Adele Vieri Castellano's Blog, page 3
May 31, 2015
Editing, correzione di bozze... questi sconosciuti
Sento molto parlare di editing e correzione bozze. Sarà perché ho un udito molto fine, perché se ne parla troppo e a volte a sproposito o perché sono termini che derivano dal latino? Il verbo edico, -is, -dixi, -dictum, -ere significa infatti proclamare, ordinare, annunziare e la parola editor definiva, nell’antica Roma, colui che produceva un testo. Prendo quindi spunto dai romani per spiegarvi la differenza sostanziale di queste due attività che dovrebbero, e il condizionale è voluto, svolgersi su ogni manoscritto che si appresta a conoscere gioie e dolori della pubblicazione. A volte sono attività intrecciate o sovrapposte, altre volte sono indipendenti l’una dall’altrama attenzione, non è possibile improvvisarsi professionisti, anche se studi umanistici sono di sicuro un ottimo punto di partenza. Ci vuole esperienza e tecnica, perché mettere mano a un testo, interpretare il pensiero e lo scrivere di un autore, intervenire in modo non invasivo per farne emergere lo stile, richiede una formazione molto solida. «Ma io leggo tantissimo, conosco bene la lingua italiana, trovo la maggior parte dei refusi. Quindi posso fare editing.»
Non illudiamoci, non funziona così.
Perché? Perché padroneggiare ogni registro linguistico non è semplice, così come non lo è capire quando il testo, da semplice elenco di parole, diventa una melodia durante la lettura. Esso deve scorrere in modo tale che, sistemate le consecutio temporum, la punteggiatura, l’ortografia, assonanze e ripetizioni, se ne ricavi l’impressione che non potrebbe essere scritto in nessun altro modo, senza tentennamenti, né stonature. Ogni singolo termine è una scelta precisa, mai casuale e ricordiamo che un buon editor è fondamentale per il successo di un libro. Maxwell Perkins e Saxe Commins, mai sentiti? Ve li presento: il primo è stato il grande artefice del successo di Francis Scott Fitzgerald e di Ernest Hemingway, editor capace di trasmettere a questi due grandi della narrativa mondiale la disciplina e la forza necessarie per
Maxwell Perkins
portare a termine i loro manoscritti. Cummings invece è colui che permise alle opere di William Faulkner di vedere la luce. Pensate che quando Perkins morì, nel 1947, Hemingway ebbe una profonda crisi produttiva, ed è forse proprio a causa della sua morte che tante opere di questo scrittore sono rimaste incompiute. In quegli anni il lavoro di queste fondamentali figure si svolgeva in perfetta armonia con gli autori. Bei tempi, direte voi. Finiti, dico io.Dunque, veniamo al sodo.
Prima di tutto, quando un manoscritto arriva in redazione per essere editato, viene adeguato alle norme redazionali, ovvero le regole che uniformano tutti i testi. Il Normario Redazionale, per capirci. Un esempio? Alcune CE scelgono per i dialoghi i caporali, altre le lineette. Queste regole servono in un certo qual modo a caratterizzare lo stile di una CE e l’intervento, in gergo, si chiama cucina editoriale. Poi si passa all’editing che, in generale, significa fornire all’autore gli strumenti necessari per capire e usare meglio le tecniche della scrittura creativa, analizzando e compiendo un lavoro all’interno del testo stesso con correzioni, suggerimenti e annotazioni. Risultato: un testo che aiuti l’autore a comprendere, approfondire, applicare le indicazioni ricevute per riscriverle, potenziate dalla nuova conoscenza.
La correzione bozze (o Proofreading) significa infine esaminare con estrema cura un testo, per far sì che nessuna imprecisione sfugga. Può farlo anche un professore di lettere. Qui si cercano gli errori grammaticali e i refusi, ci vuole occhio di lince e due o tre ri-letture. Ricordatevi che il correttore di bozze non è il tasto di correzione automatica di cui si fa grande uso: non si può sostituire in alcun modo lo sguardo umano.
Esempio per chiarire meglio la differenza tra queste due attività: l’editor deve correggere una data storicamente sbagliata o errata nel contesto del libro, il correttore deve preoccuparsi che sia scritta in modo corretto.
Questo l’antipasto, ora approfondiamo le portate.
Il Content Editing (o Developmental Editing) si occupa del libro nel complesso, in questo caso si lavora soprattutto su trama e personaggi. Esso deve fornire consigli e informazioni per correggere/modificare il testo o per suggerirne modifiche. Chi fa questo tipo di editing dovrebbe avere una buona conoscenza del genere (giallo, romance, fantascienza ecc.) e la capacità di rendere la storia coerente, insomma più l’editor è esperto più potrà esservi d’aiuto. Interagisce con il Line Editing, intervenendo sul testo con consigli tecnici per scrivere al meglio i dialoghi, mostrare i dettagli importanti, descrivere in modo efficace, scegliere e utilizzare in modo adeguato il POV dei personaggi per determinare quello più adatto in quel preciso momento del racconto.
Il Line Editing analizza il testo riga per riga. Il suo obiettivo? Perfezionare la tecnica narrativa, molto più di quanto non abbia fatto il Content Editing puro. A volte è quasi la totale riscrittura del libro e in questo caso le modifiche saranno pesanti. Verranno riformulate frasi per migliorarne chiarezza e flusso, spariranno le ripetizioni, i paragrafi troppo contorti, l’uso eccessivo del passivo, tanto per fare qualche esempio. In questa fase capita persino di riorganizzare i capitoli, i sottotitoli e i titoli, per renderli più accattivanti, divertenti o drammatici. Si modificano anche le parti dove l’autore diventa polemico o troppo introspettivo, dove usa termini troppo gergali. Un Line Editor esperto saprà formulare le giuste proposte per risolvere i problemi del manoscritto e aiuterà l’autore a trovare la sua voce, perfezionando la visione d’insieme.
Il Copy Editing si sovrappone parzialmente al line editing e alla correzione di bozze ed è quello che, in sostanza, si fa di solito nelle CE italiane. Perché? Perché gli editori hanno scoperto che il grande pubblico non è in grado di distinguere un libro scritto male da uno scritto molto bene e, di solito, nota solo i refusi o la grammatica zoppicante. Concludendo, la revisione editoriale, per usare un termine nostrano, è un’operazione che richiede amore per il testo e una buona cultura ma purtroppo tende sempre più ad essere identificata con la pura e semplice correzione di bozze. Nei paesi anglosassoni sono un po' più seri: quando parlano di editing, infatti, si riferiscono a una completa revisione, mentre qui in Italia si abusa di questa parola usandola a propria convenienza.
Nei paesi anglosassoni vengono editati anche autori importanti e questi accettano la revisione. Ovvio, direte voi. Mica tanto, rispondo io perchè qui da noi gli scrittori (anche gli scribacchini) gridano al sacrilegio quando qualcuno osa trovare un difetto ai loro capolavori. Una spiegazione ce l'ho per queste prese di posizione, spesso imbarazzanti. L'autore è innamorato così tanto di quello che scrive (manoscritto = figlio) che questo amore gli impedisce di vedere gli errori e le imperfezioni che commette.
Autori siate più umili, accettate i consigli, le critiche di chi vi corregge con cognizione di causa. Esse sono costruttive, vi aiuteranno e potete accettarle anche voi se lo facevano Fitzgerald, Hemingway, Faulkener... O no?
Concludo con una constatazione piuttosto amara: la maggior parte delle CE italiane non usa più gli editor (costano) e il pubblico è considerato una massa ottusa e poco attenta. Se lo fanno spesso usano brillanti universitari che sanno tutto (e non sanno niente) e sono pagati una miseria.
Mannaggina, vuoi vedere che fare l'Editor non è poi un mestiere così facile? Pensate che è anche pericoloso, visto che sono quasi estinti come le tigri. Groarrrrrrrrrrrrrrr!
Published on May 31, 2015 15:30
May 6, 2015
Vladimiro il vampiro e l’acqua calda
Niente di nuovo sul fronte occidentale. Sì, lo so, è un vecchio refrain ma funziona sempre. Dai, su, chiedetelo: cosa c’entra il conte Vlad Tepes con l’acqua calda. Avete idee? Sì? No? Nessuna? Ve lo spiego. In letteratura sono millenni che non c’è niente di nuovo. Spesso con le mie amiche autrici ci arrovelliamo su quello che ha scritto questa, su quello che starà scrivendo l’altra, preoccupate di plagiare o essere plagiate. Tranquille, ragazze. Come dicevo, non c’è niente di nuovo.Prendiamo un esempio abbastanza recente: Stephenie Meyer che, con la saga di Twiligth, ha ri-lanciato la moda dei vampiri. L’idea del libro pare le sia venuta in sogno. Ebbrava la nostra Steffy. Peccato che in Twilight non ci sia nulla di nuovo: streghe, vampiri e lupi mannari si aggirano tra gli umani da millenni. Le streghe, soprattutto nell’antica Roma, avevano una larga diffusione e possedevano diverse proprietà magiche. Il nome saga, che definiva queste donne brutte e vecchie, è indicato in un’antica iscrizione rinvenuta sull’Esquilino, nel 1718 (custodita oggi nel Museo Epigrafico Maffeiano di Verona).
È Cicerone che, in un brano del De Divinatione (I, 65), ci spiega l’accezione di questo nome derivato dal verbo sagire, che significa “avere buon fiuto”. Le sagae, infatti, pretendono di sapere tutto e in anticipo (da cui il verbo pre-sagire, ovvero anticipare il futuro). Ma i nomi per indicare le streghe a Roma sono tanti e indicano o la strega in generale, o una particolare forma di stregoneria: saga l’indovina, venefica l’avvelenatrice, anus la vecchia e strige, da cui deriva il temine moderno strega.Esso designa le donne che hanno la capacità di trasformarsi in uccelli, forse deriva dal verbo stridere, il verso che fanno di notte. In latino con strixsi identificano i rapaci notturni, oggi è il termine scientifico usato per classificare gufi, barbagianni, civette. Le strigae non si limitano a mutare forma o a volare nell’oscurità, vanno a caccia di bambini a cui succhiare il sangue e strappare le interiora con gli artigli. Per questo, sui dizionari latini, il termine strixè spesso tradotto anche con vampiro. Se volete conoscere meglio questi esseri mutaforma e succhiasangue, leggetevi un passo di Ovidio dei Fasti (VI, 131-168).
Le strigae non sono cadaveri immortali, ma hanno trasmesso ai vampiri moderni la ferocia con cui succhiano il sangue e la capacità di tramutarsi in animali notturni volanti, i pipistrelli. Esseri mostruosi, creati per spiegare le morti di bambini e neonati che, nel mondo antico, avvenivano di frequente. Dolore e superstizione hanno fatto sì che queste tradizioni si tramandassero. Stessa cosa in Grecia per il caso di Mormò, donna di Corinto trasformata in mostro dopo aver divorato i propri figli. Il suo nome deriva da mòrmoros, paura, perché terrorizzava i bambini mormorando il proprio nome.In ordine cronologico e più volte per secolo, la moda dei vampiri ritorna: John Polidori con Il vampiro (1819), J. Sheridan Le Fanu con Carmilla (1872), Jules Verne e Il castello dei Carpazi (1892), Bram Stoker con Dracula (1897), Sir Arthur Conan Doyle e Il vampiro del Sussex (1924), Richard Matheson Io sono leggenda (1954), Stephen King con Le notti di Salem (1975), Ann Rice Intervista col vampiro (1976), George R. R. Martin Il battello del delirio (1983) e potrei continuare fino ai nostri giorni. Steffy, gioia, non hai sognato un proprio un bel niente.
E l’erotico? Oggi di nuovo di gran moda in tutte le sue declinazioni: tradizionale, BDSM, M/M, F/F, sopra, sotto, avanti, indietro. Niente di nuovo nemmeno qui. Sono secoli che in letteratura si parla di pornografia, si vuole scandalizzare, esagerare, legare, frustare, si sodomizza pure, con discreta e appagante soddisfazione del lettore. Anche qui potrei farvi una lista lunga un chilometro o due, citandovi greci e romani. Vi risparmio, vi capisco. Signora E. L. James, per piacere, non si dia arie, questa è l’acqua calda. Anche lei ha scopiazzato qua e là, senza pudore. Ho notato però che le scopiazzature sono sempre più noiose, prive di approfondimenti, avanzi di briciole di genio letterario. Si va verso la semplificazione. Lui, lei, il vampiro, il sadomaso, punto. Fine.Mi intristisco quando sento lettori che urlano al fenomeno, che divorano pagine e pagine noiose, scribacchiate, prive di sostanza o approfondimento, anche romanzesco. Sono sterili questi racconti, ridotti al minimo. Minimo sforzo, sostenuto da un sagace marketing. Queste favolette insipide, condite di sesso e vampirismo, hanno successo perché vanno a toccare ciò che abbiamo stampato nel codice genetico: sesso, paura, mistero e, alla mancanza di sostanza, supplisce la pubblicità martellante. Alla fine, prendono per sfinimento anche coloro che non volevano saperne. Come i mass-media, anche gli scrittori sono diventati pressapochisti e superficiali.
In letteratura è lo stesso. Steffy, mia cara, uno dei principi cardine della narrativa è il conflitto. Senza conflitto non c’è storia, se il drago non rapisce la principessa non c’è niente da raccontare. Vi siete mai chieste dov’è il conflitto in Twilight? Bella è caruccia, intelligentuccia (le femministe di tutto il mondo hanno gridato allo scandalo) timiduccia, insomma, è una qualunque. La nostra eroina riuscirà ad abituarsi alla vita nell’uggiosa, grigia, piovosa, cittadina della provincia americana? Riuscirà a farsi nuovi amici? Sarà accettata? Ecco il perché del disagio che si prova (non tutti, qualcuno) leggendo Twiligh: non c’è conflitto perché la Meyer non è interessata a raccontarlo e risolve il problema più o meno a pagina quaranta. Bella ha già conquistato qualche amica, ha quattro spasimanti-sbavanti (scusate la rima), tra i quali il più figo, il più ricco e guarda caso, il più vampiro di tutta la scuola. Finita qui. Twilight non è narrativa, è pornografia letteraria. La pornografia è la concretizzazione delle fantasie erotiche, il suo fine principale è quello di indurre in uno stato di eccitazione sessuale con le immagini. Insomma, avete capito il senso.Idem la serie delle Cinquanta Sfumature, non è un caso che sia nata una “costola” di Twilight. Niente conflitto neppure qui. Anastasia e Mr. Gray sono pornografici, non perché per tutto il libro giocherellano (per finta) con il BDSM, ma perché inducono alla sola eccitazione pornografica e tutto è risolto nelle prime pagine, quando la nostra –uccia Ana inciampa sulla soglia dell’ufficio di MrGray: lui se ne innamora e stop, fine.
Nel fantasy Harry Potter è il trionfo del fantastico ma non possiede nulla di originale. A Harry va sempre tutto bene, con pochi sforzi. All’inizio fugge da casa solo, di notte, senza soldi, espulso da Hogwarts. Cosa farà per cavarsela? Niente.L’autobus magico lo raccoglie, il Ministro della Magia lo perdona, gli offre vitto e alloggio, tutto nelle prime pagine. Il mondo ai suoi piedi, comprese le leggi della fisica. L’unico che, fin da neonato si oppone a Voldemort, il mago più malvagio che ci sia. Dico io, visto che c'era ed era un mago potentissimo, non poteva prevenire tutto soffocandolo con un cuscino? Non c’entra che sia un romanzo per adolescenti, qui sta il successo della Rowling, come per i personaggi di Moccia, tanto per giocare in casa. Tutto facile, senza il minimo sforzo intellettuale.
Il Marchese de Sade non era solo un pervertito ma anche un “dispregiatore delle leggi, il liberatore del sesso, il ribelle” (Maurice Heine, 1884-1940) e nei suoi scritti, oltre alla pornografia, si leggono dichiarazioni rivoluzionarie su religione, morale, politica. Infatti passò in prigione buona parte della vita. Purtroppo niente di nuovo sul fronte occidentale e sono preoccupata: le novità si inaridiscono, proprio come le vittime dei nostri succhiasangue. Sempre più stringate ed essenziali e, in questo caso, per me è un difetto. Che noia, che barba, che noia.
Published on May 06, 2015 15:30
April 17, 2015
Come pubblicare un libro e soffrire il meno possibile...
Emozioni. Tutti proviamo emozioni, trasformare le nostre sensazioni in segni o grafia è un atto ancestrale, precedente all’invenzione della scrittura: l’uomo di Cro-Magnon, sulle pareti della grotta dei Balzi Rossi a Ventimiglia, disegnò bufali, bisonti, cervi. In quelle pitture celebrava l’ansia, la paura, l’euforia della caccia. Nel suo modo primitivo di esprimersi, faceva parlare la sua anima e comunicava con gli altri. Poi è arrivata la scrittura e i sentimenti, la gioia, il dolore sono diventate parole, testi, poesie. Essa non è solo un mezzo di comunicazione. È qualcosa di profondo, intimo ma dal semplice diario al romanzo, molta acqua scorre sotto i ponti.
Detto questo, tutti hanno una storia da raccontare. Ci innamoriamo delle parole, soprattutto di quelle che abbiamo scritto noi e il manoscritto, su cui abbiamo sudato per molte notti e molti giorni, è più di un parente prossimo: è un figlio. Per questo si scrive, per questo si ambisce alla pubblicazione e chi dice che non scrive per gli altri ma per se stesso mente, non sapendo di mentire. Nell’esatto istante in cui ha preso la penna in mano sa già che, prima o poi, qualcuno leggerà il suo intimo sentire, trasferito sulle pagine. Chi scrive, chi disegna, chi scava il marmo o modella la creta. Tutti lo fanno con un solo scopo: comunicare.
La carta è e resterà per sempre la testimonianza concreta di tutto questo, che sia di cellulosa o virtuale. Oggi con il self publishing è diventato facilissimo consegnare al mondo pensieri ed emozioni. Ma pare che esista ancora, prepotente e anelato dai più, il desiderio di essere pubblicati da una CE tradizionale. Desiderio più che legittimo, visto che vedere il proprio libro sugli scaffali delle librerie è davvero un’emozione unica.
Ma come si fa a pubblicare un libro? Quale sia la strada migliore o più rapida è scritto nelle stelle, quindi non lo sa nessuno. Direi che ogni manoscritto che arriva in una redazione segue un proprio destino, diverso e singolare. Andrà bene? Lo leggeranno? Perché non mi rispondono? Queste le domande, questi i miei suggerimenti, validi per tutte le pubblicazioni: cartacea, digitale o self-publishing.
Mandate il manoscritto a una casa editrice (CE) pertinente:niente gialli a chi pubblica saggi, niente storie d’amore a chi pubblica fantascienza e via dicendo. Sembra banale ma non lo è. Il “proviamoci lo stesso”, in questo caso, non ha senso. Vostro figlio finirà nel cestino, senza essere valutato.
Classificate il vostro libro: fatelo rientrare in un genere commerciale. La maggior parte delle CE tende a eliminare i testi inclassificabili. Quindi cercate di capire in che genere può collocarsi il vostro manoscritto: romanzo storico, romance, chick lit, giallo con tutti i sottogeneri (noir, pulp, thriller, mystery, romantic suspense), fantasy, paranormal romance, young adult, horror, memoir e mi fermo qui ma voi no, voi indagate ancora.
Non dimenticate mai che con una CE tradizionale è condito sine qua non presentare un testo corretto, di buona qualità. Prima di tutto un testo con un font adeguato e credetemi, anche il font ha la sua importanza ed è fondamentale. Lasciate perdere il Comic Sans o l’Arial o il Cambria, usate un classico e non sbaglierete, il vecchio, abituale Times New Roman. Essere originali è un pregio, volerlo essere un difetto. Non spedite testi non giustificati a destra. Orrore! L’ordine innanzi tutto e imparate a usare le spaziature al posto delle tabulazioni (!) andate a capo con l’invio e NON con una serie di spazi vuoti, doppio orrore. Nei dialoghi, per cortesia, usate i caporali anche se non li trovate su word. Cercateli, la maggior parte delle CE li usa, fatelo anche voi.
Vedo già le vostre facce: ma dai, Castellano, tanto poi la redazione corregge. Vi faccio una domanda: voi andreste a un matrimonio vestiti di stracci? L’occhio vuole la sua parte e, per un addetto ai lavori, aprire un manoscritto e vederlo in “disordine” è un approccio negativo e non aiuta. E non ditemi: ma insomma, queste cose sono ovvie, le sappiamo a memoria. Non è vero. Ultimamente mi è capitato di mettere le mani su una serie di racconti e pochissime, delle aspiranti scrittrici, ha consegnato testi ordinati dal punto di vista grafico. Vi cito un proverbio, ma al contrario: l’abito fa il monaco, eccome!
La lingua italiana, questa sconosciuta. Voi invece dovete conoscerla come il palmo della vostra mano. Quando sarete famosi potrete fare come lo scrittore portoghese José Saramago, Nobel per la letteratura nel 1998 che, nel suo romanzo Le Intermittenze della Morte (2005), non usa né virgolette, né trattini, né a capo e, l’unica indicazione per l’inizio di una battuta, è data dalla maiuscola che segue la virgola. Non usa neppure i punti di domanda, né quelli esclamativi. La sua è una scelta consapevole, ha spiegato infatti che il suo è un tentativo di imitare il flusso della conversazione, così come si dipana nella realtà. Ma si possono stravolgere le regole solo se si ha ben presente cosa si sta facendo e perché e, comunque, attenzione: è tutto da dimostrare che i vantaggi superino i problemi e voi non avete ancora preso il premio Nobel.
Quindi un testo pulito, corretto ed efficace nelle tecniche narrative adottate e siate onesti: avete letto e riletto vostro figlio? Badate, non con l’occhio compiacente del genitore permissivo, che alle proprie creature concede tutto. Dovete leggerlo con l’occhio critico di colui che lo scopre per la prima volta. Ammetto, non è facile. Quindi dovrete darlo in mano a qualche amico? Conoscente? Parente? Lo zio Peppo, la zia Palmira, il cugino Simone, la mamma, Piero o la Giovanna o Ernesto, o quel tipo che conosce mia sorella, grande professore all’università. No, no e ripeto e che sia chiaro: no. Amici, parenti e altri “aficionados” non saranno mai sinceri. È più forte di loro, l’affetto, la stima, l’amicizia che vi lega non sortirà che complimenti entusiasti, dubbiosi o magari cauti, ma sempre lodi saranno. Non vogliono offendervi perché sanno che stanno parlando di vostro figlio e voi, dite la verità, glielo avete fatto leggere proprio per sentirvi dire: “ma che bello, ma come scrivi bene, io non sarei capace di mettere due parole in croce e invece tu… che genio!”. Forse non con cognizione di causa ma lo avevate sperato, eravate quasi certi che sarebbe finita così.
E il professore di italiano? Chi meglio di lui può dirmi chemio figlio è un capolavoro?Attenzione anche qui: anche se hanno una laurea in lettere e anni di esperienza, ignorano molti dei criteri e degli standard adottati oggi dalle CE, ignorano il più spesso delle volte anche le tecniche della scrittura creativa. Finireste per ottenere un testo corretto solo dal punto di vista grammaticale che non è una bestialità, per l’amor di Dio, ma non basta. Se dopo le lodi sperticate di amici e parenti avete spedito il manoscritto alla CE, seguendo almeno qualcuna delle indicazioni di cui sopra, non aspettatevi sempre e comunque una risposta. Quelli non sono vostri parenti (di solito), non sanno chi siete, non vi vogliono bene e del vostri sentimenti, che avete messo sulla carta, non gliene frega niente. Soprattuto sono professionisti che devono guadagnare e mi dispiace ma questa è la sola verità. Se la risposta la volete e sperate sia positiva, allora vostro figlio va prima messo in mano a un professionista qualcuno che sia imparziale, crudele, spietato come un assassino. Diciamo il vostro parente più antipatico, il professore più stronzo del liceo, l’amico insopportabile e saccente che riesce a far sembrare normale un participio. Oppure qualcuno che sia semplicemente, sinceramente, onestamente capace di dirvi la sacrosanta verità (scusate l'abuso dei -mente, ma qui ci volevano).
Fatto questo, fate riposare vostro “figlio” in un cassetto per un periodo di tempo più o meno lungo: quando lo riprenderete in mano voi stessi sarete più obiettivi e potrete ancora migliorarlo. Diventerete più critici perché, nel frattempo, siete cambiati perché la scrittura muta, è un divenire, magari avrete fatto un corso di scrittura creativa, avete capito che la rima sta bene solo nelle poesie, che il congiuntivo non è una malattia degli occhi e che la brachilogia non è un’affezione dei bronchi, ma una figura retorica e che gli avverbi sono inutili.
Ora non vi resta che aspettare e aspettare. Molte volte ho sentito queste frasi: "ma perché non mi pubblicano? Eppure scrivo bene! Eppure quella là ce l’’ha fatta e scrive come me. Insomma, ma cosa pretendono?" Come ho detto più sopra e che sia chiaro: gli editori non sono buoni samaritani, non sono vostri parenti e il loro indirizzo non è Lourdes. Non fanno miracoli, non trasformano uno scribacchino in uno scrittore, non vi faranno favori e devono guadagnare. Quindi, a meno che il direttore editoriale della CE a cui avete inviato il vostro manoscritto non sia un amico o un parente (capita, capita eccome se capita…), non sperate in un miracolo. La scrittura è sudore, sacrificio, lacrime e sangue.
Il resto della storia è tutta da scrivere e ricordate: se ricevete un rifiuto non sarà alla vostra persona, alle vostre capacità o ai vostri sentimenti. Chi vi dice che ciò che avete scritto non va bene o è da cambiare, modificare, correggere, non è il vostro peggior nemico ma il solo amico che avete trovato, in quel mondo così facile da vivere che è la piaggeria. Il mio migliore amico è colui che mi stronca, con cognizione di causa. Ripetetelo allo specchio molte, molte volte, perché quel “no, non va bene” non vi deve mai offendere ma spronarvi a far meglio, a valutare con occhio critico vostro figlio, per studiare ancora e ancora ogni pagina, ogni parola.
Concludo, ma vi dico un'ultima cosa: la cattiva scrittura, qualunque criterio si adotti per definirla, qualche volta raggiunge la pagina stampata e la pubblicazione non la santifica. Nel corso degli anni mi è capitato di leggere di narrativa scritta male, errori, bestialità, obbrobri di ogni genere. Eppure quei libri erano là, sui famigerati scaffali di quella libreria in cui vorreste essere anche voi. Consoliamoci pensando che anche gli scrittori competenti ogni tanto sbagliano e così le CE e chi sceglie e decide di pubblicare un libro. In molti casi, quando un errore vistoso arriva fino alla pubblicazione, è perché la svista è oscurata dalla qualità dell’insieme. Molte volte ci sono altri motivi, più tristi e ovvi che non vi sto a citare. Non è questo il luogo, né avrei il tempo di farlo. In bocca al lupo.

Published on April 17, 2015 01:01
March 31, 2015
Implacabile ritorna in cartaceo
Copertina flessibile: 322 pagine, euro 11,91Genere: Romantic SuspenseAmbientazione: Roma, Italia
Editore: CreateSpace Independent Publishing Platform; 1 edizione (24 marzo 2015)
Collana: 1# Legio Patria Nostra
In E-book a 4,99 euro
Oggi esce Implacabile, il primo libro della serie Legio Patria Nostra, in formato cartaceo. Lo troverete in vendita solo su Amazon, visto che è una auto pubblicazione. Perché questa decisione?
EmmaBooks, la casa editrice digitale che ha lanciato la mia serie Legio Patria Nostra nel giugno del 2014 possiede, con una scelta che lascia la massima libertà all'autore, solo i diritti digitali del mio libro. Una scelta progressista, che trova la sua coerenza anche tra le righe dei contratti che EmmaBooks offre ai suoi autori e alle sue autrici. Così ho preso al volo questa occasione, visto che i mutamenti sono così, cancellano il passato e riscrivono il futuro e il trucco è quella di percepirli, adattarsi e farli propri in parte o totalmente.
Il mio romanzo Implacabile in cartaceo con CreateSpace, la piattaforma di Amazon che permette a un autore di creare e pubblicare il proprio libro in print-on-demand, è proprio questo: un tentativo di scoprire questo mondo in mutazione, di intrufolarsi con passo prudente e circospetto in questo orizzonte, che si annuncia tempestoso. Le lettrici lo volevano, volevano toccare, sfogliare, annusare le sue pagine. Io volevo salire sulla tolda del veliero e osservare l'orizzonte più lontano. E allora perché non partire per questa avventura?
IMPLACABILE in cartaceo lo trovate qui
Un breve estratto del libro
Damiano udì i passi felpati alle sue spalle. Ricordò quella volta nella giungla del Costa Rica, a faccia a faccia con un giaguaro. Prima non c’era e poi era lì con quelle sue iridi d’oro, le zanne affilate come una sfida. Ma lui non uccideva animali, erano meglio di tanti esseri umani.
Lento come un fiocco di neve diretto al suolo, Damiano si era accucciato, il fucile a ripetizione FAMAS puntato verso il suolo, l’indice pronto per la sventagliata di proiettili in caso estremo. La sicura era scattata con un click appena udibile e il felino, dal manto tanto nero da diffondere riflessi blu cobalto, aveva sollevato la bella testa annusando il suo odore.
Anche Giorgia Mattei-Guyot lo aveva annusato ma, a differenza del giaguaro, aveva capelli rame antico, sfumatura più tenue di quella che ricordava, un corpo di morbide curve, iridi di un colore grigio-verde con pagliuzze dorate. Li aveva fissati per un attimo su di lui e poi subito abbassati. In quella manciata di secondi, Damiano aveva calcolato le sue misure. Vita sottile, seno pieno e sodo, gambe snelle.
Nemmeno quello ricordava.
Con un certo fastidio, mentre tornava in palestra dagli altri allievi con lei alle calcagna, si rese conto che l’immagine serbata di quella ragazzina dispettosa non collimava affatto con la donna che aveva davanti.
Il volto di allora, dominato dai grandi occhi un po’ tristi, era scomparso e il lampo di consapevolezza, quando era entrato nello spogliatoio, li aveva illuminati d’improvviso: nemmeno lei aveva dimenticato le circostanze del loro primo incontro.
Si appiattì sullo stipite della porta per lasciarla passare e disse qualcosa, perché la tensione era parecchia. Un quintale di roba dura e pesante gli era caduta addosso il primo istante in cui l’aveva vista, davanti alla reception.
«Questo è il dojo» disse invitandola a entrare, e lei rimase per un attimo con gli occhi sgranati e il fiato sospeso. Lui lo percepì come una carezza, che svelò quanto la creatura di fianco a lui fosse giovane, bella e viva.
«In origine il termine indicava il luogo in cui il Buddha ottenne il risveglio, ma poi divenne d’uso abituale negli ambienti militari e nella pratica del bujutsu.»
«È bello qui» constatò lei e Damiano intuì che era sincera.
Giorgia Mattei-Guyot fece qualche passo sul parquet opaco del salone e si guardò intorno, proprio come avrebbe fatto un felino curioso.
Il suo profilo era puro, essenziale, zigomi dorati di lentiggini, bocca generosa appena socchiusa.
Porca putt… miseria, se gli piacevano pure le sue lentiggini, stava già per toccare il fondo del pozzo. Prese nota di infilare una moneta nella scatoletta di legno di Sara.
Lei avanzò ancora e assaporò l’ampio spazio con tutti i sensi. Le vetrate che racchiudevano il giardino interno, i futon nell’angolo, sui bokken, le spade di legno per l’aikido, sulle pareti vuote di un riposante color ocra.
Attenta ascoltò le note soffuse, piegando appena il capo sulla spalla, dilatò le narici e si leccò le labbra con inconscio apprezzamento.
Damiamo colse il linguaggio segreto di quel corpo e percepì vibrazioni positive investirlo. Ricordò d’un tratto gli altri quattro allievi che erano presenti e si strappò, non senza difficoltà, da quella specie di trance.
«Ai tuoi compagni di corso stavo dicendo che il budō è la via che porta alla perfetta sintesi dell’arte marziale, la via che conduce alla pace. Possiamo interpretarlo così semplificato, come piace agli occidentali.»
Giorgia si voltò e le sue iridi lo misero a fuoco. Si sentì come affacciato su una fornace a diecimila gradi e l’emozione quasi gli tolse il respiro.
Published on March 31, 2015 00:35
March 23, 2015
Equinozio e primavera, la rinascita
Eostre. Sono sicura che questo nome richiama in voi qualche reminiscenza. È una divinità di origine nordica, celta o germanica, collegata a vari aspetti del rinnovarsi della vita. Il nome pare derivi dal termine auso aes che significa est, punto cardinale da cui sorge il sole. Dal suo nome i celti definirono l’equinozio di Primavera, chiamato Eostur-Monath e poi Ostara. Il termine primavera deriva invece dal latino primus ovvero inizio e ver, con radice indoeuropea e il significato di ardente, splendente. Ma procediamo con ordine e scopriamo insieme i legami di Eostre con le antiche origini della Pasqua nei culti primaverili in suo onore.
Dobbiamo tenere presente che l’equinozio di primavera, come quello d’autunno, è uno dei due momenti dell’anno in cui giorno e notte sono in perfetto equilibrio: la parola equinozio deriva dal latino aequus noctis, ovvero notte uguale. L’equinozio di primavera, chiamato anche Vernale, è il momento in cui il sole si trova al di sopra dell’equatore celeste. L’equinozio d’autunno segna invece l’inizio della metà oscura dell’anno e ovviamente è l’esatto opposto dell’altro. In autunno andiamo verso l’oscurità, in primavera verso la luce, che man mano sovrasta il buio. Questo giorno di mutazione è considerato il primo giorno di primavera, la stagione della rinascita, associata presso tanti popoli dell'antichità a concetti primordiali come fertilità, resurrezione e inizio.
Le antiche tradizioni ci offrono una serie di miti legati alla primavera, che hanno al loro centro l'idea di un sacrificio a cui subentra una rinascita. Il mito che più esprime questa idea è quello frigio di Attis e Cibele. Attis, bellissimo giovane nato dal sangue della dea e da questa amato, avrebbe voluto abbandonarla per sposare una donna mortale. Per impedirglielo Cibele lo fece impazzire ed egli si evirò, morendo dissanguato. Dal suo sangue nacquero viole e mammole e gli dei, non potendolo resuscitare, lo trasformarono in un pino sempreverde.
Dopo l’Equinozio, nel mondo ellenico, si svolgevano le Adonìe, feste per la resurrezione di Adone, il bellissimo giovane amato dalla dea Afrodite ucciso da un cinghiale, forse dallo stesso dio Ares, geloso. Adone può essere associato anche al dio assiro-babilonese Tammuz, a cui i fedeli si rivolgevano chiamandolo Adon, ovvero signore. Egli dimorava sei mesi negli inferi, come il sole quando è sotto l'equatore celeste. In primavera si festeggiava il suo ritorno alla luce e il suo ricongiungimento con Ishtar, l'equivalente dell’Afrodite greca.
G. L. Bernini, Ratto di Proserpina
Allo stesso modo, in Grecia e nell’antica Roma, si festeggiava Persefone (Prosepina per i romani) che ritorna nel mondo, dopo aver trascorso sei mesi nel regno dei morti. La giovane, figlia di Zeus e Demetra, venne rapita dallo zio Ade divinità dell'oltretomba e costretta a sposarlo. La madre, dea della fertilità e dell'agricoltura, scatenò la sua rabbia per la prigionia della figlia impedendo la crescita delle messi e con un lungo inverno senza fine. Zeus intervenne e decise che Persefone sarebbe rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente ai semi di un melograno che aveva mangiato. Sei mesi con il tenebroso marito nel regno dell’Oltretomba, sei mesi con la madre sulla terra che, felice, ogni anno accoglie la figlia con il rigoglio e la rinascita della natura.
Tutti questi miti così simili, non svelano solo una conformità di usanze e credenze degli uomini primitivi, che poi si distribuirono lungo i bacini dei grandi fiumi (Tigri ed Eufrate, Nilo, Tevere ecc ecc), ma evidenziano l'unione di un simbolismo celeste, il cammino del sole, inarrestabile, misterioso e il risveglio della natura, altrettanto travolgente. In tutto ciò riecheggia il tema dell'unione indissolubile fra divinità maschili, legate al sole e alla sua potenza, e quelle femminili, connesse alla terra o alla luna.
La primavera era infatti la stagione degli accoppiamenti rituali, delle nozze sacre in cui un dio e una dea, personificati spesso da un sacerdote e da una sacerdotessa, si accoppiavano per propiziare la fertilità. Venivano accesi dei fuochi rituali sulle colline e, secondo la tradizione, di cui troviamo tracce evidenti nel folklore europeo, più a lungo rimanevano accesi, più fruttifera sarebbe stata la terra. Questi riti avevano un particolare valore soprattutto nel paganesimo dell’area mediterranea, dove già all’equinozio il ritorno della bella stagione e il rinnovarsi della natura è evidente. Per i popoli nordici la ricorrenza primaverile più importante era invece Beltane, che si celebrava nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio.
Come molte delle antiche festività pagane, anche l’equinozio di Primavera fu cristianizzato: la prima domenica dopo la prima luna piena che segue l’equinozio, data fissata nel IV secolo, i cristiani cominciarono a celebrare la Pasqua, commemorando la resurrezione di Cristo avvenuta proprio durante la festività ebraica così denominata, che ricorda l'esodo del popolo di Israele dall'Egitto. Ma, nei simboli e nelle tradizioni collegate a questa festa, sono evidenti i ricordi di altre e ben più antiche festività, cancellate dal Cristianesimo con una vera e propria opera di sincretismo.
Il termine Easter, con cui in inglese si designa la Pasqua, ci riporta a Eostre, assimilabile a Venere, Afrodite e Ishtar. Presiedeva gli antichi culti legati al sopraggiungere della primavera e alla fertilità dei campi ed era legata al sole nascente, al suo calore. Del resto il tema dei fuochi e del ritorno dell’astro è un tema ricorrente nelle tradizioni pasquali. A Eostre era sacra la lepre, simbolo di fertilità e animale sacro in molte civiltà: i Britanni l’associavano alla luna e alla caccia, i Celti la consideravano animale divinatorio.
Antiche leggende narrano che i disegni sulla superficie della luna piena raffigurino una lepre, ricordo della sua associazione con le divinità lunari e questa interpretazione della lepre nella luna è nelle tradizioni cinesi, europee, africane e indiane. Una lepre si sacrificò per nutrire il Buddha, balzando nel fuoco ed egli impresse la sua immagine sull’astro notturno, per gratitudine. In Cina la lepre lunare ha un pestello e un mortaio, con cui prepara l’elisir dell’immortalità. Gli indiani Algonchini delle immense praterie del continente nord americano adoravano la Grande Lepre, che aveva creato la Terra. I norvegesi rappresentavano le divinità lunari accompagnate da una processione di lepri che portano lanterne e la dea Freya aveva come inservienti delle lepri, così come Eostre era raffigurata con una testa di lepre.
La lepre di Eostre, che deponeva l'uovo della nuova vita per annunciare la rinascita dell'anno, è diventata l'odierno coniglio pasquale che porta in dono le uova, altro simbolo di fertilità. Esse si ricollegano alle tradizioni dello scambio della uova sacre sotto l’albero magico del villaggio, usanza che collega Eostre alle divinità arboree della fertilità. L'uovo non è scelto a caso: da sempre simbolo di vita, creazione e rinascita per ricordare anche l’Uroboro (dal greco urà coda e boròs, mordace riferito ai serpenti), simbolo ancestrale del serpente che si morde la coda, che si rigenera continuamente in un cerchio infinito.
Per i primitivi raccoglitori e cacciatori, la primavera portava gli uccelli a deporre le uova e dunque un altro sostentamento dopo l’austerità dell’inverno. La nascita del mondo da un uovo cosmico è contenuta in molte mitologie del nostro pianeta. L’uovo primordiale, embrione e germe di vita, è il primo essere a emergere dal Caos, è l’Uovo del Mondo, covato dalla Grande Dea e dischiuso dal Dio Sole. Un mito dell'India narra che, nella notte dei tempi, tutto era immerso nelle tenebre e sepolto in un sonno profondo. L'Assoluto creò il cosmo dalla propria sostanza, creò le acque e vi depose a galleggiare un uovo splendente, che generò dal suo cuore Brahma il Creatore, che divise l’uovo stesso in due parti, formando la Terra e il Cielo.
Published on March 23, 2015 16:30
March 11, 2015
Self-publishing, questo (s)conosciuto…
Scrivere un buon libro è un mestiere duro e ci vuole tempo. In media richiede da quattro a dodici ore di scrittura al giorno, perun periodo di diversi mesi. Per non parlare poi del tempo che si passa tra ricerche, brainstorming, revisione. Molti scrittori sono più produttivi e creativi quando si alzano al mattino, anche voi cercate di capire quando riuscite a concentrarvi meglio e con più efficienza. Non smettete di leggere altri autori, mentre scrivete, lalettura è un super-nutrimento per la mente di uno scrittore. Se scrivere è impegnativo, anche il self-publishing, auto-pubblicazione in italiano, implica iniziativa e una certa capacità di marketing. Ricordate sempre che pubblicare porterà di sicuro frustrazioni e incertezze lungo il percorso ma potrebbe rivelarsi un'avventura emozionante e vantaggiosa.
La prima operazione da fare è mettere alla prova il vostro libro. Assicuratevi che sia ben scritto, privo di refusi e revisionato. Potreste far leggere il manoscrittoad alcuni amici fidati, con la richiesta tassativa di essere imparziali, ovvero di dare un giudizio non inquinato dall’amicizia, dall’affetto o dalla pigrizia. Sappiamo tutti infatti che è molto più semplice e sbrigativo lodare l’opera di qualcuno piuttosto che trovarne i punti deboli o i difetti. I critici super partes vi daranno un prezioso feedback e in questo modo potrete ampliare i vostri orizzonti sulla trama, sulle caratteristiche ole motivazioni dei personaggi, o altre parti della struttura.
Se fate parte di una comunità di scrittura o un partecipante di frequente a forum, considerate di utilizzarne le risorse come fonte di consulenza gratuita. Nei forum troviamo spesso fan dedicati che amano leggere e aiutare gli autori esordienti. Per la correzionedei refusi vi consiglio invece di consegnare il manoscritto a qualcuno che non lo abbia mai letto. La revisione “anti-refuso” va fatta da almeno tre/quattro persone differenti, lettori attenti e un po’ pignoli. I refusi sono infidi e difficili da eliminare, per questo motivo le riletture devono essere numerose.
La soluzione migliore sarebbe trovare un professionista (un editor a pagamento) che dovrebbe essere in grado di darvi un feedback professionale e credetemi, a volte i soldi sono davvero ben spesi. Spesso infatti non è sufficiente un lavoro sulla grammatica e la sintassi, ma si dovrebbe intervenire anche sulla struttura del manoscritto. Americani e inglesi chiamano questo tipo di intervento developmentalediting, con cui si va a modificare trama, personaggi e sviluppo eliminando anche la monotonia/ripetitività di alcune scene. Quello che loro invece chiamano copyediting è la semplice correzione di bozze, l’eliminazione dei refusi senza interventi sul testo o la trama.
Se non lo avete già fatto, create un titolo accattivante. Il titolo delvostro libro può influenzaremoltissimo i futuri lettori. Un esempio? Ricette golose con il formaggio Penicillium Glaucum non suona attraente comeRicette golose al Gorgonzola, non vi pare? Altro asso nella manica dell’autore è la copertina. Meglio avere l’aiuto di un web designer professionista, sarà veloce eaiuterà il vostro libro ad avere un impatto visivo più efficace con i lettori. Ciò è particolarmente importante se è su Amazon, la copertina lo farà uscire dallo “scaffale virtuale” e le vendite aumenteranno.
Registrare ufficialmente il copyright sarebbe di sicuro il modo migliore per non avere problemi con i diritti del libro ma nel self-publishing è sufficiente aggiungere, nelle prime o nelle ultime pagine dell’e-book, questa scritta: © 2012 Paola Rossi tutti i diritti riservati ed è sufficiente per dichiararne la proprietà intellettuale. I vantaggi del self-publishing sono evidenti a tutti, ne cito solo due: Amazon KDP permette all’autore di ottenere il 70% sul prezzo di copertina, quando sappiamo benissimo che un editore tradizionale offre una percentuale che varia dal 5 al 15%. L’altra interessante possibilità è che voi mantenete tutti i diritti, ovvero non dovete rinunciare al vostro libro e alla sua gestione per i prossimi dieci o vent’anni. La stessa condizioni vengono proposte anche da Kobo, con Kobo Writing Life. Mica male, no?
Consideriamo però anche gli svantaggi, perché non è tutto oro quello che luccica. Con l’auto-pubblicazione siete voi i responsabili marketing del vostro e-book e la pubblicità la dovrete fare da soli,mentre con un editore tradizionale di solito è lui che si incarica di farvi pubblicità. Altra difficoltà sono i prezzi competitivi: un e-book può costare pochi centesimi di euro, il che significa che dovrete vendere un sacco di libri per rendere la pubblicazione redditizia nel lungo periodo.Ma ne parleremo ancora perché questo non è che l’inizio, credetemi.
Published on March 11, 2015 16:30
March 5, 2015
Rocca Calascio, suggestioni medioevali
La regione Abruzzo possiede un vasto patrimonio di castelli, le sue valli e le sue montagne sono spesso costellate di fotilizi, torri e rocche che lasciano una forte impressione sul visitatore con il suggestivo sfondo del panorama selvaggio abruzzese. Un connubio storico-naturalistico che ci riporta indietro nel tempo e il posto d'onore spetta a Rocca Calascio, situata in provincia dell'Aquila nel territorio del comune di Calascio, all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Essa si trova a un'altitudinedi 1.460 metri ed è una delle rocche più elevate d'Italia, insieme all'antico borgo situato alle sue pendici, fino a qualche anno fa disabitato e oggi ristrutturato con la creazione di un rifugio-hotel.
La Rocca si fonde con l'impervio territorio roccioso che la circonda, costruita in candida pietra calcarea in cima a una cresta che domina la valle del Tirino e della piana di Navelli. Da lassù, si può godere uno spettacolare panorama su Campo Imperatore e sul Gran Sasso. La sua fondazione risale intorno all'anno 1000 (l’originale maschio oggi capitozzato forse era già di origine romana), anche se il primo documento storico che ne attesta la presenza è datato 1380. La struttura originaria era costituita da un torrioneisolato di forma quadrata, il cui ruolo principale era quello di essere torre di avvistamento per controllare il più importante percorso tratturale aquilano, che passava sotto le sue mura.
Alla rocca si accedeva mediante un ingresso posto sul lato est, a circa cinque metri di altezza, raggiungibile con una scala di legno che veniva poggiata su due mensole in pietra, tuttora visibili al di sotto della soglia di ingresso. Il fortilizio comunicava con i castelli e le rocche situate fino alla costa adriatica, grazie all'ausilio di torce accese durante la notte o di specchi durante le ore diurne.Nel XIV secolodivenne possedimento di Leonello Acclozamora, della baronia di Carapelle. Verso la fine del XV secolofu concessa da re Ferdinando ad Antonio Todeschini, della famiglia Piccolomini. Egli rafforzò la fortificazione dotandola di una cerchia muraria e quattro torri. In questo periodo Rocca Calascio vide crescere la propria importanza e il proprio peso economico e alle sue pendici si sviluppò ben presto un piccolo borgocinto da mura. Nel 1579 la famiglia fiorentina dei Mediciacquistò la Rocca e il vicino borgo di Santo Stefano di Sessanio, per estendere i propri possedimenti e ampliare il commercio della lana.
Nel 1703 un disastroso terremoto danneggiò sia la Rocca che il borgo. Restauri conservativi ed integrativi sono stati compiuti tra il 1986 ed il 1989, contrastando il degrado strutturale e favorendo il recupero architettonico e funzionale dell'intero fabbricato, soprattutto della torre centrale quadrata. Gli interventi permettono oggi di visitare l’area.Rocca Calascio è anche famosa per essere un set d’eccellenza. Ha ospitato, in più occasioni, grandi set cinematografici tra cui i film: "Lady Hawke", "Il Viaggio della Sposa", "Padre Pio", "Il Nome della Rosa", "L'orizzonte degli eventi". Proprio grazie al denaro ricavato dalle riprese cinematografiche fu realizzato parte del restauro.
Per chi volesse fare un piacevole week-end o un soggiorno più lungo, potete scoprire il Rifugio della Rocca. Ecco il link: http://www.rifugiodellarocca.it/
Published on March 05, 2015 15:30
Rocca Calascio, soggestioni medioevali
La regione Abruzzo possiede un vasto patrimonio di castelli, le sue valli e le sue montagne sono spesso costellate di fotilizi, torri e rocche che lasciano una forte impressione sul visitatore con il suggestivo sfondo del panorama selvaggio abruzzese. Un connubio storico-naturalistico che ci riporta indietro nel tempo e il posto d'onore spetta a Rocca Calascio, situata in provincia dell'Aquila nel territorio del comune di Calascio, all'interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Essa si trova a un'altitudinedi 1.460 metri ed è una delle rocche più elevate d'Italia, insieme all'antico borgo situato alle sue pendici, fino a qualche anno fa disabitato e oggi ristrutturato con la creazione di un rifugio-hotel.
La Rocca si fonde con l'impervio territorio roccioso che la circonda, costruita in candida pietra calcarea in cima a una cresta che domina la valle del Tirino e della piana di Navelli. Da lassù, si può godere uno spettacolare panorama su Campo Imperatore e sul Gran Sasso. La sua fondazione risale intorno all'anno 1000 (l’originale maschio oggi capitozzato forse era già di origine romana), anche se il primo documento storico che ne attesta la presenza è datato 1380. La struttura originaria era costituita da un torrioneisolato di forma quadrata, il cui ruolo principale era quello di essere torre di avvistamento per controllare il più importante percorso tratturale aquilano, che passava sotto le sue mura.
Alla rocca si accedeva mediante un ingresso posto sul lato est, a circa cinque metri di altezza, raggiungibile con una scala di legno che veniva poggiata su due mensole in pietra, tuttora visibili al di sotto della soglia di ingresso. Il fortilizio comunicava con i castelli e le rocche situate fino alla costa adriatica, grazie all'ausilio di torce accese durante la notte o di specchi durante le ore diurne.Nel XIV secolodivenne possedimento di Leonello Acclozamora, della baronia di Carapelle. Verso la fine del XV secolofu concessa da re Ferdinando ad Antonio Todeschini, della famiglia Piccolomini. Egli rafforzò la fortificazione dotandola di una cerchia muraria e quattro torri. In questo periodo Rocca Calascio vide crescere la propria importanza e il proprio peso economico e alle sue pendici si sviluppò ben presto un piccolo borgocinto da mura. Nel 1579 la famiglia fiorentina dei Mediciacquistò la Rocca e il vicino borgo di Santo Stefano di Sessanio, per estendere i propri possedimenti e ampliare il commercio della lana.
Nel 1703 un disastroso terremoto danneggiò sia la Rocca che il borgo. Restauri conservativi ed integrativi sono stati compiuti tra il 1986 ed il 1989, contrastando il degrado strutturale e favorendo il recupero architettonico e funzionale dell'intero fabbricato, soprattutto della torre centrale quadrata. Gli interventi permettono oggi di visitare l’area.Rocca Calascio è anche famosa per essere un set d’eccellenza. Ha ospitato, in più occasioni, grandi set cinematografici tra cui i film: "Lady Hawke", "Il Viaggio della Sposa", "Padre Pio", "Il Nome della Rosa", "L'orizzonte degli eventi". Proprio grazie al denaro ricavato dalle riprese cinematografiche fu realizzato parte del restauro.
Per chi volesse fare un piacevole week-end o un soggiorno più lungo, potete scoprire il Rifugio della Rocca. Ecco il link: http://www.rifugiodellarocca.it/
Published on March 05, 2015 15:30
February 17, 2015
Cinquanta sfumature di schiavitù e oloturie…
Se ne parla tanto, fino allo sfinimento. Potere della pubblicità, di una Biancaneve rivista in chiave erotica e un po' furbetta. Cinquanta sfumature e varie pennellate di rosso. Passione? Non direi. Sono entrata ieri sera al cinema con la mente sgombra, non essendo riuscita a finire il libro ero comunque curiosa, chiamiamola curiosità intellettuale. Ero decisa a restare incollata alla poltrona come una cozza allo scoglio, a guardare il grande schermo in attesa di una rivelazione.Dopo dieci minuti la mia mente, nel buio abissale del multisala, ha cominciato a pensare con una certa nostalgia agli organismi acquatici galleggianti, che vengono trasportati passivamente negli oceani dalle correnti. Plancton, altro che cozze.
Dopo venti minuti, avevo deciso che non basta un corpo scolpito per farmi tremare come un crème caramel. Colpa delle sfumature espressive del volto di Jamie Dorman, che non sono cinquanta, ma si possono contare sulle dita di una mano. Quaranta minuti e Dakota Johnson mi ha fatto tornare in mente Miami Vice e quel gran figo di suo padre Don, Johnson appunto. Altro che cozze. Decisa a trasformarmi in plancton e abbandonare la poltrona/scoglio in gran fretta, mi sono alzata. Un coro di “giù, giù” e “spostati” mi ha accompagnata per qualche secondo. Insomma, non si può mica perdere neppure un fotogramma, no? Magari si perde il filo della trama. L’amica a fianco mi ha afferrata, volitiva: “Resisti Castellano, magari ti viene qualche idea per i tuoi libri”. Sicuro. Infatti ho deciso che i miei Alfa, alle loro amate, mai più, nemmeno sotto tortura, declameranno questa frase: dimmi che vuoi essere mia. Lo giuro, parola di giovane plancton-marmotta.
Oloturia, o cetriolo di mare
Alla sigla finale, ho deciso che questo film non ha nulla a che vedere con l’erotismo o il BDSM. Che la storia non ha importanza, importano solo le immagini, costruite ad hoc per suscitare determinati sentimenti e appagare certe fantasie. Un documentario sull’accoppiamento delle oloturie (anche conosciute come cetrioli di mare, tanto per restare in argomento oceanico) che non vuol narrare niente, ci mostra solo un’ora e mezza d’immagini di oloturie.
Così, se continuate a leggere, vi avviso che l’argomento da qui in poi è scabroso. Fate un bel respiro, rilassatevi, se siete in ufficio preparate una schermata di salvezza, in caso passi il capo o una collega che non si fa mai gli affari suoi. Se invece avete per le mani un uomo che vi interessa (carnalmente, intendo), continuate a leggere: magari è un dominatore e voi non lo avete mai saputo.
Mi spiego: oggi esploriamo il mondo fumoso del BDSM, mi accingo a chiarirvi le idee su quello che ormai è diventato il leitmotiv delle nostre letture. L’erotico ormai è come il parmigiano grattugiato su un piatto di maccheroni dal profumo stuzzicante e si sa, sesso e cucina, oggi sono di moda. Cosa vuol dire BDSM?
La "B" significa Bondage e proviene dal verbo inglese "to bond", pratica che consiste nel bloccare, legare una persona consenziente – sia ben chiaro, tutto deve svolgersi con il pieno consenso di entrambi – con nodi e passaggi di corda in parti sensibili e non del corpo. Qui facciamo una annotazione storica: il bondage tradizionale è stato esportato dal Giappone. Tra il 1467 fino al 1600 circa, il paese fu preda di brutali e violenti conflitti. In questo clima, insieme a un’infinità di nuove arti marziali, si svilupparono le tecniche per catturare, trasportare, interrogare e torturare i prigionieri: Tasuki-dori e Hobaku-jutsu sono metodi tradizionali di cattura e detenzione di un avversario, mentre Hojo-jutsu è una tecnica per usare una corda su un avversario imprigionato. Per questo motivo si presume che le attuali pratiche giapponesi di immobilizzazione erotica abbiamo avuto origine durante questo periodo.
Oggi il bondage ha importanti regole di sicurezza che non devono mai essere valicate, in nessuna circostanza. Esso può essere praticato con corde morbide ma resistenti, con accessori come manette, finimenti di cuoio, lacci di contenzione o foulard di seta. Ad alcuni dominatori piace legare i loro sottomessi anche per poterli nutrire (ecco, come dicevo, i maccheroni…) in un gioco dominatore/dominato molto gradevole per entrambi.La "D" significa Dominazione. Il dominatore è colui che possiede il controllo o meglio, colui a cui a cui si cede il controllo, perché non ha tutto il potere: può fare solo ciò che il dominato accetta di concedergli e credetemi, qui sta la grande differenza, il nodo della questione.
La dominazione non è solo sessuale, il piacere tra sottomesso e dominatore è prima di tutto intellettuale e il “gioco” va praticato in un contesto di regole precise, che devono essere seguite da ambo le parti, dato che ognuno ha limiti fisici, morali, emozionali, psicologici e gusti e “fantasmi” differenti. Le regole vanno rispettate e segnano il confine tra colui che controlla e colui/lei/loro che si abbandonano al controllo del Padrone. Il modo in cui questo controllo è esercitato rappresenta la sicurezza fisica, morale ed emozionale dei due partener. Ma non è facile trovare un sottomesso che si adegui al desiderio di dominazione o un dominatore che sappia di cosa ha voglia e bisogno il suo sottomesso.
La "S" significa non sottomissione ma sadismo, quello di cui tanto scrisse il famoso Marchese de Sade (Donatien-Alphonse-François de Sade, 1740-1814). Ma attenzione: nel contesto del BDSM il sadico non è un torturatore o un dittatore. Il sadico in questo caso non fa soffrire ma presta la massima attenzione a ciò che fa, assicurandosi che il sottomesso sia pronto a subire con la certezza che a quest’ultimo piaccia ogni sua azione.La "M" significa masochismo. Un masochista è davvero qualcuno a cui piace soffrire? Un masochista è piuttosto qualcuno che si accerta che colui che lo farà soffrire lo farà seguendo le sue regole e le sue inclinazioni. Ci sono molti modi di esprimere il gusto per il masochismo ma al masochista piace, in generale, un miscuglio di dolore erotizzato, calmierato da regole precise di cui parlavano più sopra.
Non esiste un solo tipo di BDSM, ce ne sono molti e coniugati in mille sfaccettature dato che è praticato da persone di natura e gusti diversi. Non si deve mai generalizzare ma sforzarsi di comprendere. Il mondo è bello perché è vario e i nostri desideri, magari nascosti, con la persona giusta possono essere espressi senza timore. In quanto al film, non vi è BDSM. Proprio niente, quello vero è tutt'altra questione...
Published on February 17, 2015 02:12
February 13, 2015
San Valentino, leggenda o realtà?
Valentino, nome di origine romana: Valente significa infatti degno, forte, potente. Era un nome molto popolare nel tardo impero romano, tanto che nel Martyrologium Hieronymianum (Martirologio Geronimiano) sono elencati ben sette Valentino, morti in diversi giorni dell’anno; c’è persino una Santa Valentina vergine, martirizzata il 25 luglio del 308 a Cesarea, in Palestina. I valentini non mancano, dunque ed è tutto ufficiale perché il Martyrologium Hieronymianum è la lista più antica in nostro possesso, dove sono elencati i martiri cristiani della Chiesa latina. Il suo nome deriva dal fatto che fu attribuita (erroneamente) a San Gerolamo. Oggi sappiamo che l’autore è un anonimo del V secolo, vissuto fra Mediolanum e Aquileia, che utilizzò come fonte un martirologio siriaco della seconda metà del IV secolo (forse il Martirologio di Nicomedia, redatto fra il 360 e il 411), il Calendario di Filocalo (354) e un martirologio africano.
Torniamo a Valentino. La festa del 14 febbraiofu stabilita nel 496 da Papa Gelasio I, per commemorare tutti coloro “… i cui nomi sonogiustamente venerati tra gli uomini, ma i cui atti sono noti solo a Dio.”Come suggerisce il buon Gelasio, nessuno si riferiva a un Valentino particolare, poiché le informazioni erano vaghe e lacunose. Ma nella Catholic Encyclopedia (Enciclopedia Cattolica) pubblicata tra il 1907 e il 1917 e in altre fonti agiografiche vi è invece un riferimento a ben tre San Valentino, in relazione al 14 febbraio: un sacerdote romano, il vescovo di Interamna (la Terni moderna), che pare fosse stato sepolto lungo la via Flaminia e un terzoun santo che subì il martirio nella provinciaromana d'Africa.
I dati riguardanti i primi due martiricontengono elementi leggendari ma esiste un nucleo comune che, di fatto, si può ascrivere a una singola persona e, secondo la biografia ufficiale della Diocesi di Terni, il vescovo di Terni, Valentino, nacque e visse a Interamna, fu imprigionato e torturato a Roma il 14 febbraio del 273 mentre era di passaggio nella capitale. Il suocorpo fu sepolto in un cimitero lungo la via Flaminia, luogo da cui i suoi discepoli lo recuperarono, riportando le sue spoglie a Terni.Il Martyrologium Hieronymianum però il 14 febbraiocita un solo San Valentino, il martire morto sulla via Flaminia, appunto. Molte leggende sono dunque ascrivibili al nostro santo, del resto in quei tempi era concesso prendere “in prestito” persecuzioni e torture di altri martiri per affibbiarle all’occorrenza e creare così leggende per la propaganda cristiana.
Il vescovo di Terni fu interrogato dall’imperatore Claudio II sulla religione e sulla conversione. Non si trovarono d'accordo, nessuno cedette: Valentino rifiutò di convertirsi al paganesimo e l'imperatore al cristianesimo. Ovviamente, Claudio II lo fece giustiziare. Ma Valentino era inondato di santità e prima di morire, fece un miracolo: guarì Julia, figlia cieca del suo carceriere Asterio e la sua famiglia, quarantaquattro persone, servi compresi e fu un tale successo che le leggende si moltiplicarono dopo la sua morte, ognuna con un pizzico di pathos in più.Si dice che Papa Giulio I abbia fatto costruire una chiesa sopra la tomba di San Valentino, ma la leggenda è smentita da ritrovamenti archeologici: in realtà fu un tribuno del IV secolo chiamato Valentino che donò il terreno al papa. Il 14 febbraio venne definitivamente dedicato al Valentino vescovo di Terni nella Legenda Aurea (conosciuta anche come Legenda Sanctorum), raccolta di agiografie di Jacopo da Voragine, una specie di best-seller tardo medievale. Ai tempi, a quanto pare, non si leggevano romance.
Sembra che il nostro Valentino, la notte prima dell’esecuzione, abbia scritto una “cartolina” a Julia firmandola “dal tuo Valentino”. Espressione ripresa nella tradizione delle lettere d’amore scritte il 14 di febbraio dagli innamorati. Secondo un’altra leggenda, pare che Julia abbia piantato vicino alla tomba del santo un albero di mandorlo dai fiori rosa: ancora oggi il mandorlo è simbolo di costante amore e amicizia.Non è finita: si narra che Valentino abbia celebrato uno o più matrimoni cristiani clandestini tra i legionari di Claudio II, a cui era proibito sposarsi per timore che non sarebbero stati abbastanza coraggiosi. Secondo la leggenda, per "ricordare ai soldati i loro voti e l'amore di Dio”, Valentino li invitò a tagliare dei cuori di pergamena per farne dono ai convertiti e ai cristiani perseguitati.Forse è questo il motivo per cui, a San Valentino, ci sono tutti questi cuori in giro?
Egli, come tutti i vescovi cristiani di quel tempo, pare indossasse un anello di ametista viola. Sulla pietra vi era inciso Cupido (dio dell’amore di origine pagana), immagine riconosciuta come legale durante il tardo impero romano. Per questo motivo l’ametista è diventata la pietra dei nati di febbraio, emblema della trasformazione spirituale all’amore, a discapito dell’egoismo.
In Slovenia, San Valentino o Zdravko è uno dei santi della primavera, della buona salute, patrono degli apicoltori e dei pellegrini. Un proverbio cita che San Valentino porta le chiavi delle radici, poiché piante e fiori iniziano la lenta ricrescita dopo l’inverno proprio in questo giorno. Il 14 febbraio è stato associato all'amore romanticodalla cerchia di GeoffreyChaucer (1343-1400) scrittore, poeta e diplomatico, riconosciuto come uno dei padri della letteratura inglese, attivo nel periodo in cui fiorì la tradizionedell'amor cortese. Nel XVIII secolo, in Inghilterra, la data divenne ben presto l’occasionein cui gli amanti esprimevano il loro amore con fiori, dolciumi e cartoline di auguri. È molto probabile che le origini di questa festa dedicata all’amore del mese di febbraio affondi le sue radici nell'antica festa dei Lupercalia, dell'antica Romama questa è un’altra storia e ve la racconterò un altro giorno…
Published on February 13, 2015 02:11


