco che così a lungo fornì loro un raccolto, non faccio che cancellare parte del loro ricordo".
Qui non abbiamo un genocidio così prossimo e ancora in atto, come quello dei nativi sul suolo americano. Non trovo antiche frecce sulla mia via. Incontro resti d'altro tipo, di vite dismesse, anche se ancora presenti, come il metato stesso, come la traccia circolare del falò impressa nel terreno al centro della radura, ma anche come, se mi metto in ascolto, la presenza di tempi inconoscibili, che hanno fatto quest'erba, l'hanno conosciuta diversa, che hanno visto creature fragili e incostanti avvicendarsi. I luoghi ricordano. Indossano la loro memoria. Decifrarli senza reperti tangibili è una sfida che si pone all'occhio e all'udito. All'immaginazione. Come sarò ricordata nei luoghi? Come arriverò a chi camminerà o striscerà o forse, se ci sarà acqua nuoterà, dove ora io siedo?
"Chi tratta i suoi pensieri come materia, e sa costruire opere che deliziaranno le generazioni future, è lui a possedere l'energia vitale più grande e rara (6 maggio 1858)".

A questo vagare da ferma, ma nel bosco, si accompagna la rilettura recente de I salici di Algernon Henry Blackwood, scrittore inglese del primo novecento, esoterista e membro della Golden Dawn. La trama, narrata in prima persona, racconta di due amici in viaggio sul fiume Danubio, che si fermano a campeggiare su un'isola mentre l'acqua monta e diviene impraticabile. L'isola è abitata dai salici.
"La sensazione d'inquietudine che emanava quest'isola, ricoperta da un milione di salici, colpita dal vento forte, e circondata da acque profonde, colpì entrambi, credo. Non battuta dall'uomo, quasi sconosciuta all'uomo, quasi sconosciuta all'uomo, era distesa sotto la luna, lontano dall'influenza umana, sul confine di un altro mondo, un mondo alieno, un mondo dominato dai salici e dalle anime dei salici".
Qualcosa di ostile alla presenza umana si muove nell'isola e non può essere placato, ma nemmeno ridotto alla forza degli elementi o di divinità più o meno antropomorfiche. Gli esseri, la trama degli esseri, che mostrano la loro intelligenza viva senza mai rivelarsi, è del tutto sovrannaturale.
Dirà l'amico svedese del narratore:
"Tutta la mia vita," disse, "sono stato pienamente cosciente di un'altra regione - in un certo senso non del tutto separata dal nostro mondo, ma comunque del tutto diversa - dove accadono incessantemente cose grandi, dove entrano in attività forze immense e spaventose, impegnate in compiti enormi se paragonati alle piccolezze terrene; la nascita e la caduta delle nazioni, le sorti degli imperi, il destino degli eserciti e dei continenti: è tutta polvere in confronto. Per compiti enormi intendo l'avere a che fare direttamente con l'anima, e non indirettamente con più espressioni dell'anima..."
"Tu pensi," disse, "che si tratti dello spirito degli elementi, e io pensavo che forse potessero essere gli dei. Ma ora ti dico che non è nessuna delle due. Queste sarebbero entità comprensibili, perché hanno relazioni con gli uomini, che sia per venerazione o per i sacrifici, mentre questi esseri che sono con noi ora non hanno assolutamente nulla a che fare con la specie umana, ed è una pura casualità che il loro spazio venga in contatto con il nostro in questo posto".
Senza alcun desiderio di sperimentare il terrore, è quel segreto non addomesticabile, quanto non può essere pronunciato perché non ha nome nelle lingue conosciute, che permane nei margini, nello spazio che all'improvviso può coglierci di sorpresa a causa del suo vuoto o dell'altro - un insieme di fantasmi e resti tangibili, che formano lo strato resistente sotto ogni paesaggio. Penso sia lì che per un po', prima di raggiungerci, si annidano le storie. Devono fare paura, all'inizio. Devono mantenere la loro memoria imprendibile, anche quando dette, per vivere.
Mi alzo e lascio il metato alle spalle. Vado verso verso il paese. Le cose mi guardano, distrattamente.
Doomsquad, When the Dead Become Infants
Le citazioni provengono da:
Henry David Thoreau, Io cammino da solo. Journal 1837-1861. Traduzione di Mauro Maraschi, Piano B Edizioni
Algernon Henry Blackwood, I salici. Traduzione di Francesca Cavallucci, ABE Editore
Published on April 29, 2020 07:41
April 22, 2020
Coyote nel Buio, Ricordare i Coyote

(Per la Giornata della Terra ho tradotto questa poesia sul segreto, sugli animali che non sono animali, sulle persone che sono le loro storie di animali, sul pantano dove si raccolgono bacche e si torna a credere al mondo. A me ha fatto bene, mi sono sentita a casa).
La più buia delle cose
mi venne incontro nel buio.
Era solo una faccia
e un apparecchio di denti
che non conteneva parole,
sebbene sentissi un alito salato
sospirare nella mia direzione.
Una volta, in un autunno da tempo trascorso,
ero inginocchiata
nel pantano dei mirtilli rossi
e udii, in quel posto solitario,
due voci che scendevano la collina,
e mi eccitò
la concessione di questo segreto,
ovvero che i coyote, mentre camminano insieme
parlano fra di loro,
perché, pensai, cos'altro poteva mai essere?
E sebbene ciò che poi emerse
furono due giovani donne, di sicuro su due gambe
e completamente all'oscuro della mia presenza,
le loro lingue svelte di giovani donne
che raccontavano e rispondevano,
e sebbene sapessi
di aver creduto qualcosa di non vero, probabilmente,
fu comunque meraviglioso crederlo.
Sembravano calme e felici,
quelle due fanciulle del selvatico
da cui abbiamo -
chissà fino a che punto furioso e patetico -
bandito noi stessi.
Mary Oliver
COYOTE IN THE DARK, COYOTES REREMBERED
The darkest thing
met me in the dark.
It was only a face
and a brace of teeth
that held no words,
though I felt a salty breath
sighing in my direction.
Once, in an autumn that is long gone,
I was down on my knees
in the cranberry bog
and heard, in that lonely place,
two voices coming down the hill,
and I was thrilled
to be granted this secret,
that the coyotes, walking together
can talk together,
for I thought, what else could it be?
And even though what emerged
were two young women, two-legged for sure
and not at all aware of me,
their nimble, young women tongues
telling and answering,
and though I knew
I have believed something probably not true,
yet it was wonderful
to have believed it.
And it has stayed with me
as a present once given is forever given.
Easy and happy they sounded,
those two maidens of the wilderness
from which we have—
who knows to what furious, pitiful extent—
banished ourselves.
Mary Oliver

Published on April 22, 2020 04:35
April 21, 2020
Pandemic Playlist (3)
Mad Season, Wake Up
Nick Cave & the Bad Seeds, Let Love In
Low, Cut
Screaming Trees, Nearly Lost You
Bill Callahan, All Thoughts Are Prey to Some Beasts
Patti Smith, Dancing Barefoot
David Bowie, Lazarus
Smashing Pumpkins, Crestfallen
Rolling Stones, Wild Horses
Published on April 21, 2020 06:30
April 20, 2020
Giorno di pioggia: luoghi dal tempo sognato

La pioggia mi riporta sempre a una dimensione intima, dove ciò che di solito sta nascosto può fluire tranquillo, senza paura. Dovrebbe esserci una stagione apposita per lei, la stagione della pioggia, che si ripete attraverso i mesi e fa il cielo vicino. Scatto la solita fotografia dalla finestra, verso la chiesa di San Silvestro e là dietro la Bure che si addentra nella boscaglia.
Penso ai sogni della notte prima e a quelli di molte altre notti, dove mi trovo in luoghi di fatto totalmente estranei nella veglia, ma familiari nel sogno, che ripetono nomi a me cari - Appennino, Maremma, regioni dell'Artico europeo, scogliere britanniche o irlandesi. Continuando a rientrare in questi sogni è come se fossi uno di quegli spiriti di cui Yeats scrive in Una Visione, che non riescono ancora a staccarsi dalle cose terrene e sognano indietro.
Nel SOGNARE INDIETRO lo spirito è costretto a rivivere di continuo gli eventi che più lo avevano commosso; non può esserci niente di nuovo, ma i vecchi eventi spiccano in una luce che è fioca o vivida secondo l'intensità della passione che li aveva accompagnati.
Ai miei sogni si accompagnano parole precise:
protezione
disarmo
sorellanza
nord
spirito
animale
luogo
perché nei sogni tornano animali che sono persone, che erano qualcosa d'altro nella vita giornaliera e di solito mi conducono o si trovano in luoghi impervi che dovrebbero spaventarmi, come scogliere ripide sul mare e solo una striscia piana fra le rocce su cui tenermi in equilibrio, ma invece mi proteggono: arriva sempre una madre o una sorella a mostrarmene un lato sconosciuto. Quelle scogliere, quei monti mi disarmano e solo così io posso appartenere a loro oltre i sogni e la veglia. Il cinghiale mi viene incontro, ma non mi aggredisce. Le gru che danzano sono persone di luce. Il mio caro vecchio lupo malmesso mi annusa con timore. I gatti mi osservano, mai troppo distanti, su quel confine che unisce i mondi.
Nei sogni io ho memoria. Mi ricordo dei segreti, della lingua inventata con cui comunichiamo davvero con tutte le persone piccole dentro di noi: la nostra infanzia, il futuro, le creature nascoste negli anfratti, fra i libri, nelle soffitte o nei vecchi cantieri, nel nord o nei deserti color carminio. Persone della nostra immaginazione che provocano inquietudine solo all'inizio - poi stupore, familiarità. Sei piccola, mi dicono. Come i popoli che spariscono. Come quei lapponi di cui hai scritto nelle poesie, trasformando un popolo reale nel vagheggiamento di una bambina di sette anni e poi restituendoli all'Artico. Sei disarmata. E chi è disarmato ha un potere che la maggioranza non vede: accetta di stare nell'ombra. Sa che il più grande dei pericoli è ignorare che il disarmo è una condizione globale. Chi si disarma diviene custode del tempo sognato e quel tempo è un luogo, il buon luogo dell'utopia. Il luogo dove ci si mette in ascolto delle migrazioni degli alberi attraverso le radici, gli smottamenti del terreno, le avventure aeree dei rami. Il luogo dove le strade si svuotano e le mura proiettano fantasmi. Penso a questo tempo-luogo che tiene le mie poesie quando funzionano come incantesimi non per mutare il mondo, ma per vederlo. Impararne le mappe.

Penso che mi mancano i luoghi in questa pandemia, più che le persone. Mi manca anche solo pensare di poter viaggiare liberamente verso nord, di andare nel Dartmoor, di recarmi a Torri nel mio Appennino Pistoiese e far visita a quei faggi che so io, o di perdermi un'altra volta ancora nei colli marchigiani o di camminare sul litorale maremmano. Mi manca non fare nulla per pomeriggi domenicali, a giro per Londra, in una certa libreria di Kentish Town o seduta con la musica nelle orecchie presso il Cafè di Brockwell Park. Mi manca perfino il sudicio dell'Arno sotto il ponte di Santa Trinita. Ma nessuno di questi luoghi mi manca quando sogno e tornano uno. E, per strano che sembri, non mi mancano nemmeno quando vado a trovare il torrente della Bure e parliamo, qua dove abito. Lei mi consola e mi sembra sempre che sappia di tutti i miei posti.
Forse quando la pandemia finirà andrò a nord e a est. Dove volevo viaggiare quest'estate, nel verde dell'Altai. Sognerò ancora più forte e camminerò più lenta.
Published on April 20, 2020 05:25
April 18, 2020
Dopo aver letto Lucrezio, vado al lago
La viscida rana verde
che è andata incontro alla morte
nella gola rosa dell'airone
era il mio fratello piccolo,
e l'airone
con i pennacchi bianchi
come una corona in testa
che ora si lava il lungo becco-spada
nel lago luccicante
è il mio fratello alto e magro.
Il mio cuore si veste di nero
e danza.
Mary Oliver
AFTER READING LUCRETIUS, I GO TO THE POND
The slippery green frog
that went to his death
in the heron's pink throat
was my small brother
and the heron
with the white plumes
like a crown on his head
who is washing now his great sword-beak
in the shining pond/ is my tall thin brother.
My heart dresses in black
and dances.
Mary Oliver
che è andata incontro alla morte
nella gola rosa dell'airone
era il mio fratello piccolo,
e l'airone
con i pennacchi bianchi
come una corona in testa
che ora si lava il lungo becco-spada
nel lago luccicante
è il mio fratello alto e magro.
Il mio cuore si veste di nero
e danza.
Mary Oliver
AFTER READING LUCRETIUS, I GO TO THE POND
The slippery green frog
that went to his death
in the heron's pink throat
was my small brother
and the heron
with the white plumes
like a crown on his head
who is washing now his great sword-beak
in the shining pond/ is my tall thin brother.
My heart dresses in black
and dances.
Mary Oliver
Published on April 18, 2020 06:58
April 17, 2020
Playlist dalla pandemia (2)
Lisa Gerrard, Sanvean (I am your shadow)
Sufjan Stevens, No Shade in the Shadow of the Cross
Micah P. Hinson, Beneath the Rose
Bob Dylan, A Hard Rain's A-Gonna Fall
The Velvet Underground, Stephanie Says
Beach House, Used to Be
Nico, These Days
Bjork, Vökuró
Radiohead, How to Disappear Completely
Sufjan Stevens, No Shade in the Shadow of the Cross
Micah P. Hinson, Beneath the Rose
Bob Dylan, A Hard Rain's A-Gonna Fall
The Velvet Underground, Stephanie Says
Beach House, Used to Be
Nico, These Days
Bjork, Vökuró
Radiohead, How to Disappear Completely
Published on April 17, 2020 13:05
April 10, 2020
Sogni dal Bosco

Molti dei miei sogni si ritrovano in un luogo simile, un sentiero che conduce in un bosco appenninico. Il sentiero della fotografia si trova sopra la Bure di Santomoro, il mio paese collinare. Il sentiero del sogno più spesso parte dal paese montano di Torri, da dove proviene la mia famiglia paterna.
Nei sogni i luoghi conservano i nomi, ma mutano nell'aspetto. Mi ritrovo a scendere per la strada che porta al Casone di Torri, ma invece che finire nel bel borgo di case in pietra, dopo la fonte, mi addentro nella boscaglia, nel verde dell'erba alta e nel silenzio. Vado a trovare coloro che abitano nel borgo dimenticato. Il borgo si trova all'interno di una radura - ci sono pochi casolari vecchi, di pietra grezza, come le case che sono state restaurate dalla comunità degli elfi sulla nostra montagna pistoiese. Le abitazioni sono abbandonate per buona parte dell'anno. D'estate a volte alcune famiglie vengono fin quassù e ci sono file di panni stesi da orto a orto, porte aperte, odore di cibi.

Questa volta è diverso. E' il sogno della notte del 10 aprile 2020, luna piena incastrata fra le colline. La vedo dalla finestra prima di chiudere le serrande.
Nel sogno ricevo fotografie dalle mie sorelle che si trovano nel bosco con un gruppo di amiche che non conosco. Alcune di loro indossano mascherine, siamo in piena pandemia, ma loro sono al sicuro, lassù. Nelle foto non ci sono alberi alti e intrico di abetaie o le nostre castagnete e faggete - boscaglia, piuttosto, con ampi spazi d'erba e arbusti. Il cielo non è mai del tutto chiaro. Anche io sono a Torri, è un'ora imprecisata del tardo pomeriggio. Sono in uno spiazzo circolare e sterrato - da una parte si sale a Pontevecchio, casa mia, dall'altra si procede per una stradina di ghiaino che sale breve e ripida verso il nostro posto speciale. Ma non è il Prataccio. Dal bosco spuntano le mie sorelle con le amiche delle fotografie, però soltanto le mie sorelle acquistano tridimensionalità, le altre restano mute e fragili, evanescenti. Saliamo. Il cielo imbrunisce, si alza un vento strano, in cima c'è uno scoglio di roccia, ormai completamente sommerso dall'acqua. Un corvo vola rasentando l'onda montante e scompare.
"L'acqua è salita di almeno un metro per via del riscaldamento globale!", dico alle mie sorelle. Ma questo non è il mare. Se ci affacciamo vediamo una valle sommersa. Case. Relitti di borghi. Alla nostra destra, sul fianco della montagna, le mura azzurre di un casolare cadente. Avvertiamo un pericolo antico. Scendiamo e ritorniamo dentro il bosco. Camminando arriviamo presso un grande cortile di pietra, con tavoli apparecchiati in modo elegante. Sedie di ferro. Ci servono colazione a base di insalate, pesce di mari del nord, uova.
Published on April 10, 2020 13:06
April 9, 2020
Sàivu su Fango Radio
Sàivu
è il mio nuovo programma radiofonico, da martedì 7 su Fango Radio. E' una bella avventura che inizia con un "survival kit", che coinvolge scrittori, autori, amici dal mondo dei libri fino a giugno. A settembre la trasmissione avrà un formato più complesso su cui sto ancora lavorando.
Questa la descrizione:
Sàivu. L’altro mondo è appena cominciato.
"Survival-kit: voci e letture da ovunque per accorciare la distanza durante la crisi. Ogni quindici giorni alle 21.30, a partire da martedì 7 aprile.
A cura di Francesca Matteoni
Nella tradizione nomade dei sàmi Sàivu è il mondo nascosto degli spiriti, un mondo di mistero e abbondanza, di antenati, memoria, animali guida e sogni. Ogni quindici giorni tracceremo il sentiero per quel luogo attraverso musica, letture, discussioni intorno al folklore, al dimenticato, all’onirico e all’immaginazione. Nel nostro sàivu ogni voce è persona. Ogni persona è strana e familiare".
La prima puntata è stata interamente gestita da me, ho letto La ballata del Vecchio Marinaio di S.T. Coleridge nella traduzione di Ceni (Feltrinelli), integralmente, intervallata da musiche e canzoni di mia scelta. Qui si trovano tutte le informazioni e il podcast:
www.fangoradio.com/shows/saivu/#la-ballata-del-vecchio-marinaio
Questa la descrizione:
Sàivu. L’altro mondo è appena cominciato.
"Survival-kit: voci e letture da ovunque per accorciare la distanza durante la crisi. Ogni quindici giorni alle 21.30, a partire da martedì 7 aprile.
A cura di Francesca Matteoni
Nella tradizione nomade dei sàmi Sàivu è il mondo nascosto degli spiriti, un mondo di mistero e abbondanza, di antenati, memoria, animali guida e sogni. Ogni quindici giorni tracceremo il sentiero per quel luogo attraverso musica, letture, discussioni intorno al folklore, al dimenticato, all’onirico e all’immaginazione. Nel nostro sàivu ogni voce è persona. Ogni persona è strana e familiare".

La prima puntata è stata interamente gestita da me, ho letto La ballata del Vecchio Marinaio di S.T. Coleridge nella traduzione di Ceni (Feltrinelli), integralmente, intervallata da musiche e canzoni di mia scelta. Qui si trovano tutte le informazioni e il podcast:
www.fangoradio.com/shows/saivu/#la-ballata-del-vecchio-marinaio
Published on April 09, 2020 01:52