Adele Vieri Castellano's Blog, page 2
December 8, 2015
Natale 2015, arriva La Tormenta
Titolo: La Tormenta
Autore: Adele Vieri Castellano
Casa editrice: AVC Historiae - self-publishing
Genere: contemporaneo
Pagine: 135
Prezzo: euro 2,99
Formato: ebook - disponibile solo in ebook
Data di uscita: dicembre 2015
Ambientazione: Italia, Abruzzo
Livello di sensualità: medio-alto
Vi ho già detto come è nata, oggi ve la presento in anteprima. Appuntamento il 10 dicembre su tutti gli store (Amazon, Kobo, Feltrinelli, Giunti al Punto) per la mia novella La Tormenta. Ancora una volta, è un'avventura in self publishing.
Trama:Le montagne d’Abruzzo sono molto distanti da quelle del Colorado, ma è esattamente lì che vuole andare Lucas V. Forrester, proprietario di una catena di resort di lusso. Il suo obiettivo è restaurare il borgo da cui è partito il bisnonno, ai primi del ‘900, la sua speranza è quella di dimenticare l’incidente che gli ha cambiato la vita. Ma come sempre quest’ultima riserva sorprese inaspettate, soprattutto se ci si mette di mezzo una tormenta di neve che spazza via ciò che dell’amore e delle donne ha sempre pensato e quando la nevicata sarà finita, dovrà capire quanto può fidarsi dei propri sentimenti...Leggi un estratto della novella
«Un brindisi a una donna coraggiosa e incosciente.»«Perché incosciente?» chiese lei sollevando un sopracciglio.Le loro dita si sfiorarono.«Devo spiegarti come si affronta una tempesta di neve.»Furono interrotti da Carlo, che avvolgeva Teresa in un abbraccio.«Ehi americano, lo sai vero che, prima di sollazzarti con i nostri dolcetti abruzzesi, dovrai essere in grado di pronunciarne il nome?»Lucas gli puntò contro indice e pollice, disposti a mo’ di pistola, ma l’altro non gli badò e declamò sulle dita:«Caggionetti, cellitti, bocconotti, parrozzo. Esercitati, se no salti il dolce.»«Il tuo tentativo di accaparrarti la mia porzione è deplorevole.» Lucas sollevò il bicchiere mezzo vuoto e bevve alla sua salute.
«Questi giochini non fanno che convalidare la mia tesi, secondo cui la frase “maschio adulto” è una contraddizione in termini» disse Teresa e il marito le rispose con una linguaccia. «Non fare il buffone e porta i tuoi figli fuori dalla mia cucina. Silvia, vai in camera mia, per favore, e cerca il pacchettino di bastoncini di zucchero che ho dimenticato nella borsa.»«Agli ordini capo» Silvia fece il saluto militare e uscì dietro al cognato, ridacchiando. Lucas la seguì con lo sguardo fino a quando non sentì un pizzicotto sul bicipite.«Vieni qui che ti devo abbracciare. Ti adoro» gli sussurrò Teresa, stringendolo tanto da fargli mancare il fiato.«Non esagerare, altrimenti tuo marito torna qui e mi sopprime. Ho già rischiato la pelle quando siamo andati a recuperare la macchina di tua sorella.»
Lei lo lasciò andare incuriosita.«Dopo mi racconterai dove l’avete trovata e in che stato era, Carlo ha eluso le mie domande. Ma adesso dimmi, che cosa ha combinato quel mascalzone?»«A parte tentare di uccidermi? Niente, sono stato redarguito e messo sotto osservazione.»«Ma pensa un po’! Eppure gli avevo ben detto di farsi gli affari suoi e starsene zitto.» Gli sorrise. «È geloso anche di lei, ti rendi conto? Che rompiscatole.»«Vedi Terry, io e tua sorella ieri notte…»Lei gli appoggiò le dita sulle labbra.Guarda il book trailer!
Published on December 08, 2015 01:17
December 2, 2015
Del perché un autore scrive una novella...
Come nasce una novella contemporanea? Per me è un divertissement, come dicono i francesi, un momento di divertimento e riflessione. Ora vi racconto come è nata La Tormenta, la mia prima novella natalizia, in uscita il 10 dicembre in self publishing su tutti gli Store.È ottobre, sto scrivendo il libro su Massimo Valerio Messalla, arrivata a pagina 55 o giù di lì, pur essendo abbastanza contenta di quello che ho scritto, mi fermo un attimo a riflettere: qualcosa non va.
Se il luogo, Alessandria d’Egitto, è descritto con efficacia, se riesco a vederla questa antica città fondata da un condottiero leggendario, con le sue case basse di mattoni di fango, con le sue ville lussuose, i suoi templi disseminati di statue di divinità dalle sembianze animali e umane, non vedo i personaggi.
Soprattutto non vedo Massimo. C’è, eppure non è lui. Parla, agisce, sorride, si arrabbia ma non è lui.
Il Faro di Alessandria
A una scrittrice che stimo non solo dal punto di vista professionale, un’amica carissima di cui ho fiducia, consegno il manoscritto in lettura e aspetto il suo parere. Quando mi telefona (adoro le nostre telefonate, sappilo!) anche lei ha i miei stessi dubbi. E allora, cosa si fa in questo caso? Si butta via tutto, ecco cosa si fa. Si ricomincia, si discute della trama, si fa un quarto d’ora di brain storming e, alla fine, le idee sono più chiare.
Veduta del porto di Alessandria
Ho capito dove ho sbagliato. Colleghi scrittori, non abbiate paura di ricominciare, fa bene. Poi non è vero che il file finisce nel cestino, è un modo di dire. In realtà ho una cartella e la creo per tutti i miei libri. Questa l’ho chiamata “idee per Messalla” e tutto quello che viene scartato dal libro finisce lì. Anche le scene che mi vengono in mente e al momento non scrivo, le "butto" nel file idee e lì rimangono; a volte le riutilizzo, a volte no.
Lampi di luce in una notte oscura.
Sappiatelo, noi scrittori abbiamo menti contorte e siamo anche cattivi con noi stessi, a volte. Ci torturiamo con le idee più improbabili e poi, più spesso di quanto crediate, queste idee non arrivano mai sulla pagina scritta. Quindi cosa fa uno scrittore che deve rimuginare sul suo personaggio, che deve entrargli nella pelle per renderlo così reale e credibile da fargli bucare la pagina e diventare vivo nella mente del lettore?
Scrive qualcos’altro.
Di divertente, semplice, breve come una novella contemporanea. Non me ne vogliano le autrici del genere, ma tra scrivere uno storico e un contemporaneo c’è un mondo. Un mondo fatto di ricerche, di letture noiose a volte, a volte complicate dalla lingua (i più grandi divulgatori e ricercatori scrivono in inglese), un mondo di pomeriggi in cui si scrivono tre righe e si passa il resto a leggere, cercare, scovare notizie. Io sono prigra, ma quando si tratta di Storia, divento un mostro di attività. Alcuni giorni fa ho trovato sul web, a disposizione per i fruitori su un sito specializzato, una tesi del 1979 sui castra romani nella Provincia Africana. In italiano, oltretutto. Mi sentivo come se avessi vinto al Superenalotto.
La Castellano è pazza, direte voi. No, la Castellano adora la ricerca e trasformare la realtà storica in parole che sappiano affascinare il lettore e, perché no, anche fargli amare il passato.
Così è nata La Tormenta.
Un mese di ricreazione, in attesa di tornare in Cyrenaica, con la legione di un certo tribuno laticlavio e in Egitto, con tutti gli altri personaggi che animeranno Roma 50 D. C. il Leone di Roma.
Così ho ripreso quel racconto, pubblicato sul blog La Mia Biblioteca Romantica nel 2011, l’ho letto, l’ho arricchito, l’ho cambiato, l’ho snaturato forse. Con le amiche che mi controllavano giorno per giorno e chiedevano: “Allora, hai finito con questa benedetta novella, che devi scrivere Messalla?”. È bellissimo avere amiche così. Ora conoscete anche il dietro le quinte, sapete perché è nata La Tormenta. Spero sia un bel regalo per voi, come lo è stato per me. Un regalo che spero vi faccia trascorrere qualche ora in un mondo fatto di neve e d'amore.
Intanto io torno in Egitto. Finalmente ho ritrovato Massimo Valerio Messalla.
Published on December 02, 2015 23:51
October 29, 2015
Jack O'Lantern, testa di rapa o di zucca?
La jack-o’-lantern è una zucca svuotata, intagliata con facce terrificanti o ridicole e illuminata all'interno da una candela, associata alla festa di Halloween. Il termine jack-o'-lantern deriva dal fenomeno visivo dell’ignis fatuus, ovvero dalle strane luci tremolanti che si accendono sulle torbiere, chiamate anche fuochi fatui. Sono fiammelle che appaiono sui terreni paludosi, per il fenomeno della combustione spontanea dei gas che esala il terreno. Un tempo nessuno ne conosceva la spiegazione scientifica, per questo motivo attorno alle misteriose luci, più visibili durante le fredde e lunghe notti invernali, si narravano leggende e storie spesso terrificanti, legate al mondo dei trapassati. Ricordiamoci che le torbiere sono assai diffuse in Inghilterra orientale e in Irlanda, ma rare o inesistenti nei paesi mediterranei.
Ignis fatuus, termine latino che significa fuoco stupido, sciocco, nel folklore inglese e irlandese, è noto come will-o'-the-wisp. Il termine viene utilizzato soprattutto in Inghilterra orientale e fece la sua prima apparizione, su documenti scritti, intorno al 1660. Il termine "will-o'-the-wisp" deriva da wisp, il fascio di bastoni o di carta a volte usato come una torcia e dal nome proprio Will. Il termine jack-o'-lantern nasce dalla stessa costruzione, solo che al posto di Will abbiamo il nostro terribile Jack.L'origine delle jack-o'-lantern è incerta. L'intaglio di vegetali era una pratica comune in molte parti del mondo, le zucche per ovvi motivi (la loro grandezza, la facilità di coltivazione e conservazione) sono le specie vegetali più antiche conosciute dall’uomo, che cominciò a coltivarle ben 10.000 anni fa. Conoscete i Maori, vero? Gli All Blacks, la squadra di rugby neozelandese, sono in gran parte Maori. Ebbene, pensate che anche questa popolazione usava intagliare lanterne oltre 700 anni fa e, in lingua Maori, il termine zucca significa anche paralume.
Sembra che l'usanza abbia avuto origine in Irlanda e nelle Highlands scozzesi. Nel XIX secolo si scolpivano le rape, usate come lanterne, anch’esse ortaggi facili da reperire e scolpire. In queste regioni di lingua celtica, Halloween è anche la festa di Samhain ed è sempre stata considerata come un momento in cui gli esseri soprannaturali (Sidhe) e le anime dei morti popolavano la terra.
Le lanterne, in alcuni casi, rappresentavano gli spiriti o gli esseri soprannaturali, altri invece le usavano proprio per allontanare questi spiriti, considerati maligni. Esse venivano esposte sui davanzali, davanti alle porte, sotto le finestre. In ambito cristiano, pare che le lanterne fossero anime del purgatorio, visto che Halloween e Sanhaim sono feste vicine alla festa cristiana di Ognissanti. La storia del jack-o'-lantern è disponibile in molte varianti ed è simile a quella di will-o'-the-wisp. È presente nel folklore di Norvegia, Svezia, Inghilterra, Irlanda, Galles, Germania, Italia e Spagna. Un vecchio racconto popolare irlandese dalla metà del XIX secolo, racconta di Stingy Jack, un fabbro scaltro e pigro che utilizza la croce per intrappolare Satana.
Una versione racconta che Jack lo abbia ingannato, facendolo arrampicare su un albero di mele. Una volta intrappolato Satana sull’albero, il nostro Jack incise rapidissimo una serie di croci tutte intorno al tronco, intrappolandolo tra i rami. Un'altra versione invece ci mostra Jack inseguito da alcuni abitanti del villaggio, che ha derubato. Durante la fuga Satana gli appare davanti, dicendogli che è giunta l’ora della sua dipartita. Atterrito, Jack tenta di convincerlo a risparmiarlo, allettandolo con la possibilità di conquistare tutte le anime dei suoi concittadini e gli propone di trasformarsi in una moneta, con cui lui pagherà i creditori. Alla scomparsa della moneta, predice Jack a Satana, ci saranno grandi disordini nel villaggio e la possibilità per lui di arraffare molte anime peccatrici. Satana accetta la proposta e si trasforma in una moneta d'argento. Ma nel portamonete di Jack si ritrova accanto a una croce. Intanto Jack chiude il portafoglio stretto e la croce spoglia il diavolo dei suoi poteri, intrappolandolo.
Entrambi i racconti popolari si concludono con una promessa di Satana a Jack, in cambio della sua libertà: non si impossesserà mai e poi mai della sua anima. Ovviamente Jack muore a un certo punto ma, visti i suoi innumerevoli peccati, non può andare in Paradiso e, a causa della promessa di Satana, manco può mettere piede all'Inferno. Disperato Jack chiede al Diavolo dove può andare, lamentandosi di non possedere neppure una luce per illuminargli il difficile cammino. Sgnignazzando, Satana gli getta allora un tizzone che non si spegnerà mai, perché preso direttamente dalle fiamme dell'Ade. Povero Jack! Scolpirà una rapa, il suo cibo preferito, per mettervi dentro il tizzone e con l'ortaggio illuminerà il suo vagare senza fine sulla Terra, con la speranza di trovare un luogo per il suo eterno riposo. Questa la storia di Stingy Jack, ormai noto come Jack della Lanterna o jack-o'-lantern, appunto.
Il folklorista Thomas Quiller Couch (morto nel 1884) registrò l'uso di questo termine in una filastrocca a Polperro, un villaggio di pescatori in Cornovaglia, dove veniva citata anche la regina dei folletti, Joan the Wad, la versione usata in Cornovaglia di will-o'-the-wisp, che gli abitanti di Polperro consideravano entrambi come folletti: Jack o' the lantern! Joan the wad,
Who tickled the maid and made her mad Light me home, the weather's bad.
Halloween è dunque il giorno nel quale Jack va a caccia di un rifugio per la sua anima. Gli abitanti di ogni paese sono tenuti ad appendere una lanterna fuori dalla porta, per indicare all'infelice che la loro casa non è posto per lui. Quando questa tradizione raggiunse gli Stati Uniti d’America, vi fu una grave carestia e i creativi americani sostituirono le zucche alle rape, visto che erano meno diffuse e servivano per nutrirsi.
Anche in Italia vi sono feste del folklore che ricordano da vicino le vicende di Jack. In Sardegna il mese di novembre viene chiamato Sant'Andria e iltermine andreia, in greco, significa virilità. Artemidoro di Daldi, scrittore e fisico greco vissuto nel II sec., lo utilizza per indicare il membro virile. Il mese di novembre era infatti dedicato a Dioniso, a festeggiamenti sfrenati e orgiastici.
In alcuni paesi dell’antica regione sarda dell'Anglona, la notte del 30 novembre uscivano dalle case uomini mascherati armati di graticole, coltelli, scuri, che facevano gran rumore per intimorire i fanciulli. Questa tradizione richamava due episodi del mito di Dioniso. Il primo racconta che Zeus, per sottrarre Dioniso agli attacchi di Era, lo avesse portato in una grotta del monte Ida, affidandolo ai Curati. Questi, per coprire i suoi vagiti, gli danzavano intorno battendo tra loro le armi per fare rumore. L'altro episodio è invece quello della cattura del piccolo Dioniso da parte dei Titani che lo fecero a pezzi, poi bollirono e arrostirono le sue carni. Questo spiegherebbe il tipo di armi e le graticole, portate dai sardi per spaventare i bambini.
Oggi a Martis (SS) sono ragazzi e bambini a uscire per strada con grosse zucche intagliate a forma di faccia e illuminate da candele. Bussano alle porte e recitano una macabra filastrocca di mani mozzate e donne che filano la lana. Per l’esibizione ricevono vino, dolci, mandarini, fichi secchi e soprattutto denaro.
In Toscana, fino a pochi decenni fa, nel cosiddetto gioco dello zozzo (in alcune parti noto come morte secca), tra agosto e ottobre si svuota una zucca, vi si intagliano occhi, naso e bocca, si infila dentro la solita candela accesa e la si pone fuori casa, nell'orto, in giardino, ma più spesso su un muretto, dopo il tramonto. La si veste con stracci o abiti veri per darle le sembianze di un mostro, con l'obiettivo di provocare un gran spavento, in genere nei bambini fatti uscire di casa con la scusa di andare a cercare qualcosa.
Una pratica identica era presente nel Lazio settentrionale, prima della seconda guerra mondiale. La zucca veniva chiamata la Morte o la Beccamorta. In tutta la Pianura Padana e in Liguria, fino alla fine degli anni '50, si svuotavano le zucche o si usavano normali lanterne per essere poste nei borghi più bui o vicino ai cimiteri e alle chiese. A Parma tali luci prendono il nome di lümera.
Allora, pronte a intagliare le vostre jack o'lantern?
Published on October 29, 2015 02:09
October 23, 2015
Astroturfing, fantascienza o realtà?
L'astroturfingè più hard, il buzz marketing più light. Di che cosa sto parlando? Delle ultime tendenze erotiche su Marte? No, parlo di qualcosa che conoscete, ne sono sicura. Il termine astroturfing definisce la tecnica per alterare la percezione che abbiamo di un certo prodotto, basata sull’idea che molti giudizi positivi o lusinghieri influenzino le scelte dei consumatori. Per l'origine del termine vi rimando a Wikipedia in lingua inglese: https://en.wikipedia.org/wiki/Astroturfing, perché ci vorrebbe un articolo intero per spiegarla. Detto questo, veniamo a noi.
Recensioni (dai ristoranti ai libri), presentazioni di singoli prodotti e servizi; l'astroturfing spazia in tutti i campi, dal marketing puro alla politica, alla religione. Con esso si può elogiare di tutto, tanto che mio cognato ha comprato uno stock di boxer su Amazon, visto che avevano una cinquantina di recensioni a cinque stelle. Peccato che dopo abbia dovuto acquistare anche uno stock di crema Fissan Baby, visto che le suddette mutande Made in Cina erano sintetiche e non lasciavano traspirare "i gemelli di famiglia".
Chi di voi, almeno una volta negli ultimi mesi, non ha consultato i giudizi degli utenti sul web prima di scegliere l’albergo dove trascorrere le vacanze, il ristorante dove andare a cena o il nuovo libro da leggere? Siti come TripAdvisor, Yelp o Amazon sono ormai un punto di riferimento globale, una moderna bussola per risolvere i problemi dell’essere umano del terzo millennio, ovvero la difficoltà nell'orientarsi nell’abbondanza di servizi e prodotti a disposizione.
Per le false recensioni online, si è mossa la procura di New York e sono state multate diciannove società, scoperte a pubblicare falsi commenti su Google, Yahoo, Yelp, Citysearch. Hanno scoperto che, alla falsificazione casereccia del ristoratore che elogia il suo locale, si affianca oggi una catena montaggio su larga scala. La maggior parte delle finte recensioni scoperte dalla procura venivano da cittadini di paesi asiatici o dell’Europa orientale che, pur non avendo mai visitato la Grande Mela, scrivevano recensioni virtuali, per una cifra compresa tra uno e dieci dollari cadauna. In tutto il mondo il fenomeno ha acquistato proporzioni inquietanti e sappiatelo, è una pratica illegale, soprattutto quando è accompagnata da pagamenti a favore di chi scrive la falsa impressione positiva.
L'astroturfing è diventato incontrollabile ed è un vero e proprio business dal valore inestimabile, se si calcola che una stellina in più può valere dal 5 al 9% dei risultati di vendita. Un vero e proprio servizio di deep-web, come quelli nascosti nella rete che offrono armi, droga e illegalità di ogni tipo. L'astroturfing però non si nasconde, anzi. Esistono siti e agenzie che lo offrono, come se di trattasse di un prodotto qualsiasi. L'Unione Europea, alcuni anni fa, ha decretato che l’astroturfing rientra fra le forme di pubblicità ingannevole e concorrenza sleale, perché le campagne organizzate suscitano reazioni che vengono spacciate per spontanee ma che, in realtà, poggiano su strategie subdole. Per questo ha varato una direttiva che è stata recepita dal Parlamento con il decreto legislativo n.146 del 2 agosto 2007, che prevede fino a a 500.000 euro di multa per chi esercita l’arte dell’inganno online, ed è compito dell’Antitrust vigilare sull’osservanza del decreto.
A Londra, la redazione del Sunday Times ha giocato un brutto scherzo ad Amazon: hanno scritto un libro sul giardinaggio, poche pagine zeppe di errori e prive di contenuti, poi lo hanno messo in vendita su Amazon acquistando un pacchetto di recensioni false da 4 e 5 stelle. In pochi giorni, il libro spiccava per gli apprezzamenti sul marketplace di Jeff Bezos (il fondatore di Amazon, secondo Forbes 2015 uno dei quindici uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio personale che si aggira attorno ai 35 miliardi di euro). Solo dopo l'uscita sul giornale dell'inchiesta, Amazon ha cancellato prodotto e recensioni.
Ma evitare le recensioni false in rete è impossibile, anche se un algoritmo intelligente e un incrocio di indirizzi IP potrebbero aiutare. Anche Amazon si sta muovendo in questo senso e intanto ha presentato denuncia contro alcuni portali di false recensioni. Ma esistono eserciti di influencer in grado di indirizzare le opinioni online. Profili Facebook e Twitter del tutto inventati, capaci non solo di recensire un prodotto o di giudicare un'azione, ma anche di creare vere e proprie discussioni del tutto false.
Sui libri il discorso è ancora più complesso. Che dire di un libro di un perfetto sconosciuto che pubblica in self e che, nel giro di poche settimane, accumula più di cento recensioni di cui la maggior parte a quattro o cinque stelle? Il lettore dovrebbe diventare guardingo come una lince e astuto come una volpe e chiedersi: come mai l'autore Pinco Pallino con il suo libro "Nonna Papera e le 50 Sfumature", pubblicato un mese fa, ha più recensioni di Ken Follet con "I Pilastri della Terra", pubblicato nel 2007? (Nonna Papera 165, I Pilastri 121, ad oggi 23 ottobre 2015). Non aggiungo altro se non meditate lettori, meditate. Del resto questi sono gli effetti collaterali del web. Se volete approfondire la questione, vi consiglio di leggere questo articolo: http://www.pensierocritico.eu/manipolazione-mediatica.html.
Published on October 23, 2015 01:47
October 13, 2015
Il potere oscuro delle donne
Le donne, creature dotate di poteri iniziatici. Nelle società antiche vigeva il matriarcato e si ipotizza che il potere e la sacralità fossero femminili. Dominavamo il mondo, ebbene sì! Ipotesi affascinante, che gli ancestrali culti delle dee della fertilità non fanno che confermare. Oggi restano testimonianze di quelle antiche culture in Africa e in America meridionale, dove alcune tribù sono ancora matriarcali. Nei secoli però vi fu un lento processo di demonizzazione e mistificazione da parte degli uomini, che relegarono l'universo femminile da un ruolo predominante a quello dipendente.Ecco sorgere dunque, accanto a divinità maschili solari e positive, una schiera di divinità femminili oscure, lunari che, non solo hanno in sé difetti morali ma possiedono corpi repellenti. Divinità votate alla perdizione e chi, fra esse possiede anche una bellezza eclatante, di solito è una maliarda assetata di sangue e non solo in senso figurato. Sapete vero che i vampiri prendono origine dalle Lamie e dalle Empuse, della mitologia classica, greca prima e romana poi? Ebbene, scopriamo queste terribili femmine che hanno fatto tremare intere generazioni di uomini.
Le Arpie erano divinità mostruose generate da Gea la Terra, e forse la loro origine vuole mitizzare le tempeste. I loro nomi? Ellopus, dai piedi come il vento; Occipete, colei che vola rapida; Celeno, l'oscura. Divinità alate dai lunghi capelli disciolti e sventolanti, che Virgilio descrive così nell' Eneide: “...vergini ai volti, uccelli e cagne l'altre membra. Hanno di ventre un fetido profluvio, ond'è la piuma intrisa e irta; le man d'artigli armate, il collo smunto; la faccia, per la fame e per la rabbia, pallida sempre e raggrinzita e magra”.
Astarte,dea semitica dell'amore lubrico e dissoluto, dea guerriera che uccide per il sadico piacere di farlo. Divinità fenicia e cananea, sposa di Adone, legata alla fertilità, alla fecondità e alla guerra e connessa con Ishtar, divinità babilonese. La si venereva a Sidone, Biblo e Tiro, a Malta e persino a Erice in Sicilia, dove venne identificata con Venere Ericina. Dalla XVIII dinastia, in Egitto, divenne anche parte del pantheon egizio, identificata con Iside, Sekhmet e Hathor, mentre in epoca ellenistica fu accomunata ad Afrodite (la Venere dei Romani) come Urania e Cipride, da qui il nome dell'isola, dove c'era un centro del suo culto.
Ecate,
la fi
glia della notte, la Luna sovrana degli Inferi che vaga di notte con le anime dei defunti, accompagnata da cani ululanti. Ecate la giovane, l’anziana, l’esploratrice della psiche, levatrice e divinità dei crocicchi, potente e saggia. Trivia e multiforme, Esiodo, nella sua Teogonia, le dedica un Inno dove Zeus concede alla dea potere supremo sulla Terra, sugli Inferi e sul Cielo. Le concede anche i diritti originari come discendente delle divinità femminili primordiali, fra cui quello di accordare o negare ai mortali ciò che desiderno. A lei Demetra si rivolge nella sua disperata ricerca di Persefone, sua figlia.
Echidna, mostro con busto di donna e il corpo serpentino. In uno dei tanti miti che la vedono protagonista, si narra che vivesse in una caverna della Cilicia, altri invece la collocano nel Peloponneso, dove sarebbe stata uccisa da Argo dai Cento Occhi, perché aveva l'abitudine di divorare i passanti. A lei, nonostante la mostruosità, si attribuivano molti figli. Con Tifone generò la Sfinge, Cerbero, l'Idra di Lerna e la Chimera, tanto per citare i più famosi. Ma nelle colonie greche del Ponto Eusino (Mar Nero) si raccontava che Eracle, giunto in Scizia, aveva lasciato i suoi cavalli liberi di pascolare. Al suo risveglio erano scomparsi. Cercandoli, si imbattè in Echidna che gli promise di restituirglieli se avesse acconsentito a unirsi carnalmente a lei. Eracle accettò e nacquero tre figli: Agartiso, Gelono, eponimo della città di Gelona, e Scite; quest'ultimo dette il nome alla stirpe degli Sciti.
Le Empuse sembra appartenessero alla cerchia di Ecate, di cui erano le ancelle. Avevano la pessima abitudine di terrorizzare i viandanti, divorando coloro che percorrevano i sentieri, ingannandoli mutando il loro aspetto. Le forme in cui si mutavano più spesso erano quelle di cagna o di vacca. Ma per attirare le proprie vittime a volte divenivano donne dalla folgorante bellezza. Possedevano lunghi artigli, piccole ma affilate zanne, occhi rossi e pelle pallida. Le Empuse più potenti potevano divampare come un fuoco per sfuggire al nemico. Si nutrivano di sangue, come le Lamie.
Le Erinni sono personificazioni della vendetta chiamate Furie, nella mitologia romana. Hanno serpenti al posto dei capelli, pelle nera e vesti grigie. La madre Gea le ha partorite dopo essere stata fecondata dalle gocce di sangue del suo sposo Urano, dopo che il figlio Saturno gli aveva reciso i genitali. Ma un mito successivo le dice figlie della Notte. I loro nomi sono Aletto, Megera e Tisifone e, al fine di placarle, si sacrificano loro pecore nere. Di solito venivano rappresentate come creature alate, urlanti, con in mano torce, fruste o tizzoni ardenti.
Tre erano anche le Gorgoni, Steno, Euriale e Medusa. Quest'ultima era tanto bella che aveva osato paragonarsi ad Atena e la Dea, offesa, la punì mutandole i capelli in serpi, la pelle del corpo a squame. Il suo sguardo era tanto terribile da trasformare in pietra chiunque osasse fissarla. Fu Perseo a ucciderla e l'eore fuggì da Steno e Eurilale, in cerca di vendetta, in groppa al cavallo altato Pegaso, servendosi della testa decapitata di Medusa per sconfiggere i suoi numerosi nemici.Le tre Graie, simboleggiavano i vari momenti della vecchiaia. Non avevano mai vissuto la gioventù, possedevano un solo occhio e un solo dente in comune. Erano custodi del luogo in cui vivevano le loro sorelle, le Gorgoni. Perseo rubò loro l'unico occhio e le costrinse a confessare dove si trovassero l'elmo, la bisaccia e i sandali, oggetti indispensabili per uccidere Medusa. Il fatto che avessero un solo occhio in comune consentì all'eroe di passare inosservato e subito dopo Atena gli donò uno scudo, tanto lucente e levigato, che vide il riflesso di Medusa e potè ucciderla senza fissarla negli occhi.
Lamia, secondo un mito tramandato anche da Plutarco, era la bellissima regina della Libia che catturò l'interesse di quel cascamorto di Giove e divenne la sua amante. La dea Era, moglie legittima, si vendicò uccidendo i figli della coppia, pare che l'unica a salvarsi fosse Scilla; Lamia, distrutta dal dolore, cominciò a divorare i bambini delle altre madri, dei quali succhiava il sangue. Un comportamento contro natura che la trasformò poco a poco in un essere ripugnante, capace di mutar forma e apparire attraente per sedurre gli uomini allo scopo di berne il sangue. Si dice che Giove, impietosito, le concesse il dono di togliersi gli occhi e di riporli in una ciotola prima di dormire, affinché potesse essere sempre vigile e attenta.
Scilla, ninfa dagli occhi azzurri, viveva in Calabria ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle. Una sera vide apparire dalle onde Glauco, figlio di Poseidone, un tempo mortale, oramai divenuto divinità marina, metà uomo e metà pesce. Glauco scorgendola volle urlarle ilsuo amore, ma la ninfa fuggì così il dio si recò dalla maga Circe, chiedendole un filtro d’amore. La maga gli propose di unirsi a lei ma Glauco si rifiutò di tradire l'amore per Scilla e Circe, furiosa, si vendicò versando un filtro malefico nel tratto di mare dove Scilla era solita fare il bagLa ninfa si immerse in acqua e il filtro la trasformò in un mostro enorme, con sei teste di cane e gambe serpentine. Per l’orrore la povera ninfa si gettò in mare, nascondendosi nella cavità di uno scoglio vicino alla grotta, dove abitava Cariddi.
Cariddi era stata una naiade un tempo, figlia di Poseidone e Gea. Dedita alle rapine, sempre affamata, un giorno rubò a Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Zeus, irritato la scaraventò in mare e la trasformò in un gigantesco mostro, insaziabile. Cariddi risucchiava l'acqua del mare, poi la rigettava creando enormi vortici che affondavano le navi. I marinai disperati venivano poi divorati da Scilla. Secondo il mito, gli Argonauti riuscirono a scampare al pericolo grazie a Teti, la nereide madre di Achille.
Published on October 13, 2015 03:08
September 7, 2015
Ci vuole il lieto fine...
Il Romance non è altro che l’Amore, quello con la A maiuscola, sbriciolato in storie diverse ed intriganti. Una raccolta di sentimenti ed emozioni trasferite sulla carta stampata. Ma, come nella vita, anche nel campo del Romance si devono seguire certe regole, ovvero uno speciale canovaccio. La trama di questo genere di libri esige dei cliché particolari, che vanno rispettati dagli autori che si accingono a scrivere questo tipo di storie.
La prima regola principe che non va mai, ripeto mai disattesa, è questa: un romance deve avere sempre il lieto fine. Ovvero l’eroe non deve morire (tanto meno l'eroina). Anzi, se non muore nessuno è ancora meglio; manco il gatto, il cane o il cavallo preferito del duca. Magari il protagonista può finire nella pentola di un cannibale, perdersi nel Sahara in compagnia di uno scorpione velenoso, essere trascinato da un ciclone o finire nella pancia della cugina di Moby Dick, ma dovrà comunque uscirne sano e salvo. Va benissimo se, a causa di queste banali disavventure, rimarrà sfregiato, zoppo, privo di un occhio o avrà il corpo (meglio se muscoloso, eh?) martoriato. Bene, anzi, benissimo. Più l'eroe è vissuto, tormentato, bistrattato e pure sfigato più piacerà alle lettrici e non dimenticate la regola nella regola: una parte della sua anatomia non si tocca. So che avete capito quale.
Secondo caposaldo del romance: i due protagonisti si devono incontrare entro il primo o il secondo capitolo, sacrosanto. Sembra logico, vero? Eppure a volte non è così. Ho letto di recente un libro Romance contemporaneo dove l’eroina arriva subito (eh, ci mancava!) ma l’eroe (che evidentemente aveva impegni inderogabili altrove) si è presentato a pagina 70 su 200. Il fellone. Navigatori solitari, eremiti, anacoreti, misogini vanno bene in altri contesti ma nel Romance, per carità, dateci uno straccio di eroe, sfigato o sciancato che sia, ma datecelo presto. Le nostre povere eroine dovranno pur rodersi il fegato e soffrire fin dalle prime pagine, vi pare? E visto che noi lettrici ci immedesimiamo nella storia, esigiamolo! Una sola eccezione è ammessa: quando nel nostro libro c’è una schiera di eroi potenziali e la nostra eroina (e pure noi) dovrà passare il resto del libro a scegliere il maschio Alpha di suo gradimento (beata lei).
Nel romance contemporaneo basta con le eroine vergini sopra i venticinque anni. Non sarebbe credibile, perché i tempi sono cambiati, care le mie autrici. Basta con le pulzelle illibate vergini a ventisei anni o più. Che magari sono pure belle, gnokke e intelligenti. No scusate, ma dove stanno i signori uomini mentre queste rarità gironzolano indisturbate? Allo stadio? Non è credibile. Sia chiaro, adesso non è che vogliamo Ruby Rubacuori, ma che ne dite di una via di mezzo? Vero che una vergine è un bocconcino prelibato per l'eroe di turno, il premio più ambito e succulento che giustifica tutti i guai che gli piombano sul groppone, ma si sa, in medium stat virtus.
Altra regola (non essenziale) è che l’eroe può anche essere povero, ma non in una situazione economica peggiore di quella dell’eroina. Dico, fateci sognare in pompa magna. Se deve essere F.F.F. (Figo Fisicato Fascinoso) datecelo ricco sfondato e appartenente a uno stato sociale piuttosto elevato. Un nobile è il top di gamma e le accoppiate meglio riuscite sono: conte/cameriera, duca/sempliciotta, uomo d’affari/vedova spiantata e via così. Unica eccezione, il caso di un tizio che ha fatto fortuna in circostanze singolari: si è perso nel Sahara, il cammello è precipitato in un burrone e lui, per recuperarlo, è incappato in una miniera d’oro.
Regola invece da rispettare sempre è che gli eroi non devono mai essere indolenti fino all’ultima riga o cattivi senza speranza o crudeli senza redenzione. I nostri/vostri eroi devono possedere uno spiccato senso dell’onore, anche se agli occhi del mondo sembra che non ne abbiano affatto. Possono essere assassini, sicari, pessimi soggetti. Spietati sì ma, alla fine, si devono riscattare. E le eroine? Mai troppo rancorose, invidiose o cattive. No alle copie delle sorellastre di Cenerentola e, per l’amor del Cielo, non chiamatele Genoveffa! Voi direte: ma la libertà di scrivere ciò che ci piace? Eh cari aspiranti autori di romance, se non rispettate i cliché farete penitenza ovvero il vostro libro, al secondo capitolo, volerà dalla finestra.
Siamo alla regola numero sei. Le vostre eroine devono sempre essere credibili. Non propinateci una protagonista che sa leggere i caratteri cuneiformi e parla l’antico egizio, che sa sparare con un MK47 e centra un passero a due chilometri, conosce la meccanica quantistica e, udite udite, ha allevato i dieci fratelli e le tre sorelle sola e senza un soldo. Tutto in una volta. O magari è stata picchiata dalle perfide cugine o dal solito zio adottivo (e caprone). Dateci un taglio, così è TROPPO. Questa non è un’eroina di un romance, è XENA la Principessa Guerriera. Le vogliamo umane, credibili e realistiche. Altrimenti la prossima volta ci leggiamo uno di quei fumetti delle super eroine, ma allora non è più un Romance.
Fatemi fare una piccola digressione e concedetemi il privilegio di darvi un consiglio: nel Romance bisogna usare la fantasia ovvero: siamo sicure che le lettrici non siano un po’ stufe di tutti questi conti inglesi belli, muscolosi, ricchi, dissoluti fino alla noia? Proprio qualche giorno fa, rileggendo un libro di una grande scrittrice che ha pubblicato una serie con un sacco di fratelli e sorelle, ho fatto questa riflessione: ma a Londra, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, c’erano solo libertini depravati e belli da togliere il fiato? Con capacità amatorie degne di un dio greco, ricchi sfondati e annoiati a morte perché perseguitati da una schiera di zitelle o aspiranti al loro titolo? Disposti, alla fine, a piegarsi davanti a una verginella imberbe, che d'un tratto fa mutare la loro natura con la stessa facilità con cui l'azzurro muta nell'arancio durante un tramonto? Diamine (come direbbe il nostro eroe di origine anglosassone) perché mai non sono nata in quel periodo?
Buona scrittura!Ultima regola, da non disattendere mai: non fate mancare le nozze e il frutto dei teneri lombi, ovvero la nascita di un pargoletto che tramandi l’altolocata stirpe. Un classico che piace sempre e a volte strappa pure qualche lacrimuccia. Meglio che tutte le lettrici siano invitate al matrimonio fastoso, segreto, anticipato o con licenza speciale. In ogni caso, insomma, fate passare i vostri eroi e le vostre eroine davanti all’altare. Anche solo per un saluto.
Published on September 07, 2015 07:49
July 30, 2015
Armi bianche che passione!
"Arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt et lapides et item silvarum fragmina rami et flamma atque ignes, post quam sunt cognita primum. Posterius ferri vis est aerisque reperta". "Antiche armi furono le mani, le unghie, i denti, le pietre e i rami spezzati nelle selve, poi le fiamme e il fuoco appena furono noti. Più tardi fu scoperta la forza del ferro e del bronzo." È nientepopodimeno che il poeta latino Lucrezio (I sec. a.C.) che, nel Libro V del suo De Rerum Natura, descrive la nascita delle armi, dall’età della pietra a quella delle armi bianche. L’origine del termine arma è sfuggente. La parola potrebbe derivare dal latino arma, plurale di un supposto armum che gli antichi dedussero da arceo, respingere, oppure da armus(armòs, in greco) che significa “omero” o “braccio” e indicava qualcosa che stava appeso alle spalle. Alcuni filologi ipotizzano invece che derivi dal celtico harn, cioè ferro o dall’antico germanico har, esercito. Di sicuro ha la stessa radice di ramo, in diretta relazione con l’inglese e il tedesco arm, braccio.
Diciamolo: l’immagine del cavernicolo Grunt con la clava in mano fa parte dell'immaginario collettivo ma in effetti clave, bastoni, mazze, martelli, sono le cosiddette armi da botta, ovvero armi da offesa, con manico più o meno lungo, atte a ferire, ammaccare, contundere mediante percossa. I ritrovamenti archeologici inducono a ritenere che le prime armi usate dall’uomo abbiano fatto la loro comparsa durante l’ultima glaciazione, circa 70.000 anni fa: si trattava di zagaglie, arponi e cuspidi, ma sicuramente la prima arma utilizzata dall’uomo fu la pietra, usata come corpo contundente e quindi scagliata contro il nemico o gli animali.
La clava pare sia stata la prima (quindi la più antica) arma fabbricata dall’uomo. Seguirono la mazza a punta di corno, la lancia con punta d’osso o di legno indurito al fuoco, e l’arco. L’arco segnò una vera e propria rivoluzione innovativa, poiché basato su un differente sistema di propulsione rispetto alla lancia. Dopo bastoni e mazze quindi arrivano la scure e le armi di selce nell'età della pietra, che furono alla base dell’utilizzo della lama vera e propria, un pezzo di metallo di forma appuntita, con una o più parti affilate (il filo). Oggi esistono armi da taglio, quelle col filo sulla lama (spade, coltelli, sciabole, asce) o armi da punta (pugnali, picche, lance, baionette) che non presentano il filo ma hanno solo la punta acuminata, necessaria per penetrare e/o sfondare come alcuni tipi di stiletto, i fioretti e il “becco di corvo”. Le armi da lancio (arco, fionda, balestra) invece, grazie alla forza fisica e in abbinamento a dispositivi meccanici, servono per lanciare anche a distanze considerevoli i proiettili di varia natura: pietre, frecce, giavellotti e chi più ne ha più ne metta.
Chi scrive libri storici deve avere almeno una piccola infarinatura di armi. Chiariamo innanzi tutto perché vengono chiamate armi bianche. Esistono due teorie: una indica come motivo il fatto che le lame scintillano alla luce del sole e assumono un colore bianco, l’altra la differenza con il colore quasi nero della polvere da sparo.Bianche o meno, tagliano e la loro origine va collocata a cavallo dell’anno mille, epoca in cui la produzione dell'acciaio (massa ferrosa, carbone e aria), cominciò ad avere un certo sviluppo. L’acciaio ottenuto, ricco di ossido e scorie, veniva temprato con il sistema della martellatura e del riscaldamento e non è escluso che già i romani conoscessero questa tecnica, poi dimenticata con la caduta dell’Impero. Uomo primitivo a parte, gran parte dei sistemi di combattimento con la spada dell’alto medioevo risalgono agli usi delle tribù germaniche che invasero l’Europa. A partire dal V secolo d.C. Goti, Longobardi, Franchi, essendo abili nel maneggio di lunghe spade da usarsi in coppia con lo scudo, diffusero anche in Europa l’uso del duello come sistema per dirimere le questioni d’onore o invocare il giudizio di Dio, come raccontavo in un articolo sui duelli di qualche tempo fa.
Questo tipo di lame però presentavano diversi svantaggi: perdevano facilmente l’affilatura e richiedevano una levigatura e una pulizia minuziosa dalle macchie lasciate dagli alimenti. Eh sì perché, oltre che per uccidere, pugnali e affini si usavano a tavola. Fino al XIII secolo infatti i cibi venivano serviti già tagliati e, per infilare carni o vivande solide, i commensali utilizzavano le lame personali, le stesse impiegate nella caccia o durante i combattimenti. Per intenderci, Caio uccideva Tizio con una pugnalata poi andava a pranzo e, con lo stesso coltello, infilzava una bella coscia di pollo arrosto. Ecco anche spiegata la ragione per cui, oggi, i coltelli sono generalmente a punta tonda: fino all’inizio del ‘600 l’estremità della lama era aguzza, perché serviva appunto per infilzare il cibo e portarlo alla bocca.
Comunque, la prima vera e propria industria di coltelli è documentata in Italia in quel di Firenze, a partire dal 1244 dove, insieme alle forbici, si esportavano coltelli nell'Impero Bizantino e si ricevevano ordinazioni da parte della corte pontificia. Nel Rinascimento, con il migliorarsi delle tecniche di lavorazione dell’acciaio, la coltelleria italiana conobbe grande splendore grazie ai laboratori del Ducato di Milano e della Repubblica di Venezia. Lo sviluppo delle tecniche di combattimento a cavallo favorirono l’ascesa dell’uomo armato e i cavalieri si specializzarono in tutti gli scontri con ogni tipo di arma. Feroci tornei a cavallo, con profusione di morti e feriti, caratterizzano, insieme alle cacce, il passatempo preferito del signore medievale fino al secolo XIII e degli inizi del XIV. Dalla metà del Trecento l’uso più frequente della spada a due mani determinò l’inizio di una prima tradizione della scherma (sec. XIV-XV), allora basata prevalentemente sulla potenza. Va però precisato che la spada nacque come diretta evoluzione del ben più antico pugnale (ricordate? I rudimentali esemplari in selce del cavernicolo Grunt, quello della clava…) verso la fine del II millennio a.C., all’epoca della civiltà egeo-micenea. Erano spade molto sottili, dalla lunghezza ragguardevole (fino a un metro di lama) e che già all’epoca tendevano a essere abbellite con pietre ed eleganti cesellature. Lama ed elsa erano in bronzo, a quei tempi.
Lame e affini quindi si diffondono dal bacino Mediterraneo Orientale in tutta Europa. Attorno all’VIII-VII secolo a.C. vennero introdotte dai Celti, in Illiria e in Borgogna, le prime spade di ferro. Proprio i Celti, in particolare quelli della civiltà di La Tène, utilizzavano un particolare tipo di spada abbastanza lunga e spuntata, che andava usata unicamente di taglio.Gli opliti greci erano invece soliti impugnare spade corte a doppio taglio e, propriodall’evoluzione di queste ultime, venne introdotta a Roma, dopo la battaglia di Canne, la corta spada usata sia di taglio che di punta, il gladio, in dotazione ai legionari, mentre gli equitesusavano le spathae, assai più lunghe. Con le invasioni barbariche e per tutto il Medioevo, l’uso della spada ebbe ancora una maggiore diffusione a causa del significato sempre più mistico e magico che le veniva conferito. Vi era infatti la tradizione di conservare reliquie sacre sul pomo a forma di croce, che ebbe larga diffusione in quell’epoca. Per questi motivi la spada era usata nella singolar tenzone per conferire il “giudizio di Dio”.
Nei miti dei popoli germanici abbondavano riferimenti sulla natura magica o ultraterrena della spada: nel più importante poema epico, Beowulf, veniva menzionata Hrunting, antichissima e famosa per non aver mai fallito un colpo, appartenuta a un certo Unferd, mentre la spada di Beowulf si chiamava Nagling. Nella Chanson de geste del ciclo carolingio importantissima è, nella Chanson de Roland, la spada Durlindana. La tradizione narra che fosse stata consegnata al paladino da Carlo Magno che, a sua volta, l’avrebbe ricevuta da un angelo con l’incarico di donarla al più valoroso tra i suoi cavalieri. Essa era di un acciaio tanto temprato da rendere impossibile a Rolando, in punto di morte, di distruggerla per non farla cadere nelle mani degli infedeli. La spada infatti era custode, nel pomo, di sacre reliquie capaci di conferirle un potere divino: un dente di San Pietro, il sangue di San Basilio, i capelli di monsignor Dionigi e persino un lembo della veste della Vergine Maria.
Ma spade, lame, coltelli, pugnali quali dinamiche lesive provocano su chi ne è rimasto o ne può rimanere vittima? Dal campo storico-narrativo facciamo un cenno all’ambito medico-legale. Tutte le ferite da arma bianca rientrano nell’ambito delle lesioni da energia meccanica e sono di aspetto differente: da punta, da taglio e da punta e taglio, a seconda che lo strumento offensivo agisca con un’estremità acuminata, il filo della superficie tagliente o entrambi, come si verifica nei coltelli appuntiti. Nelle lesioni da arma bianca prevale l’estensione in superficie anziché in profondità e, se si volessero riassumerne le forme tipiche, le potremmo classificare in quattro grandi gruppi: ferite da difesa (nella vittima, nel tentativo di porre resistenza all’aggressione); ferite da svenamento (indicative di suicidio nelle zone auto-aggredibili come polsi o regioni inguinali); ferite da scannamento (recisione delle "canne del collo", laringe e trachea); ferite da sventramento (squarcio della parete addominale con fuoriuscita di visceri).
A questo punto, possiamo dire che non esiste un evento, storicamente determinante, che non sia stato legato a fatti d'arme. Le armi bianche furono strumento e simbolo, tanto da accompagnare l'uomo o il guerriero anche nella sua ultima dimora. Dagli scavi di tombe proviene infatti il materiale più significativo e superstite delle culture e dei popoli che investirono l'Europa in grandi migrazioni.Nel Medioevo, determinati armamenti furono prerogativa del ceto nobile, all'interno del quale si riflettevano notevoli differenziazioni di rango nel corredo bellico. Le masse popolari invece utilizzavano armi e attrezzi a seconda del bisogno, ma forgiare armi o i loro componenti non era un mero fatto artigianale o solo un contributo economico al proprio o altrui sostentamento: significava partecipare in modo più diretto alla vita della propria città e avere la possibilità di inserirsi nel grande commercio internazionale di armi, sempre in fermento.
Allora, chi di voi vuole cimentarsi in un duello all'arma bianca?
Published on July 30, 2015 02:03
July 28, 2015
Effetto Domino di Edy Tassi - La mia recensione
Autrice: Edy Tassi Genere: Erotico ContemporaneoAmbientazione: Italia, Lago di Como Editore:Harlequin/Mondadori, coll. Harmony Passion, luglio 2015, pp. 312, €10,97 Livello sensualità: Molto Alto Disponibile in Ebook: Sì, euro 6,99
Trama: nascosta dietro l'obiettivo della macchina fotografica, Gloria è sicura di essere intoccabile. E invisibile. Di poter scegliere lei ogni mossa, anche con gli uomini. Seducendoli, amandoli senza inibizioni, e poi lasciandoli prima di poter provare emozioni troppo intense. Prima di poter soffrire. Ma nessuno può sfuggire alla propria storia. E quando il passato la chiama con forza dall'Africa alle sponde scintillanti del Lago di Como, Gloria comincia a seguire le tracce di una verità scomoda, di una storia familiare misteriosa e affascinante. Al centro di tutto c'è l'enigmatica e imponente Villa Visdomini. e un uomo, Marco, che è tentazione pura, pericoloso come il fuoco che divampa tra loro. Questa volta Gloria non può più nascondersi.
Sono sulla strada che porta da Como a Cernobbio. Si susseguono, senza sosta alcuna, curve e scorci improvvisi di un paesaggio suggestivo, che entra sotto la pelle. Come se lo avessi già visto in un momento preciso della mia vita o, forse, in una vita passata. Poi alzo gli occhi e, tra i folti cespugli di oleandri dai fiori rosa e fucsia, tra le foglie lucide delle magnolie, la vedo.
Villa Visdomini è lassù, così reale nel mio immaginario di lettrice che posso toccarla con mano. Posso aggirarmi nelle sue stanze, passeggiare nel suo giardino; posso respirare i profumi intensi dei fiori, dell’erba perfettamente rasata, posso riposare all’ombra degli alberi secolari. Ma non è il riposo ciò che cerco e non sono sorpresa quando, tra i cespugli, appaiono Gloria e Marco, i protagonisti del libro. Non li sto spiando, sia chiaro. Voglio solo godermi ancora la loro bella e sofferta storia d’amore.
Effetto Domino, il nuovo libro di Edy Tassi, ha questo magico potere: offre al lettore un viaggio tra visioni sensuali, segreti da svelare, personaggi descritti tanto bene da sperare di incontrarli per strada. Ballando col Fuoco, il suo primo romanzo, è stato un assaggio, uno stuzzichino che ci ha fatto venire l’acquolina in bocca, un libro con il ritmo e l’andamento di una danza classica. Lento dapprima, poi acceso dalla passione. Effetto Domino è un tango sensuale, cadenzato, che colpisce al cuore già dalle prime pagine. Stuzzica, coinvolge, rosso e vivido come la danza argentina.
I protagonisti sono un uomo, una donna, l’eros e i sentimenti. Tutti coinvolti in modo diverso in una vicenda umana che affascina, coinvolge e spiazza il lettore. L’autrice mette a nudo vicende del passato, segreti e debolezze umane con una delicatezza e una chiarezza che stupiscono, che coinvolgono. Ma la penna di Edy Tassi ha scritto tante righe, ha fatto tanta strada e sa esattamente dove ci sta portando. La vita è solitudine, è isolamento. Ne sa qualcosa Gloria Montanari, fotografa. Attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica assiste alle vicende della vita, tenendosi in disparte. Non si mette in gioco, lei che del gioco d’azzardo è una vittima indiretta, lei che si è lasciata trascinare come una banderuola dal padre, su e giù per un continente che non è la sua patria e mai lo sarà. Perché un pezzo del suo cuore è in Italia, sul lago di Como. Solo che lei non lo sa ancora e, quando decide di andare a cercare le proprie origini, scoprirà un mondo fatto di emozioni, sentimenti e legami che non sospettava, né immaginava. Gloria tenta di nascondersi nel buio di una stanza, tra le lenzuola stropicciate dal sesso. Illusa. Qualcuno la scoverà, perché la vita ci trascina, implacabile, verso il nostro destino.
In questo viaggio per ritrovare le sue origini incontrerà figure del passato ormai irraggiungibili e persone vive, reali, che la colpiranno al cuore. Buone o cattive, la strapperanno in modo definitivo a quell’apatia dei sentimenti in cui si è crogiolata fin troppo a lungo. Sarà Marco Galbiati, pur senza rendersene conto, a tessere la tela destinata a imprigionare questa donna e noi lettori saremo le altre vittime di questo intreccio che incalza, che non lascia tregua fino alla parola fine.
Il titolo è più che azzeccato: potete quasi sentire il tic, tic, tic delle tessere che cadono trascinate dalla prima, caduta mentre state leggendo la prima pagina del libro. Così è la vita, la vita vera. Così è questo romanzo, più vero del verosimile e solo quando Marco e Gloria usciranno allo scoperto, avranno il coraggio di tornare alla luce sotto l’obiettivo mettendosi in gioco per davvero, tutta la vicenda acquisterà senso e prospettiva. Il lieto fine è scontato in questo tipo di romanzi, ma non è scontata la strada lungo la quale Edy ci accompagna, con una scrittura asciutta, pulita e immaginifica. Un lieto fine che vi farà chiudere il libro con quel pizzico di nostalgia, che si prova quando un amico ci lascia per un viaggio e del quale si attende, con trepidazione, il ritorno. Il cuore in gola, gli occhi lucidi. Brava Edy. Avevo detto che era nata una stella. Oggi non posso che darvi la conferma che quella stella si è conquistata un posto di tutto rispetto nel nostro angolo di cielo, tutto italiano.
Published on July 28, 2015 07:13
June 30, 2015
ROMA 46 DC - VENDETTA di Adele Vieri Castellano
Un grazie di cuore alla mia carissima amica Francy della Rosa che mi ha fatto questo bellissimo regalo. Ovvio, lo ha fatto anche a tutte voi lettrici. Buona visione!
Published on June 30, 2015 15:08
June 24, 2015
Torna la serie Roma Caput Mundi - in self-publishing solo su Amazon & Kobo
Titolo: Roma 46 d.C. Vendetta
Autrice: Adele Vieri Castellano
Genere: Romance Storico
Ambientazione: Roma anticaPubblic. Italiana: AVC Historiae, 30 giugno 2015 260 pagg.Parte di una serie: sìLivello sensualità: medioDisponibile in ebook: Solo in ebook, € 4,99Cartaceo in uscita il 15 luglio 2015
Tornano i miei romani il 30 giugno 2015 con un nuovo episodio della serie Roma Caput Mundi. Questa volta sarete di nuovo nella capitale del mondo, a Roma, visiterete Ostia antica per poi inoltrarvi nelle folte, impenetrabili foreste dei territori dei Marsi, in Abruzzo.
Torna Marco Quinto Valerio Rufo con i protagonisti dei libri precedenti: Brinnone, Tassus, Ancilla, Giulia Urgulania, Tantile e altri nuovi, che non conoscete ancora ma sono sicura troveranno un posto nel vostro cuore. Torna soprattutto Arash Tahmurat, l'arciere siriano che abbiamo incontrato in Roma 42 d.C. Cuore Nemico. Questa volta tocca a lui trovare l'amore, quello con la A maiuscola. Ma la vera protagonista di questa storia chi sarà? A voi scoprirlo...
TRAMA: contraccambiare il male ricevuto con il male peggiore. Questo è ciò che ha spinto un uomo misterioso a compiere l’atto più nefando. Marco Quinto Rufo questa volta non dovrà combattere guerre, né affrontare feroci barbari ai confini dell’Impero perché la vendetta ha bussato alla sua porta e pretende un tributo di sangue. Non il suo, né quello di sua moglie ma quello di un essere indifeso che il vile, oscuro, nemico gli ha sottratto. Lui che non teme nulla e nessuno dovrà affrontare il Male Supremo, faccia a faccia, in una partita a due che avrà un solo vincitore ma non un solo protagonista. Perché in quei giorni oscuri e terribili di sofferenza, l’amore riuscirà a sconfiggere l’odio e un suo germoglio nascerà nel cuore dell’arciere siriano Arash Tahmurat…
Scr. Castra di Mogontiacum m. november a.U.c. 794 (41 d.C.) Gneo Cornelio Fusco a Publio Cornelio Magno salutem dicit!
Caro zio,
oggi mi è stato fatto un grave torto. Oggi qualcuno mi ha offeso, qualcuno che mi insultava già con la sola sua presenza al mondo, qualcuno che il nostro mondo non è pronto a ricevere né lo sarà mai. Di questo gesto infame sulla mia persona porterò i segni sul volto per il resto della vita ma questo segno inciso, che vedo riflesso nello specchio, altro non è che la fonte della mia vendetta, l’origine del male che la colpirà.
Zio, mio caro zio.
Sappi che l’ira non è la sola conseguenza dell’ingiuria e io ho subito la peggiore e la mia ira altro non è che il desiderio di contraccambiare il male ricevuto con il male peggiore. Io avrei voluto nutrire questo seme, io avrei voluto schiacciarla come il più vile scarafaggio ma lei arriverà a Roma con la bella stagione e lì dovrà pagare il conto, lì pagherà con la vita. La sua vita inutile. Io, che sono nato nel sangue dei Cornelii, io che ho respirato le stragi della nostra famiglia, io che ti ho visto gioire davanti al sangue versato dei nostri nemici. Io sono tuo figlio, io sono stato offeso e questo sangue a me strappato è anche il tuo.
Zio!
Sarai tu a realizzare la mia vendetta e già vedo nei tuoi occhi brillare una luce e so che quella luce è la stessa che brilla nei miei. Vedo le tue mani stringersi a pugno e poi aprirsi per ghermire il collo fragile, maledetto, che si spezzerà nella tua morsa, troppo debole per opporsi alla tua furia. Zio, vedo una fossa piena di sangue. Che spettacolo meraviglioso! Ne gioisco perché so che anche tu la vedi anzi, so che vorresti trasformare quella fossa in lago e quel lago in fiume scarlatto. Zio, caro zio, la mia ira diventerà la tua ferocia! Metterai il tuo piede sul suo cadavere e ti vanterai di questa impresa.
Zio, il mondo non sarà lo stesso finché non pagherà e ogni goccia del suo sangue muterà la mia smorfia in risata. Tu vibrerai il fendente e sarà come se lo facessi io. Ti manderò sue notizie al più presto, saprai il nome, il quando e il come e fino ad allora, vigila in silenzio.
Cura ut valeas!
Gneo
Scr. Roma, m. november a.u.c. 794 Publio Cornelio Magno a Gneo Cornelio Fusco a salutem dicit!
Caro nipote,
ho organizzato tutto! La baldracca germana morirà per mano di un sicario, la tua sofferenza verrà lavata dal suo sangue. Abbia fiducia, caro nipote. Ti informerò appena riceverò la lieta novella, abbi cura di te.
Vale!
Publio
Scr. Roma, m. aprilis a.u.c. 795 (42 d.C.)
Tito Lucrezio Licino a Gneo Cornelio Fusco a salutem dicit!
Caro amico Cornelio Fusco,
è con grande dolore che ti comunico la funesta notizia della morte di tuo zio Publio Cornelio Magno, avvenuta per mano di un ausiliare batavo di nome Quinto Decio Aquilato. Or dunque, chi è questo Aquilato? Un selvaggio, una nullità che si proclama fedele a Roma.
In senato mi sono sentito in diritto di ruggire, per chiedere ai miei illustri colleghi la sua testa, ma cosa credi sia accaduto? Nulla, che io sappia.
Oggi ho scoperto che è sparito, volatilizzato e che nessuno sa più dove sia. Dicono che sia stato prelevato e portato fuori città in un luogo segreto. Ma io credo di sapere chi ha tramato per costringere il Sommo Principe Claudio al perdono di quel rifiuto, di quella mentula di merda batava: è Marco Quinto Valerio Rufo! I suoi accoliti sono ovunque, quell’uomo è potente a tal punto che una sua parola ha reso il nostro Principe suo succube e ha valso la salvezza al vile barbaro. Io... sono... scandalizzato, Cornelio Fusco! Che ci sta succedendo, visto che permettiamo a volgari selvaggi di agire a loro piacere e trucidare illustri cittadini romani in casa loro? Come ha osato compiere un atto del genere? La lingua latina non contempla sufficienti epiteti ingiuriosi con cui catalogare questo infame! Fammi sapere cosa intendi fare, io sono non solo indignato ma disposto a qualunque mossa pur di vendicare questo ignobile gesto.
Vale!
Tito
Scr. Castra di Mogontiacum m. maius a.u.c. 794 Gneo Cornelio Fusco a Tito Lucrezio Licinosalutem dicit!
Caro Tito,
la funesta notizia mi è giunta poco prima della tua lettera. Sono troppo sconvolto per dilungarmi, non riesco a trovare parole, né di dolore, né di disgusto per ciò che è accaduto. Come posso sopportarlo?
Come posso sopportare questo insulto alla mia persona, alla mia famiglia, al mio essere profondamente romano? Sì, come posso sopportarlo? Mio zio, uomo stimato e retto, trucidato da un barbaro. Un volgare essere che non merita neppure di leccargli le suole dei sandali. La mia mano trema anche solo nel scrivere questa parola: barbaro.
Come se non bastasse, insieme alla tua lettera, mi è arrivato il dispaccio del divino Cesare che mi ordina di partire con la mia legione, alla volta della Britannia. Non avrò nemmeno l’onore e la possibilità di piangere il sepolcro del mio adorato zio!
Non poserò mai più gli occhi su di lui e forse neppure sulla sua pietra tombale. Non è giusto e io ardo come un fuoco perpetuo, urlo la sola parola che potrà lenire questa mia ferita sanguinante.
Vendetta.
Vendetta e ancora vendetta, solo questo. E sarà terribile, amico mio.
Terribile.
E tanto più dovrò aspettare in quelle lande desolate e lontanissime, tanto più la mia vendetta sarà spietata. Il mio sfregio, questa cicatrice che sfioro ogni sera e che segna indelebile il mio volto mi ricorderà ogni giorno, ogni istante il mio scopo.
Vendetta.
Rufo pagherà fino all’ultima goccia di sangue perché è lui la vera, sola vergogna di Roma.
Vendetta, solo questo dico e penso, solo per questo vivrò.
Vale!
Publio
Published on June 24, 2015 01:33











