Adele Vieri Castellano's Blog, page 10

April 19, 2012

La Trilogia di Mike Summers - Scatole Cinesi - Labirinto - Gambler di Monica Lombardi - Domino Edizioni

La mia recensione dei tre libri Rosa crime di una scrittrice tutta italiana. Le indagini di  un detective di Atlanta che vi mancherà appena chiusa l’ultima pagina. I suoi casi sono già tre ma per chi ha letto e seguito le sue indagini, non bastano mai. Per fortuna, il quarto libro è già in preparazione…
Skyline di Atlanta al tramontoNon siete mai state ad Atlanta? Non fa niente, Monica Lombardi vi ci condurrà e vi sembrerà di conoscere la città da sempre, di aver vissuto in quelle strade ampie, nei quartieri residenziali, nei motel, nelle villette dove si consumano efferati delitti. Non avete mai indagato su un caso di omicidio? Niente paura, vi ritroverete nel distretto di polizia e vi sembrerà di conoscerlo come le vostre tasche. Nessuno vi ha ancora presentato Mike Summers? Allora lo faccio io. Sappiate solo che, come dice sua sorella Maggie: “è troppo bello per fare il poliziotto”.

Maggie ha ragione. Ma il fascino del protagonista di questa trilogia di Romantic Suspense tutta italiana (e finalmente, dico io) non è legato solo ai suoi occhi verdi o ai capelli corti, sempre un po’ arruffati, o a quel fisico atletico che ti si stampa in testa mentre lo immagini chino, coi guanti di lattice, sull’ultima vittima di un omicidio. Mike è un uomo vero, reale che pensa e ragiona e indaga come un vero poliziotto e lo è fin nelle ossa, sotto la pelle. Come facciamo a non seguirlo, un po’ innamorate un po’ detective, in quelle sue indagini complesse che si risolvono solo nelle ultime pagine, divorate con la curiosità e la voglia di scoprire finalmente il colpevole?
Monica ci accompagna insieme al Tenente Mike Summers in tre appassionanti casi, in tre appassionanti libri che non possono mancare alla lista dei rarissimi, quasi inesistenti, libri pubblicati nel sottovalutato genere del Romantic Suspense italiano.

Il primo libro o se vogliamo il primo caso, Scatole Cinesi (ed.Domino), è ambientato proprio ad Atlanta, dove vive e lavora, alla Squadra Omicidi, il tenente Mike Summers. Fin dalle prime righe siamo coinvolti nell’indagine e ci buttiamo a capofitto insieme a lui, insieme a quest’uomo dal passato complicato, di cui sentiamo l’eco lontana, un passato che lo ha ferito e cambiato profondamente. Un caso di omicidio, una donna bella e sola morta nella vasca da bagno. La sua storia si snoda tra le pagine e lì ci incolla, senza possibilità di potervi sfuggire.
Il caso diventa a poco a poco parte di noi, che agiamo e pensiamo le stesse cose che pensa Mike, arriviamo alle sue stesse conclusioni. Perché lui vive in quelle pagine come se fosse seduto sulla poltrona accanto a noi e ci stesse raccontando i suoi ultimi casi di omicidio.

Quando Julia Dunhill, la sorella della vittima, buca quelle stesse pagine con i suoi occhi blu e la sua forza d’animo, ci piacerà d’istinto, di pelle questa donna distrutta da una perdita straziante ma forte, che sa quello che vuole e che è una vera esperta di informatica. La trama si snoda in una città da telefilm americano anni novanta, i migliori di tutti i tempi, l’assassino è spietato, crudele e sorprendente e Mike e Julia diventano i protagonisti di una realtà in cui si muovono personaggi memorabili e secondari solo di nome, non di fatto. L’intreccio è intrigante, il linguaggio chiaro, deciso, la trama non lascia spiragli e la storia d'amore, eh sì, c’è anche quella come se non bastasse tutto il resto, è un crescendo di tenerezza e comprensione. Bello e intrigante Mike quando è poliziotto, tenero e sexy quando è un uomo innamorato. La vita sceglie strane vie per l’amore, la complicità, la comprensione e tu Julia, sei una donna fortunata.
Per fortuna Monica Lombardi non mi ha lasciato a bocca asciutta e ha scritto Labirinto(ed.Domino), una nuova indagine del Tenente Summers e questa volta la sfida è pericolosa, qualcuno ha deciso di rinvangare il passato del nostro detective con un omicidio efferato, che si ripete in fotogrammi impressionanti e sconvolge la sua vita.
Atlanta è eccitante, pericolosa e l’assassino qui è raffinato.
Ritroviamo Julia, ora compagna di Mike e consulente informatica del Dipartimento di Polizia di Atlanta, la loro storia d’amore, gli stessi personaggi che sono ormai nostri colleghi: il sergente McCullough, Vicky Gomez, il capo della Homicide Unit, Harry Stanton e altri uomini e donne che sono tutti protagonisti nel momento in cui la nostra Monica Lombardi gli da’ voce.
Ma chi è la donna bionda che appare in una foto nelle mani di Julia, mentre rovista in un cassetto a casa di Mike? Un passato doloroso, un passato che non si dimentica.
Chi vuole farlo soffrire, chi vuole portarlo sull’orlo dell’abisso, il nostro Mike, il nostro poliziotto? Non ve lo dico, dovete scoprire da sole perché un uomo come lui rischia di perdere tutto, mentre si muove in un labirinto informatico, tra amicizie virtuali e assassini vivi e vegeti. Come farà Mike a svolgere la matassa di quel filo che lo guida nel labirinto di tracce e verità a lungo trascurate?
Mike e la sua psicologa, Mike e il suo passato, Mike e Julia a cui, su un letto di ospedale quando ormai tutto sembra risolto, lui ha il coraggio di rinunciare. Coraggio o vigliaccheria? Vero uomo o vero poliziotto? Le lacrime degli occhi blu sono le mie. Mannaggia mi sono innamorata, irrimediabilmente. Come faccio a guarire?

Ovvio. Il terzo libro è la sola, unica cura: Gambler (ed. Spinnaker), è autentica suspense, un gioco d’azzardo, è un assassino scaltro che vuole vincere su tutti, persino sui poliziotti provenienti da tutti gli States riuniti per un convengo nel tempio del gioco, Las Vegas. La città degli estremi, delle contraddizioni, del caldo soffocante, di finte statue della Libertà, di strade assolate di giorno e affollate, di notte, da avventurieri, puttane ed assassini.
Gambler butta in tavola le carte in un crescendo da vero thriller americano: poliziotti uccisi, camere d’albergo come cattedrali di morte, l’FBI che arriva con gli agenti dagli occhiali scuri, dai doppiopetti anonimi e indaga, indaga insieme a Mike su delitti inspiegabili, che mettono paura solo a raccontarli. Ritroviamo Julia e Mike di nuovo insieme perché all’amore, come al suo lavoro, questo poliziotto non sa rinunciare e meno male che non ci delude.
A Las Vegas si chiariranno molte cose tra loro, mentre si moltiplicheranno le domande a cui l’assassino, per ora, non sembra voler dare risposta. L’autrice svela sul tavolo verde dell’azzardo nuovi, indimenticabili personaggi: Alex Newman il miglior poliziotto di Las Vegas, fascinoso bruno dagli occhi scuri, l’agente dell’FBI Paula Wellman vittima designata di questa partita di poker con la morte, Billy Dexter, la giornalista che non è quello che sembra. Siamo costrette a entrare e uscire da hotel di lusso, pacchiani e ridicoli, dalla Valle della Morte, da quel deserto bruciante dove qualcuno rischia di perdere la vita, qualcuno che conta, qualcuno che abbiamo imparato ad amare.
Mike, se mi baciassi adesso, non riuscirei mai a respingerti… ma chi lo ha detto? Io o Julia? Caspita, ragazze! Qui ci aspetta una partita senza requie contro tutto e tutti e in attesa di Scacco Matto, il quarto della serie, non posso dirvi altro.
Indagate voi.

  
L'AUTRICE
MONICA LOMBARDI è nata a Novara da padre toscano e mamma istriana.Diplomata alla Civica Scuola Superiore per Interpreti e Traduttori di Milano e laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne all’Università Statale di Milano, è interprete e traduttrice free-lance.Sposata, madre di due figli, vive da quasi trent’anni a Cornaredo, in provincia di Milano, dove si divide tra il lavoro, il suo ruolo di mamma e la sua passione per la scrittura.Gambler, pubblicato nel 2011 da Spinnaker, è il terzo volume di una trilogia dedicata al tenente Mike Summers della Homicide Unit di Atlanta. I primi due volumi, Scatole Cinesi e Labirinto, sono usciti nel 2008 e nel 2009. SITO : http://www.monicalombardi.it/index.asp



PER ORDINARE SCATOLE CINESI E LABIRINTO CONTATTATE DIRETTAMENTE L'AUTRICE, monica.lombardi.c@gmail.com

GAMBLER E' ORDINABILE IN TUTTE LE LIBRERIE E BOOKSHOPS ONLINE





Ecco il trailer di Scatole Cinesi:



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Published on April 19, 2012 02:03

March 30, 2012

Recensione - Il Falco e la Rosa n. 1000 de "I Romanzi" Mondadori

Il Falco e la Rosa

  Amori e passioni nell’eredità di una stirpe

Storie di guerrieri, congiurati, pittori, musicisti, patrioti ed ereditiere si avvicendano attraverso i secoli all’ombra di un palazzo maestoso, custode di segreti e di misteri, mentre il medaglione di una schiava passa di sposa in sposa, pegno di amori tormentati ma sempre vittoriosi. Speranze e avidità, orgoglio e illusioni, inganni e rivincite si intrecciano così, dalle Crociate al Novecento, nella storia della nobile famiglia fiorentina dei Monfalco. Ne sortisce un affresco di amori e passioni in una Firenze indimenticabile, raccontata dalla penna di sette grandi autrici italiane in un romanzo unico, in tutti i sensi.
Non vi dirò niente. Non vi racconterò la soddisfazione di vedere sette italiane riunite in un solo volume. Non vi svelerò il dietro alle quinte, che ha il sapore di tanti sforzi ripagati spero, con tante soddisfazioni e tanto affetto da parte di noi fans. Non vi racconterò l’ambizione di queste sette donne che vogliono solo il riconoscimento che meritano, essere scrittrici. Punto. Senza etichette di nessun colore: né rosa, né giallo, né nero. Scrittrici punto e basta. Che ci fanno sognare e che meritano il riconoscimento che a tanti è dato senza sforzo alcuno, solo perché stanno su uno scaffale in libreria o vanno in televisione o scrivono sui quotidiani articoli, sputando sentenze senza neppure conoscere a fondo l’argomento.
Non vi dirò niente di tutto questo. Ma vi racconterò l’armonia di sette racconti che si intrecciano, si inseguono, si completano proprio come su uno spartito, scritto all’unisono e da cui sgorga una piacevole, ipnotica melodia. 
Miriam racconta di un crociato, di tempi duri, di cavalieri che tornano delusi o favolosamente ricchi da una terra arida e nemica e lo fa con la solita passione: perché si sente che lei scrive ciò che più le piace e che dalla sua penna le storie escono come le lettere dell’alfabeto: una dopo l’altra per attrarci ed incantarci. Bello questo inizio in tempi così lontani e densi di avventura, crudeli se vogliamo, ma affascinanti come Lanfranco e Rosa. Lui che ha un gran cuore ma braccia forti e lei che, nonostante l’avversa fortuna, ha stretto i denti e coraggiosa, ha tenuto duro in un mondo che può piegare chiunque. Rosa, senza spine e forte come lo stelo che nessuna tempesta potrà mai piegare. Lanfranco e Rosa, il loro amore indissolubile su cui poggeranno le fondamenta di una grande famiglia. E che famiglia… Paola, che mi ha fatto rivivere la Congiura de’ Pazzi in una Firenze al culmine del suo splendore, tra uomini d’arme e d’amore e addirittura mi ha presentato Lorenzo, il Gran Mecenate. Ho passeggiato per le vie della città, quella Piazza della Signoria che già allora era ammantata di splendore e proprio là ho visto Raniero, che sognava la sua Costanza di Monfalco. Ho incontrato Riccardo di Monfalco e le sue trame, la sua arroganza quando decide il destino di sua sorella con tanta, maschile leggerezza. Il convento, l’angoscia, l’assassinio. Paola, col suo stile accattivante e forbito, elegante, indimenticabile.
Sofonisba Anguissola
1535-1625 - Autoritratto


Ornella, da brividi. Adoro il personaggio tempestoso di Alessandro, luce ed ombra, chiaro, scuro, azzurro e grigio… una tavolozza di colori che mi hanno ricordato una pittrice realmente vissuta a Milano, Sofonisba Anguissola e che io amo in modo particolare poiché anche lei ha lottato come fa la protagonista del racconto, Celeste. Perché loro non avevano la strada aperta, loro vivevano in un mondo esclusivo e impenetrabile, un mondo dominato dagli uomini: pittori, scienziati, navigatori: chiuso a doppia mandata, quel mondo. Celeste avrà le chiavi giuste per affacciarsi su di esso con carattere, determinazione e fascino, avrà abbastanza coraggio per aprirvi uno spiraglio e vincere. Le sue mani che corrono sulla tela. Le vedo. I suoi occhi guardano Alessandro. Lo vedo anch’io. Lei si nasconde dietro la tela, per pudore. Sono arrossita anch’io. La sue mani danno vita, creano un ritratto e mentre il pennello mescola e stende i colori, anche noi siamo rapite e immaginiamo, grazie a lei, colui che le sta di fronte, il suo modello, il suo amore. Sarà Celeste a toccare il cuore di quell’uomo tenebroso e affascinante. Grazie per questo protagonista così vivo e misterioso perché Ornella, col suo ritratto, lo hai reso indimenticabile. Mariangela, il suo Lapo e la sua Olivia, strega stregata e scusate il gioco di parole: perché se lei ha sussultato vedendo per la prima volta quello sconosciuto avventuriero reduce da paesi lontani, anch’io l’ho fatto con lei. Un uomo che ritorna, che il destino porta verso un sentiero sconosciuto, verso una casa che racchiude segreti e sembra viva poiché in lei c’è la stirpe dei Monfalco. Che orgoglio veder buttati fuori i parenti, quelli cattivi, che orgoglio scovare ciò che da secoli era celato davanti agli occhi di tutti, che emozione vedere sul portone, insieme a loro, quello stemma che ci accompagna già da secoli. L’amore non conosce ostacoli, ha i suoi segreti e Mariangela li svela a poco a poco, con personaggi secondari che, anche in poche righe ci svelano una profonda umanità. Una figlia ritrovata, un uomo che ha sfidato i suoi voti per amore, una donna ingrata che però sarà capace del perdono. E l’amore, il grande amore che non esista a sbocciare accompagnato dalla rosa e dal giglio di Firenze… Theresa, che emozione. Non l’avevo capito e sei bravissima ad illuderci che tutto sia normale. Nessuno lo immagina e sembra impossibile. Eppure eppure… lui è… che emozione! Ci regali due innamorati, due anime gemelle che si riconoscono al di là dei sensi umani, in una comunione spirituale, fatta di olfatto, tatto, udito. Gemma come una pietra preziosa ed unica, dalla voce melodiosa, dall’animo sensibile, dalla vivace incoscienza. Federigo è prigioniero, estraneo in un mondo che conosce in modo diverso da tutti noi eppure meglio, eppure più profondamente. E come se non bastasse il fato a volerli separare, ci si mette anche una faida del passato, le due famiglie, i Monfalco e i Malaspina, già divise da un antico amore. Ma la musica, ah! La musica che viene dal cuore, quella che non conosce limiti e rapisce e fa volare. Il falco, dalla vista interiore acuta, ha trovato finalmente la sua rosa.
 



Maria, come sono vicini a noi Bruno e Cate! Quanti secoli, quanti anni pervasi già di nostalgia,  vite sbriciolate lungo i secoli, quasi mille anni. Ma come in tutti i tempi, gli uomini, le donne, l’amore, non cambiano. Bruno, che non ha mai dimenticato quella notte prima della battaglia, della grande avventura con Garibaldi, lontano dalla sua casa, per l’Italia, per quel sogno repubblicano che infiammò le anime di tanti patrioti. Caterina, neppure lei ha scordato le mani, il corpo di quell’uomo e infatti, inconsapevole, lo sta ancora aspettando. La magia di un incontro si trasforma nell’ansia, nell’angoscia di un passato che un equivoco ha reso odioso ad entrambi e il gioco si fa duro: duri gli sguardi, dure le giornate da passare nell’incertezza dell’amore, dura la vita se lui non c’è, se lei non è quella che credi. Bruno, non arrenderti, leale, sincero, innamorato. Cate, abbi fiducia perché quell’uomo non ti deluderà e i suoi baci ti toccheranno il cuore, come hanno fatto con il mio.
Roberta, che hai avuto il difficile compito di congedarci da questa famiglia, da queste vicende che ci hanno incatenato e fatto sognare. Con eleganza hai chiuso i battenti del portone avito su cui, in alto, ancora è inciso il blasone di famiglia. Ma ormai è consumato, roso dal tempo e dalle vicende umane. Quanti disastri, quanti amori, quanti pianti e risate tra quelle pareti, quelle stanze a cui il tempo e lo sfaldarsi della fortuna hanno strappato arredi, quadri, tesori. Che nostalgia, che struggimento nel cuore di Guglielmo quando decide che è tempo di guardare al futuro e lasciarsi alle spalle il glorioso e lunghissimo passato. Minerva, sua moglie, che ha solcato un intero oceano, che ha nelle vene la verve e la forza di sangue nuovo e che viene da lontano, lei saprà sorreggere ed amare un uomo capace di scelte coraggiose. Insieme, nel secolo delle grandi guerre e di sconvolgenti cambiamenti, anche i nostri protagonisti, i Monfalco, i discendenti di questa illustre casata, non ci tradiscono e ci trascinano verso l’amore che unisce un uomo e una donna, in una comunione che non è solo del corpo perché sarebbe troppo, troppo riduttivo. Struggente la nostalgia che fa battere i loro cuori dopo tanti anni, quando tornano alla casa avita. Tutto è cambiato, tutto si trasforma, tutto profuma di tempi andati. Ma a me è venuta voglia di ricominciare, sentivo già la mancanza di tutti, tutti coloro che mi avevano raccontato la storia di quelle mura. 
Così, dopo aver chiuso il libro, l’ho riaperto e ho ricominciato… 
"Firenze, Palazzo dei Conti di Monfalco, 1415…"

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Published on March 30, 2012 00:02

March 16, 2012

Mettiamoli a Nudo

Abito a Milano. E va bene direte voi, e allora? Sappiate che in città abbiamo grandi palazzi. Con facciate a volte spoglie e tristi, su cui vengono appiccicati smisurati cartelloni pubblicitari.   La pubblicità di Silvian Heach ritirata dai muri di MilanoEbbene, qualche mese fa, mi trovo a passare in auto per una via del centro città. Sullo sfondo che vedo? La facciata di una palazzina di cinque piani con la gigantografia di una tipa. La foto è in bianco e nero e lei è immortalata di spalle, su una terrazza. La tipa si gira, ammicca. Potrebbe essere una bella inquadratura, con un orizzonte di alberi e due grattacieli che sembrano affacciati sul  polmone verde di New York, Central Park.“Silvian Heach”, si legge sotto ma non è che si noti molto la scritta, in effetti. L’occhio mi cade su qualcos’altro e se cade a me proprio , potete giurarci che ci sarà stato un incidente proprio qui davanti, se a guidare era un maschietto. Mi guardo intorno alla ricerca di frammenti di fanali, di strisciate di pneumatico o di parafanghi staccati da un impatto violento con uno spartitraffico. Ce ne sono. Alzo gli occhi. Siamo nel 2012 e ancora a questi punti. Che tristezza. Immaginate di che parlo? Se non vi fosse chiaro, recente è la “farfallina” svolazzante sul palco di Sanremo. Mi inchino alla sagacia di Maurizio Corona che come agente e talent-scuot, è astuto ed impagabile. Come conosce gli uomini lui… Recente, ancora, è la polemica, passata anche su queste pagine, delle copertine di romance o di riviste destinate a noi donne e con sopra donne discinte o scosciate o a metà vestite. Vero è che la copertina, per molte di voi, non rappresenta l’essenziale. Un libro si compra per i contenuti. Verissimo. Ma perché questa abitudine, questo malcostume, di usare sempre la figura di una donna nuda? Per rasoi, cioccolatini, prodotti cosmetici, penumatici, auto, moto, biciclette, colla…  sempre e solo donne, donne, donne. Nude, nude, nude. BASTA, per pietà!  Jean Louis David (1748 - 1825)  - PatrocloQui voglio perorare la causa del NUDO maschile. Chi ha detto che ci offende? Chi ha detto che gli uomini nudi sono sgraziati e poco invitanti con quel coso che… insomma, avete capito no?… che penzola? Ebbene, fanciulle mie, mi spiace ma l’armonia è maschia, pendolo o non pendolo. Fatevi un giro nella bottega di Mirone, Prassitele o Fidia. Loro conoscevano bene il corpo di un uomo. E diciamoci la verità, come in tutte le cose, gli antichi avevano la loro santa ragione.
Grecia, VIII secolo a.C.: un pantheon di figure maschili soppianta quelle femminili. Basta con Era, Gea, Gaia e la figuretta della fertilità che “impazza” dall’Età del Bronzo. Sappiate che questo archetipo di femmina circolava come oggi fa la foto di Belem Rodríguez. A poco a poco spariscono i grandi seni, i glutei poderosi, i fianchi adatti al parto facile: “oops, scodellami ‘sto pargolo, bella mia, che la specie deve prosperare!” Ecco, cose così, chiaro? Qualcuno per fortuna dice basta. Forse una donna, o forse un uomo. Non lo sapremo mai.

Fatto sta che, in Grecia, succede quel che io imploro oggi a gran voce: si rappresentano dèi maschili nudi (finalmente) e dee che invece vengono con rigorosa attenzione rivestite (meno male). Il maschio, l’uomo, l’ànthropos greco o il vir latino sarà da ora in poi ritratto in costume adamitico (Adamo non aveva la foglia di fico, che fu aggiunta dalla censura cristiana) e compito suo sarà umanizzare, strappare dal mito le divinità dell’Olimpo.  Il Cronide in bronzo di Capo ArtemisioSaranno da ora in poi scolpite riproduzioni tanto splendide quanto realistiche, ricavando i canoni della scultura che ancora oggi sono i suoi comandamenti.
Non solo in statue di eccelse proporzioni, come i due tirannicidi Armonio ed Aristogene, o i celeberrimi Bronzi di Riace ma anche in decorazioni di imponenti  architetture: esempio eccelso l’Apollo del frontone occidentale del tempio di Zeus ad Olimpia o le metope sul Partenone  che raffigurano la lotta, senza esclusione di colpi, tra un Centauro e un Lapita.

Che pensare poi del Cronide di bronzo di Capo Artemisio, in cui l'equilibrio mirabile di braccia e gambe forma una figura simile alla lettera chi dell'alfabeto greco (χ), secondo una modalità compositiva assai in voga nel periodo arcaico della scultura greca. Nulla, nella Storia dell'Arte, accade per caso e c’è di che perdere la testa, credetemi ragazze.
L'Hermes di PrassiteleIl nudo maschile, glorificazione della vita, della bellezza e della perfezione, era la regola assoluta per gli scultori greci come lo era per gli atleti, che mostravano i loro corpi superbi e liberi da ogni costrizione alle Olimpiadi.Maestri come Mirone (il Discobolo), Policleto (il Doriforo), Prassitele (Hermes) e Lisippo (l’Apoxyomenos, l’atleta che si deterge il corpo dopo la gara), infonderanno alle loro opere una carica di corporea sensualità, di armonia, di vuoti e di pieni così ben proporzionati da indurre, in colui (o colei) che osserva, sguardi di aperta ammirazione e di struggente desiderio. Chi di noi non sospira davanti alle esplicite e sensuali nudità del Fauno Barberini o non si commuove alla drammatica potenza dei gesti del Laocoonte?
Il Torso del BelvedereE chi non ha mai sognato di trovarsi di fronte, in carne e muscoli, la potenza atletica e appassionata del misterioso modello che posò per il Torso del Belvedere? Il tempo ce lo ha restituito invalido, sfegiato, offeso. Ma anche così il messaggio è chiaro: muscolatura possente e vigorosa, forse un eroe nella sua eterna bellezza, forse Aiace che medita il suicidio, seduto su una roccia. Aiace,  il più alto, il più robusto, secondo solo al cugino Achille. Chirone lo ha educato per trasformare l'uomo in un guerriero, unico nell'Iliade a non aver bisogno dell'aiuto degli dèi. Forza, virtù, costanza. Un uomo vero che quel blocco di marmo martoriato ci restituisce senza dubbi, nè incertezze.  Il Fauno BarberiniIntorno al I- II secolo, quindi in epoca romana, ecco l’Ermafrodito, sempre da un originale greco. La bellezza dei tratti né maschili né femminili di quella figura adagiata su un letto ci irretiscono, giocando sull’ambiguità del lato posteriore esposto e di quello anteriore, che ci sarà per sempre negato. Ermafrodito… ma chi era costui? Figlio di Ermes ed Afrodite, divenuto adolescente decise di avventurarsi per il mondo allora conosciuto. Giunto sulle rive di un lago abitato dalle ninfe, fu adocchiato da Salmace. La ninfa, colpita da tanta bellezza e perfezione (eh, lui di certo si aggirava nudo, non ho dubbi!) perse la testa e come lui si tuffò nelle cristalline acque, zac!, lo strinse a sé. A quel punto chiese agli dèi di potersi unire a lui, per sempre. Gli dèi erano tipi dispettosi e quindi i due saranno trasformati in un solo essere, metà uomo e metà donna. Bontà loro. (Ovidio, Metamorfosi) Ecco, proprio Ermafrodito potrebbe essere l’apoteosi del mito della bellezza, di questi atletici corpi nudi, di questi guerrieri o divinità che saranno i precursori del dio Priapo romano dal membro smisurato, o dei satiri sempre sessualmente eccitati in giro per le selve, a caccia di giovani fanciulle da deflorare.  Il nudo maschile incarna la bellezza, l’armonia, la perfezione un equilibrio mirabile che non avrà più eguali nella Storia dell’Arte umana. Non a caso, ancora oggi dopo quasi tre millenni, ci aggiriamo a bocca aperta di fronte alla potenza artistica di questi capolavori. L'Ermafrodito, Galleria Borghese - RomaE questi corpi di maschia simmetria hanno goduto, nei secoli successivi, un lusinghiero e ininterrotto successo, proseguito con l’età romana.

Poi arrivò il Cristianesimo e tutto venne coperto, censurato con foglie (di fico) e drappeggi di stoffa.  Giotto ci prova ad uscire dalla nebbia, nella Cappella degli Scrovegni di Padova, coi corpi esposti dei suoi dannati ma così pallidi e disumanizzati che forse, ai piedi di Lucifero, sono già bestie. Nudo rimane solo il Cristo sulla croce ma ormai i canoni sono quelli della disperazione, del peccato e dell’espiazione. E nudo non lo è del tutto: sul suo inguine giace, quasi sempre, un miracoloso drappo che si regge nel nulla più completo o sul suo scarno bacino.La Chiesa tuona dal suo scranno e da ora in poi, vietati i corpi nudi. Sarà l’apoteosi della morale sessuofobica, che durerà fino al Rinascimento. Leonardo restituisce dignità ai maschi nudi con l’Uomo Vitruviano, universo ben proporzionato e poi il genio di Michelangelo,  degno erede dei lontani classici greci, ci porta a toccare con il “dito” del suo Giudizio Universale, l’apice dell’arte d’Occidente.  Lisippo, L'ApoyximenosImmortale il suo David in Piazza Signoria, con quella sua pigra mollezza che è solo apparenza, solo un’illusione: in realtà ci vollero tre anni per far uscire da un blocco di marmo un tale eroe che toglieva il fiato allora come lo toglie adesso. Espressione ideale del Rinascimento, il nudo eroico divenne sinonimo di forza, potenza e bellezza. Maschile, ovvio. Bei tempi. Rinasce il nudo con Caravaggio, che recupera i modelli dalla strada e li dipinge con crudo realismo, Annibale Carracci e Guido Reni e l’epoca vede il nascere di accademie artistiche dedicate esplicitamente al nudo (anche femminile). Nell’Ottocento la fotografia sostituirà sempre più la raffigurazione scultorea e si affiancherà a quella pittorica, con l’immediata crudezza di un immagine.   Il David di MichelangeloMa il nudo maschile è già al tramonto. Al suo posto, secondo David Leddick curatore del libro “The male nude” (1999), la società impose la commercializzazione esclusiva di nudi femminili poiché erano erotici e piacevano ai “signori”.  Visto che era un mondo maschilista e a gran parte degli uomini non piaceva la vista di un proprio simile nudo, nessuno si pose il problema se qualche donna avrebbe mai potuto apprezzare il corpo senza veli di un bel maschio adulto e nella piena, dirompente sua sessualità. Un’altra scusa che trovarono? Un uomo nudo ha i genitali esposti, la donna no. E la produzione fotografica maschile, dato che aveva un mercato quasi esclusivamente omosessuale in un mondo in cui l'omosessualità era reato in molte nazioni occidentali, divenne  ben presto tabù.Non so che ne pensate voi ma io, a questo punto, mi sono fatta un'opinione e penso che un 'immagine di David Gandy (un caso che si chiami David?), in tutta la sua maschia armonia, non abbia nulla a che fare con farfalline svolazzanti, virginei culetti o seni riempiti di silicone e innaturalmente sodi. Preferisco il marmo. Preferisco il bronzo.
David Gandy fotografato da Mariano Vivanco 
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Published on March 16, 2012 06:12

March 5, 2012

Uh Huh Her, the best song: Dreamer

You've seen the worst of me now
 I'm all alone see You lost me somehow And what we're fighting for is peace Are you still in love with me, Or someone else? Tu hai visto il peggio di me, oraIo sono tutta sola e tu mi hai perso da qualche parteE ciò per cui noi stiamo lottando per questa paceTu sei ancora innamorato di me o di qualcun altro?
Well are you such a dreamer?
Put yourself in my shoes Careful what you wish for love (Oooh, oooh, oooh, oooh)Tu sei un sognatore?Mettiti nei miei panniAttento a ciò che desideri per amore(Oooh, oooh, oooh, oooh)

I've seen the worst of you tooI let it go see
Because I have to Ohh, when I'm falling on my knees You'll take my hand in yours What will be, we'll be Cause are you such a dreamer? Put yourself in my shoes Careful what you wish for love (Oooh, oooh, oooh, oooh)Io ho visto anche il peggio di teHo lasciato che si vedessePerché dovevo farloOhh, quando sono caduta in ginocchioTu hai preso la mia mano tra le tueChe ci sarà, ci saràPerché tu sei un sognatoreMettiti nei miei panniAttento a ciò che desideri per amore(Oooh, oooh, oooh, oooh)



What's the matter with our ways I'm missing something, Not to blame But don't you worry, This will passIt's only cause my mind's Been spinning No control, I've lost my head All of this is just beginning Not enough, It's never enoughI'll only want to keep on dreaming Cause are you such a dreamer? Put yourself in my shoes Careful what you wish for love
(Oooh, oooh, oooh, oooh)Qual è il problema con i nostri modiHo dimenticato qualcosaNon darmi colpa Ma non preoccupartiTutto ciò passeràE’ solo perché la mia mente sta girando velocissimaSenza controllo, ho perso la testaTutto questo sta solo cominciandoNon abbastanza, non sarà mai abbastanzaIo voglio solo continuare a sognarePerché tu sei un sognatore?Mettiti nei miei panniAttento a ciò che desideri per amore(Oooh, oooh, oooh, oooh)
Cause are you such a dreamer? Put yourself in my shoes Careful what you wish for love
(Oooh, oooh, oooh, oooh, oooh, oooh)Perché tu sei un sognatore?Mettiti nei miei panniAttento a ciò che desideri per amore(Oooh, oooh, oooh, oooh)



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Published on March 05, 2012 14:28

August 7, 2011

1° ESTRATTO DA ROMA 40 DC DESTINO D'AMORE

IL PRIMO INCONTRO TRA LIVIA E MARCO RUFO...
Roma, 793 a.U.c., ottavo giorno prima delle calende di Iulius (40 d.C., 24 giugno)
Due donne camminavano spedite nei vicoli stretti, affollati e maleodoranti della Suburra, il capo coperto dalla palla e chino sui sandali di cuoio. Saltellavano da un punto all’altro della strada dove pozzanghere di liquami, oggetti abbandonati ed ogni sorta di mendicante stavano a crogiolarsi nel coacervo di schifezze.«Domina, fai attenzione… attenta!» Gridò una di loro.L’altra, che la sovrastava di una buona testa e aveva in mano un oggetto cilindrico piuttosto pesante, si voltò a guardarla in cagnesco.«Ancilla! Smettila di seccarmi. Non manca molto ormai. Ho altre cose per la testa che evitare una pozzanghera.»Girandosi Livia urtò un uomo corpulento col viso sudato, gli occhi iniettati di sangue e denti marci da far inorridire un mulo. Si sentì afferrare da dita come tenaglie e scrollare due o tre volte, con violenza.«Guarda dove cammini, stupida femmina.»Ancilla si erse in tutta la sua statura ma neppure così poté sputare sul viso dello sconosciuto. «Lascia subito la domina!» Esclamò allora, conficcandogli le unghie nella carne del braccio. L’uomo non lasciò la presa e mollò un veloce ed inevitabile manrovescio che fece cadere la giovane schiava proprio in una di quelle pozzanghere che aveva avuto tanta cura di evitare.Qualche passante rallentò.Nel vicolo, in quel punto, si affacciava un’insula rumorosa a più piani e dall’altro lato, l’ingresso di un lupanare sulla cui soglia stavano due lupe.«Guarda, guarda che bel bocconcino.» Alitò l’uomo dalla fogna che aveva al posto della bocca.Non aveva tutti i torti. La giovane donna che teneva prigioniera aveva occhi di smeraldo, che spiccavano su un viso dall’incarnato perfetto.«Dove vai, bella? Entriamo nel lupanare, così mi racconti qualcosa della tua famiglia.»Livia puntò i piedi nella polvere e tirò  indietro il volto. Ancilla saltò addosso all’armadio da tergo, appendendosi al collo taurino. L’uomo cominciò a dibattersi, tenendo stretta Livia. La confusione aumentò, le due prostitute tifavano per la schiava e alcuni passanti ridevano a crepapelle. La mano sudicia strappò via la palla dalla testa di Livia. Punte di legno e laccetti di cuoio si allentarono e ciocche castano scuro si riversarono sulle sue spalle. Gli spettatori ne furono deliziati e lo incitarono.Con un sorriso ebete, mentre sulla testa gli piovevano i pugni di Ancilla, l’infame cercò di lacerarle anche la tunica immacolata ma in quel momento, una voce imperiosa risuonò dietro di loro.«Che succede, Aulo Plautio? Non hai voluto pagare il divertimento?»La folla si separò e scese un silenzio tombale. Aulo Plautio rimase solo, al centro della via. L’uomo che aveva parlato fece qualche passo. Il capo scoperto sovrastava gli astanti e il corpo muscoloso e scurito dal sole, lo collocava immediatamente in una categoria a parte. Sopra la lorica muscolata di cuoio che indossava stava il laticlavio di porpora, che indicava il suo rango.«Il tribuno laticlavio che ha salvato la vita all’imperatore!»«L’uomo che Caligola ha portato a Roma dalla Germania.»«Marco Quinto Rufo!»Quel nome serpeggiò tra la folla come una folgore e parecchi allungarono il collo, incuriositi.«Rufo, non ho fatto nulla. Queste arpie mi stanno uccidendo!»Quando ai fianchi del tribuno apparvero quattro guardie pretoriane, la folla cominciò a diradarsi. Ancilla scivolò dalla schiena del grassone e gli mollò un appagante calcio negli stinchi. Livia, tornata libera, si girò. Chi era quel tizio che aveva raggelato la folla?Si trovò a fissare un torace ampio, due braccia scoperte fino ai bicipiti gonfi. Su quello sinistro una lunga cicatrice disegnava un serpente di carne che arrivava giù, fino al polso nascosto da uno spesso monile di ferro. Era così alto che dovette alzare il mento per guardarlo in viso.All’istante si agitò in lei qualcosa di indefinito. Una sensazione che da mesi non provava più e che le attraversò il corpo come una vampata ardente, come dopo un grande spavento quando il cuore batte forte e il sangue sembra crepitare ovunque.Sgomenta, lo fissò.Si augurò di non dovergli mai rivolgere la parola. Era troppo spaventosa quella sua faccia dura, dagli occhi crudeli sotto le sopracciglia aggrottate. La valutò come fosse stata merce e dopo averla squadrata con fredda efficienza, si rivolse agli ultimi temerari rimasti.«Fuori dai piedi.»Lo disse a voce bassa ma in un attimo, la folla si disperse. Anche le due prostitute sparirono nel lupanare, abbassando la tenda che ne chiudeva l’ingresso.Livia richiuse le braccia attorno al cilindro di piombo. Il tempo stava cambiando. Un alito di vento alzò la polvere della strada e sfiorò la tunica del tribuno. Gli bastò un gesto e due dei quattro pretoriani raccattarono da terra la feccia che l’aveva assalita. O era stata lei? Livia non ricordava come fosse cominciata la rissa.Marco Quinto Rufo le si avvicinò. Una sottile cicatrice gli attraversava la guancia rasata. Aveva labbra spesse, ben definite, che teneva serrate.«Donna,» le disse con tono severo «che cosa fai qui?»E lui, tribuno laticlavio, non doveva essere al fronte a combattere i nemici di Roma?Livia tirò indietro le spalle per sembrare più  alta e lo fissò negli occhi. Si convinse di non aver fatto nulla di male.«Solo una commissione, tribuno.»«Sola con la tua schiava? La Suburra non è posto per te.»«Stavo tornando a casa.»Deglutì per calmarsi. Alle sue spalle un grugnito, un tonfo, il rumore inconfondibile di percosse. Il tribuno la sfiorò, oltrepassandola. Livia fu investita dal suo odore di maschio, aspro di terra e di sole. Fece un passo indietro,
SAPETE CHE....
Ci sono alcuni riferimenti a oggetti di uso comune, luoghi, persone  o titoli  nel romanzo  a molte possono non essere chiari. Ecco una piccola legenda di quelli usati in questo estratto:
LA SUBURRA : Nel cuore dell’antica Roma , la 'Subura' (il cui nome ha la stessa origine del termine latino suburbium ,cioè sottostante alla città, al di fuori dell'urbs, ossia del primitivo stanziamento patrizio sul Palatino) era un quartiere ed una strada che dalle pendici del colle dell’Esquilino si estendeva fino ai Fori e costituiva la parte più popolare di Roma antica: un dedalo di viuzze, botteghe, mercati, catapecchie e insulae, palazzi a più piani con appartamenti in affitto e un susseguirsi di taverne, postriboli, bische ed altri ritrovi malfamati frequentati da ruffiani, imbroglioni e da ogni risma di tipi poco raccomandabili. Oggi  la parola  ha acquistato anche un significato traslato per denominare lo stato di estremo degrado di una società o di un periodo storico.
Donna con la PALLAPALLA : un taglio di stoffa rettangolare che copriva completamente la donna, compreso il capo, e che ne contornava il corpo con varie pieghe e ritorni tenuti su dalle braccia. Era molto importante e ricca, tanto che spesso una schiava era addetta alla sistemazione delle pieghe anche mentre la matrona era a passeggio. Era più o meno l'equivalente della toga maschile e una donna non si faceva mai vedere in pubblico senza.  
LUPA: Termine usato dai romani per le prostitute anche in riferimento alla loro avidità per il denaro. La femmina del lupo era considerata infatti sinonimo di avidità, cupidigia e avarizia Altre, meno appariscenti, erano genericamente chiamate “meretrix” , derivato da 'merere' (guadagnare).
LUPANARE: Lupanare, dal latino “lupanar”, derivato da Lupa, il nome dato alle prostitute.  A Roma i lupanari erano solitamente concentrati nella Suburra (l’area del Circo Massimo).
Lorica muscolata in pelleLORICA MUSCOLATA: Corazza anatomica, solitamente di cuoio, indossata a protezione del busto. In latino arcaico la parola loris da cui lorica aveva il significato di cuoio (Varrone V, 24). Solitamente appannaggio delle classi più elevate a causa dei costi di fattura, originariamente le loriche consistevano in due valve con il disegno abbozzato della muscolatura, unite sulle spalle e sui fianchi da lacci o cerniere. Le iconografie del periodo imperiale ci hanno tramandato anche modelli molto più elaborati, arrivando a esemplari riccamente decorati a sbalzo o con applicazioni in metallo che dalle evidenze lapidee, parrebbero dei veri e propri capolavori, indossati da figure di assoluta importanza.
TRIBUNO LATICLAVIO: Il tribunus militum era un ufficiale dell'esercito romano. Dopo la riforma mariana dell'esercito romano (I secolo a.C.), che creò i soldati di professione, le legioni furono comandate dal legatus. C'erano sempre sei tribuni per legione: subito sotto il legato c'era il tribuno laticlavio, che era un giovane di estrazione senatoria, e poi, con un rango inferiore, vi erano cinque tribuni angusticlavi, che provenivano dal ceto equestre.                                                                                                                                                                                       
 
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Published on August 07, 2011 12:02

August 6, 2011

2° ESTRATTO DA ROMA 40 DC DESTINO D'AMORE

Dopo quel primo, fuggevole incontro, Livia rivede Marco Rufo durante una visita alle terme, impegnato in una lotta corpo a corpo...
Livia aveva assistito solo una volta nella vita ai giochi dei gladiatori e non l’avrebbe mai più dimenticata: la folla che si agitava come un animale impazzito, le urla assordanti e le zaffate di cibo e sudore, portate dal vento durante il rivoltante raduno. Aveva visto incarnarsi davanti ai suoi occhi la violenza, su cui aleggiava l’odore ramato del sangue che macchiava la sabbia. Violenza allo stato puro, che eccitava la plebe ma aveva atterrito lei.La vista del gladiatore trace impigliato come un pesce nella rete dell’avversario e trapassato dalle lame del tridente, il suo ululato bestiale e tutto quel sangue che gli era uscito dal corpo, avevano reso molli le ginocchia di Livia. Le era sembrato di precipitare con la testa verso il basso, pur essendo seduta accanto a sua madre. Agghiaccianti poi erano state le risate del pubblico, quando il vincitore aveva spiccato la testa allo sconfitto con un colpo netto tenendola sollevata come un macabro trofeo, mentre l’arena tremava di giubilo insieme al suo stomaco in subbuglio.Livia tornò al presente e si ritrovò sulle gradinate di solido marmo. Anziché i due lottatori al centro dell’arena, osservò gli spettatori. Ancilla le toccò il braccio, indicandole tre giovani uomini seduti poco distante.«Può esserci il tuo promesso tra loro, domina?»Come spinto da una forza divina che coincideva con il desiderio di Livia, uno dei tre scattò in piedi, tendendo il braccio e urlando in un gesto di incitamento.Livia lo riconobbe all’istante e ringraziò  Venere dal profondo del cuore. Il corpo snello di Settimio Aulo Flacco risaltò sotto il sole, la pelle bianca, i capelli chiari, le gambe lunghe e magre. Era ben fatto e la sua risata, quando si voltò eccitato verso i due amici, sembrò a Livia il gorgogliare di un ruscello. Lo ammirò sfacciata, pensando a come sarebbe stato giacere sotto di lui, ricevere le sue carezze. Il lino che gli fasciava i fianchi lasciava intuire ben più di quanto mostrasse e Livia si sentì avvampare le gote.«Domina, è lui vero?» sussurrò compiaciuta Ancilla.Livia fece un cenno e sedette assorta, senza staccargli gli occhi di dosso.«Cara, non è da quella parte che devi guardare.»«Non mi piacciono i gladiatori» rispose Livia di getto, voltandosi verso la voce importuna. I suoi occhi si spalancarono: apparteneva a una delle donne più belle che avesse mai visto.  Il seno generoso era a malapena coperto da una fascia purpurea, il viso truccato con sapienza e le gambe snelle sfioravano la schiena dei due uomini seduti sulla prima delle gradinate.La risata divertita della sconosciuta piacque a Livia, poiché ridevano anche i suoi occhi scuri e maliziosi, intaccati da rughe sottili. Non era più giovanissima ma la sua avvenenza era comunque superba.«Quelli non sono gladiatori. Sono uomini liberi, in carne e muscoli» la corresse l’altra sporgendosi verso di lei, ancora concentrata su Settimio.La donna allora allungò una mano, le prese il mento e con un tocco gentile la obbligò a fissare i due lottatori. In quel momento, dalla folla si alzò un’ovazione: «Marco... Marco... Marco...»Il sussurro divenne ben presto una cantilena che salì  di tono, sino a diventare ossessiva.«Guardali. Belli così non se ne vedono spesso.»Livia non poté farne a meno. Al centro della palestra stavano due uomini, l’uno di fronte all’altro. Uno di loro aveva i capelli lunghi che gli sfioravano i bicipiti e splendevano sotto il sole. Livia trattenne il fiato.«So quello che pensi,» mormorò Calpurnia con sguardo sognante «anch’io ucciderei per possedere una parrucca con quelle ciocche d’oro colato.»Livia, avendolo di fronte, poté godere di quegli occhi implacabili come un cielo autunnale che il naso affilato univa a una bocca larga e decisa, immorale. Il corpo era una sinfonia di muscoli possenti e armoniosi, saldi come colonne. Era bello in modo selvaggio, dirompente e sensuale.«Respira, mia cara. Sei cianotica.»Livia non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. La sua compagna ridacchiava.«Bello, eh? Adesso dimmi che non ti piace. E ti assicuro che quando si volterà l’altro, ti salterà il cuore. Anche se il suo didietro è di tutto rispetto, non trovi?»Livia non poté che assentire. In confronto a quei due corpi muscolosi e virili, Settimio e i suoi compagni sfiguravano, seppur fossero giovani e belli.«Ma chi sono?»«Non lo sai? Ma dove vivi? Quel dio biondo è un cavaliere batavo. Appartiene alla guardia del corpo di Caligola. Sono trenta e tutti belli come lui, giuro! Credo si chiami Aquilato o qualcosa del genere.»Il batavo rise gettando indietro il capo. L’altro doveva aver detto qualcosa di divertente. Senza preavviso, quello di spalle si gettò su di lui. L’impatto strappò un urlo agli spettatori.Il biondo volò a terra, i muscoli tesi e le braccia aperte. Livia trattenne il fiato quando si schiantò sulla sabbia, alzando un velo di polvere. Con un movimento agile piegò le ginocchia contro il petto, per proteggersi. Quello girato di spalle ne approfittò. Con il piede sinistro si appoggiò sulla rotula del batavo, diede una spinta possente e gli volò sopra, atterrando con una capriola dietro di lui.Prima che gli spettatori tirassero il fiato, era già  in piedi. La folla urlò di gioia.«Ah, Giunone, ti ringrazio per questa vista» fece la donna, battendo le mani e indicando con il dito ingioiellato quello scuro di capelli.«Ti presento il tribuno laticlavio Marco Quinto Rufo. Legatus Batavorum fresco di nomina. Uno scandalo per il Senato di Roma. Ma Caligola può fare ciò che vuole. Guarda, il pubblico è in visibilio.»Livia lo fissò per un interminabile istante. Non aveva avuto occhi che per il dio biondo che si stava rialzando da terra, con tutta la calma del mondo. Una sensazione di gelo le attraversò il cuore, nonostante l’afa del pomeriggio.Era lui. L’uomo incontrato nella Suburra nel giorno più infausto della sua vita. Un segno degli dèi. Era nudo, solo il piccolo triangolo del subligaculum gli copriva i genitali. La sua pelle, come denso miele di castagno, brillava perfetta sotto il sole. I muscoli guizzavano a ogni movimento. Ebano e avorio.Luce e ombra.Ade e Apollo.Il legato fissò l’avversario. Nonostante la distanza Livia rimase impressionata dal magnetismo di quello sguardo, proprio come quel giorno nel più popoloso quartiere della città. Anche se non era rivolto a lei, sapeva bene cosa significasse avere quegli occhi piantati addosso.Un sorriso freddo spezzò l’impassibilità  di quel volto. Fu come se le porte dell’Averno si fossero spalancate. Egli allungò un braccio verso il batavo ancora a terra.Livia notò la polsiera di ferro e la cicatrice, un grumo di angoscia le salì nel petto. Aveva avuto persino l’ardire di toccarlo. Che pazza!Il batavo prese la mano e fece per alzarsi ma diede uno strattone a tradimento e colpì l’avversario al ventre con il gomito. Alla folla sfuggì un ansito di sorpresa mentre i due corpi si avvinghiavano di nuovo nella lotta. La donna accanto a lei fece una smorfia.«Si stavano allenando da soli. In effetti, non è onorevole per un uomo del suo prestigio esibirsi in questo modo, ma i curiosi si sono radunati in un attimo e questo è il risultato. Che Giunone lo preservi!» Si guardò intorno, poi si rivolse di nuovo a Livia, sottovoce: «Guardale le gelide matrone di Roma che sognano di portarselo a letto.»Livia si rese conto che, tra il pubblico, c’erano molte donne intente a osservare i muscoli e la potenza di quei corpi virili.«Nessuna di loro si tirerebbe indietro. Te lo dice Calpurnia Gioviale. E se te lo dico io, ci puoi credere.»L’atleta biondo atterrò il legato, intrecciandogli la gamba sinistra attorno al ginocchio e alla caviglia. Entrambi caddero a terra, in un groviglio di muscoli e carne.Livia percepì come un’ondata la primitiva violenza di quei corpi nudi avvinghiati, il fascino macabro della lotta. Fu come se anche lei fosse schiacciata sotto il corpo chiaro e possente, come se anche su di lei vi fosse il peso soverchiante di quei muscoli, di quella potenza a stento controllata.Il pubblico divenne silenzioso all’improvviso. Si udirono i grugniti, i respiri affannati dei due uomini aggrovigliati, l’uno che lottava per contrastare la forza che lo schiacciava a terra, l’altro che opponeva resistenza, tutti i muscoli che guizzavano come dotati di vita propria sotto la pelle abbronzata. Lo sforzo non era finzione e Livia, senza avvedersene, strinse i pugni e serrò i denti.A un tratto, il legato torse il busto bruscamente. Il corpo si sollevò in un unico, fluido movimento e costrinse il batavo a cambiare posizione, perdendo il vantaggio. Rotolarono sulla sabbia e, un attimo dopo, Marco Quinto Rufo era libero.Quando fu di nuovo in piedi, la folla esultò.                    
                                        
SAPETE CHE....
Ci sono alcuni riferimenti a oggetti di uso comune, luoghi, persone  o titoli  nel romanzo che aiutano a rendere meglio l'ambientazione romana, ma che a molte possono non essere chiari . Ecco una piccola legenda di quelli usati in questo estratto:
ANFITEATRO DI STATILIO TAURO:  Costruito nel 29 a.C. nella parte meridionale del Campo Marzio da Tito Statilio Tauro, a proprie spese, fu  il primo anfiteatro permanente,cioè in muratura, costruito a Roma. Il due volte console, generale e politico romano dell'epoca augustea aveva infatti una grande fortuna, e finanziò pure i giochi gladiatorii per l'inaugurazione dell'anfiteatro al pubblico romano. Sebbene fosse in parte costruito in pietra, alcune strutture erano in legno, come l'arena.
L'anfiteatro è citato da Svetonio e da Strabone, mentre Dione scrive che: "Essendo Cesare Augusto ancora console per la quarta volta, Tauro Statilio edificò un teatro venatorio di pietra nel Campo Marzio a proprie spese inaugurandolo con un combattimento di gladiatori. Questo lo portò ad essere eletto dal popolo come uno dei pretori annuali." Fu totalmente distrutto in occasione del grande incendio di Roma del 64.
MUNERA : I Munera o spettacoli gladiatorii si svolgevano da principio nel foro e nel circo, poi negli anfiteatri. Gli spettacoli gladiatorii hanno origine in lontane e crudeli cerimonie funebri, celebrate con il rito del sacrificio umano sulla tomba del defunto per placare l'ira degli Dei infernali e l'inquietudine dei trapassati. Da questa origine cultuale deriva il loro nome (da munus, nel significato di offerta sacrificale e propiziatoria). Introdotti a Roma nel 264 a.C. dall'Etruria, furono istituiti ufficialmente nel 105 a.C. e per lungo tempo rappresentati nel Foro Romano, dove sono i resti dei pozzi delle camere di manovra con le impronte dei sistemi degli argani. Solo con la costruzione degli anfiteatri essi raggiunsero la perfetta organizzazione che conosciamo dagli scrittori antichi. In epoca augustea a Roma  esisteva solo un anfiteatro in pietra, quello che Statilio Tauro , mentre gli altri  erano solo provvisori e di legno. Fuori della città Augusto mantenne gli ordinamenti di Giulio Cesare che volevano la rappresentazione di un munus annuale da parte dei magistrati municipali. A Roma obbligò i pretori in carica a darne due l'anno, in ognuno dei quali duellassero almeno 120 coppie di gladiatori. Erano questi i munera ordinaria. C'erano poi quelli extraordinaria: Augusto li offrì al popolo tre volte personalmente e cinque a nome di figli e nipoti. In seguito a questi decreti imperiali, i munera divennero uno spettacolo ufficiale e obbligatorio, proprio come i ludi del teatro e del circo. Da qui lo stabilizzarsi e il moltiplicarsi degli anfiteatri.
 Subligaculum
SUBLIGACULUM : Il subligaculum era una striscia di lino che veniva avvolto in vita ed attorno alle cosce quindi allacciato. Il termine latino infatti è composto da subligo (legare sotto) e dal suffisso culum (che indica genericamente gli 'attributi'). Era un indumento intimo utilizzato sia da uomini che da donne. Anche attori di teatro, ballerine e gladiatori utilizzavano il subligaculum, sebbene di foggia differente, più simile a dei mutandoni a pantaloncino tenuti fermi in vita da una cinta, nel caso dei gladiatori si usava il balteus, una grossa cintura di cuoio rinforzato.
LE TERME ROMANE: Le terme (dal greco: thermà), distinte inizialmente per gli uomini e le donne, fecero la loro prima comparsa a Roma nel II secolo a.C. In breve tempo aumentarono vertiginosamente e tale fu l’entusiastico consenso dei Romani che, gettata all’aria quell’austerità repubblicana che impediva a Catone il Censore di fare il bagno in presenza del figlio, gettarono all’aria anche i vestiti per tuffarsi in allegra compagnia nelle pubbliche vasche. Fu dal I sec. a.C. che le terme divennero una vera e propria istituzione sociale a tal punto che Agrippa, a cui era affidata la cura dei bagni in qualità di edile, ne ordinò il censimento, contandone ben 170; dando poi prova di grande munificenza verso il popolo romano, sancì la gratuità dei bagni pubblici di Roma facendosi egli stesso carico di ogni onere, e tra il 25 e il 19 a.C. fece dono alla città di un nuovo grandioso impianto termale realizzato nel Campo Marzio: da questo momento in poi gli antichi balnea, vennero designati con il nome di thermae. Il nuovo edificio, oltre ad essere un impianto termale, era un luogo di cultura ed arte: la gente vi si intratteneva nei vari ambienti conversando, leggendo e godendo della presenza di magnifiche opere d’arte, quale la celebre statua dell’atleta che si deterge, noto come Apoxyomenos, copia dell’originale di Lisippo.

I cittadini romani terminavano il lavoro nelle prime ore del pomeriggio e si recavano alle terme, che aprivano a mezzogiorno, prima del pasto principale. Un tipico ciclo iniziava con ginnastica in palestra, o attività sportiva in un campo esterno, dove di svolgevano giochi anche utilizzando piccole palle in cuoio, o gare di lotta. Successivamente ci si recava ai bagni attraverso tre stanze, partendo da quella con l'acqua più tiepida fino a quella con l'acqua più calda. Si entrava nel tepidarium, la stanza più grande e lussuosa delle terme: qui si rimaneva un'ora e ci si ungeva con oli. Poi si andava nel calidarium. Si trattava di stanze più piccole, generalmente costruite sui lati della sala da bagno principale. Infine ci si recava nel laconicum , la stanza finale più calda, riscaldata con aria secca ad altissima temperatura. Dopo la pulizia del corpo e i massaggi, si faceva una nuotata nella piscina del frigidarium. Tutti i ceti romani frequentavano le terme, ma gli appartenenti ai ceti nobili o più agiati si distinguevano dagli altri perchè avevano al seguito schiavi e sevitori da cui farsi ungere d'oli  e massaggiare.
Statua del ApoxyomenosVista l’alta frequentazione delle terme, per chi vi abitava vicino costituivano una fonte di disturbo quotidiano e ce lo testimonia la seguente lettera, di Lucio Anneo Seneca, vissuto in quei anni, un intellettuale che fu consigliere dell’imperatore Nerone.
“Che io possa morire, se il silenzio è tanto necessario, come sembra, al raccoglimento e allo studio. Infatti mi circonda da ogni parte un chiasso indiavolato. Ho la sfortuna di abitare proprio sopra le terme: immagina di sentire un vocio, un gridare confuso che ti fa desiderare di essere sordo. Sento gli affanni e i sospiri di quelli che si esercitano con gli attrezzi ginnici e si affaticano (o fingono di affaticarsi). Se anche capita uno più pigro, che se ne sta zitto a farsi massaggiare, si sente comunque il battere delle mani del massaggiatore sulle sue spalle. Quando poi arriva uno di quelli che non ce la fanno a giocare a palla senza urlare e incomincia a contare i colpi a voce alta, allora è proprio finita.Ci sono poi il litigioso, il ladro che viene colto sul fatto, il chiacchierone, o quello a cui piace sentire la propria voce mentre fa il bagno. Poi c’è il fracasso di quelli che saltano nella piscina. Ma almeno queste voci sono normali: pensa invece al depilatore che richiama i clienti con voce stridula e sta zitto solo quando strappa loro i peli, ma allora urla chi gli sta sotto… Non parliamo poi dei venditori di bibite, di salsicce, di pasticcini e i garzoni delle locande che vanno in giro a vendere la loro merce!” (Seneca, Lettere a Lucillo)
                                                  
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Published on August 06, 2011 04:01

August 5, 2011

3° ESTRATTO DA ROMA 40 DC DESTINO D'AMORE

LIVIA E' PROMESSA A UN UOMO CHE CREDE DI DESIDERARE MA IL DESIDERIO VERO HA TUTTA UN'ALTRA NATURA...

Era una di quelle giornate pigre e torride che calavano così di frequente su Roma e sui colli circostanti, d’estate. L’unico sollievo era rilassarsi nella quiete dei giardini, all’ombra dei portici dei Fori o inoltrarsi nei boschi, sacri o meno, che circondavano la città.Livia si fermò  sotto l’ombra di una secolare quercia che cresceva rigogliosa nella fitta boscaglia sul Gianicolo e ringraziò la dea Furrina per quell’atmosfera incantata. Rami imponenti sostenevano la spessa chioma dell’albero. Chissà se le ninfe che ne abitavano le fessure coperte di muschio, percepivano la sua presenza. Allargò  le dita in una carezza e proprio allora la mano di Settimio coprì  la sua, con un gesto affettuoso.Lei non si oppose. Gli circondò il collo e le loro labbra si incontrarono. Quelle di lui cedevoli, delicate, gentili. Il contrasto tra la dolcezza del bacio e la ruvidezza del tronco la costrinsero ad un calmo abbandono. Sollevò le mani sulle punte dei riccioli, sul collo. Morbidi ricci dorati. Poi si udì un fruscio troppo vicino a loro e Livia riaprì gli occhi. Il volto truce di Publio Cassio Nepote li stava osservando, da dietro un cespuglio. Livia si mosse a disagio e appoggiò il palmo delle mani sul petto di Settimio, scostando il capo di lato. Lui la scrutò interdetto, poi le cercò  di nuovo le labbra.«Ci sta guardando.» Gli sussurrò e il giovane fu obbligato a voltarsi.Nepote uscì allo scoperto. Aveva capelli neri ondulati che gli coprivano parte della fronte, zigomi prominenti e labbra sottili. Mentre si avvicinava si aggiustò le pieghe della corta tunica, bordata d’argento e azzurro, senza staccare gli occhi da Livia. «Sembra che durante la festa dei Furrinalia sia abitudine diffusa allontanarsi dai sentieri segnati.» Disse mellifluo piazzandosi davanti a loro, le braccia conserte sul petto.«Come sei arrivato fin qui?» Settimio fece qualche passo nella sua direzione e Livia si sentì abbandonata. Notò che Nepote aveva ombre violacee sotto gli occhi e il volto, scavato e magro, rendeva la sua espressione imbronciata. «Il rito di Cibele la Madre Terra, il principio di tutte le cose. Non ricordi?» Rispose questi senza scomporsi, rivolgendosi all’amico come se lei non esistesse. «Si sono già riuniti non lontano da qui. Potresti venire anche tu, invece di dilettarti con volgari effusioni nella boscaglia. Mi stanno aspettando.» Come a confermare le parole di Nepote l’aria si riempì di una nenia lontana, di un tintinnio di strumenti metallici. Dietro di loro il bosco era più  fitto, larghe lame di luce attraversavano le fronde toccando il suolo, dopo aver giocato tra le cime degli alberi. Livia si guardò  intorno e per la prima volta in quel pomeriggio, il selvaggio profumo della natura le riempì le narici d’improvviso, così come d’improvviso si sentì un’intrusa, tra quei due uomini. Sensazione già sperimentata un’ora prima, quando Settimio gli aveva presentato l’amico fraterno.Dove aveva già  visto il volto aggrondato di Nepote, a parte nell’arena delle Terme di Agrippa? Cercò di mantenere un’espressione neutra, sebbene fosse seccata dalla sua invadenza.  «Allora non facciamoli aspettare.» Replicò il suo promesso e tutti e tre si incamminarono infine nella direzione dei suoni.Livia aveva sentito parlare dei rituali in onore della dea ma non vi aveva mai partecipato. Il suo culto si accompagnava con le celebrazioni in onore di Furrina ma Cibele era un’antichissima divinità orientale e si diceva, sanguinaria. Era un culto popolare, dei ceti più bassi, dei vicoli bui. Li seguì docile, conscia di fare un dispetto a quel bellimbusto profumato che la stava occhieggiando risentito. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di lasciarli da soli.Un refolo di vento agitò  le fronde. Costeggiarono il fitto sottobosco, un’accozzaglia intricata di foglie e ciuffi di felci. Ammaliata dal vigore della natura, Livia quasi dimenticò l’astio che l’aveva animata negli ultimi istanti. Riconobbe il gorgoglio di un ruscello e il mormorio di una voce incantatrice. Sbucarono in una radura. Al centro un masso grigio, piatto e tutto intorno, un gruppo di fedeli prosternati in atteggiamento adorante.Mormoravano un canto ritmato dai sistri. Un fumo dolciastro si levava da due bracieri accesi ai lati del masso, su cui donne seminude gettavano offerte di incenso.Livia rammentò  ciò che le aveva raccontato Ancilla a proposito delle cruente cerimonie, dedicate alla dea. I suoi devoti si privavano della virilità, inebriati da droghe che annullavano ogni rimpianto e ragione. Il “giorno del sangue”, così chiamavano gli adepti l'Equinozio di primavera. Durante le invocazioni si flagellavano scorticando la pelle in un vortice estatico, spargendo il rosso succo della vita sul suolo, invocando la resurrezione dagli Inferi. Ed ora che intendevano fare?«Sono dei pazzi.»  Bisbigliò a Settimio e si accorse di stringergli la mano in modo eccessivo.Nepote superò  gli inginocchiati e li abbandonò, ai margini della riunione. Alcuni dei fedeli gli si avvicinarono e lo liberarono della tunica. Proseguì  nudo fino all’altare. Livia si sentì  il cuore in gola. Si costrinse a calmarsi, un respiro profondo, un altro. In quel momento le parve che i tronchi della cupa foresta si animassero, incombendo sull’angosciante celebrazione.Vi fu un rumore secco, di rami spezzati. Qualcosa agitò i cespugli e sbucarono due uomini che reggevano una giovane donna, anch’essa nuda. Una supplica le ribollì  dentro, perché Livia aveva capito cosa significasse quel rito. Smise di respirare, tirò il braccio a Settimio ma lui non si mosse anzi, la lasciò  sola ad indietreggiare mentre lui avanzava, cullato dalla calda e umida aria estiva, dai vapori inebrianti e dall’immagine del suo amico salito sull’ara, in attesa della vittima. Livia tentò di trovare una ragione che giustificasse quel comportamento mentre Nepote cominciava a masturbarsi, in ginocchio, la pelle bianca e liscia del corpo snello sotto i raggi bollenti del sole. I canti e il fumo aumentarono con un ritmo che le entrò nelle ossa e Livia decise di appartarsi, il più lontano possibile. Teneva le braccia lungo i fianchi, le mani così chiuse che sentì le unghie conficcarsi nella pelle. Deglutì. Non riusciva a distogliere gli occhi dall’altare su cui quel corpo si levava minaccioso, sopra la donna distesa. Le gambe snelle vennero scostate da due sacerdoti e Nepote si sistemò al centro, il membro eretto. L’offerta vivente alla dea inarcava la schiena offrendosi a lui, seguendo la  musica, le gambe a volte chiuse, a volte ferocemente spalancate.Livia fece qualche altro passo. Il sesso poteva guardarlo ma dopo, se fosse venuto il sangue? Cozzò contro un ostacolo. Si girò sorpresa, bloccata dal corpo caldo di un uomo. Quando alzò il viso e lo vide in volto, fece per cacciare un urlo ma lui fu più veloce e le tappò la bocca, trascinandola senza respiro verso l’ombra fitta di alcuni cespugli.«Numi immortali donna, taci.»Stretta in una morsa poderosa, Livia trovò a stento l’aria da respirare. Fece per dimenarsi ma si immobilizzò. La frizione con quel corpo muscoloso era sconcertante.L’uomo, con lo stesso tono accigliato ed urgente di prima, aggiunse:«Non so perché tu sia qui, ma non ha importanza. Ora ti lascio andare, non ti farò del male.» La voce era appena un sussurro. Marco Quinto Rufo rilassò i muscoli e scostò le braccia, lasciandola libera. Livia saltò via dalla sua stretta e gli occhi di lui scintillarono divertiti. Si portò  l’indice teso davanti alla bocca, poi le cinse il braccio sinistro con una mano, con una sola mano per tutte le Ninfe del bosco!, e se la portò davanti al corpo, rivolgendola di nuovo verso la radura.«Non voglio guardare.» Sibilò Livia, facendo resistenza. I loro corpi si sfiorarono, quello alle sue spalle era saldo, grande e vigoroso. «Non sei venuta per questo?» Livia non osò  negare, né giustificare la sua presenza. Non si spiegava neppure quella di lui, vestito con una tunica anonima che nascondeva il suo rango e la sua importanza. La sua presa le bruciò  la pelle. Stava per aprire bocca e protestare quando il rumore dei canti divenne frenetico, la melodia dei sistri soffocò i canti degli uccelli. Adesso Nepote si teneva sollevato con entrambe le braccia e i muscoli dei glutei si tesero. Diede una spinta feroce. Vi fu un urlo. Poi cominciò a muoversi lento, il giovane corpo teso e vibrante, mentre la testa della sua vittima si rovesciava all’indietro, oltre il bordo del masso. La scena era rozza e sconvolgente ma Livia non poté distogliere lo sguardo. Ad un colpo più  forte, la ragazza sussultò emettendo un lungo lamento e Livia trasalì.«Non puoi credere che io sia venuta qui per vedere questo. Lasciami andare, voglio andarmene.» Ora che la presenza di quell’uomo era stata catalogata dal suo cervello come un pericolo non mortale, Livia aveva riacquistato il buon senso. «Ferma e zitta. Non sei curiosa di sapere come finisce?»La voce era un ironico bisbiglio su di lei e Livia rispose con un basso grugnito ed un lieve strattone. Lui intensificò la stretta ma non le fece male.«Rilassati, non la ucciderà, se è questo che temi.» Rufo fissò la scena assorto, un muscolo gli guizzò sulla guancia mal rasata. Livia era così  consapevole di quella presenza, di quella mano su di lei, che ad un tratto sentì i peli drizzarsi in tutto il corpo, come colpita dalla sua energia animale. Non le sembrò  di essersi mossa. Forse aveva solo respirato più a fondo ma in quel momento, lui chinò il capo su di lei e la guardò dall’alto. Livia sentì fin dentro allo stomaco quell’occhiata torbida e impenetrabile. In quell’atmosfera che grondava lussuria, sensualità e dissoluto erotismo, con quello sfondo ben udibile di ansiti, di musica e grida interrotte, i loro occhi restarono incatenati. Entrambi sapevano ciò  che stava accadendo a pochi passi da loro: i movimenti di Nepote si erano fatti frenetici, le gambe femminili si erano spalancate di più  nell’accoglierlo e gli adepti erano in febbrile attesa del culmine, poiché l’amplesso sull’altare era collettivo, perpetrato e goduto da tutti.«Cibele avrà il suo sacrificio, oggi.» Mormorò Rufo spezzando la tensione, la linea sensuale della bocca ritorta in un sorriso, mentre lei lo ricambiava coi suoi occhi verdi felini, spalancati. Lui sollevò la mano sinistra sulla sua guancia, il pollice seguì il profilo dell’osso per poi incontrare lo spesso velluto delle sue labbra, appena dischiuse. Il dito scabroso ci giocò, strofinandole avanti e indietro. Quando si fermò all’angolo della bocca, Livia sentì il ventre attorcigliarsi in un nodo di brividi.Quell’uomo era solido come una roccia, era un violento, un soldato. Eppure non riuscì  a distogliere gli occhi dai suoi.  «Hanno il colore della foresta.» Commentò infine lui a voce più bassa, quasi parlando a se stesso.La musica si scatenò  d’improvviso, un boato che fece sussultare entrambi.Livia guardò Rufo con collera repressa. Che cosa c’era di sbagliato in lei che vicina a quell’uomo si sentiva soffocare dalla paura, dal disgusto e da uno strano fastidio? Si scostò. Lui era fisicamente troppo imponente. Solo per baciargli l’incavo della gola abbronzata e muscolosa, si sarebbe dovuta alzare in punta di piedi. Quel pensiero la scioccò, portandola d’istinto ad indietreggiare. Non poteva permettergli di intuire ciò  che sentiva. «Livia!»Il grido risuonò  a pochi passi da loro. Settimio. Si liberò decisa dalla stretta spostandosi in avanti, attraverso le foglie in cui lei e Rufo si erano appartati.Il giovane camminava nella loro direzione, voltando il capo da un lato e dall’altro. La sua sola presenza la confortò e la rese spavalda.«Quello è il mio futuro marito.» Dichiarò trionfante, voltandosi con aria di sfida. Non c’era più  nessuno.   

SAPETE CHE....
Ci sono alcuni riferimenti a oggetti di uso comune, luoghi, persone  o titoli  nel romanzo che aiutano a rendere meglio l'ambientazione romana, ma che a molte possono non essere chiari . Ecco una piccola legenda di quelli usati in questo estratto:
Villa SciarraIL GIANICOLO:  è un colle di Roma situato sulla riva destra del fiume Tevere, tra i quartieri Trastevere e Monteverde. Fu uno dei sette colli della fondazione della città, e raggiunge l'altezza di 82 metri. Prende il nome probabilmente dal dio Giano (Ianus), che qui avrebbe fondato una piccola città nota come Ianiculum. Parte del colle era un tempo occupata da boschi sacri, quali il Lucus Furrinae, con tanto di tempio della dea Furrina, che si trovava ai piedi dell’attuale Villa Sciarra.A lei era anche dedicata una fonte sempre posta nel bosco dove Gaio Gracco  si fece uccidere dal proprio schiavo Filocrate nel 121 a.c. Successivamente, verso il 49 a.C., il luogo venne adibito, dal console Gaio Giulio Cesare, ad un pascolo denominato “Orti di Cesare“. In un'altra zona del colle sono presenti i resti di un santuario dedicato alla dea Iside. Dall'alto del Gianicolo, oggi come ieri, si può ammirare uno dei più bei panorami di Roma. 
LA DEA FURRINA : primitiva divinità romana che sembra fosse collegata alle acque ma la sua natura era sconosciuta agli stessi Romani tanto che, verso la fine della repubblica, fu annoverata tra le Ninfe.Secondo Varrone, la divinità, che in passato doveva aver avuto un’importanza notevole (è attestato un flamen Furrinalis), ma era pressoché sconosciuta alla fine della Repubblica.
Attraverso i calendari epigrafici si sa che la Dea Furrina aveva un sacerdote – un Flamen – la cui istituzione sembra risalire a Numa Pompilio.La festa che la onorava, i Furrinalia, veniva celebrata il 25 luglio.
Statua di Cibele del I sec. A.CLA DEA CIBELE:  la Grande Madre (Matrix Magnae), era la Dea della natura, degli animali e dei luoghi selvatici. Nella mitologia greca fu identificata con Rea. Veniva spesso raffigurata seduta sul trono tra due leoni o leopardi, spesso con in mano un tamburello e una corona turrita sul capo.Collegato al culto era il giovane dio Attis, suo figlio, poi da adulto suo amante e paredro, che in seguito si innamorò di una ninfa. Durante il banchetto nuziale Cibele, per vendetta, fece impazzire il giovane che, fuggito sui monti, si uccise evirandosi. Poi Attis resuscitò in primavera venendo assiso in cielo accanto alla Dea. Era l'antico mito in cui il Dio vegetazione muore al solstizio d'inverno risorgendo all'equinozio di primavera, nell'eterno ciclo della natura (la Dea Madre). Le due divinità sono sovente raffigurate insieme sul carro divino trainato da leoni in un corteo trionfale.Dalla Frigia il culto di Attis e Cibele si diffuse in tutta la Grecia, sino a giungere in Italia, caso unico di religione misterica introdotta dall'Urbe con una delibera statale. Poiché, come scrivono Livio, Ovidio e Varrone, durante la seconda guerra punica e le campagne di Annibale, un'interpretazione dei Libri Sibillini profetizzò che il pericolo sarebbe stato allontanato solo portando in città la Madre degli Dei, nel 204 a.C., il Senato ufficializzò il Cibele e Attis culto della dea facendo venire da Pessinunte la cosiddetta «pietra nera», suo simbolo, per accogliere la quale fu costruito un tempio sul Palatino ed una festa annuale in aprile (i ludi Megalenses). In età ellenistico-romana i sacerdoti di Cibele, sottoponendosi a castrazione rituale, imitavano il sacrificio di Attis. Il culto di Cibele era caratterizzato anche da forti componenti sessuali, era praticato proprio nelle fenditure delle montagne, o in profonde nicchie e lunghe gallerie: un simbolismo che rimanda all'«antro » genitale femminile.  Nella versione più popolare, inoltre, il culto prevedeva cerimonie assai violente, con danze di tratto sciamanico (il vorticoso girare su se stessi che oggi conosciamo grazie ai Dervisci), che davano vita a fenomeni di estasi e trance, preludio alle attività profetiche, e sfociavano pure nel ferimento dei partecipanti con lame e coltelli.  Ancor oggi la donna con le torri in testa (l'immagine di Cibele) rappresenta l'Italia. E va pure segnalata la traccia del culto di Attis e Cibele che si ritrova nel mondo cristiano: l'albero addobbato una volta all'anno (allora era un pino); la castità dei sacerdoti; il rito dell'eucarestia (mangiavano carne e bevevano il sangue del dio «che moriva e risorgeva»). E a proposito del rito del sangue va osservata più da vicino quella che Tertulliano definirà effusio sanguinis, che diventa semen christianorum.
                                                                                                                                                                             
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Published on August 05, 2011 16:41