Adele Vieri Castellano's Blog, page 9
February 4, 2013
In occasione dell'uscita di "Roma 42 d.C. Cuore Nemi...
In occasione dell'uscita di "Roma 42 d.C. Cuore Nemico" ho incontrato la piu' terribile delle Bibliotecarie Romantiche: Lady Mortifera! Mi sono sottoposta al fuoco di fila delle sue domande ed ecco il risultato, un’intervista irresistibile che vi svela alcuni retroscena del romanzo. Buona Lettura!
Incontro Adele nel suo salotto. Fuori la nebbia incombe, velo grigio e opprimente, le guglie del Duomo sono quasi invisibili dalla sua finestra ma noi ci consoliamo con una calda tazza di tè, tra pile di libri, biscottini delicati e un gattoche ronfa acciambellato sopra al suo cuscino preferito. Stacco il cellulare che continua a squillare importuno e mi preparo a tartassarla…
LADY MORTIFERA: Cara Adele, ci ritroviamo dunque. Sono passati alcuni mesi dalla pubblicazione del tuo romanzo di esordio, Roma 40 d.C. Destino d'amore e devo dire che ha riscosso un grande successo. Del resto noi della Mia Biblioteca Romantica non avevamo dubbi: Marco Quinto Rufo è un personaggio che ha conquistato il cuore di molte lettrici. Sono contenta per te ma mi sono accorta che nell’intervista dello scorso anno sono stata troppo buona…ADELE V. CASTELLANO: Anche tu ne hai fatta di strada, Lady. So che hai letto molti libri interessanti…
LADY MORTIFERA: Ebbene sì e a causa di certe ciofeche sono ancora sotto terapia. Spero di potermi riprendere al più presto ma d’altronde il panorama editoriale italiano lascia ben poche speranze. Ma veniamo a noi. Il tuo ultimo libro, in uscita il 31 di gennaio e pubblicato dalla Leggereditore, si intitola “Roma 42 d.C. Cuore Nemico”. Se non sbaglio è la storia di Quinto Decio Aquilato, amico fraterno di Marco Quinto Rufo. Secondo te il batavo biondo riuscirà a eguagliare il successo di questo guerriero romano, entrato di prepotenza nei nostri cuori?
ADELE V. CASTELLANO: Me lo auguro. Sono due uomini legati da un’amicizia fraterna ma molto diversi tra loro. Nel primo libro abbiamo conosciuto Rufo, Aquilato era solo la sua “spalla”. Qui le parti si invertono e scopriremo chi è veramente questo batavo al servizio di Roma. Era giusto così: la caratterizzazione dei personaggi maschili e femminili deve cambiare profondamente da un libro all’altro.
LADY MORTIFERA: Bla, bla, bla... Adele, non farmi ridere: Aquilato a me è parso il solito belloccio tutto muscoli-niente-cervello e, ti dirò, fin troppo bello per essere vero. Vuoi forse farmi credere che dietro a quel suo aspetto schianta-cuori c’è dell’altro? Guarda, te lo chiedo perché il libro non l’ho ancora letto e questa intervista la faccio per fare un favore alla Francy…
ADELE V. CASTELLANO: Cara Lady, sei davvero una simpaticona… comunque ti devo smentire: Aquilato non è solo bello e nel libro ve ne accorgerete. Non solo guerra e gladio ma anche altro, molto altro. LADY MORTIFERA: A molte lettrici pareva scontata la storia d’amore tra lui e Giulia che nelle ultime pagine del primo libro vivono un’esperienza drammatica e, per certi versi, singolare in un romance. Ma per fortuna, dico io, hai cambiato rotta. Ormai abbiamo capito che non sarà la tanto amata/odiata Giulia la donna che farà battere il cuore al nostro Aquilato. Si chiama Ishold, se non sbaglio. Ci puoi parlare di lei?
ADELE V. CASTELLANO: Posso solo dirti che Ishold è un personaggio che ho amato molto, una donna intelligente e caparbia ben diversa sia da Livia…
LADY MORTIFERA: Ah, quella mollacciona di Livia! Le avrei spaccato la testa mille volte. Grazie Castellano, una protagonista con un po’ di caratterino mi mancava proprio!
ADELE V. CASTELLANO: … dicevo, diversa sia da Livia che da Giulia. Ishold ha testa, cuore e ci sorprenderà, piacevolmente spero.
LADY MORTIFERA: ...e allora Castellano facciamolo questo paragone tra le due donne, Giulia e Ishold.ADELE V. CASTELLANO: Innanzi tutto Ishold non è una donna romana ma una barbara, una nemica. Appartiene alla tribù dei Chatti, tradizionalmente avversa a Roma ed è figlia di quelle foreste selvagge, di quei luoghi inospitali descritti nel libro, è fedele alle proprie origini e al suo popolo. Odia i romani e tutto ciò che rappresentano. Giulia invece era una nobile romana, sposata con un uomo contro la sua volontà che cercava, nella relazione extraconiugale, l’amore e l’affetto che non avrebbe mai trovato in suo marito. Due donne profondamente diverse per cultura e contesto, due mondi opposti e inconciliabili.
LADY MORTIFERA: Aspetta, aspetta… mi stai dicendo che, finalmente, Ishold è una protagonista di romance che non farà i capricci, non si strapperà i capelli, non cadrà ai piedi del bello di turno, in questo caso Aquilato, al primo sguardo?
ADELE V. CASTELLANO: Eh no cara Lady. Preparatevi a un lunga e sofferta storia d’amore! Sarà dura per tutti: lettrici, lettori e pure per Aquilato.
LADY MORTIFERA: Incredibile! Quindi neppure il batavo si comporterà come il solito mollaccione che, come vede la protagonista, perde la testa?ADELE V. CASTELLANO:Cara Lady perdere la testa per Ishold, nelle prime pagine del libro e nelle circostanze che descrivo, lo renderebbe un personaggio poco credibile. Non dimentichiamo il suo ruolo di guerriero che deve lealtà all’Impero, prima di tutto.
LADY MORTIFERA: Oh! Meno male! Mi stai quasi diventando simpatica. Finalmente un libro verosimile. Ecco che allora sorge spontanea un’altra domandina: ci hai preparato scene d’amore intense come quelle del primo libro? E dimmi un po’, rivedremo anche Livia e Rufo?
ADELE V. CASTELLANO:Le scene d’amore non mancano, come nel libro precedente. Anzi, per gestire e creare forti e indissolubili legami tra i protagonisti, saranno scene d’amore anche più intense, ne vedrete delle belle. Ovvio che Rufo e Livia ci siano, come poteva essere altrimenti e preparatevi a una bella sorpresa, alla fine.
LADY MORTIFERA: Lo ammetto, hai usato la parola giusta: ne vedremo delle belle perché molte lettrici hanno detto che sembrava di vedere un film, mentre leggevano il tuo libro. Ti confesso che la scena d’amore di Rufo con la bella Calpurnia ce l’ho ancora ben stampata in mente. A proposito, visto che mi hai detto che Aquilato e Ishold sono nemici, come fanno questi due a incontrarsi?
ADELE V. CASTELLANO: Vuoi sapere troppo, Lady. Ti dico solo che il libro si svolge in due set completamente diversi: la prima parte nella selva Ercynia, quindi in Germania a Mogontiacum e la seconda parte a Roma, nella mia amatissima Roma antica.
LADY MORTIFERA: Oddio Castellano, nooo! Allora i due protagonisti si incontrano per la prima volta a pagina trecentoventi!
La Selva Hercynia, in Germania, dove si svolge
la prima parte del libro ADELE V. CASTELLANO: No, tranquilla Lady. Si incontrano nelle prime pagine ed è un incontro esplosivo… LADY MORTIFERA: Esplosivo in che senso? Che lui la abbaglia con la sua divina bellezza e lei capisce al volo che è l’uomo della sua vita a pagina ventidue?
ADELE V. CASTELLANO: Arridai… Lady cara, proprio no. La loro storia è esplosiva nel senso opposto, non potrebbe essere altrimenti.
LADY MORTIFERA: Mi hai incuriosita, mannaggia a te! Quindi fuoco, fiamme e scintille?
ADELE V. CASTELLANO: Ishold e Aquilato sono due mondi opposti che si incontrano, anzi cozzano uno contro l’altro. Un uomo e una donna divisi da un confine invisibile ma invalicabile, dagli uomini, dalla guerra, da tutto. Ma…
Parte del Foro ricostruito da Altair 4
LADY MORTIFERA: Ma…? ADELE V. CASTELLANO: Ma… niente! Devi leggere il libro. Lascio alla tua fantasia, peraltro incontenibile, immaginare quello che può accadere tra loro.
LADY MORTIFERA: Hai ragione, di fantasia ne ho tanta ma prima di pronunciarmi devo leggere il libro. Certo è che mi hai stuzzicata per benino. Ci sarà un terzo romanzo? E come è avvenuto nel primo, anche in questo secondo incontriamo già il futuro protagonista maschile?
ADELE V. CASTELLANO:Il terzo libro vedrà la luce solo se il secondo avrà un buon successo, è ovvio. Non ho ancora iniziato a scriverlo, mi merito un po’ di riposo dopo un’estate e un lungo autunno di lavoro intenso e sofferto. Posso solo anticiparti che il protagonista lo incontriamo nella seconda parte di “Cuore Nemico”, il suo nome è Massimo Valerio Messalla e mi darà cioè, ci darà molte soddisfazioni.
LADY MORTIFERA: Mhh.. un altro guerriero sporco e sudato, pronto a dare battaglia per la fanciulla di turno? ADELE V. CASTELLANO: Guerriero si, sporco non credo. Dare battaglia? Al momento Massimo è interessato ad altro.
LADY MORTIFERA: Ho sentito bene? Intenso e sofferto hai detto? Allora mi sorge una domanda: quanto hai lavorato per questo secondo libro che noi leggeremo in pochi giorni?
ADELE V. CASTELLANO: ho cominciato a scriverlo a metà aprile del 2012 e ho messo la parola fine ai primi di dicembre. Un libro molto pensato, molto amato e molto odiato. Proprio come un figlio.
LADY MORTIFERA: Allora leggendolo dobbiamo anche pensare alla fatica, all’impegno e all’amore che voi scrittrici mettete nei libri?
ADELE V. CASTELLANO: Questo non dovete mai dimenticarlo. Dietro a una storia ben scritta ci sono mesi di lavoro, di impegno e di ricerca. Noi scrittrici ci consegniamo a voi indifese e fiduciose. Anche nella peggiore delle critiche, ricordate che chi scrive lo fa sempre come un gesto d’amore.
L'attore Manu Bennet, interprete della serie Spartacus di HBOLADY MORTIFERA: Grazie Adele, a volte è un bene ricordarlo ma io, sempre pronta a mettere i puntini sulle “i”, posso dirti una cosa? La scrittura non sempre è un gesto d’amore ma spesso frutto di un tam tam pubblicitario che si basa sul nulla e qualche esempio di tutto ciò lo abbiamo avuto recentemente.
ADELE V. CASTELLANO: Cara Lady la pubblicità, da che mondo è mondo, ha sempre il suo peso. Questione di marketing: che se ne parli bene o male, l’importante è che se parli. Caso mai c’è da chiedersi perché alcuni libri vengono pubblicizzate di più rispetto ad altri.
LADY MORTIFERA: Oh santa pazienza, non ti ci mettere anche tu… meglio non indagare. Mi auguro che il tuo libro venga pubblicizzato a dovere e che sia all’altezza di quanto ci hai promesso. Comunque grazie per la tua disponibilità e che ti posso dire, se non in bocca al lupo?
ADELE V. CASTELLANO: (incrocia le dita e ride) Grazie a te cara Lady per essermi venuta a trovare e grazie soprattutto a tutte le lettrici che hanno letto e amato Rufo e che aspettano di leggere Aquilato. Crepi il lupo e… valete!
Che dire ragazze? Dopo un pomeriggio piovoso ma intenso me ne vado forse più leggera.Adele mi saluta come una perfetta padrona di casa e un bel sorriso stampato in faccia; spero che non sia di cortesia ma ho i miei dubbi, questa donna fa quasi invidia in quanto a spontaneità e simpatia. Non vedo l’ora di poter leggere al più presto “Roma 42 d. C. Cuore Nemico”. È troppo prematuro sbottonarsi in complimenti o critiche, so solo che mentre parlavo con Adele vedevo la Roma antica con i suoi palazzi, le sue colonne; vedevo legionari romani galoppare attraverso la nebbia, inguainati nella lorica con il gladio stretto nel pugno, facce sporche di fango e urla di guerra. E tra loro un guerriero alto e biondo trafiggermi con lo sguardo… ahi ahi Aquilato!
Una bellissima immagine dell'illustratore Luca Tarlazzi
Published on February 04, 2013 06:08
January 18, 2013
IN LIBRERIA ROMA 42 DC CUORE NEMICO
Dal 31 GENNAIO 2013IN LIBRERIA IL SECONDO LIBRO DELLA SERIE "ROMA"
ROMA 42 D.C. CUORE NEMICOdi Adele Vieri CastellanoLeggere Editore
ROMA 42 D.C. CUORE NEMICOdi Adele Vieri CastellanoLeggere Editore
Published on January 18, 2013 08:45
August 14, 2012
CHI MI HA ISPIRATO UN PERSONAGGIO COME MARCO RUFO?
Vedete l’uomo lassù, in cima all’altura? Osserva la striscia frastagliata e scura che si allunga sull’orizzonte, una foresta impenetrabile, dove uomini feroci e crudeli lo stanno aspettando. L’aria primaverile lo investe e gli porta l’odore dell’erba, gli sfiora le gambe nude protette dagli schinieri di metallo. I piedi sono ben piantati al suolo, racchiusi in sandali di cuoio con le suole chiodate, le calighe. Ogni giorno lo portano sempre più lontano da Roma. La tunica rossa sventola e gli accarezza le cosce muscolose. L’uomo dilata le narici, gonfia il petto in un respiro profondo e unguizzo gli illumina lo sguardo. Laggiù un movimento, lontano sull’orizzonte. Con un riflesso inconscio le sue dita serrano l’impugnatura del gladio, affilato come la morte. Il cingulum di cuoio e metallo tintinna sull’inguine ad ogni movimento, musica che il
Russel Crowe - Il Gladiatore - di Ridley Scott
nemico ode nell’ultimo istante. Sorge il sole. I raggi bagnano d’oro le colline e la lorica muscolata di metallo risplende, modellata sul suo torso a proteggere i muscoli veri, la sua carne e il suo sangue dall’assalto delle armi nemiche.«Tribuno, gli uomini sono pronti.» Lui conosce quella voce, si volta. Le iridi grigie mettono a fuoco un centurione, l’elmo rosso pennato, la faccia dura segnata dalle battaglie. Gonfia il petto in un sospiro. E’ ora di andare. E’ ora di sangue e di conquista. L’uomo che abbiamo visto sulla collina, gentili lettrici, è un alto ufficiale dell’esercito romano, un tribuno laticlavio , nome che gli deriva dalla larga fascia di porpora che orna la sua toga. E’ nobile, figlio di un senatore, con un patrimonio alle spalle di almeno un milione di sesterzi. Mica male, no? E se vi stupite che un rampollo di una famiglia di alto rango sia sbattuto in guerra ai confini dell’Impero, sappiate che a Roma si prestava servizio nell’esercito per far carriera politica e in ogni famiglia nobile c’era una tradizione militare, ben collaudata. Per ora il giovane tribuno è solo un ufficiale inferiore, sotto il comando del Legato, il grado che corrisponde oggi al ruolo di generale.Chi di voi non ha ben chiara in testa una delle prime scene del film “Il Gladiatore” quando Russell Crowne, glorioso e sexy nel rude fascino romano, passa in rassegna la legione e i suoi uomini, sporchi e coraggiosi, lo salutano con rispetto: “Generale” “Generale”
“Generale…”? Ebbene lui in realtà è un legato e l’assistente che gli caracolla dietro con gli occhi un po’ sbarrati è il nostro tribuno laticlavio. Se Russell - Massimo Decimo Meridio fosse stato ucciso (ahimé NO!) durante l’assalto dei barbari, sarebbe toccato al nostro tribuno prendere il comando dell’intera legione. Bene, ora voglio i vostri occhi fissi sul campo di battaglia, sui legionari schierati. Immaginateli forti, invincibili, irresistibili. Un branco di lupi che cala sul nemico con le fauci spalancate, i gladi ad altezza uomo e l’urlo che si ode prima della battaglia: “Per Roma!”Altro che gli Highlander, lasciatemelo dire. Se uno di quei pur eroici guerrieri del nord avesse incontrato un legionario romano, nel I
Equipaggiamento di un legionario
secolo dopo Cristo, avrebbe avuto una bella gatta da pelare. Il romano infatti ha gambe robuste e non solo quelle, credetemi. Con un peso di trenta chili sulle spalle, il classico equipaggiamento di ogni legionario composto di cibo, attrezzi e armi, questo nostro soldato percorre circa trenta miglia al giorno (un miglio romano= 1.480 metri, vi risparmio la fatica: circa quaranta chilometri al giorno). Una bella passeggiata, no?Non contento, il nostro legionario, giunto nel punto in cui gli ufficiali hanno deciso di accamparsi non si ferma anzi, è qui che comincia il suo vero lavoro. Ogni giorno di marcia infatti si conclude prima del tramonto con la costruzione di un castra, un accampamento provvisorio che serve a dare riparo alla legione durante la notte.
Innumerevoli città d’Europa sono nate così Milano, Piacenza, Capua, Treviri, Londra, Parigi, Magonza, Manchester … non posso scriverle tutte, l’elenco è troppo lungo. A proposito, il suffisso “Chester” deriva proprio dalla parola latina “castrum”, quindi accampamento. Contate un po’ tutte le città inglesi che finiscono così, aggiungetene qualcun’altra e ditemi voi se i romani non erano come il prezzemolo…
Bene, intorno al nostro castra si scava una trincea profonda due metri, un quadrato quasi perfetto, si tagliano alberi (i romani hanno raso al suolo le meravigliose foreste che dall’Età del Bronzo, 3500 a.C. – 1200 a.C., ricoprono l’Europa) e si ergono palizzate.Sono in tutto cinquemila, tale il numero di uomini una legione al completo. Più le truppe ausiliarie, di solito stranieri specializzati nell’uso di armi particolari come arcieri e frombolieri (tiratori di fionde, con proiettili di pietra) ed esperti cavalieri che affiancano i romani durante la battaglia, mille oppure cinquecento, a seconda dell’epoca.
Clive Owen - King Arthur - di Antoine Fuqua
Li vedete tutti all’opera? Sì, vero? Perché i romani non sono solo soldati ma ingegneri, fabbri, armaioli ognuno di loro ha un compito nella legione e lo svolge bene, la dea Disciplina li protegge, li osserva, li incita e il motto che tutti i soldati di Roma devono avere ben impresso nella testa e nel cuore è Frugalitas, Severitas et Fidelis. Un po’ come i nostri politici di oggi, vi pare? Frugalità, rigore e fedeltà. Ah ah ah! Seeee, magari! In ogni caso, anche gli Highlanders devono ringraziare i romani. Voi che amate i guerrieri scozzesi saprete che, con il termine Claymore , si identifica la spada di un Highlander. Ebbene esso deriva da claidheamh, parola di lingua gaelica che significa spada e, udite udite, esso prende origine dal termine latino gladius. Claymore indica due tipi di spada in uso ai guerrieri nordici: claidheamh da lamh , ovvero spada a due mani, variante scozzese della spada a due mani tipica del tardo Medioevo, in uso tra XIV e XVII secolo e claidheamh mòr , grande spada, ovvero ancora una variante scozzese della spada con elsa a cesto in uso alle forze di fanteria nel XVII e XVIII secolo. Oggi la claymore con elsa a cesto è parte dell'alta uniforme del reggimento Highlanders della British Army.
Il centurione, riconoscibile dall'elmo con il pennacchio di traverso raduna i legionari con un fischietto
Legionario romano e Highlander, bello scontro non c’è che dire. Ma sfatiamo per sempre un altro mito, quello secondo cui i romani erano bassi. Lo storico Vegezio (metà del V sec.) riporta un passo in cui cita che l’altezza minima, per entrare nell’esercito, era m. 1,65 e qui siamo già nel tardo impero.
Nelle tombe arcaiche dell'area osco-sannitica-latina, sono stati ritrovati scheletri di sesso maschile con un’altezza variabile tra 1,70 e 1,85 metri. Caligola, tanto per farvi un esempio, era alto un metro e novanta e aveva occhi verde-grigi, sguardo freddo e micidiale. Altro che omuncoli neri e pelosi. Del resto i romani hanno dominato il mondo, qualche ragione ci deve pur essere, no?
Nel combattimento a corpo a corpo poi la combinazione di gladio e scudo conferiva un grande vantaggio tattico al nostro legionario: lo scudo gli permetteva di rimanere protetto dalla maggior parte dei colpi inferti dagli avversari e di colpire a sua volta in maniera decisiva. Il gladio è una spada corta e larga e permette di sferrare colpi rapidi grazie al peso limitato. I legionari erano avversari imbattibili e ben preparati e quando una legione era schierata, che so, nella pianura del deserto egiziano, era uno spettacolo terrificante: una marea di uomini e scudi, un muro, una minaccia. E guai ai vigliacchi: chi veniva ritrovato con la schiena rivolta al nemico se ancora vivo, veniva infilzato e ucciso sul campo, dai suoi stessi ufficiali.
Ogni legione per Roma rappresentava un prezioso patrimonio e la sua salvaguardia doveva essere ben tutelata. Questo spiega il motivo per cui lo stato romano preferì adottare per il comando di ciascuna legione un sistema piuttosto complesso, che si basava sulla presenza di un nucleo di ufficiali numeroso. Al legato, in epoca imperiale, erano sottoposti alti ufficiali con funzioni che potremmo
definire di stato maggiore. Oltre al legato, il comando della legione comprendeva sei tribuni e un praefectus castrorum, del quale faceva parte anche il centurione primipilo. Quest’ultimo era il solo militare di professione. I tribuni e il Legato dovevano essere immediatamente riconoscibili.Anche se non possiamo parlare di una vera a propria uniforme, poiché spesso indossavano capi ed equipaggiamenti di scelta personale, essi seguivano però canoni precisi: l’armatura (lorica) riproduceva l’anatomia del torso umano e poteva essere in metallo, cuoio bollito o lino indurito. Su di essa c’era esposto un lembo di tessuto con il classico nodo, che segnalava la condizione di comando. Solitamente non portavano l’elmo mentre era quasi d’obbligo l’uso dell’ampio mantello militare color porpora, allacciato sulla spalla destra.Vi ricordo che S.P.Q.R . non vuol dire Sono Pazzi Questi Romani, come afferma il simpatico Obelix, ma Senatus Populusque Romanus , ovvero “ Il Senato e il popolo romano ". La frase indica che, alla base del potere della Repubblica romana c’erano patrizi e plebei, fondamento dello Stato. Oggi è ancora citato sullo stemma della città di Roma mentre l’Aquila Imperiale, con le ali spiegate e il becco rivolto a destra. era l'emblema dell'Impero Romano. L'aquila bicefala rappresentò invece i due imperi, Occidente ed Oriente.
Gaio Mario, lo zio di Cesare, usò per la prima volta l'aquila come insegna nella guerra contro i Cimbri e nel 103 a.C. la adottò come insegna di ciascuna delle legioni. Da allora l'uso rimase e l'aquila fu in argento in età repubblicana e in oro o bronzo durante l'Impero.
La perdita dell'aquila, il cui portatore era detto aquilifer, oggetto di vera e propria venerazione da parte dei soldati, poteva causare lo scioglimento dell'unità o il disonore dell’intera legione. L'Aquila fu sempre considerata, anche nei secoli successivi, come simbolo dell'impero e del potere di una nazione, della fedeltà ad esso. Fu scelta da Carlo Magno per il Sacro Romano Impero, ripresa nel sec. XI dagli imperatori tedeschi che si ritenevano eredi di Roma. La useranno i Savoia nel loro stemma, le case imperiali d'Austria e di Russia, l'emblema nazionale italiano in opposizione ai gigli di Carlo d'Angiò ed Enrico VI volle uno scudo d'oro con l'aquila nera. L’aquila imperiale ad ali spiegate, col becco rivolto a sinistra, fu adottata sullo stendardo del Regno Italico nel periodo 1805-1814, e fu insegna di Prussia, Polonia e Russia. Napoleone Bonaparte se ne impossessò e la Spagna la usò, con il becco rivolto a destra, come simbolo per tutto il settecento. Oggi l'aquila di mare con la testa bianca è l'emblema degli Stati Uniti d'America.I romani hanno attraversato l’Atlantico, care mie bibliotecarie romantiche e dobbiamo esserne fiere.
Roma caput mundi regit orbis frena rotundi, ovvero Roma capitale del mondo regge le redini dell’orbe rotondo…
VALETE! (saluto di commiato in uso a Roma)
Legionari romani - tratto dai film Centurio, Rome (HBO), The Gladiator, King Arthur
Per le più curiose, ricostruzione del Foro Romano con immagini suggestive in 3D. Da non perdere!
Published on August 14, 2012 04:07
August 11, 2012
"Il fascino dell’antica Roma rivive in un romanzo dalle t...
"Il fascino dell’antica Roma rivive in un romanzo dalle tinte seducenti e misteriose, e nello sguardo magnetico di un legionario..."
Marco Quinto Rufo è l’uomo più potente di Roma secondo solo all’imperatore, Livia Urgulanilla ha un passato da dimenticare. Lui è un uomo temprato dalla foresta germanica bello e forte che non conosce paura né limiti. Lei è un’aristocratica raffinata e altezzosa il cui destino è già scritto. Ma il dio Fato decide altrimenti e quando Rufo la porta via con sé non immagina lontanamente le conseguenze del suo gesto. Roma non è la Provincia dove tutto, incluso rapire una donna, è concesso. E anche se Caligola in persona decide di concedergliela, possederne il cuore sarà la più ardua e temeraria delle sue imprese. E Livia saprà donare il cuore a un uomo spietato che nonesita davanti a nulla, se non a quello che sente per lei?-- PRIMO ROMANZO DELLA SERIE ROMA CAPUT MUNDI --
Il primo romanzo di una trilogia che vi porterà in uno dei periodi storici più affascinanti del nostro passato; una storia che vi catturerà fin dalle prime pagine e alla fine ne rimarrete conquistati.
In tutte le librerie dal 31 maggio 2012.
http://www.leggereditore.it/blog.php?id=313
IL BOOKTRAILER !NON E' IL TRAILER UFFICIALE DELL'EDITORE MA UN FANVIDEO DI FRANCY. ENJOY!
Published on August 11, 2012 11:14
June 26, 2012
Uomo Avvisato...
BUON INIZIO ESTATE A TUTTE! QUESTI PRIMI GIORNI DI SUPER CALURA ESTIVA MI HANNO ISPIRATO CONSIDERAZIONI ALTRETTANTO...HOT!
Mhhh, ragazze che caldo! Il gelato si sta sciogliendo a vista d’occhio, gocce di sudore mi scivolanolungo la schiena e, sui ciottoli di questa spiaggia,rischio l’ustione. Butto l’occhio accaldato sulle docce. Un tizio si sta sfregando via il salino dal corpo sotto una sventagliata d’acqua fresca. Nonostante il caldo l’ormone mi si attiva e l’occhio scruta tra gli spruzzi: faccia non male, non vedo il colore degli occhi ma le spalle… Santo Cielo, non potrebbe fare qualcosa per quelle spalle? E ipettorali? Li ha lasciati sotto il cuscino stamattina e mia nonna,giuro, quando portava le borse della spesa aveva bicipiti più sodi.No, ragazzo mio, così mi si squagliano gli ormoni!
Ma dico, questi Homo Sapiens moderni non ricordano più le elementari regole del corteggiamento? Dell’attrazione tra i due sessi? Nessuno gli ha mai detto che noi donne siamo attratte da addominali scolpiti e pettorali sodi?Non lo sanno che ogni donna ha una parte preferita? Nooo, non parlo di pollo arrosto ma di voi, di uo-mi-ni!
Qualche tempo fa una nota rivista maschile ha pubblicato un interessante articolo che spero un gran numero di maschietti abbialetto, riletto e memorizzato per benino. Oltre a una serie di consigli per far colpo sul gentil sesso (noi femmine) l’articolo forniva la lista dei dieci muscoli più gettonati dalle signore, ovvero “come ti frizzo la pupa con un tricipite”. Insomma, non si possono lamentare. Hanno la teoria, devono solo mettetela in pratica. Farebbero un grosso favore a tutte le femmine sparse sulla faccia del pianeta e nello stesso tempo otterrebbero corpi sani, degni di un atleta greco. Mens sana in corpore sano, che volete di più?Ma devono anche ricordarsi che non bastano bicipiti tipo palle da bowling: se c’è l’avvisaglia di una prominente pancetta, le donne ci penseranno due volte prima di considerarli come boyfriends potenziali. La titubanza è ovvia: se sono già grassottelli adesso, che ne sarà di loro (e di noi) fra una decina d’anni? La pancia si sarà dilatata, dilatata…boom!La Scienza, quella con la esse maiuscola spiega le fondamenta di questa innata tendenza “alla ricerca del muscolo perduto”, l’inconfessato (a volte) desiderio di muscoli sodi e corpi atletici e ben scolpitidi noi, ragazze dello zoo globalizzato. Perché ledonne, quando si tratta di corpi maschili, si dividono in genere in tre categorie: quelle che svengono per due chiappette sode, quelle che sbavano per un torace scolpito e quelle a cui i muscoli lunghi delle cosce di un uomo suggeriscono voli pindarici. Tre partimolto gettonate sembra.
Yu-uuu, voi uomini, mi sentite? Occhi e viso arrivano dietro, nella classifica e sapete perché? Perché un fisico muscoloso e ben strutturato mette in evidenza la capacità riproduttiva di un uomo e la sua attitudine a proteggere/nutrire la famiglia. Wow!
E’ un processo del tutto inconscio ma provato. Voi direte: ma nella società di oggi dove esiste una sicurezza al di là della caverna (!) e dove è possibile trovare cibo nel più vicino supermercato, queste teorie non hanno senso, sono ridicole! Storie. L’istinto prevale eccome e noi donne, in quest’epoca di monolocali e grandi magazzini, siamo ancora attratte dai corpi atletici. Eredità biologica dei nostri antenati… ops, antenate. E visto che siamo in argomento, come mai una voce calda e sensuale ci fa strizzare il cuore? (Pronto? Luca Ward?) Perchéun tono profondo e grave rimanda da un tasso di testosterone naturalmente elevato… elementare Watson, elementare.Dicevamo, a chi piacciono le natiche sode? Sono parecchie, vi assicuro ed ora vi spiego perché gli occhietti cadono proprio lì. Un lato B sodo e muscoloso è segno di una buona capacità riproduttiva perché, nel momento dell’ultima spinta pelvica (pensate, concentratevi, focalizzate…), l’uomo effettua un movimento in avanti che è senz’altro facilitato da natiche belle muscolose. Questo ultimo movimento è “essenziale” per la riproduzione e quindi va da sé che, noi femminucce, ci preoccupiamo di trovare uomini adeguati per perpetuare la specie. Con natiche rilassate infatti, il “riproduttore di turno”avrà più difficoltà a portare in avanti il bacino durante l’atto sessuale, tendendo a gettare tutto il corpo sulla donna anziché solo le pelvi. L’equazione è facilissima: natiche mollicce = pupo mancato, natiche sode = pupo assicurato.
Spalle larghe, petto scolpito, braccia muscolose sono invece il segno del maschio cacciatore. Per questo ci piacciono. Gli etologi spiegano che i maschi umani hanno sviluppato spalle larghe per sollevare armi pesanti e per riportare grosse prede al focolare. Highlanders please, per di qua, legionari, avanti avanti… i SEALS a sinistra, calma calma c’è posto per tutti… ma attenzione: muscoli sì ma non troppo perché un uomo troppo muscoloso non ama altri che se stesso. Quindi diciamolo, i muscoli delle spalle sono i muscoli dell’amore e della guerra e l’equazione è a favore dei maschietti: spalle solide = donne ai vostri piedi. Le donne hanno bisogno di sentirsi protette, sappiatelo.
E perché alcune hanno una sana passione per gambe lunghe e muscolose?Questa è facile: sono simbolo di potenza e di resistenza e qui torniamo all’uomo cacciatore, al primitivo Neanderthal delle caverne. L’Homo Sapiens ha le gambe più lunghe e muscolose di tutti i Primati e un bacino stretto, che gli permette di correre più rapido e per lunghe distanze. E’ dunque un ottimo candidato per la solita faccenda della riproduzione: se porta a casa il bisonte grasso è perché è riuscito a corrergli dietro per venti chilometri e quella stessa sera muoverà le pelvi al ritmo giusto e qui qui vuole un’addizione: chiappette+spalle+cosce muscolose = cibo in abbondanza e asilo Mariuccia.
Mie care, che vogliamo più di così? Forse un giretto all’Esselunga? A proposito, se siete single fate la spesa dopo l’orario di chiusura degli uffici. Probabile che incontriate qualche Homo Sapiens in procinto di… ammazzare una confezione di pollo surgelato e chissà, magari ha le natiche belle sode sotto ai pantaloni…a voi l’ardua sentenza!
Published on June 26, 2012 03:16
June 11, 2012
Roma 40 d.C. Destino d'Amore
Per chi volesse curiosare ecco un altro inserto inedito dal libro...
Livia è nell'arena di Statilio Tauro ed assiste ai munera (le lotte dei gladiatori) agitata e controvoglia, visto che odia il sangue. In realtà è lì solo per passare qualche ora in compagnia del suo promesso sposo, Settimio Aulo Flacco.
Ma incontrerà qualcun altro che non si aspetta...
Livia non poté fare a meno di sussultare: l’anfiteatro tremò sotto i suoi piedi e l’impressionante vibrazione le salì fino in gola. Proprio allora lo notò: Tiberio Claudio Druso apparve al fianco del nipote. Livia si lasciò cadere sul sedile, il cuore in gola, le dita serrate intorno alle collane che le decoravano la tunica. Giulia le impedì di strapparle con un tocco deciso e il suo sguardo affettuoso riuscì a restituirle una parvenza di calma. Livia Detecta doveva stringere i denti.
Per distrarsi fissò il prefetto del pretorio che in quel momento fece un gesto discreto, accennando un sorriso verso qualcuno sul palco imperiale. Livia si voltò. Al fianco di Caligola erano comparsi una decina di uomini, tutti coi capelli biondi e abbigliati con leggere tuniche e spesse fasce di cuoio, sui fianchi e sul petto. Erano armati e si disposero in un protettivo corollario umano, dietro e ai fianchi del seggio imperiale. Un altro uomo aveva già preso posto alla destra dell’imperatore e fu lui a ricambiare il saluto del prefetto con un impercettibile cenno del capo. Spiccava tra le teste dorate come una colonna d’ebano e quel giorno era abbigliato secondo il suo rango: il laticlavio di porpora gli scendeva dritto dalla spalla, sfiorando le braccia muscolose incrociate sul petto. Quando si mosse, il bracciale di ferro che portava al polso brillò per un istante, sotto il sole. Livia trattenne il fiato. Decise di andarsene. Non poteva restare seduta un istante di più. Si levò in piedi ma Giulia la guardò interdetta, mentre il pubblico scoppiava in un applauso travolgente. I cancelli si spalancarono e i gladiatori sciamarono fuori. Era troppo tardi. Un reziario raggiunse il centro dell’arena armato di rete e di un lungo tridente. Li alzò entrambi verso il cielo e la folla rispose con un grido:«Varicus! Varicus!»Giulia si piegò verso di lei, gli occhi accesi e le gote rosse.«E’ un eroe, Livia. Guarda che animale splendido.»
Livia non riuscì a rispondere, sia per il frastuono che per lo sgomento. Giulia era eccitatissima, batteva le mani e il suo sguardo bruciante percorreva il corpo del gladiatore su e giù. Animale, lo aveva chiamato. Si guardò intorno smarrita. Un altro boato accompagnò l’ingresso dello sfidante, il secutor, un gigante nero armato di un piccolo gladio. Livia posò una mano sul braccio della cugina intenta alle prime mosse dei due avversari. «Settimio non è ancora arrivato.» Le disse con una nota di disperazione nella voce.«Non essere sciocca, goditi il combattimento. Arriverà fra poco, non tutti sono puntali e lo spettacolo è ancora lungo. Non vuoi restare perché hai visto quell’infame di Claudio?»«No. Non voglio restare perché non sopporto il sangue. La presenza dello zio di Caligola non mi tocca.»Giulia diede un’occhiata scettica al palco imperiale poi la scrutò, attenta.«Ti prego, se vai via dovrò accompagnarti.» Livia si sentì molto egoista e si rassegnò, appoggiando la schiena alla spalliera. Avrebbe chiuso gli occhi. C’erano già chiazze di sangue sulla sabbia e il secutor era stato ferito al petto da una della lame del tridente. La folla urlò. Vide la rete intrappolare il gigante nero, il reziario fece un balzo verso di lui e calò la sua arma. Chiuse le palpebre un secondo prima di sentire l’urlo di gioia del pubblico e quello di dolore e rabbia del perdente. Voltò il capo a sinistra, mentre Giulia scoppiava a ridere. «Sei proprio buffa, cugina! E’ morto, è tutto finito.»Livia fu investita da una sensazione indefinibile, mentre riapriva gli occhi. Si voltò d’istinto verso il palco imperiale. Marco Quinto Rufo la stava fissando. Marco, appoggiato al seggio di Caligola, scrutava il pubblico. Dieci dei suoi batavi erano dietro di lui ma la sua inquietudine non si attenuava. Nei luoghi pubblici era facile far spuntare un pugiocelato nella toga, colpire in un punto preciso e provocare una fatale emorragia. Una morte opportuna per un imperatore inopportuno. Sui seggi più vicini aveva riconosciuto parecchi senatori e salutato Lucio, chino a parlare con uno di loro. Non si spiegò quella sensazione di allarme fino a quando non vide le due donne accanto a loro. Posò lo sguardo su una di esse, con piacere inaspettato. Livia Urgulanilla. Da quel momento non le staccò gli occhi di dosso, perdendosi il combattimento. Lei sussultava ad ogni colpo cruento, girando il capo elegante e allora il suo viso perfetto volgeva nella sua direzione, dandogli modo di ammirarla.
Quando Varicus alzò le braccia in segno di trionfo, Marco fece un cenno ad Aquilato.«Ho visto qualcuno che mi interessa. Rimani al mio posto.» Poi si chinò su Caligola.«Divino, perdonami ma devo assentarmi per un momento.»L’imperatore si volse verso di lui, gli occhi accesi.«Hai notato qualcuno?»Marco sorrise e gli disse la verità, in un soffio. Il Divino scoppiò in una risata, gli diede il divertito assenso e si volse, concentrandosi sui nuovi gladiatori entrati nell’arena. Quando un’ombra scura le passò accanto Livia, pur senza guardare, sapeva già a chi appartenesse. Il cuore le saltò un battito. «Ah, Marco, ti ho visto lasciare il palco. Sei sceso tra i mortali.»Una voce profonda replicò qualcosa ma lei non distinse le parole. Il mirmillone che stava lottando sulla sabbia aveva appena schivato con un guizzo un colpo diretto alle reni, e il pubblico aveva urlato di spavento. Il seggio vuoto che stava accanto al prefetto venne occupato.Il secondo attacco del gladiatore trace andò a segno, qualcosa volò attraverso l’aria afosa sospesa sul centro dell’arena. Il macabro resto lasciò dietro di sé una scia purpurea. Livia si ritrasse d’istinto, si voltò. Non chiuse gli occhi e fu un grave errore. Si trovò a fissare il viso intento dell’uomo seduto ad un passo da lei. Egli, a differenza di tutti gli altri, non stava guardando i gladiatori. Livia non poté fare nulla. Rimase incatenata a quegli occhi come quel giorno nella Suburra, come due giorni prima sul Gianicolo, soggiogata e atterrita dalla loro profondità. E visto che la scelta era di vedere lo scempio di un corpo mutilato, rimase immobile come un cervo sotto lo sguardo fermo del cacciatore. Sotto di loro si consumò la fine del coraggioso mirmillone. Nell’arena entrarono gli uomini con i ganci che ne trascinarono via il cadavere, lasciando sulla sabbia un solco di sangue.«Questa morte non farà felice il lanista.» Commentò il senatore Cassiano, storcendo la bocca.«Marco, che te ne pare? Forse i tuoi selvaggi combattono meglio?» Livia sentì lo sguardo scivolarle addosso come olio rovente. Rufo si volse a guardare il prefetto che aveva formulato la domanda. «Io stesso combatterei meglio di quell’inetto, Lucio. E anche uno qualsiasi dei tuoi pretoriani.»Il prefetto rise privo di allegria. Poi, rivolto al marito di Giulia:«Senatore, conosci Marco Quinto Rufo?» Cassiano mosse il capo.
«La tua fama ti precede, legato. Conosco bene ciò che resta della tua famiglia. E’ una donna raffinata e intelligente. Mia moglie l’annovera tra le sue amicizie. Non è così, mia cara?»Giulia sorrise al nuovo arrivato e Livia colse la scintilla d’interesse che brillò nelle pupille di sua cugina. Non se ne stupì. In quegli ultimi, emozionanti istanti, si era resa conto che, a parte la durezza e la volgarità della sua persona, i tratti di quel soldato di confine potevano essere considerati molto attraenti. Da un certo tipo di donna. Il suo corpo era grande, possente, i suoi muscoli armoniosi e scolpiti. E c’erano quegli occhi d’ebano, impressionanti su un viso con troppi contrasti per essere definito bello. Il naso, rotto in qualche battaglia, dominava i tratti decisi, la fronte alta, i capelli neri. Era il viso di un uomo crudele, tranne quando sorrideva come stava facendo: le labbra spesse e ben disegnate svelarono una fossetta accattivante, sulla guancia rasata. Venere, nella sua divina indulgenza, gli aveva concesso ciglia fin troppo lunghe per essere un uomo e forse erano proprio loro le responsabili di quella dolcezza inaspettata, che gli velò lo sguardo e… Livia sussultò. No, non c’era alcuna dolcezza in quell’uomo. Nessuna. E lei non era quel tipo di donna.
Dalla serie di HCB "Spartacus Blood and Sand"
Un video tutto da gustare!! ENJOY
Livia è nell'arena di Statilio Tauro ed assiste ai munera (le lotte dei gladiatori) agitata e controvoglia, visto che odia il sangue. In realtà è lì solo per passare qualche ora in compagnia del suo promesso sposo, Settimio Aulo Flacco.
Ma incontrerà qualcun altro che non si aspetta...
Livia non poté fare a meno di sussultare: l’anfiteatro tremò sotto i suoi piedi e l’impressionante vibrazione le salì fino in gola. Proprio allora lo notò: Tiberio Claudio Druso apparve al fianco del nipote. Livia si lasciò cadere sul sedile, il cuore in gola, le dita serrate intorno alle collane che le decoravano la tunica. Giulia le impedì di strapparle con un tocco deciso e il suo sguardo affettuoso riuscì a restituirle una parvenza di calma. Livia Detecta doveva stringere i denti.
Per distrarsi fissò il prefetto del pretorio che in quel momento fece un gesto discreto, accennando un sorriso verso qualcuno sul palco imperiale. Livia si voltò. Al fianco di Caligola erano comparsi una decina di uomini, tutti coi capelli biondi e abbigliati con leggere tuniche e spesse fasce di cuoio, sui fianchi e sul petto. Erano armati e si disposero in un protettivo corollario umano, dietro e ai fianchi del seggio imperiale. Un altro uomo aveva già preso posto alla destra dell’imperatore e fu lui a ricambiare il saluto del prefetto con un impercettibile cenno del capo. Spiccava tra le teste dorate come una colonna d’ebano e quel giorno era abbigliato secondo il suo rango: il laticlavio di porpora gli scendeva dritto dalla spalla, sfiorando le braccia muscolose incrociate sul petto. Quando si mosse, il bracciale di ferro che portava al polso brillò per un istante, sotto il sole. Livia trattenne il fiato. Decise di andarsene. Non poteva restare seduta un istante di più. Si levò in piedi ma Giulia la guardò interdetta, mentre il pubblico scoppiava in un applauso travolgente. I cancelli si spalancarono e i gladiatori sciamarono fuori. Era troppo tardi. Un reziario raggiunse il centro dell’arena armato di rete e di un lungo tridente. Li alzò entrambi verso il cielo e la folla rispose con un grido:«Varicus! Varicus!»Giulia si piegò verso di lei, gli occhi accesi e le gote rosse.«E’ un eroe, Livia. Guarda che animale splendido.»
Livia non riuscì a rispondere, sia per il frastuono che per lo sgomento. Giulia era eccitatissima, batteva le mani e il suo sguardo bruciante percorreva il corpo del gladiatore su e giù. Animale, lo aveva chiamato. Si guardò intorno smarrita. Un altro boato accompagnò l’ingresso dello sfidante, il secutor, un gigante nero armato di un piccolo gladio. Livia posò una mano sul braccio della cugina intenta alle prime mosse dei due avversari. «Settimio non è ancora arrivato.» Le disse con una nota di disperazione nella voce.«Non essere sciocca, goditi il combattimento. Arriverà fra poco, non tutti sono puntali e lo spettacolo è ancora lungo. Non vuoi restare perché hai visto quell’infame di Claudio?»«No. Non voglio restare perché non sopporto il sangue. La presenza dello zio di Caligola non mi tocca.»Giulia diede un’occhiata scettica al palco imperiale poi la scrutò, attenta.«Ti prego, se vai via dovrò accompagnarti.» Livia si sentì molto egoista e si rassegnò, appoggiando la schiena alla spalliera. Avrebbe chiuso gli occhi. C’erano già chiazze di sangue sulla sabbia e il secutor era stato ferito al petto da una della lame del tridente. La folla urlò. Vide la rete intrappolare il gigante nero, il reziario fece un balzo verso di lui e calò la sua arma. Chiuse le palpebre un secondo prima di sentire l’urlo di gioia del pubblico e quello di dolore e rabbia del perdente. Voltò il capo a sinistra, mentre Giulia scoppiava a ridere. «Sei proprio buffa, cugina! E’ morto, è tutto finito.»Livia fu investita da una sensazione indefinibile, mentre riapriva gli occhi. Si voltò d’istinto verso il palco imperiale. Marco Quinto Rufo la stava fissando. Marco, appoggiato al seggio di Caligola, scrutava il pubblico. Dieci dei suoi batavi erano dietro di lui ma la sua inquietudine non si attenuava. Nei luoghi pubblici era facile far spuntare un pugiocelato nella toga, colpire in un punto preciso e provocare una fatale emorragia. Una morte opportuna per un imperatore inopportuno. Sui seggi più vicini aveva riconosciuto parecchi senatori e salutato Lucio, chino a parlare con uno di loro. Non si spiegò quella sensazione di allarme fino a quando non vide le due donne accanto a loro. Posò lo sguardo su una di esse, con piacere inaspettato. Livia Urgulanilla. Da quel momento non le staccò gli occhi di dosso, perdendosi il combattimento. Lei sussultava ad ogni colpo cruento, girando il capo elegante e allora il suo viso perfetto volgeva nella sua direzione, dandogli modo di ammirarla.
Quando Varicus alzò le braccia in segno di trionfo, Marco fece un cenno ad Aquilato.«Ho visto qualcuno che mi interessa. Rimani al mio posto.» Poi si chinò su Caligola.«Divino, perdonami ma devo assentarmi per un momento.»L’imperatore si volse verso di lui, gli occhi accesi.«Hai notato qualcuno?»Marco sorrise e gli disse la verità, in un soffio. Il Divino scoppiò in una risata, gli diede il divertito assenso e si volse, concentrandosi sui nuovi gladiatori entrati nell’arena. Quando un’ombra scura le passò accanto Livia, pur senza guardare, sapeva già a chi appartenesse. Il cuore le saltò un battito. «Ah, Marco, ti ho visto lasciare il palco. Sei sceso tra i mortali.»Una voce profonda replicò qualcosa ma lei non distinse le parole. Il mirmillone che stava lottando sulla sabbia aveva appena schivato con un guizzo un colpo diretto alle reni, e il pubblico aveva urlato di spavento. Il seggio vuoto che stava accanto al prefetto venne occupato.Il secondo attacco del gladiatore trace andò a segno, qualcosa volò attraverso l’aria afosa sospesa sul centro dell’arena. Il macabro resto lasciò dietro di sé una scia purpurea. Livia si ritrasse d’istinto, si voltò. Non chiuse gli occhi e fu un grave errore. Si trovò a fissare il viso intento dell’uomo seduto ad un passo da lei. Egli, a differenza di tutti gli altri, non stava guardando i gladiatori. Livia non poté fare nulla. Rimase incatenata a quegli occhi come quel giorno nella Suburra, come due giorni prima sul Gianicolo, soggiogata e atterrita dalla loro profondità. E visto che la scelta era di vedere lo scempio di un corpo mutilato, rimase immobile come un cervo sotto lo sguardo fermo del cacciatore. Sotto di loro si consumò la fine del coraggioso mirmillone. Nell’arena entrarono gli uomini con i ganci che ne trascinarono via il cadavere, lasciando sulla sabbia un solco di sangue.«Questa morte non farà felice il lanista.» Commentò il senatore Cassiano, storcendo la bocca.«Marco, che te ne pare? Forse i tuoi selvaggi combattono meglio?» Livia sentì lo sguardo scivolarle addosso come olio rovente. Rufo si volse a guardare il prefetto che aveva formulato la domanda. «Io stesso combatterei meglio di quell’inetto, Lucio. E anche uno qualsiasi dei tuoi pretoriani.»Il prefetto rise privo di allegria. Poi, rivolto al marito di Giulia:«Senatore, conosci Marco Quinto Rufo?» Cassiano mosse il capo.
«La tua fama ti precede, legato. Conosco bene ciò che resta della tua famiglia. E’ una donna raffinata e intelligente. Mia moglie l’annovera tra le sue amicizie. Non è così, mia cara?»Giulia sorrise al nuovo arrivato e Livia colse la scintilla d’interesse che brillò nelle pupille di sua cugina. Non se ne stupì. In quegli ultimi, emozionanti istanti, si era resa conto che, a parte la durezza e la volgarità della sua persona, i tratti di quel soldato di confine potevano essere considerati molto attraenti. Da un certo tipo di donna. Il suo corpo era grande, possente, i suoi muscoli armoniosi e scolpiti. E c’erano quegli occhi d’ebano, impressionanti su un viso con troppi contrasti per essere definito bello. Il naso, rotto in qualche battaglia, dominava i tratti decisi, la fronte alta, i capelli neri. Era il viso di un uomo crudele, tranne quando sorrideva come stava facendo: le labbra spesse e ben disegnate svelarono una fossetta accattivante, sulla guancia rasata. Venere, nella sua divina indulgenza, gli aveva concesso ciglia fin troppo lunghe per essere un uomo e forse erano proprio loro le responsabili di quella dolcezza inaspettata, che gli velò lo sguardo e… Livia sussultò. No, non c’era alcuna dolcezza in quell’uomo. Nessuna. E lei non era quel tipo di donna. Dalla serie di HCB "Spartacus Blood and Sand"
Un video tutto da gustare!! ENJOY
Published on June 11, 2012 06:27
May 31, 2012
In libreria dal 31 maggio il mio libroRoma 40 d.C.Destino...
In libreria dal 31 maggio il mio libroRoma 40 d.C.Destino D'amore LEGGERE EDITOREDI SEGUITO UN BREVE ESTRATTO
LIVIA, SUL GIANICOLO PROMESSA AD UN UOMO CHE CREDE DI DESIDERARE... MA E' DAVVERO LUI CHE VUOLE?
Era una di quelle giornate pigre e torride che calavano così di frequente su Roma e sui colli circostanti, d’estate. L’unico sollievo era rilassarsi nella quiete dei giardini, all’ombra dei portici dei Fori o inoltrarsi nei boschi, sacri o meno, che circondavano la città.Livia si fermò sotto l’ombra di una secolare quercia che cresceva rigogliosa nella fitta boscaglia sul Gianicolo e ringraziò la dea Furrina per quell’atmosfera incantata. Rami imponenti sostenevano la spessa chioma dell’albero. Chissà se le ninfe che ne abitavano le fessure coperte di muschio, percepivano la sua presenza. Allargò le dita in una carezza e proprio allora la mano di Settimio coprì la sua, con un gesto affettuoso.Lei non si oppose. Gli circondò il collo e le loro labbra si incontrarono. Quelle di lui cedevoli, delicate, gentili. Il contrasto tra la dolcezza del bacio e la ruvidezza del tronco la costrinsero ad un calmo abbandono. Sollevò le mani sulle punte dei riccioli, sul collo. Morbidi ricci dorati. Poi si udì un fruscio troppo vicino a loro e Livia riaprì gli occhi. Il volto truce di Publio Cassio Nepote li stava osservando, da dietro un cespuglio. Livia si mosse a disagio e appoggiò il palmo delle mani sul petto di Settimio, scostando il capo di lato. Lui la scrutò interdetto, poi le cercò di nuovo le labbra.«Ci sta guardando.» Gli sussurrò e il giovane fu obbligato a voltarsi.Nepote uscì allo scoperto. Aveva capelli neri ondulati che gli coprivano parte della fronte, zigomi prominenti e labbra sottili. Mentre si avvicinava si aggiustò le pieghe della corta tunica, bordata d’argento e azzurro, senza staccare gli occhi da Livia. «Sembra che durante la festa dei Furrinalia sia abitudine diffusa allontanarsi dai sentieri segnati.» Disse mellifluo piazzandosi davanti a loro, le braccia conserte sul petto.«Come sei arrivato fin qui?» Settimio fece qualche passo nella sua direzione e Livia si sentì abbandonata. Notò che Nepote aveva ombre violacee sotto gli occhi e il volto, scavato e magro, rendeva la sua espressione imbronciata.«Il rito di Cibele la Madre Terra, il principio di tutte le cose. Non ricordi?» Rispose questi senza scomporsi, rivolgendosi all’amico come se lei non esistesse. «Si sono già riuniti non lontano da qui. Potresti venire anche tu, invece di dilettarti con volgari effusioni nella boscaglia. Mi stanno aspettando.» Come a confermare le parole di Nepote l’aria si riempì di una nenia lontana, di un tintinnio di strumenti metallici. Dietro di loro il bosco era più fitto, larghe lame di luce attraversavano le fronde toccando il suolo, dopo aver giocato tra le cime degli alberi. Livia si guardò intorno e per la prima volta in quel pomeriggio, il selvaggio profumo della natura le riempì le narici d’improvviso, così come d’improvviso si sentì un’intrusa, tra quei due uomini. Sensazione già sperimentata un’ora prima, quando Settimio gli aveva presentato l’amico fraterno.Dove aveva già visto il volto aggrondato di Nepote, a parte nell’arena delle Terme di Agrippa? Cercò di mantenere un’espressione neutra, sebbene fosse seccata dalla sua invadenza. «Allora non facciamoli aspettare.» Replicò il suo promesso e tutti e tre si incamminarono infine nella direzione dei suoni.Livia aveva sentito parlare dei rituali in onore della dea ma non vi aveva mai partecipato. Il suo culto si accompagnava con le celebrazioni in onore di Furrina ma Cibele era un’antichissima divinità orientale e si diceva, sanguinaria. Era un culto popolare, dei ceti più bassi, dei vicoli bui. Li seguì docile, conscia di fare un dispetto a quel bellimbusto profumato che la stava occhieggiando risentito. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di lasciarli da soli.Un refolo di vento agitò le fronde. Costeggiarono il fitto sottobosco, un’accozzaglia intricata di foglie e ciuffi di felci. Ammaliata dal vigore della natura, Livia quasi dimenticò l’astio che l’aveva animata negli ultimi istanti. Riconobbe il gorgoglio di un ruscello e il mormorio di una voce incantatrice. Sbucarono in una radura. Al centro un masso grigio, piatto e tutto intorno, un gruppo di fedeli prosternati in atteggiamento adorante.Mormoravano un canto ritmato dai sistri. Un fumo dolciastro si levava da due bracieri accesi ai lati del masso, su cui donne seminude gettavano offerte di incenso.Livia rammentò ciò che le aveva raccontato Ancilla a proposito delle cruente cerimonie, dedicate alla dea. I suoi devoti si privavano della virilità, inebriati da droghe che annullavano ogni rimpianto e ragione. Il “giorno del sangue”, così chiamavano gli adepti l'Equinozio di primavera. Durante le invocazioni si flagellavano scorticando la pelle in un vortice estatico, spargendo il rosso succo della vita sul suolo, invocando la resurrezione dagli Inferi. Ed ora che intendevano fare?«Sono dei pazzi.» Bisbigliò a Settimio e si accorse di stringergli la mano in modo eccessivo.Nepote superò gli inginocchiati e li abbandonò, ai margini della riunione. Alcuni dei fedeli gli si avvicinarono e lo liberarono della tunica. Proseguì nudo fino all’altare. Livia si sentì il cuore in gola. Si costrinse a calmarsi, un respiro profondo, un altro. In quel momento le parve che i tronchi della cupa foresta si animassero, incombendo sull’angosciante celebrazione.Vi fu un rumore secco, di rami spezzati. Qualcosa agitò i cespugli e sbucarono due uomini che reggevano una giovane donna, anch’essa nuda. Una supplica le ribollì dentro, perché Livia aveva capito cosa significasse quel rito. Smise di respirare, tirò il braccio a Settimio ma lui non si mosse anzi, la lasciò sola ad indietreggiare mentre lui avanzava, cullato dalla calda e umida aria estiva, dai vapori inebrianti e dall’immagine del suo amico salito sull’ara, in attesa della vittima. Livia tentò di trovare una ragione che giustificasse quel comportamento mentre Nepote cominciava a masturbarsi, in ginocchio, la pelle bianca e liscia del corpo snello sotto i raggi bollenti del sole. I canti e il fumo aumentarono con un ritmo che le entrò nelle ossa e Livia decise di appartarsi, il più lontano possibile. Teneva le braccia lungo i fianchi, le mani così chiuse che sentì le unghie conficcarsi nella pelle. Deglutì. Non riusciva a distogliere gli occhi dall’altare su cui quel corpo si levava minaccioso, sopra la donna distesa. Le gambe snelle vennero scostate da due sacerdoti e Nepote si sistemò al centro, il membro eretto. L’offerta vivente alla dea inarcava la schiena offrendosi a lui, seguendo la musica, le gambe a volte chiuse, a volte ferocemente spalancate.Livia fece qualche altro passo. Il sesso poteva guardarlo ma dopo, se fosse venuto il sangue? Cozzò contro un ostacolo. Si girò sorpresa, bloccata dal corpo caldo di un uomo. Quando alzò il viso e lo vide in volto, fece per cacciare un urlo ma lui fu più veloce e le tappò la bocca, trascinandola senza respiro verso l’ombra fitta di alcuni cespugli.«Numi immortali donna, taci.»Stretta in una morsa poderosa, Livia trovò a stento l’aria da respirare. Fece per dimenarsi ma si immobilizzò. La frizione con quel corpo muscoloso era sconcertante.L’uomo, con lo stesso tono accigliato ed urgente di prima, aggiunse:
«Non so perché tu sia qui, ma non ha importanza. Ora ti lascio andare, non ti farò del male.» La voce era appena un sussurro. Marco Quinto Rufo rilassò i muscoli e scostò le braccia, lasciandola libera. Livia saltò via dalla sua stretta e gli occhi di lui scintillarono divertiti. Si portò l’indice teso davanti alla bocca, poi le cinse il braccio sinistro con una mano, con una sola mano per tutte le Ninfe del bosco!, e se la portò davanti al corpo, rivolgendola di nuovo verso la radura.«Non voglio guardare.» Sibilò Livia, facendo resistenza. I loro corpi si sfiorarono, quello alle sue spalle era saldo, grande e vigoroso. «Non sei venuta per questo?» Livia non osò negare, né giustificare la sua presenza. Non si spiegava neppure quella di lui, vestito con una tunica anonima che nascondeva il suo rango e la sua importanza. La sua presa le bruciò la pelle. Stava per aprire bocca e protestare quando il rumore dei canti divenne frenetico, la melodia dei sistri soffocò i canti degli uccelli. Adesso Nepote si teneva sollevato con entrambe le braccia e i muscoli dei glutei si tesero. Diede una spinta feroce. Vi fu un urlo. Poi cominciò a muoversi lento, il giovane corpo teso e vibrante, mentre la testa della sua vittima si rovesciava all’indietro, oltre il bordo del masso. La scena era rozza e sconvolgente ma Livia non poté distogliere lo sguardo. Ad un colpo più forte, la ragazza sussultò emettendo un lungo lamento e Livia trasalì.«Non puoi credere che io sia venuta qui per vedere questo. Lasciami andare, voglio andarmene.» Ora che la presenza di quell’uomo era stata catalogata dal suo cervello come un pericolo non mortale, Livia aveva riacquistato il buon senso. «Ferma e zitta. Non sei curiosa di sapere come finisce?»La voce era un ironico bisbiglio su di lei e Livia rispose con un basso grugnito ed un lieve strattone. Lui intensificò la stretta ma non le fece male.«Rilassati, non la ucciderà, se è questo che temi.» Rufo fissò la scena assorto, un muscolo gli guizzò sulla guancia mal rasata. Livia era così consapevole di quella presenza, di quella mano su di lei, che ad un tratto sentì i peli drizzarsi in tutto il corpo, come colpita dalla sua energia animale. Non le sembrò di essersi mossa. Forse aveva solo respirato più a fondo ma in quel momento, lui chinò il capo su di lei e la guardò dall’alto. Livia sentì fin dentro allo stomaco quell’occhiata torbida e impenetrabile. In quell’atmosfera che grondava lussuria, sensualità e dissoluto erotismo, con quello sfondo ben udibile di ansiti, di musica e grida interrotte, i loro occhi restarono incatenati. Entrambi sapevano ciò che stava accadendo a pochi passi da loro: i movimenti di Nepote si erano fatti frenetici, le gambe femminili si erano spalancate di più nell’accoglierlo e gli adepti erano in febbrile attesa del culmine, poiché l’amplesso sull’altare era collettivo, perpetrato e goduto da tutti.«Cibele avrà il suo sacrificio, oggi.» Mormorò Rufo spezzando la tensione, la linea sensuale della bocca ritorta in un sorriso, mentre lei lo ricambiava coi suoi occhi verdi felini, spalancati. Lui sollevò la mano sinistra sulla sua guancia, il pollice seguì il profilo dell’osso per poi incontrare lo spesso velluto delle sue labbra, appena dischiuse. Il dito scabroso ci giocò, strofinandole avanti e indietro. Quando si fermò all’angolo della bocca, Livia sentì il ventre attorcigliarsi in un nodo di brividi.Quell’uomo era solido come una roccia, era un violento, un soldato. Eppure non riuscì a distogliere gli occhi dai suoi. «Hanno il colore della foresta.» Commentò infine lui a voce più bassa, quasi parlando a se stesso.La musica si scatenò d’improvviso, un boato che fece sussultare entrambi.Livia guardò Rufo con collera repressa. Che cosa c’era di sbagliato in lei che vicina a quell’uomo si sentiva soffocare dalla paura, dal disgusto e da uno strano fastidio? Si scostò. Lui era fisicamente troppo imponente. Solo per baciargli l’incavo della gola abbronzata e muscolosa, si sarebbe dovuta alzare in punta di piedi. Quel pensiero la scioccò, portandola d’istinto ad indietreggiare. Non poteva permettergli di intuire ciò che sentiva. «Livia!»Il grido risuonò a pochi passi da loro. Settimio. Si liberò decisa dalla stretta spostandosi in avanti, attraverso le foglie in cui lei e Rufo si erano appartati.Il giovane camminava nella loro direzione, voltando il capo da un lato e dall’altro. La sua sola presenza la confortò e la rese spavalda.«Quello è il mio futuro marito.» Dichiarò trionfante, voltandosi con aria di sfida. Non c’era più nessuno.
Published on May 31, 2012 00:52
May 24, 2012
IL FANVIDEO DI FRANCY DELLA ROSA ENJYOY!
Published on May 24, 2012 08:19
May 17, 2012
MARCO QUINTO RUFO STA ARRIVANDO!Il mio romanzo ...
MARCO QUINTO RUFO STA ARRIVANDO!
Il mio romanzo d'amore ambientato nell'Antica Roma
Roma 40 D.c. Destino d'Amore
Marco Quinto Rufo è l’uomo più potente di Roma secondo solo all’imperatore, Livia Urgulanilla ha un passato da dimenticare. Lui è un uomo temprato dalla foresta germanica bello e forte che non conosce paura né limiti. Lei è un’aristocratica raffinata e altezzosa il cui destino è già scritto. Ma il dio Fato decide altrimenti e quando Rufo la porta via con sé non immagina lontanamente le conseguenze del suo gesto. Roma non è la Provincia dove tutto, incluso rapire una donna, è concesso. E anche se Caligola in persona decide di concedergliela, possederne il cuore
sarà la più ardua e temeraria delle sue imprese. E Livia saprà donare il cuore a un uomo spietato che non
esita davanti a nulla, se non a quello che sente per lei?
Il primo romanzo di una trilogia che vi porterà in uno dei periodi storici più affascinanti del nostro passato; una storia che vi catturerà fin dalle prime pagine e alla fine ne rimarrete conquistati.
In libreria dal 31 maggio.
http://www.leggereditore.it/blog.php?id=313
Published on May 17, 2012 05:01
May 3, 2012
Roma Caput MundiVedete l’uomo lassù, in cima all’altura? ...
Roma Caput Mundi
Vedete l’uomo lassù, in cima all’altura? Osserva la striscia frastagliata e scura che si allunga sull’orizzonte, una foresta impenetrabile, dove uomini feroci e crudeli lo stanno aspettando. L’aria primaverile lo investe e gli porta l’odore dell’erba, gli sfiora le gambe nude protette dagli schinieri di metallo. I piedi sono ben piantati al suolo, racchiusi in sandali di cuoio con le suole chiodate, le calighe. Ogni giorno lo portano sempre più lontano da Roma. La tunica rossa sventola e gli accarezza le cosce muscolose. L’uomo dilata le narici, gonfia il petto in un respiro profondo e un guizzo gli illumina lo sguardo. Laggiù un movimento, lontano sull’orizzonte. Con un riflesso inconscio le sue dita serrano l’impugnatura del gladio, affilato come la morte. Il cingulum di cuoio e metallo tintinna sull’inguine ad ogni movimento, musica che il nemico ode nell’ultimo istante. Sorge il sole. I raggi bagnano d’oro le colline e la lorica muscolata di metallo risplende, modellata sul suo torso a proteggere i muscoli veri, la sua carne e il suo sangue dall’assalto delle armi nemiche.«Tribuno, gli uomini sono pronti.»
Russel Crowe ne "Il Gladiatore" di
Ridley Scott
Lui conosce quella voce, si volta. Le iridi grigie mettono a fuoco un centurione, l’elmo rosso pennato, la faccia dura segnata dalle battaglie. Gonfia il petto in un sospiro. E’ ora di andare. E’ ora di sangue e di conquista. L’uomo che abbiamo visto sulla collina, gentili lettrici romantiche, è un alto ufficiale dell’esercito romano, un tribuno laticlavio, nome che gli deriva dalla larga fascia di porpora che orna la sua toga. E’ nobile, figlio di un senatore, con un patrimonio alle spalle di almeno un milione di sesterzi. Mica male, no? E se vi stupite che un rampollo di una famiglia di alto rango sia sbattuto in guerra ai confini dell’Impero, sappiate che a Roma si prestava servizio nell’esercito per far carriera politica e in ogni famiglia nobile c’era una tradizione militare, ben collaudata. Per ora il giovane tribuno è solo un ufficiale inferiore, sotto il comando del Legato, il grado che corrisponde oggi al ruolo di generale.Chi di voi non ha ben chiara in testa una delle prime scene del film “Il Gladiatore” quando Russell Crowe, glorioso e sexy nel rude fascino romano, passa in rassegna la legione e i suoi uomini, sporchi e coraggiosi, lo salutano con rispetto: “Generale” “Generale” “Generale…”? Ebbene lui in realtà è un Legato e l’assistente che gli caracolla dietro con gli occhi un po’ sbarrati è il nostro tribuno laticlavio. Se Russell - Massimo Decimo Meridiofosse stato ucciso (ahimé NO!) durante l’assalto dei barbari, sarebbe toccato al nostro tribuno prendere il comando dell’intera legione.
Bene, ora voglio i vostri occhi fissi sul campo di battaglia, sui legionari schierati. Immaginateli forti, invincibili, irresistibili. Un branco di lupi che cala sul nemico con le fauci spalancate, i gladi ad altezza uomo e l’urlo che si ode prima della battaglia: “Per Roma!”
Equippaggiamento di un legionario
Altro che gli Highlander, lasciatemelo dire. Se uno di quei pur eroici guerrieri del nord avesse incontrato un legionario romano, nel I secolo dopo Cristo, avrebbe avuto una bella gatta da pelare. Il romano infatti ha gambe robuste e non solo quelle, credetemi. Con un peso di trenta chili sulle spalle, il classico equipaggiamento di ogni legionario composto di cibo, attrezzi e armi, questo nostro soldato percorre circa trenta miglia al giorno (un miglio romano= 1.480 metri, vi risparmio la fatica: circa quaranta chilometri al giorno). Una bella passeggiata, no? Non contento, il nostro legionario, giunto nel punto in cui gli ufficiali hanno deciso di accamparsi non si ferma anzi, è qui che comincia il suo vero lavoro. Ogni giorno di marcia infatti si conclude prima del tramonto con la costruzione di un castra, un accampamento provvisorio che serve a dare riparo alla legione durante la notte. Innumerevoli città d’Europa sono nate così Milano, Piacenza, Capua, Treviri, Londra, Parigi, Magonza, Manchester… non posso scriverle tutte, l’elenco è troppo lungo. A proposito, il suffisso “Chester” deriva proprio dalla parola latina “castrum”, quindi accampamento. Contate un po’ tutte le città inglesi che finiscono così, aggiungetene qualcun’altra e ditemi voi se i romani non erano come il prezzemolo… Bene, intorno al nostro castra si scava una trincea profonda due metri, un quadrato quasi perfetto, si tagliano alberi (i romani hanno raso al suolo le meravigliose foreste che dall’Età del Bronzo, 3500 a.C. – 1200 a.C., ricoprono l’Europa) e si ergono palizzate. Sono in tutto cinquemila, tale il numero di uomini una legione al completo. Più le truppe ausiliarie, di solito stranieri specializzati nell’uso di armi particolari come arcieri e frombolieri (tiratori di fionde, con proiettili di pietra) ed esperti cavalieri che affiancano i romani durante la battaglia, mille oppure cinquecento, a seconda dell’epoca.
Clive Owen nel film King Arthur di Antoine Fuqua
Li vedete tutti all’opera? Sì, vero? Perché i romani non sono solo soldati ma ingegneri, fabbri, armaioli ognuno di loro ha un compito nella legione e lo svolge bene, la dea Disciplina li protegge, li osserva, li incita e il motto che tutti i soldati di Roma devono avere ben impresso nella testa e nel cuore è Frugalitas, Severitas et Fidelis. Un po’ come i nostri politici di oggi, vi pare? Frugalità, rigore e fedeltà. Ah ah ah! Seeee, magari! In ogni caso, anche gli Highlanders devono ringraziare i romani. Voi che amate i guerrieri scozzesi saprete che, con il termine Claymore, si identifica la spada di un Highlander. Ebbene esso deriva da claidheamh, parola di lingua gaelica che significa spada e, udite udite, esso prende origine dal termine latino gladius.
Claymore indica due tipi di spada in uso ai guerrieri nordici: claidheamh da lamh, ovvero spada a due mani, variante scozzese della spada a due mani tipica del tardo Medioevo, in uso tra XIV e XVII secolo e claidheamh mòr, grande spada, ovvero ancora una variante scozzese della spada con elsa a cesto in uso alle forze di fanteria nel XVII e XVIII secolo. Oggi la claymore con elsa a cesto è parte dell'alta uniforme del reggimento Highlanders della British Army.
Il centurione, riconoscibile dal pennacchio di traverso sull'elmo, chiama
i legionari con il fischietto (Rome, HBO) Legionario romano e Highlander, bello scontro non c’è che dire. Ma sfatiamo per sempre un altro mito, quello secondo cui i romani erano bassi. Lo storico Vegezio (metà del v sec.) riporta un passo in cui cita che l’altezza minima, per entrare nell’esercito, era m. 1,65 e qui siamo già nel tardo impero. Nelle tombe arcaiche dell'area osco-sannitica-latina, sono stati ritrovati scheletri di sesso maschile con un’altezza variabile tra 1,70 e 1,85 metri. Caligola, tanto per farvi un esempio, era alto un metro e novanta e aveva occhi verde-grigi, sguardo freddo e micidiale. Altro che omuncoli neri e pelosi. Del resto i romani hanno dominato il mondo, qualche ragione ci deve pur essere no? Nel combattimento a corpo a corpo poi la combinazione di gladio e scudo conferiva un grande vantaggio tattico al nostro legionario: lo scudo gli permetteva di rimanere protetto dalla maggior parte dei colpi inferti dagli avversari e di colpire a sua volta in maniera decisiva. Il gladio è una spada corta e larga e permette di sferrare colpi rapidi grazie al peso limitato.
I legionari erano avversari imbattibili e ben preparati e quando una legione era schierata, che so, nella pianura del deserto egiziano, era uno spettacolo terrificante: una marea di uomini e scudi, un muro, una minaccia. E guai ai vigliacchi: chi veniva ritrovato con la schiena rivolta al nemico se ancora vivo, veniva infilzato e ucciso sul campo, dai suoi stessi ufficiali. Ogni legione per Roma rappresentava un prezioso patrimonio e la sua salvaguardia doveva essere ben tutelata. Questo spiega il motivo per cui lo stato romano preferì adottare per il comando di ciascuna legione un sistema piuttosto complesso, che si basava sulla presenza di un nucleo di ufficiali numeroso. Al Legato, in epoca imperiale, erano sottoposti alti ufficiali con funzioni che potremmo definire di stato maggiore. Oltre al legato, il comando della legione comprendeva sei tribuni e un praefectus castrorum, del quale faceva parte anche il centurione primipilo. Quest’ultimo era il solo militare di professione. I tribuni e il Legato dovevano essere immediatamente riconoscibili. Anche se non possiamo parlare di una vera a propria uniforme, poiché spesso indossavano capi ed equipaggiamenti di scelta personale, essi seguivano però canoni precisi: l’armatura (lorica) riproduceva l’anatomia del torso umano e poteva essere in metallo, cuoio bollito o lino indurito. Su di essa c’era esposto un lembo di tessuto con il classico nodo, che segnalava la condizione di comando. Solitamente non portavano l’elmo mentre era quasi d’obbligo l’uso dell’ampio mantello militare color porpora, allacciato sulla spalla destra.
Vi ricordo che S.P.Q.R. non vuol dire Sono Pazzi Questi Romani, come afferma il simpatico Obelix, ma Senatus Populusque Romanus, ovvero “Il Senato e il popolo romano". La frase indica che, alla base del potere della Repubblica romana, c’erano patrizi e plebei, fondamento dello Stato. Oggi è ancora citato sullo stemma della città di Roma mentre l’Aquila Imperiale, con le ali spiegate e il becco rivolto a destra era l'emblema dell'Impero Romano. L'aquila bicefala rappresentò invece i due imperi, Occidente ed Oriente.
Gaio Mario, lo zio di Cesare, usò per la prima volta l'aquila come insegna nella guerra contro i Cimbri e nel 103 a.C. la adottò come insegna di ciascuna delle legioni. Da allora l'uso rimase e l'aquila fu in argento in età repubblicana e in oro o bronzo durante l'Impero. La perdita dell'aquila, il cui portatore era detto aquilifer, oggetto di vera e propria venerazione da parte dei soldati, poteva causare lo scioglimento dell'unità o il disonore dell’intera legione. L'Aquila fu sempre considerata, anche nei secoli successivi, come simbolo dell'impero e del potere di una nazione, della fedeltà ad esso.
Fu scelta da Carlo Magno per il Sacro Romano Impero, ripresa nel sec. XI dagli imperatori tedeschi che si ritenevano eredi di Roma. La useranno i Savoia nel loro stemma, le case imperiali d'Austria e di Russia, l'emblema nazionale italiano in opposizione ai gigli di Carlo d'Angiò ed Enrico VI volle uno scudo d'oro con l'aquila nera. L’aquila imperiale ad ali spiegate, col becco rivolto a sinistra, fu
adottata sullo stendardo del Regno Italico nel periodo 1805-1814, e fu insegna di Prussia, Polonia e Russia. Napoleone Bonaparte se ne impossessò e la Spagna la usò, con il becco rivolto a destra, come simbolo per tutto il settecento. Oggi l'aquila di mare con la testa bianca è l'emblema degli Stati Uniti d'America.
I romani hanno attraversato l’Atlantico e dobbiamo esserne fiere.Roma caput mundi regit orbis frena rotundi, ovvero Roma capitale del mondo regge le redini dell’orbe rotondo…Valete! (saluto di commiato in uso a Roma)
Legionari di Roma in battagliaImmagini tratte da Centurion, King Arthur, the Gladiator, Rome (HBO)
Per le più curiose il Foro Romano oggi e in una suggestiva ricostruzione in 3Ddi Archeo Libri (http://www.archeolibri.com/)
ENJOI!!!
Published on May 03, 2012 01:46











