Costanza Miriano's Blog, page 38
May 22, 2020
Di covid, di morte, di peccato originale e di vita eterna
di Costanza Miriano
Come si è posta la Chiesa davanti a questa emergenza?
Cosa ha detto al cuore dell’uomo questo momento in cui tutti abbiamo modificato il nostro stile di vita per evitare il rischio di morire? Quale modo ci ha consegnato di stare davanti alla morte?
Ho visto pastori farsi letteralmente in quattro nell’assistere i poveri e nel continuare a tenere aperte le chiese per l’adorazione, per dare la comunione e confessare a tutte le ore del giorno. Ho visto pastori essere un segno di eternità in un mondo tutto concentrato sull’oggi come se la morte del corpo fosse la cosa peggiore che possa capitare a una persona. Ho visto un grande rispetto delle regole, come non ho rilevato da molte altre parti, perché i cristiani, possiamo dirlo senza falsa umiltà, sono l’eccellenza nel rispetto della persona.
Quello che però è mancato a livelli gerarchici è stato un modo che fosse diverso da quello del mondo di porsi di fronte alla morte – che il rischio fosse reale, come nelle zone del focolaio, o percepito, come a Roma, dove la mortalità è diminuita del 10% sul 2019, poco importa. Una capacità di dire agli uomini il senso della malattia, della morte, di gridare la buona notizia, cioè che Cristo ha vinto la morte, e se noi viviamo in Lui risorgeremo anche in Lui. Questo era davvero il momento opportuno per dirlo. Non solo opportuno, ma era indispensabile che si facesse. Che la Chiesa segnasse un modo diverso di stare in questa storia. Più messe, anche giorno e notte se necessario, più sacramenti, più profezia. Una voce pubblica che segnasse la differenza rispetto a quello che dicevano le istituzioni del mondo, e cioè prudenza, paura, terrore, e un pizzico di stupido ottimismo (“andrà tutto bene”, flash mob, abbracci, il cielo è sempre più blu e roba del genere). I cristiani non sono ottimisti, i cristiani sono certi. Non hanno paura perché sanno in Chi hanno messo la loro speranza, e non devono preoccuparsi di nulla (occuparsi sì, è chiaro).
Mi sembra che anche la questione delle messe sia stata gestita in modo mondano: se inizialmente la decisione di sospendere l’apertura ai fedeli è stata dettata dalla prudenza e dallo spaesamento davanti a una cosa ignota, è evidente che poi tutta la questione è stata gestita in modo politico. Non voglio tornare sull’opportunità della decisione di chiudere le chiese, ne ho già scritto, e per fortuna ormai è passato. Ma a prescindere dalla valutazione sulle decisioni prese, l’obiettivo praticamente dichiarato è stato quello di non creare imbarazzi al governo, e il modo in cui la cosa si è evoluta, con frenate e cambi di direzione, prova con estrema evidenza che la priorità è stata quella di non assecondare il fronte che chiedeva che le messe riaprissero almeno prima dei parrucchieri, perché questa, inspiegabilmente, dalle gerarchie è stata percepita come una posizione “di destra”.
Questo modo di dare alla politica il primato su Dio mi sembra è una cosa gravissima. Cioè, spiegatemi, io ho dovuto aspettare quasi un mese dopo il comunicato con cui la Cei sembrava riaffermare il proprio diritto di gestire le funzioni religiose autonomamente, solo perché l’esultanza della destra ha imposto una retromarcia?
Ecco, vorrei scrivere a caratteri cubitali su tutti i muri: ma chissenefrega della destra e della sinistra. A me non interessa la politica, mi interessa giudicare di volta in volta le questioni concrete e su quelle giudico chi votare. Potrei votare Emma Bonino e Giorgia Meloni indifferentemente, se si mettessero insieme per fermare l’aborto o aiutare concretamente le famiglie (e nessun governo finora lo ha fatto). Non sono una tifosa, io tifo solo Dio, non sono affetta dal virus degli anni ’60/’70, a differenza di troppi pastori.
Il popolo di Dio chiede i sacramenti, e voi pastori ne fate una battaglia per non aiutare i sovranisti, i populisti, la destra o chi cavolo volete? Ma soprattutto, davanti a gente che cerca il senso del dolore e della sofferenza, vi mettete a fare calcoli di opportunità? Avete tolto i funerali a tutti quei morti per non far vincere gli avversari politici? I funerali, dico, la più elementare e fondamentale base del senso religioso.
A me e a tutti i credenti seri che conosco, che pure avevano sulla riapertura delle messe posizioni variegate e anche molto distanti dalla mia, ma tutte nel merito, non credo proprio interessi il colore politico che la vicenda ha preso. E se è grave che qualche politico strumentalizzi la fede, per me è ancora più grave che un pastore politicizzi la fede. Perché quel politico io posso non votarlo, ma quel pastore comunque rimane mio padre, e io devo amarlo e vorrei sentirmi guidata da lui per la vita eterna e la salvezza della mia anima, voglio che mi parli di risurrezione, non che usi il suo ruolo per fare politica.
Ma vorrei fare a voce alta una riflessione che mi aiuti a capire. Perché questa politicizzazione della Chiesa, molto più evidente che nel passato, fa tanto soffrire molte persone? So che ci sono riflessioni ben più colte e autorevoli della mia, perdonate la mia semplicità, ma ecco cosa penso.
Mi fa soffrire perché prova che ci sono pastori che pensano che possano esserci risposte umane ai problemi. Cioè, posso capire che la scelta politica derivi, per alcuni, dal desiderio di una società più giusta. Ma la società più giusta si realizza solo se Dio salva il cuore dell’uomo. Io credo che l’uomo da solo possa sicuramente trovare buone soluzioni, ma non risponda alle domande ultime, che sono le stesse per i ricchi e i poveri, quelli del sud e del nord, i problemi dell’Occidente e quelli dell’Africa. La risposta non è mai politica, è sempre e solo Dio. Solo in una società in cui c’è il lievito di persone in relazione vera con Dio l’impasto può lievitare, prendere forma.
La Chiesa annuncia, dovrebbe annunciare, che a causa del peccato originale l’umanità sia una massa dannata, come dice sant’Agostino, redenta e salvata solo da Cristo. Se per massa si intende la pasta del vasaio che quando non prende forma è da buttare, io pur non sapendo nulla di teologia, lo posso testimoniare e confermare partendo dalla mia vita. Mi basta vedere il groviglio di caos e di cattivi sentimenti che c’è dentro di me, da cui solo a tratti riesco a non essere dominata, e solo quando sono fedele alla preghiera, al supplicare lo Spirito Santo, alla confessione, alla frequenza ai sacramenti.Gesù dice “senza di me non potete far nulla”. Io lo posso controfirmare col sangue, per quanto mi riguarda. Io sono una brutta persona, e senza Cristo non posso essere attraente per nessuno, visto che giustamente il Papa continua a ripeterci che il Vangelo si trasmette per attrazione. Neppure la carità senza Cristo è vera carità, dice sant’Agostino, serve solo a gonfiare noi stessi: la virtù “solo” umana, anche se esprime il desiderio di bene insito nell’uomo, non consegue la salvezza, che è operata solo dalla grazia, ma finisce per esporre l’uomo alla superbia. In questo senso arriva a dire “Le virtù dei pagani sono vizi”; se poi davvero una tale virtù è espressione dell’azione misteriosa della grazia divina, non si può chiamare “virtù dei pagani”, perché la grazia proviene solo da Cristo: si tratta di un fatto che noi possiamo certamente supporre, ma non conoscere, perché i cuori li conosce solo il Signore. In effetti nella sequenza allo Spirito Santo noi diciamo “senza la tua forza nulla è nell’uomo, nulla senza colpa”. Neppure le cosiddette buone azioni sono senza colpa, se non le compiamo sotto lo Spirito Santo. Senza l’aiuto di Cristo e nonostante i suoi eventuali sforzi, rimane intrappolato nella tendenza al male, eredità non solo del peccato originale, ma anche di tutti i peccati personali; per questo la più grande carità è annunziare Cristo. Certamente la grazia di Dio opera anche al di fuori della Chiesa, dove Dio vuole, come preparazione all’incontro con Cristo, ma proprio per questo la missione della Chiesa è invitare gli uomini alla fede, perché già ora facciano esperienza della salvezza, tanto necessaria e urgente in circostanze come le nostre.
Ecco, il sospetto è che ci sia una parte della Chiesa che non crede al peccato originale, o meglio, che non ritiene urgente annunciarlo, non crede che la natura dell’uomo sia profondamente corrotta e bisognosa di redenzione, ogni giorno, ogni minuto. È la Chiesa che crede che facendo delle leggi eque si possano risolvere i problemi sociali. Ma i poveri li avremo sempre con noi, non perché governano “i cattivi”, ma perché io sono cattiva, l’uomo è cattivo, ogni uomo. Non è la politica che ci salva, non è lei che ci guarisce il cuore. Faremo delle buone leggi e troveremo il modo di non rispettarle. Stabiliremo per legge che tutto si mette in comune, e la gente comincerà a rubare.
Oggi a dettare la linea è questa Chiesa che non vuole mettere in primo piano Cristo, perché pensa di poter fare proposte attraenti per tutti, anche per i lontani. Il problema è che l’uomo può anche essere attratto, ma è la sua natura ferita dal peccato originale che gli impedirà di essere fedele alla proposta. Il problema è che un mondo più giusto non sarà mai una proposta attraente, se il mio cuore non è sedotto da un incontro personale con Cristo. Lo sappiamo, abbiamo visto fallire tutte le proposte ideologiche: è solo Cristo che guarisce il cuore dell’uomo.
Ci sono pastori che hanno detto che ci sono cose ben più urgenti delle messe, quando c’è chi ha perso il lavoro e un impoverimento generale. Se è nel senso di ricordare che avvicinarsi ai sacramenti non basta, che bisogna servire Cristo negli ultimi, e che finché tutti non hanno il necessario non ci si può esimere dal fare qualcosa, va bene. Ma a me pare che non solo una cosa non escluda l’altra, ma anzi che una cosa non sia possibile senza l’altra. Cosa ci può essere al mondo di più urgente del corpo di Cristo che viene a impastarsi con la mia carne, che si regala a me, che si abbassa fino alla mia miseria? È lui l’unico che può renderci capaci di alleviare le sofferenze dei poveri, è lui, solo lui, che può cambiarci i cuori, darcene uno di carne. Se vado a messa, magari, sarò capace di aiutare qualcuno, di certo non impedita a farlo!
Quanto alla giustizia sociale: perché dovrei dare a qualcuno i pochi soldi che sono riuscito a mettere da parte, magari per il futuro dei miei figli, così incerto? Per un ideale di giustizia sociale o perché mi fido di Dio, che è mio Padre e che non lascerà soli me e i nostri figli, perché sono riconoscente del suo amore smisurato che ho toccato con mano e che voglio in minuscola parte cercare di restituire?
Come si può pensare alla bontà naturale dell’uomo, figlia di un’ideologia sessantottina (e anche precedente) che ha mostrato impietosamente tutti i suoi fallimenti, tradendo tutto e tutti?
Per esempio, nel nostro monastero wi-fi, che per chi non lo sapesse è una comunità virtuale e di carne nata con il desiderio di cercare il Signore, stando nella Chiesa, per aiutarci a restare fedeli alla preghiera, alla lettura della Parola e ai sacramenti, abbiamo in questo periodo attivato una rete per mettere in contatto le persone in difficoltà con chi potesse aiutarle. Abbiamo dato, grazie all’indefesso ed eroico lavoro di Monica Marini che ha smistato un numero incredibile di mail, incrociando dati e storie e persone, l’Iban di famiglie con il frigo vuoto o in arretrato con le bollette, alle persone che avevano la possibilità di dare una mano. Bene, sono passati dai conti degli uni a quelli degli altri quasi 40.000 euro. Quarantamila! Grazie alla generosità incredibile di tantissime persone, famiglie con il frigo vuoto hanno potuto dare da mangiare ai loro figli, o comprare loro le scarpe. Qualcuno ha dato 20 euro, qualcuno 50, qualcuno tantissimi soldi. Alcuni hanno dato parte della loro cassa integrazione, altri hanno offerto il loro lavoro, magari beni che vendono, gratis o a prezzi di costo, in un momento in cui rinunciare al guadagno non è facile per nessuno. E non abbiamo aiutato solo “i nostri”, ma anche persone, vi assicuro, lontanissime dal nostro modo di vivere e sentire. Carità fatta in silenzio, senza che nessuno sappia niente, e sempre con la certezza che si rimane comunque servi inutili: questo è possibile solo con la grazia che viene da Dio.
In questo momento così difficile, a tutti gli amici che si sentono spaesati da qualche pastore che sembra non alzare gli occhi al cielo, dico che adesso più che mai tocca a noi: è compito anche nostro, dei laici, di chiunque cerca il Signore. Alzare gli occhi al cielo, pregare di più, chiedere, mendicare lo Spirito Santo a ogni respiro, e non preoccuparci di niente, perché la Chiesa è di Dio e non nostra, lui la guida.
Come si fa a far entrare lo Spirito Santo in questo nostro cuore che produce continuamente cattiverie e giudizi e rancore? A quello che ho capito lo lasciamo entrare quando: innanzitutto preghiamo e leggiamo la Parola di Dio e chiediamo spesso i sacramenti. Secondo, non parliamo mai male di nessuno, non giudichiamo le persone (le circostanze e i fatti e il mondo ovviamente non solo si può ma si deve), se possibile neppure in cuor nostro, ma almeno non con la lingua, a costo di chiudere la bocca con ago e filo. Terzo, quando apriamo il portafogli ai poveri, perché questa cosa scioglie il nostro cuore di pietra.
Noi da oggi abbiamo pensato di fare una novena allo Spirito Santo, in attesa di una Pentecoste potente, perché lo Spirito scenda su di noi e sui nostri pastori come una tempesta di fuoco. Chi vuole può unirsi al monastero wi-fi. Che santa Rita, colei che con l’amore alla Chiesa, annaffiando il bastone secco per obbedire alla superiora, ha fatto spuntare le rose, interceda per noi, e ci insegni a stare nell’obbedienza generosa e creativa.
May 10, 2020
Il sassolino covid nell’ingranaggio dell’utero in affitto
di Costanza Miriano
Quando mi hanno raccontato che a causa dell’emergenza Covid e della chiusura delle frontiere dell’Ucraina 46 bambini partoriti da uteri in affitto erano stati lasciati in un albergo in attesa che i committenti venissero a ritirarli ho pensato: beh, almeno una cosa buona questo virus l’ha fatta. Ha permesso che i bambini restassero con le loro mamme. Che venissero allattati al seno almeno questi mesi. Che qualcuno parlasse loro con la voce che avevano sentito da dentro per nove mesi. Che si addormentassero appoggiati con la testa sul cuore il cui battito avevano imparato a memoria.
Invece quando ho visto il video, ve lo assicuro, mi sono sentita morire. 46 neonati messi uno accanto all’altro, in fila, in cullette di plastica, nella hall di un albergo, l’hotel Venezia a Kiev, piangono disperati. Poi arriva il volto calmo (dovrebbe essere rassicurante ma a me sembra gelido) dell’amministratrice dell’albergo che dice che i neonati sono monitorati dalle baby sitter, e che i genitori possono stare tranquilli.
Devo dire che il video ufficiale della Biotexcom mostra un’altra situazione: niente pianto disperato dei bambini, tutto pare sotto controllo, musica di carillon in sottofondo, ma per me è forse ancora più angosciante, perché chiunque ha avuto un neonato sa che i bambini NATURALMENTE piangono e vogliono la mamma. Vogliono che si parli con loro, che si canti, che li si sbaciucchi, che si affondi il naso nelle pieghe della loro pelle. Non vogliono un trattamento professionale o i grammi giusti del latte giusto, cosa che sicuramente verrà fatta con la massima cura e professionalità in quell’albergo. E comunque il costo del mantenimento dei bambini, assicura l’azienda, è stato ridotto da 50 a 25 euro al giorno (!).
Ma perché non li hanno lasciati con le mamme, almeno adesso?
Perché infliggere questo dolore che lascerà segni incancellabili nei bambini, privati dell’imprinting materno? Il perché lo sanno anche quelli della Biotexcom, la società che ha organizzato queste gravidanze di donne che ricevono un compenso e lasciano andare il proprio figlio a pochi minuti dalla nascita, spesso senza neanche vederlo. Il perchè è questo: “i bambini delle madri surrogate vengono portati via non appena nascono, per ridurre il rischio di attaccamento”, dice letteralmente il sito della Biotexcom. Lo sanno bene, dunque, cosa succede, tra un bambino e la mamma. Lo sa tutta la medicina moderna, che infatti favorisce il rooming in, cioè il fatto che il bambino stia nella stanza dove è ricoverata la mamma, da subito. Lo sa tutta la pediatria che favorisce l’allattamento al seno, e possibilmente a richiesta: quando il bambino lo chiede, la mamma lo attacca al seno. Non come avviene, necessariamente, nelle nursery, a orario fisso. In quel video terribile vediamo poche donne (infermiere professionali? Semplici baby sitter, come dice la signora dell’albergo?) alternarsi tra troppe culle.
Le viscere di ogni donna e uomo si spaccano a vedere una cosa simile. Monica Ricci Sargentini, del Corriere della Sera, una collega che si sta battendo tantissimo contro l’utero in affitto, riferisce che “ la Rete Italiana contro l’Utero in Affitto, che rappresenta diverse associazioni tra cui In Radice- per l’Inviolabilità del Corpo Femminile, RadFem Italia, Se Non Ora Quando Libere , Udi e Arcilesbica Nazionale, ha inviato una lettera all’ambasciatore italiano in Ucraina Davide La Cecilia e, per conoscenza al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, in cui si chiede «di verificare le effettive condizioni di salute dei bambini e quanti e chi siano gli italiani clienti di Biotexcom e di altre cliniche». Le firmatarie ricordano che in Italia «la gestazione per altri o utero in affitto è un reato e chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con una multa da 600.000 a un milione di euro». Poi ha chiamato anche l’ambasciatore, e riferisce: “Chiamo l’ambasciatore italiano in Ucraina Davide La Cecilia per chiedergli se ha ricevuto la lettera della Rete contro l’utero in affitto sul caso dei 46 neonati stipati nella hall di un hotel a Kiev. Non mi lascia nemmeno parlare. Mi zittisce con un no comment. Io rispondo: scusi ma non sa nemmeno cosa voglio chiederle? Lui: va bene, mi dica. Non appena pronuncio la parola bambini dice nuovamente no comment e attacca. Alla faccia della diplomazia. Una reazione veramente scomposta che fa pensare”.
Gli amici di Decani ci dicono che tra le coppie che non riescono ad andare a ritirare i bambini (mi dispiace di usare un linguaggio da merce…) “ci sono delle coppie italiane, undici da indiscrezioni di persone vicine alle Biotexcom, sette eterosessuali e quattro omosessuali. … L’avvocato della clinica, Denis Herman, sollecita attraverso email e lettere, tutti i clienti a rivolgersi ai Ministeri degli Esteri dei rispettivi Paesi, perché richiedano al Governo ucraino un permesso speciale in deroga alle regole del lockdown, per recarsi a ritirare i neonati. È un orrore senza fine, che ben conosciamo e che combattiamo ogni giorno nella nostra realtà di Kosovo e Metohija. A tal proposito abbiamo affidato a diversi parlamentari il testo di una interrogazione affinché si concentri la massima attenzione su questo caso, richiamando il Sig. Ambasciatore d’Italia in Ucraina, il dott. Davide La Cecilia a vigilare su questa vicenda e si ammonisca il Sig. Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio perché si astenga dal concedere qualsiasi tipo di permesso per venire incontro agli interessi di questa azienda. Come da comunicazione del sito, la Biotexcom, “vende” procedure sottese alla maternità surrogata, cioè bambini, per un importo compreso tra i 5.000 e i 15.000 euro. Impossibilitati a rimanere immobili di fronte a questa vera tragedia umana, oltre all’iniziativa parlamentare sopra riportata, abbiamo scritto una lettera sia al Metropolita Onufry della Chiesa Ortodossa Ucraina, che all’elemosiniere del Papa, S.E. Card. Konrad Krajewski, recentemente impegnato nell’aiuto alla comunità transgender di Torvaianica, per individuare qualsiasi azione che possa far cessare questa mercificazioni di innocenti, prendendosi cura dei bambini e delle povere madri, costrette a quest’abominio da una condizione di assoluto degrado morale, culturale e sociale”.
Insomma, l’utero in affitto è reato, e ci auguriamo che il governo non si renda complice, dando addirittura permessi in deroga alle severissime regole anti Covid per favorire gli spostamenti di chi ha fatto ricorso a questa pratica. La Biotexcom è solo una delle 48 società accreditate in Ucraina, e pare che ce ne siano anche di non autorizzate. E’ sconvolgente per me vedere il sito tradotto in italiano, e raggiungibile da tutti gli italiani, quindi promuovere sotto gli occhi di tutti una pratica che nel nostro paese è reato!
Piuttosto, cogliamo l’occasione di questa pandemia che ha inceppato il meccanismo, facciamo qualcosa di veramente umano. Non so come si possa decidere, sinceramente, perchè in molti casi si tratta di bambini che hanno almeno in parte il patrimonio genetico delle persone che hanno pagato la madre, e capisco sinceramente anche il loro dolore, e l’ansia di questo tempo. E’ difficile decidere proprio perché si sta cercando di violare la natura. Vorrei dire che il nostro governo dovrebbe lasciare quei bambini alle madri che li hanno partoriti, magari aiutandole economicamente a crescerli, ma capisco che sto sognando, e che non è una questione di facile soluzione. Ma, almeno, se siamo umani, non dico brave persone ma esseri umani, che questo ingranaggio rotto sia l’occasione per dire MAI PIÙ UTERO IN AFFITTO.
leggi anche: Diamo una mamma ai bambini di Kiev
di Eugenia Roccella
May 3, 2020
Che la forza (del digiuno) sia con noi
di Costanza Miriano
Un gruppo di consorelle wi-fi – cioè per chi si trovasse a passare di qui per la prima volta: persone che cercano di vivvere l’unione a Dio in modo monacale, ossia con un cuore proteso verso Dio, ma un corpo e una mente profondamente calati nel quotidiano fatto di famiglia lavoro e tutte le mille cose che fanno la vita quotidiana – insomma, un gruppo di queste amiche che poi sarebbero semplicemente cattoliche, mi ha fatto sapere di avere lanciato l’idea di fare un digiuno tutti insieme. Cercavamo una data prossima, e abbiamo pensato a venerdì 8 maggio, che è anche la festa della Madonna del Rosario di Pompei.
Siccome l’idea ha avuto subito tante adesioni, cinquanta digiunatori hanno detto sì in pochi minuti da un gruppo whatsapp, e siccome l’idea è venuta alla mia amica bionda genovese che da brava genovese sa contrattare bene e far fruttare gli investimenti (sempre rigorosamente per gli altri, mai per sé), abbiamo pensato di chiedere un bel po’ di roba con questo grande digiuno collettivo, e con la Supplica alla Madonna del Rosario (http://lagioiadellapreghiera.it/article-8-maggio-104798942.html ), da pregare a mezzogiorno. Ecco la lista che mi è arrivata: pregheremo e digiuneremo perché riprendano le Messe aperte ai fedeli, perché la pandemia finisca, per la conversione di tutti noi e di chi è lontano da Dio, per i nostri sacerdoti che siano davvero pastori fedeli al Buon Pastore, perché nessuno rimanga senza lavoro, per le persone che sono morte in questo periodo senza il conforto dei loro cari e di un funerale.
Chi vuole dunque può unirsi a questa supplica collettiva, ognuno come può, secondo le possibilità e le abitudini (io per esempio posso anche farcela, ma a letto a stomaco vuoto no, quindi aspetto mezzanotte e poi scuoio il cinghiale, che poi uno può sempre digiunare sul fuso di Gerusalemme che finisci un’ora prima, magari millantando motivi teologici nobilissimi inventati lì per lì.
A proposito dell’ultima intenzione, il lavoro, abbiamo avuto notizie di persone in seria difficoltà, e nel mese di Aprile “abbiamo” (cioè voi avete) distribuito aiuti per circa 7000 euro. Abbiamo cioè messo in contatto chi aveva la possibilità di dare qualcosa, con chi invece aveva necessità, persone che ci hanno chiesto o altre di cui sapevamo già. Quindi i soldi non sono passati dal conto del Monastero wi-fi che in questo momento non è operativo (lo abbiamo svuotato e chiuso), ma direttamente dal donatore a chi ha ricevuto. A volte gli aiuti sono serviti a dare una boccata di ossigeno, un po’ di sollievo, altre volte invece a permettere proprio di mangiare. Abbiamo saputo di famiglie e persone in serissima difficoltà, al limite della sopravvivenza. Se qualcuno potesse offrire ancora qualcosa, anche 50 euro o meno, tutto serve, scrivete a monasterowifi@gmail.com e Monica come al solito ci coordinerà.
Credo che se alla preghiera e al digiuno uniamo l’elemosina, al Signore si sciolgono le mani, come si dice, e davvero può stupirci con effetti speciali!
Quanto alla preghiera, grazie a tutti quelli che hanno partecipato alla catena di corone contro il virus: abbiamo pregato insieme, nel momento in cui scrivo, 22414 rosari! Qui ci si può iscrivere di nuovo: http://www.recode.digital/corona-anti-virus/
Ogni tanto negli ultimi tempi è rimasto scoperto qualche turno notturno, quindi se possiamo segniamo il nostro nome: tanti di noi (anche io) preghiamo senza scriverlo, ma è un bel segno se possiamo farlo, perché al di là delle tante parole spese in questo momento davvero unico per la Chiesa, parole che purtroppo non servono a molto, noi abbiamo il potere della forza, quella alla Star Wars. Anzi ho scoperto che oggi, 4 maggio (May 4th), è il giorno internazionale di Star Wars, “May the 4th be with you”: quindi Che la forza sia con noi!
May 2, 2020
La messa con il popolo, il popolo per la messa
di Costanza Miriano
I Vescovi lo devono sapere, non è che se scrivono un comunicato in cui assicurano la loro lealtà, apprezzamento, gratitudine al Governo, questo significa che la Chiesa, intesa come popolo, li segua e la pensi come loro. C’è un popolo che, come ha dimostrato riempiendo due volte le piazze italiane più grandi degli ultimi anni con i due Family day, non è affatto interessato alle logiche politiche, agli equilibri, ai rapporti buoni o cattivi con il Governo, di qualunque colore esso sia, ma solo alla Verità.
Questo popolo oggi si sente, oso dire, in buona parte abbandonato dai pastori. Certo, io non possiedo istituti di statistica, quindi non so quantificare le percentuali, ma ho molti amici reali e contatti virtuali, e fra questi la percentuale di coloro che si sentono lasciati soli spiritualmente, che trovano inspiegabile il divieto assoluto e totale delle messe, supera il 90%. Mi direte che il mio campione non è statisticamente rilevante, però esiste.
A me non interessa la politica, difendo energicamente la mia estraneità a tutte le logiche e i calcoli politici, e il mio dolore per l’assenza della messa non è un giudizio sul Governo. D’altra parte è evidente che è composto da persone per le quali la Messa ha la stessa rilevanza, che so, di una partita a cricket. Si può rimandare, non vale la pena far troppa fatica a studiare un modo per permettere alle persone di continuare a giocare insieme: distanze, mascherine, turni, perché mai? Si fa a meno del cricket per qualche mese, e si risolve tutto. Ovviamente non si è chiesto alle persone di fare a meno della spesa, benché in caso di vita o di morte si potesse anche organizzare come a Wuhan una distribuzione di viveri con l’esercito, o almeno una turnazione rigida che impedisse alle vecchiette di uscire tutti i giorni. Ma il governo ha ritenuto che sarebbe stato un sacrificio troppo grande per alcuni, e quindi ha permesso che si andasse liberissimamente nei supermercati, nonostante la mortadella che il salumiere tocca e su cui respira da una mascherina non esattamente linda non sia proprio sterile. Un po’ meno ovviamente, non si sono chiuse le edicole. Del tutto illogicamente non si sono chiusi i tabaccai, anche se pare che le sigarette non siano tonificanti per i polmoni minacciati dal virus. Ma queste sono state le priorità del Governo. Il compito di far capire che la Messa conta più della mortadella, del giornale, delle sigarette, è nostro, dei credenti.
Due coraggiosi presidenti di regione, Sardegna e Marche, ieri avevano autorizzato la celebrazione delle Messe appigliandosi a uno spiraglio nel decreto, quindi in modo del tutto legale – e di questo siamo loro davvero grati – ma sono stati i Vescovi delle Conferenze regionali a frenare e nei prossimi giorni decideranno (ma non credo in modo diverso dalla Conferenza nazionale, se posso permettermi di fare una previsione), facendo propria nel modo più restrittivo la linea del Governo. Il fatto è che il Governo ha dato disposizioni trattando la Messa come la partita di cricket di cui sopra. Ma sta, o dovrei dire stava, a noi dire che è una cosa così importante, è così tanto una questione di vita o di morte, che valeva la pena provare di tutto pur di farci tornare ad assistere al sacrificio di Cristo.
Continuo a dire che per le messe feriali veramente non è che ci sia questo gran che da ingegnarsi, visti i numeri dei fedeli pre virus, e, credo, ancora di più quelli post, con tutta la pressione mediatica che si è fatta sul #restoacasa. Credo che la gente sarebbe ancora di meno, se le messe si celebrassero lunedì, ma anche se fosse la stessa, almeno nelle situazioni che frequentavo non ci sarebbe bisogno di prendere nessun provvedimento per continuare a celebrare, tranne quelli ovvii: sedersi lontani, stare nella navata centrale invece che nelle laterali come si fa di solito in settimana, niente scambio della pace, niente acqua benedetta, comunione in mano, sacerdote che si igienizza le mani prima di toccare la pisside e le ostie, mascherine per tutti. Alla comunione, si usa il buon senso e si aspetta che quello prima sia tornato al posto in modo da non incrociarsi. Niente omelie o brevissime riflessioni per ridurre al massimo la permanenza. Niente chiacchiere e baci prima o dopo la messa. Volontari che puliscono le panche (eccomi!). Finestre e porte spalancate. Possibilità di celebrare all’aperto.
Per le festive un po’ di impegno in più: moltiplicare le funzioni, organizzare dei turni e mi fermo qui con i suggerimenti perché sono cose che ho scritto troppe volte. Aggiungo che si poteva differenziare in base alle zone del focolaio, ben diverse da quelle dove la temuta ondata non è arrivata nonostante viaggi e contatti e via dicendo.
Da questo discorso però mi tengo fuori, non è di mia competenza, però conosco molti medici, per esempio un primario di un reparto Covid lombardo che ha combattuto in trincea fino a oggi, che la pensano come me e sono disponibili a dare indicazioni: ne ho dati i recapiti in privato a chi di dovere. La Cei potrebbe sentire una sua task force di medici che non considerano la Messa una partita di cricket (ho già tre nomi e numeri di telefono sulla punta della lingua, ma penso che ne troverei decine di altri in un secondo) e fare delle proposte concrete che non vadano, come è successo per Marche e Sardegna, in una direzione addirittura più restrittiva di quella del Governo.
Prima di finire, un pensiero pieno di gratitudine a tutti i sacerdoti che stanno soffrendo, come soldati che nel pieno del combattimento sono stati mandati in camerata a ripararsi, invece che in trincea a combattere, proprio adesso che il tema della paura e della morte interessano tante persone, tema su cui Cristo è l’unico a poter dire “non abbiate paura”. Non “andrà tutto bene”, ma “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”.
In generale in tutta questa vicenda, io avrei trovato più rispettoso della intelligenza e dei diritti dei cattolici, che venissero fornite delle indicazioni di massima, lasciando poi alla grande sapienza della Chiesa, che ha mostrato nei secoli la sua capacità di prendersi cura non solo delle anime ma anche delle persone, di trovare la via per applicarle adattandosi alle situazioni concrete. Chiese enormi abitualmente deserte o piccole cappelle di campagna affollate per le feste, conventi, santuari: ogni realtà avrebbe potuto trovare il suo particolare equilibrio tra la cura del corpo e quella dell’anima, tra gli spazi disponibili e le persone presenti. Noi siamo quelli che hanno inventato gli ospedali, non ci saremmo smentiti neppure questa volta.
April 21, 2020
Norme e buon senso
di Costanza Miriano
Le immagini le avete viste tutti: un parroco di 80 anni che celebra la messa in una chiesa di 300 metri quadri davanti a dodici persone tutte più distanziate che nella messa del Papa a san Pietro, e tutte con la mascherina (che a san Pietro non c’era), è stato interrotto da un carabiniere proprio al momento della consacrazione. Don Lino Viola, parroco di Gallignano, frazione di Soncino, si è opposto all’azione del carabiniere, e ha terminato la messa, nonostante la telefonata del sindaco arrivata sull’altare. Una scena triste e dolorosa, che spero faccia capire che è ora di pensare serenamente e con intelligenza alla questione delle messe aperte al pubblico.
Allora, la norma emanata dal Governo prevede che oltre al sacerdote alla messa siano presenti delle persone che lo aiutino ad animare la messa: i lettori, i cantori e via dicendo. A questi, domenica da don Lino si erano aggiunte sei persone che avevano perso dei familiari, in suffragio dei quali si stava celebrando la messa. Le porte erano aperte e loro sono entrati. Magari il sacerdote, non so, poteva anche sapere che sarebbero arrivati e non ha fatto niente per impedirglielo. Ma allora? Ma santo Dio, sei persone in più in una chiesa da 300 metri quadri, distanti e con mascherina, cosa possono fare? Non si poteva usare un po’ di buon senso, un po’ di delicatezza verso chi ha perso una persona cara? Si può comminare una multa salata per questo?
Le leggi vanno sempre rispettate, anche quando le troviamo sbagliate (come è per me in questo caso), ma io penso che vada onorata la ratio di una legge, il suo principio.
Per esempio: vedo a volte gente per strada che cammina in gruppetti, vicina, con greggi di cani al seguito. Immagino che non siano nuclei familiari, ma amici “canari”. Bene, loro non stanno rispettando il distanziamento, ma se arriva la Polizia probabilmente non li multa perché stanno tutti portando a spasso il cane. Io sono per un allentamento rapido di queste misure, quindi non ho nessun problema con loro, ma dico che si può rispettare la forma di una legge, tradendone però la sostanza. Invece, secondo esempio, per la corsa si prevede che la si possa fare solo in un raggio di 300 metri dalla propria casa. Quindi presumibilmente, a parte i fortunati che abitano in aperta campagna, in zone di condomini e motorini sui marciapiedi e gente coi cani (e relative deiezioni canine: se alle prossime Olimpiadi lo slalom a piedi correndo di notte sarà disciplina olimpica, tento di qualificarmi). Se uno si spostasse solo un po’ più lontano, in una strada dove non passa nessuno, magari uno di quei viali senza palazzi dove i romani parcheggiano, io penso che rispetterebbe la sostanza della legge – cioè non avere contatti con nessuno – anche se non la forma, magari per qualche centinaio di metri.
Non si fa, è chiaro, non voglio istigare nessuno e non lo faccio io, ma era per dire che credo che don Lino abbia rispettato la sostanza della norma: una messa chiusa, senza la folla domenicale, con la concessione di far entrare pochi familiari dei morti. Mi sembra un piccolo strappo, fatto per amore, per consolare il dolore di chi ha perso qualcuno. La Chiesa ha viscere di misericordia, e sa soffrire con chi soffre, come ha fatto don Lino. Ha abbattuto un muro, quello delle chiese chiuse, per amore.
Perché – e questa è una cosa che chi ha deciso di toglierci le messe ovviamente non sa, sennò non si sarebbe sognato di decidere una cosa simile in un tempo di tanti morti – morire da cristiani, con il conforto dei sacramenti, accompagnando il morto con il sacrificio di Cristo, e invece morire da uomini che non hanno conosciuto l’amore di Dio, sono due cose completamente diverse. Completamente.[image error]
I cristiani credono nella vita eterna. Non è una storiella per bambini, noi ci crediamo davvero, e questo cambia tutto. Chi è in pace con Dio muore ridendo, come quel sacerdote, don Cirillo Longo, fotografato col rosario sollevato nel pugno, in segno di vittoria, poco prima di morire di Covid. Come Chiara Corbella Petrillo, che ha ha fatto cucù col lenzuolo prima di chiudere gli occhi. Come Bernadette, come tutti i santi, come tanti cristiani.
Certo, non è che Dio non porti in cielo chi è privato del funerale, ma accompagnare una persona cara con il sacrificio di Cristo sull’altare è una cosa grandissima per chi è morto, ed è una grande consolazione per chi continua a vivere. In questo momento in cui tanti sono spirati lontani da tutti, senza un saluto, una carezza, la mano nella mano, un ultimo bacio, la messa potrebbe lenire il dolore di chi amava quella persona.
Il culto dei morti è scritto nel cuore dell’uomo, è l’inizio di ogni civiltà. Penso al monumento del Milite Ignoto, un luogo davanti al quale sono passata migliaia di volte e che ogni volta mi fa fare un piccolo salto al cuore: mi viene in mente, anche se solo per un centesimo di secondo, quel ragazzo morto da solo che nessuno ha riconosciuto. I corpi dei morti di questa pandemia non sono ignoti, ma sono stati portati via anche loro spesso senza un saluto.
Non sono in grado di entrare nelle questioni giuridiche, se ci sia stato un abuso di potere o il reato di interruzione di culto come ha scritto qualcuno: penso comunque che il carabiniere stesse eseguendo gli ordini e ha dovuto farlo. Quindi tra lui e don Lino per me non ha sbagliato nessuno dei due.
Però adesso la questione va messa a tema, urgentemente. La scena che abbiamo visto è troppo.
E mi ha addolorato che la diocesi abbia scritto una nota pubblica non per sollevare la questione dell’urgenza delle messe, ma solo per ricordare che le norme vanno rispettate (quello magari lo avrebbe potuto dire privatamente al sacerdote, se proprio necessario). Non mi pare che fosse urgente ricordarlo visto che tutti gli italiani sono privati della messa da due mesi e le norme sono state rispettate ovunque. Mi sembra che la Chiesa italiana abbia mostrato abbondante collaborazione, anche perché la decisione, nonostante i patti lateranensi, è stata presa unilateralmente dal Governo e poi accolta dalla Cei. Sicuramente (come ho scritto più volte) con l’intenzione buona di proteggere le vite delle persone e quella un po’ meno urgente, per me, di non creare problemi a un esecutivo già alle prese con molte grane; però è indubitabile che secondo il diritto ecclesiastico la decisione avrebbe dovuto essere concordata.
Le norme la Chiesa insomma le ha rispettate, tanti sacerdoti stanno obbedendo pur avendo, alcuni di loro, tante idee e proposte per celebrare in sicurezza. Obbediscono tutti, i più convinti e i meno, in silenzio, perché così devono fare. Anche don Lino nella sostanza ha obbedito.
Però dopo avere obbedito due mesi, chiedere di ragionare su come uscire concretamente da questa situazione non mi sembra disobbedienza. Parlare di spazi, mascherine, distanziamento, turni eccetera. È evidente che un governo che ha aperto prima le librerie perché “nutrono lo spirito” è un governo sostanzialmente ateo, quindi non saranno loro a offrirci la libertà di culto che dobbiamo essere noi a chiedere, perché loro non sanno di cosa parliamo, non ne capiscono il peso. Siccome pensano di averci tolto solo un’occasione di aggregazione, e non la cosa più preziosa che abbiamo, sono certi di averlo fatto per il nostro bene. Ricordo solo che anche nei regimi della dittatura comunista la fede era proibita per il bene del popolo, perché ne era l’oppio. I diritti vengono sempre tolti con la scusa del bene comune.
April 18, 2020
Quarantena e consigli di manutenzione del matrimonio
di Costanza Miriano
Cara Costanza in carne ed ossa, (grosse, ho le ossa grosse, non è che mi sia appesantita in quarantena),
sono la Costanza Miriano dei libri che ti scrive, quella donna saggia, accogliente, silenziosa e sapiente che se ne va (andava) in giro a fondare truppe delle mogli di Gudbrando il montanaro in tutta Italia. Ti volevo dire che mi sa che ti serve un ripassino, ti ho visto un tantinello isterica negli ultimi giorni. Adesso, non è che pretendo che tu rilegga i libri che abbiamo scritto insieme, la vera tu ed io, cioè la tua versione letteraria sottomessa. Però ti faccio un veloce pro-memoria.
Allora, innanzitutto visto che tu sei in fase di sveglio lavoro (cerchiamo di non cedere all’inglese), il che vuol dire che fai telefonate mentre sbucci le patate e leggi notizie mentre spolveri, e di notte scrivi libri perché di giorno stiri e pulisci, e tranne un turno di montaggio in redazione non ti muovi da casa dai primi di marzo mentre tuo marito lavora, ti prego di ricordarti che, appunto, lui lavora, e quando torna da te l’ultima cosa al mondo che desidera – forse giusto un gradino sopra, che so, del sapere che la Lazio ha vinto lo scudetto a tavolino causa sospensione campionato – è trovare una moglie nervosa perché ha una figlia adolescente in fase oppositiva e altri comunque non proprio gestibilissimi chiusi in casa da due mesi. Lo so, tu hai molte cose da chiedergli, ma lui adesso, per qualche quarto d’ora, è come un cacciatore che ha puntato una superficie orizzontale (amaca, divano, qualsiasi cosa purché immersa nel silenzio) e fino a che non la raggiunge non sente niente. Cioè sente ancora meno del solito, che è già pochino. Torna dal lavoro, non da Santo Domingo dove è stato sulla spiaggia, stamattina ha fatto la spesa e da casa lo avete chiamato dalle 14 alle 16 volte per ordini su Amazon, cose che non funzionavano, cose di sua competenza (pompe, palloni, mazze da hockey) che non si trovavano. Ricordati che per le lamentele c’è Gesù (le chiese sono aperte) e le amiche (le compagnie telefoniche lo sanno e hanno fatto grandi promozioni).
Numero due: quando finalmente attiri la sua attenzione, dopo che ha fissato un punto nel vuoto per diciotto minuti appena tornato a casa, cerca di gestire oculatamente il tempo di ascolto. Hai due minuti e venti: usali bene, esponigli una sola questione precisa e chiedigli cosa ne pensa. Non vomitargli addosso le trecentoventiquattro cose che vuoi cambiare della vita tua e dei figli, non tutte insieme. Al terzo “eh?” sappi che hai finito il tempo, e preparati una richiesta precisa perché troncherà la conversazione con il suo solito “sì, va bene, ma dimmi cosa ci posso fare io”. Fagli una richiesta precisa. Non una lunga e sofferta disamina sullo scarso stato di salute della scuola pubblica italiana, ma precisamente “risenti la seconda guerra mondiale a Lavinia”.
Consiglio numero tre: non scendere mai sotto un livello minimo di manutenzione. Trucco sempre. Leopardo poco, a lui non piace. Piume tollerate. Tuta MAI. Solo leggings ma esclusivamente quando vai a correre. Tacchi no perché in casa si sta scalzi, ma per la spesa sempre. Magliettone sformate mai. La manutenzione va fatta senza farsi troppo notare. Depilarsi a porta del bagno chiusa, profumo anche per andare a dormire. Negare sempre, anche l’evidenza. Alla di lui domanda – non delicatissima, peraltro – “ma tu con il parrucchiere adesso come farai?” rispondere con nonchalance che non ti cambia niente, perché i tuoi colpi di sole sono naturalissimi, basterà andare un po’ in giardino, tu i capelli bianchi non sai manco cosa sono, e non accennare mai per nessun motivo allo spray ritocco radici, che peraltro sta in bella vista sulla mensola in bagno, cioè uno di quegli spazi che non vengono mai inquadrate nel suo campo visuale (come il burro in frigo).
Consiglio numero quattro: i maschi come sai bene hanno un sistema di autoricarica che funziona con il vuoto. Non devono riempire tutto come noi, che abbiamo sempre tre o quattro pratiche aperte nella nostra testa. Gli uomini hanno bisogno del nulla, ogni tanto. Quando vedi che Guido si siede al sole tre minuti, l’ultima cosa al mondo che dovresti fare, e la primissima che fai sempre, è chiedergli “stai cercando qualcosa da fare?”. No. Non sta cercando niente. Non vuole annaffiare le azalee, portare fuori la spazzatura, aggiustare l’appendiabiti della camera delle femmine. Non vuole fare niente, per quanto incredibile possa sembrarti. L’ideale, se tu avessi capito qualcosa dei libri che hai scritto, sarebbe che tu andassi vicino a lui con un bicchiere di chinotto Neri e ti mettessi seduta vicino a lui in silenzio, ma questo infrangerebbe praticamente tutte le regole della fisica per te (stare seduta? Improduttiva? In silenzio? Impossibile).
Consiglio numero cinque: non si può uscire a cena, ed è difficile stare soli in situazioni romantiche – che so, vedere una rovesciata di Zaniolo mano nella mano – ma si possono cercare momenti speciali: un salto in chiesa insieme, un caffè seduti sul divano invece che in piedi in cucina litigando sul menu. Andare a dormire insieme. Non svenire sul divano neanche se sei in piedi da venti ore. Fai gli ultimi tre metri fino alla doccia e vai in camera senza ciuffi di polvere tra i capelli se puoi.
Consiglio numero sei: con tutti i figli in fase diciamo non proprio brillantissima – tra l’esagitato e l’annoiato, con picchi di revival entusiastico e allegrissimo “rivediamo i cartoni di quando eravamo piccoli” e pomeriggi di silenzi e porte sbattute adolescenziali – si sa che tutti gli umori ricadono sulla mamma, che li deve mettere a massa. Il problema è che tu, che a tratti sembri una donna padrona di sé, equilibrata e calma, ogni tanto mi sbrocchi senza preavviso, e vorresti a tua volta rovesciare tipo camion della spazzatura arrivato alla discarica, tutto su tuo marito. Ma sono venti anni e più che te lo dico. Ci abbiamo scritto anche dei libri: Non. Lo. Puoi. Fare. Sempre. Ricordati di quel metodo che ti eri inventata appena sposata, quando stavi in maternità e allattavi gemelle e uscivi di casa solo per correre e andare in chiesa (praticamente come ora) e aspettavi il povero marito come unico referente di tutta la tua vita sociale, amico amante collega confidente. Avevi imparato che quando faceva qualcosa che non andava (cioè sempre, perché tu sei una perfezionista rompiscatole da Nobel) non glielo dicevi subito, ma quando arrivava il momento opportuno. Avevi (hai ancora, lo so) quella pila di post it in cucina per scriverti le cose da dirgli, ma cercavi il momento giusto. Quando era di buon umore, stavate passando un po’ di tempo insieme, magari quando non dico che ti faceva un complimento, no, perché quello non ce la fa – è come chiedere a un elefante di fare un grand plié – però insomma sembrava quasi provare non dico trasporto, ma una sincera stima per te.
Dai, forza, l’hai detto a un sacco di donne. Adesso tocca a te.
April 15, 2020
Fase 2: e le messe?
di Costanza Miriano
Una volta, quando avevo i figli piccoli, mi capitava di non riuscire ad andare a messa quando si trovavano a scuola, così li portavo con me nel pomeriggio. Ovviamente loro non ne avevano nessuna voglia, per cui, da irreprensibile educatrice quale sono, tentavo di comprarmeli, perché nel contratto madre-figli era contemplata solo la messa festiva. Una messa feriale = un ovetto kinder o una bustina dal giornalaio. Una volta ebbi un rigurgito di serietà, per cui decisi di provare a convincerli senza regalo, spiegando loro quale privilegio sia assistere a una messa, per cui non solo non si ha diritto a nessun regalo, ma anzi è chi è invitato a partecipare che dovrebbe farlo, un regalo.
Da quella finestra del tetto della chiesa entra un raggio fortissimo di Spirito Santo – raccontavo con grande enfasi – e davanti a noi Gesù è di nuovo crocifisso, muore e si spezza per noi, anche se non lo vediamo, e il pane diventa veramentissimamente il suo corpo. I cieli si squarciano, si apre un varco nel tempo. Diventiamo contemporanei di Gesù, e possiamo stare davanti a lui, vivo, in carne ed ossa e sangue. Il racconto era pieno di particolari e serissimo, e le più piccole mi ascoltavano a bocca aperta. Lo so, è una ricostruzione piena di imprecisioni teologiche (se avessi detto transustanziazione non avrebbe avuto grande appeal), ma sostanzialmente vero: la mia interlocutrice più giovane aveva due anni e mezzo. E detto in termini da asilo nido, questo è quello che succede davvero. Miliardi di persone in duemila anni hanno creduto questo, alcuni sono morti per affermarlo. Molti episodi riconosciuti dalla scienza lo confermano.
Ovviamente la maggior parte della gente non lo crede, ma i cattolici che cercano di vivere – con tutti i limiti e le cadute – in ragione del proprio battesimo, lo credono. È una cosa che non si può affermare in un salotto televisivo né del mondo, né in un contesto politico, senza rischiare di essere considerati degni di un TSO, però è la nostra fede. L’esercizio di questa fede è tutelato, è un diritto costituzionale, ancora, almeno sulla carta.
A desumere dalla decisione presa dal governo, immagino che nessuno dei membri pensi davvero che questa verità per cui molti martiri sono morti sia una cosa seria – dalla incerta esposizione del presidente Conte sulla Pasqua sarei autorizzata a pensarlo, ma comunque il suo cuore lo conosce solo Dio – altrimenti non avrebbero considerato la messa alla stregua di un qualsiasi assembramento. Andare alla messa non è vedere un film, assistere a una conferenza o uno spettacolo. Si avvicina un po’ di più a una finale di Champions, mi si perdoni, ma solo nel senso che è una cosa spettacolare e grande che succede dal vivo. Solo che la cosa che succede alla messa è infinitamente, incomparabilmente più importante, e a differenza della finale di Champions si può svolgere senza che nessuno dei presenti si sfiori.
D’altra parte, i membri del governo sono in buona compagnia: non sono molti, neanche fra i battezzati, a crederlo seriamente. Infatti quella volta che convinsi i miei figli a venire a messa solo per assistere a questo prodigio, invisibile ma vero, quando entrarono nella chiesa quasi vuota, con poche vecchiette che sembravano piuttosto assuefatte alla celebrazione (come spesso capita anche a me, purtroppo), Lavinia, anni due e mezzo, mi chiese: “mamma, ma a lolo non glielo ha spiegato nessuno che sta succedendo? Lo devi spiegale anche a lolo. Diglielo, che è lisolto!”
Insomma, si parla di fase due, riaprono diversi tipi di negozi, le librerie “perché nutrono lo spirito” ma non si parla di riapertura delle messe ai fedeli. Ci sono posti nel mondo dove la gente va a messa a rischio della vita, si vede che c’è davvero qualcosa di grosso, che per qualcuno è molto più di una libreria (non conosco nessuno che sarebbe pronto a morire per leggere un libro di Saviano, per esempio).
Ovviamente il mondo non sa manco cosa sia, una messa. Ho sentito in tv il vaticanista del Fatto dire che alla gente manca la messa perché mancano gli abbracci e il contatto. Devo spiegare anche a lui, con le parole dell’asilo nido, cosa succede in realtà a una messa. Ho sentito i giornalisti di Sky parlare della preghiera del 27 marzo in piazza san Pietro come “la messa del Papa”. Non c’è stata alcuna messa in piazza il 27, ma è ovvio che giornalisti e politici per la maggior parte non hanno la minima idea di cosa sia una messa. Con loro non me la prendo, mi dispiace per loro che non sanno cosa si perdono.
Però è compito dei pastori ricordarlo. Chiedere con tutte le forze che questa cosa preziosissima non ci venga tolta. Spiegare cosa succede, e quanto è fondamentale per noi, chiarendo quanto è diverso parlare al telefono con una persona o vederla dal vivo (se volete vi mando mia figlia, lei lo sa). Il fatto è che la Chiesa è complessata, si vergogna di se stessa, ha paura di essere impopolare o di creare problemi, e sa bene che è accettata solo quando fa del bene, e ne fa tantissimo, più di tutti. Ma non è compresa quando parla di croce e vita eterna e novissimi e sacramenti. È un argomento sconveniente in pubblico, non lo si può mettere a tema.
Quanto alle chiese domestiche che tanti ci dicono che dobbiamo apprezzare grazie alla mancata partecipazione alle messe, è ovvio che la chiesa domestica è la realizzazione quotidiana del sacramento, non è in alternativa a esso, e per quanto mi riguarda non si può vivere senza quello: se uno va a messa mezz’ora, ha il resto del giorno e della notte per pregare dal bagno, dalla cucina, per dare la vita ai propri cari, per amare e fare tutte le cose che ci suggeriscono di fare i sostenitori della sospensione delle messe, come se chi va a messa poi nel resto della giornata si sentisse autorizzato a essere una brutta persona. Al contrario, a me sembra che quando mi allontano dai sacramenti lo sono molto di più, una brutta persona.
Ho sentito da amici di tante belle celebrazioni di veglie pasquali fatte nelle case. Anche io con i figli (mio marito lavorava) ho letto le letture della veglia e vissuto un momento inatteso e molto bello. Ma chi era solo? Chi non ha una famiglia credente? Chi non condivide la fede con lo sposo? Chi ha i figli in fase di ribellione? Come sempre, i momenti difficili sono più duri da portare per i più deboli (allo stesso modo, i vip che dicono di stare a casa dal giardino forse non pensano ai bambini che abitano nei seminterrati), e di questi chi si sta preoccupando? Grazie al monastero wi-fi conosco migliaia di persone che vivono la fede senza la grazia di una comunità forte o di una famiglia numerosa, desiderose di comunione, che è il motivo per cui è nata la nostra comunione wi-fi. La chiusura delle messe sta abbandonando tante solitudini a sé stesse.
Non dico che non possano esistere in via teorica delle condizioni in cui davvero potrebbe essere pericoloso stare in un ambiente chiuso a quattro metri di distanza. Ma una peste che non colpisce nei supermercati dove si toccano le cose toccate da altri, e invece colpisce nelle chiese con le persone distanti come abbiamo visto a San Pietro, non mi pare credibile. Quanto alla battutina che gira in rete, che chi si contagia andando in chiesa dovrebbe essere curato solo a preghiere: siccome la gente continua ad ammalarsi anche se le chiese sono vuote o chiuse, proponiamo di curare i malati ingozzandoli di cibo, visto che possono essersi contagiati solo facendo la spesa. Ovviamente sono battute spregevoli: chiunque si ammali ha diritto a essere curato nel modo migliore.
In sintesi: di fronte alla enorme posta in gioco, con le messe, sono assolutamente certa che non ci si sia provato abbastanza, prima di accettare la chiusura ai fedeli. Lo so, mi ripeto, ma ci sono mille accorgimenti che si potrebbero tentare: numero chiuso, prenotazioni online (lasciando dei posti liberi per gli anziani che non hanno internet), messe all’aperto, in strada, in piazza, nei cortili, messe moltiplicate e con brevissime omelie, o nessuna. A San Pietro abbiamo visto alla messa del Papa i fedeli uno per panca (e senza mascherina): non conosco nessuna chiesa nella quale tutte le panche sarebbero occupate, nei giorni feriali. Ci si potrebbe mettere uno ogni 10 panche, ogni 4 nelle più affollate. È un’offesa alla nostra intelligenza e alla realtà proibirle, ed evidentemente chi ha fatto questa richiesta alla Cei non va a una messa feriale da molti decenni.
Quanto a quelle festive, ripeto, facciamo turni, messe multiple, prenotazioni, mascherine, guanti e tutto quello che si vuole. Dubito che non si riuscirebbe ad accogliere tutti, ma nel caso, pazienza, si aspetterebbe la domenica successiva. Una messa festiva ogni due è meglio di niente messe per tre mesi, e voglio essere ottimista.
Sennò ecco, rimane solo un’opzione, visto che a nessuno importa niente dei diritti dei cattolici: che Salvini faccia un energico, fermo e vigoroso appello affinché le chiese rimangano chiuse fino a Natale. È l’unica speranza, riaprirebbero domattina.
April 11, 2020
Che immensa fortuna è sapere che Cristo è risorto!
di don Alessio Geretti
Stanotte, amici cari, insieme a noi, sparsi tra tante case, si sono riuniti, in questa Chiesa che compie segni arcani, la luna nuova di Pasqua, e il fuoco, l’acqua, la terra, il soffio della brezza di primavera, gli elementi del mondo, e le stelle che trapuntano come brillanti l’abito nero indossato dopo ogni crepuscolo dalla creazione, mentre attende l’aurora con il subbuglio della paura e della speranza che le squassano il cuore.
I cercatori di segreti e di tesori, che s’adoperano con un ingegno che desta ammirazione, se stasera vegliano con noi si rammentano che altre volte faticano a dormire, in fondo inquieti, perché stringono nella mano i loro saperi e i loro giorni, che tuttavia come granelli di sabbia colta sulla riva del mare sfuggono tra le dita, e con essi il perché di questa esistenza, e l’incognita che ci attende al suo traguardo.
I bimbi forse, anch’essi vegliano con noi, stasera; o forse dormono, nella loro benedetta innocenza di sognare tutte le meraviglie e di non conoscere ancora la tribolazione del vivere incerto; e dalla porta socchiusa le mamme e i papà li sbirciano, silenziosi, sussurrando che vogliono amarli per sempre.
Ed anche gli innamorati di fresca passione e quelli di tantissimi calendari, che avevano la nostra età quando noi eravamo impavidi ragazzi, si tengono la mano, perché in fondo – perfino quando ogni tanto sembrano dimenticarlo, lanciandosi proteste, lamentele o creativi insulti – ad ogni loro sguardo si stanno dicendo che vogliono amarsi per sempre.
Per sempre. Ma può essere vero? Mentre la notte dell’universo guarda alla finestra, se torni l’amato, e tutti i brandelli di vita del mondo, anche la più nascosta o ridotta al lumicino, anche le rughe che solcano il volto dei vecchi, anche le vampe rosse e gialle dei sentieri coperti dalle foglie in autunno o la coltre silenziosa bianca dell’inverno, con il presentimento che la vita vincerà a primavera, sintonizzano il loro segreto battito cardiaco al palpito emozionante mostrato da un’ecografia che ha scoperto la creatura nascosta nel grembo delle donne, a ogni stagione il genere umano, venuto da lontano, dopo essersi alzato in piedi, aver imparato a progettare e a lasciare impronte dell’anima perfino sulle pietre, guarda in faccia la nuda apparenza della realtà e si ritrova sull’orlo del mistero ogni volta che adagia uno di noi nella sepoltura, come in un grembo materno, compiendo un gesto che dimostra la differenza tra l’uomo e tutti gli altri viventi, e che lamenta l’indifferenza del destino, poiché la morte non ha saputo distinguere tra loro e noi.
Ha fatto il salto di specie. Ma noi amavamo, seppure con amori malconci: non doveva colpire anche noi.
Così, tornando da una ricorrente visita ai sepolcri sempre più familiari col passare degli anni, nella più vasta solitudine in cui ci sentiamo d’improvviso l’assembramento delle memorie e delle domande ci trapassa.
Ma per una volta, per una volta, da una sepoltura scavata in un giardino, fuori dalle mura di Gerusalemme, conficcata all’epicentro di tutte le profezie e di tutte le più struggenti promesse che stasera ci faceva ogni pagina della Sacra Scrittura, dalla sepoltura di Gesù – questo affascinante e diciamo pure irregolare ebreo di Nazaret –, le donne prima e gli apostoli poi ritornano con gli occhi di chi pare aver visto l’immensità in un istante!
Gesù, il Crocifisso del Golgota, è veramente, realmente, corporalmente vivo. Lui, che aveva trascinato dietro a sé una brigata a tratti simpatica a tratti imbarazzante, come noi cioè, e suscitato l’entusiasmo di molti,
Lui che aveva sfolgorato di luce su un monte di Galilea e aveva sedato tempeste e camminato su acque colte da frenesia, Lui che aveva ridato freschezza alle membra martoriate dei lebbrosi e luce agli occhi di diversi ciechi, lui che aveva strappato agli artigli da rettile della morte la figlioletta di Giairo o il figlio unico della donna di Nain visitata troppe volte dalla morte stessa, o l’amico di alcune risate fraterne e del pianto più affettuoso, Lazzaro, Lui che era sceso a Gerusalemme su un asino, come Salomone il giorno in cui venne consacrato re a sorpresa dal profeta Nathan e da Zadoq sommo sacerdote, Lui che pareva d’improvviso un gigantesco errore, una paurosa illusione, uno straziante ricordo, sfigurato sul patibolo degli schiavi, inchiodato rabbiosamente, cancellato dalle agende dei vertici di tutti i potenti della storia, Lui è vivo. Non nei pensieri, o nel cuore di chi lo amò: è vivo nella sua carne, pervasa da una misteriosa metamorfosi che l’ha inondata di gloria senza tramonto.
Gesù ha riaperto i suoi occhi, quelli con cui prese il cuore di Simon Pietro, figlio di Giovanni, sulle rive del mare di Galilea una mattina di tre anni prima, quelli con cui comprese il cuore di Simon Pietro, figlio di Giovanni, sul limitare del cortile di Caifa, al canto del gallo nella notte di tre giorni prima, quelli con cui riprese il cuore di Simon Pietro, figlio di Giovanni, sulle rive del mare di Galilea medesimo, quando gli chiese d’amarlo con tre per sempre.
Gesù di Nazaret è entrato nella morte per ucciderla. Non c’è notizia più meravigliosa e più gravida di conseguenze.
Dalla tomba scoperchiata, giunge a noi questa notizia sbalorditiva, che l’angelo sfolgorante, di cui ci ha parlato la lettura evangelica, diede anzitutto alle donne quella mattina di domenica 9 aprile dell’anno 30: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui”.
Il sepolcro vuoto (che i soldati e le autorità giudaiche non possono in alcun modo contestare); i molti testimoni che hanno veduto e incontrato il Risorto (puntigliosamente elencati da testi antichi, scritti quando i testimoni stessi erano ancora viventi e potevano essere tranquillamente contestati, se si fosse potuto contestarli); la stessa radicale trasformazione degli apostoli, che prima sono avviliti, depressi, paurosi, e poi diventano esuberanti di coraggio, di fiducia incrollabile, di generosità audace fino al martirio: sono tutti fatti storici, dati certi, che hanno lasciato tracce precise e seriamente documentabili, sostegno della nostra certezza.
E se Gesù è vivo, dunque non v’è dubbio: è Lui il Signore!
Ogni sua parola è vera. E arrivare a Lui è l’unica cosa davvero necessaria. D’altra parte, solo un fatto reale e straordinario, avvenuto effettivamente, poteva rendere ammissibile il ritorno sulla scena di colui che, al cospetto di tutti, era stato così atrocemente sconfitto, pubblicamente umiliato, rabbiosamente annientato fino alla morte di croce, cioè la più infamante e dissacrante maniera di morire che potesse capitare ad un ebreo.
La storia di Gesù era finita troppo male, troppo clamorosamente male, per potersi rifare alla sua memoria e al suo messaggio così, come niente fosse. Non si trattava di un eroe caduto in uno scontro con malvagi; era uno che si proponeva come salvatore del mondo e personalmente tutt’uno con Dio onnipotente, e in croce era stato smentito nel più brutale dei modi.
Ma bisognava proprio, se ci pensiamo bene, che la morte di Gesù accadesse in modo tanto terribile e clamoroso, perché di fronte a quel tipo di morte è ancora più evidente che l’esplosione immediata del cristianesimo, iniziata poche settimane dopo e propagatasi nel mondo intero, si spiega solamente se c’è stato davvero il ritorno fisico e palpabile di Gesù, nel suo corpo vivo, trasformato e infiammato da una immensa potenza divina.
Un Gesù che fosse stato uno spettro non avrebbe cambiato niente, non avrebbe convinto nessuno, non avrebbe fatto ripartire nulla, non parlerebbe al cuore nostro né stasera né mai.
Ed ora, cari amici, diciamoci la verità. Se Cristo non fosse risorto, l’intera esistenza umana non riuscirebbe a scampare dalla disperazione e dall’assurdità. Questo lo sappiamo prima di tutto noi cristiani. San Paolo ce lo ricorda con la consueta schiettezza:
“Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sarebbero perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1 Cor 15,17-19).
Concordando con san Paolo, dobbiamo ammettere: che gigantesca e ridicola illusione sarebbe pensare che ci sia un Dio, e un Dio pieno d’amore, e che quindi la nostra vita e i nostri amori e legami e sacrifici abbiano un senso, un qualche valore, se in realtà fossimo soltanto polvere, affannata, che consuma una esistenza insensata e balorda, per finire poi nel niente! La vita sarebbe una passione inutile, e la fede una gigantesca e puerile idiozia.
Ma questo vale anche per i non credenti. Se Cristo non fosse davvero vivo, ora, la vita nostra si porterebbe dietro un fatale nero strascico di malinconia. Lo scriveva già un poeta, narrando il canto del pastore insonne ed errante dell’Asia, che interrogava la luna in ciel, silenziosa e ancor non paga di riandare i sempiterni calli, ripensando alla vita di chi sorge all’alba e muove sempre identiche mosse stranianti, e poi stanco si riposa a sera: ma allora – domanda egli lucidamente – a che valea noi la nostra vita, o alla luna la sua, dove tende questo vagar nostro breve e il suo corso immortale?
Non saremmo forse tutti fatalmente votati all’insensatezza,condannati a non avere una motivazione per andare avanti che vada oltre il provvisorio, costretti a vivere in un mondo senza logica,senza un’accettabile speranza?
Non venitemi a dire che si può andare avanti lo stesso, che magari si può cercare di darsi obiettivi di altruismo e lottare civilmente per un mondo più giusto: questo ce lo diciamo, certamente, ma finché abbiamo battaglie da combattere, mani da stringere, una guancia da baciare, una spalla su cui poggiarci; poi però, basta che una malattia tocchi non te, no, ma le carni e il sorriso e la delicatezza di tuo figlio o di tua moglie, e ti rendi conto che essere venuti al mondo e per di più volersi bene, se non ci fosse né Dio né risurrezione sarebbe stato uno scherzo di cattivo gusto da parte di un cinico destino.
Amici, che immensa fortuna è sapere che Cristo è risorto! E che immensa fortuna è appartenergli! Dio è venuto a noi in Gesù di Nazareth, così meravigliosamente che chi vive senza Lui non vive, e chi muore con Lui non muore.
Da quando esiste, sempre e dovunque l’uomo si domandava se l’amore può vincere la morte. In Gesù ha trovato finalmente la risposta! Sì, l’amore ha l’ultima parola sulla morte. In Gesù è avvenuto questo miracolo bramato da tutte le fibre del cosmo, predetto da tutte le pagine sacre di Israele, sperato da tutti quelli che hanno un cuore, al di là di quel che eventualmente dicesse la loro testa.
E noi, vedete, in realtà non sappiamo cosa accadrà tra due ore, ma da quando Gesù è venuto, e da quando Gesù è morto e risorto, sappiamo esattamente e certissimamente cosa accadrà l’ultima ora della nostra vita: vedremo Lui. Conosceremo Dio come lui conosce noi, e conosceremo noi come ci conosce Dio. Vedremo tutta la verità, indagata con tenacia o un po’ fuggita nella penombra di quaggiù. Vedremo tutta la vita, la nostra vita, come intreccio benedetto e accidentato di Provvidenza e miseria, e di tanta misteriosa compagnia.
E rivedremo quegli indimenticabili vecchi di casa nostra e gli saliremo in grembo, sulle loro ginocchia solide come le fondamenta della terra, per concludere quella frase che ci rimase mezza in gola, spezzata dal pianto, quando tentammo di salutarli. E finalmente quegli innamorati si ritroveranno, e quel papà e quella mamma ritroveranno il loro figlio, perché la morte dovrà restituire uno dopo l’altro.
E quando tante cose saranno passate, non tutto sarà passato. Resterà la luce di ogni tramonto vissuto insieme nell’amore, al canto delle campane dei nostri borghi. E quella luce farà splendere come perle le nostre lacrime di figli immensamente amati.
April 9, 2020
Carità e preghiere per un Giovedì Santo particolare
di Costanza Miriano
In questo giorno in cui si ricorda l’istituzione dell’eucaristia e in cui quindi la ferita del non poter partecipare a messa sanguina particolarmente, volevo ringraziare i tanti sacerdoti eroici che sono stati come dei padri per me, che mi hanno dato la vita una confessione alla volta, una messa alla volta, un colloquio alla volta, una catechesi alla volta. Un esercito di uomini eroici e generosi che vivono in mezzo a noi e che davvero fanno tutto quello che possono. Sempre, da sempre, da quando sono piccola ne ho incontrati, e ce ne sono anche adesso, in questo strano momento della storia. Giorni fa ne ho sentito uno di una città molto colpita dal virus che, costretto a non portare la comunione nelle case, diceva con la voce rotta “magari potessi morire di Covid per stare vicino alla mia gente”!
Ecco, ero indecisa se fare un elenco di quelli a cui devo qualcosa, ma ho deciso di no, perché sono troppi, a voi non interesserebbero – ognuno ha i suoi nomi da ringraziare – e rischierei di dimenticarne qualcuno. Anzi, di qualcuno proprio non so il nome, magari quello nella cui chiesa mi sono infilata di passaggio, in viaggio, senza conoscerlo, e che magari mi ha colpito per la serietà con cui celebrava, o per una parola detta in un’omelia.
Grazie per tutto quello che fate per noi! Grazie per farlo spesso in silenzio, lontano dai riflettori, nell’obbedienza.
Volevo anche ricordare la nostra catena di preghiere, qui http://www.recode.digital/corona-anti-virus/ ci si può iscrivere. Notte e giorno, dall’inizio dell’emergenza, c’è sempre stato qualcuno che ha pregato contro il virus, un vero muro di preghiere, mentre scrivo siamo già quasi a quota 19mila rosari pregati, e tantissime coroncine della Divina Misericordia sgranate per tutti coloro che sono morti senza il conforto dei sacramenti. Io confesso che mi dimentico spesso di iscrivermi: l’importante è pregare, ma è bello poter dare un segno anche pubblico di questo, è una grande consolazione.
Infine volevo annunciare che questo meraviglioso monastero wi-fi ha fatto anche tante generose opere di misericordia corporale: alla mia richiesta di aiutare le persone che avevano bisogno, per pagare le bollette, fare la spesa, sopravvivere in questo momento di emergenza, avete risposto in tantissimi. Abbiamo messo in contatto chi chiede con chi è disponibile a offrire, e abbiamo visto il regno dei cieli qui su questa terra, abbiamo visto una vera comunità cristiana.
Grazie a tutti, e buon triduo. Teniamoci pregati!
April 4, 2020
Non di sola emergenza vive l’uomo
di Costanza Miriano
Visto che nessuno può fare previsioni sul futuro, ma che da nessuna parte si vocifera certo di una imminente riapertura totale, bisogna cominciare a ragionare su come convivere con questa situazione per un tempo abbastanza lungo. Dobbiamo prepararci a qualsiasi evenienza e dunque riaprire la questione delle funzioni religiose sospese. Non possiamo pensare di stare senza messa fino all’estate o addirittura fino all’autunno, esttamente come non stiamo pensando di stare senza spesa, benché il supermercato sia un posto ben più insidioso delle chiese vuote.
Ma la questione dobbiamo sollevarla noi credenti: è evidente che il tema della fede non è più di rilevanza pubblica. Lo Stato ci riconosce solo formalmente, ma nella realtà – se le cose rimangono così – possiamo dire che lo spirito del Concordato è finito ed è stato tradito ampiamente, se si vietano le messe e non si riconosce la frequenza dei sacramenti come una necessità primaria, come il cibo, l’informazione (edicole aperte), il fumo (tabaccai idem). So bene che il Concordato non può essere denunciato da un gruppo di fedeli, seppur nutrito, e che la cosa porrebbe moltissimi problemi giuridici, nonché la questione dell’8 per mille; lo so, ma non è l’aspetto giuridico che mi interessa, bensì la missione profetica che la Chiesa deve continuare ad avere. In un momento in cui tutti parlano continuamente e solo di virus e contagi e mascherine e antivirali e numeri e precauzioni, la Chiesa deve aiutarci a guardare più in alto, a leggere questo che stiamo vivendo come un richiamo e una grazia, il promemoria del totalmente Altro che reclama a sé i nostri cuori impauriti. Ma se la Chiesa chiude e si ritira, se prende le stesse precauzioni di un’associazione qualunque, come può aiutare chi ha paura a trovare un senso di eternità a quello che succede?
Allora noi, esigua minoranza che riteniamo la partecipazione ai sacramenti essenziale almeno quanto l’accesso ai supermercati, dovremmo affermare, insieme ai tantissimi sacerdoti (praticamente tutti quelli che conosco) che non è minimamente pensabile che il popolo dei cattolici sia lasciato totalmente senza messa fino all’estate (veramente da qualche parte leggo che non è neppure scontato che l’estate spazzerà via tutto), mentre le altre necessità evidentemente inferiori continuano a essere soddisfatte.
Io non voglio davvero giudicare nessuno, né il Governo, né i pastori, che nell’emergenza hanno ritenuto opportuno correre i minori rischi possibili. All’inizio non si capivano bene le dimensioni del problema, i tempi, le misure da prendere. Comprendo chi spinto dall’emergenza e dalla necessità ha scelto di obbedire alla decisione della sospensione delle messe, non solo senza protestare, ma addirittura aggiungendo talora la chiusura dei luoghi di culto, che in tante parti di Italia continuano a essere inaccessibili.
Però adesso dobbiamo prendere le misure con questa situazione. Si è trovato il modo di regolamentare tutto, si trovi un modo anche per le messe. Ma dobbiamo essere noi cattolici, e prima di tutto i nostri pastori, a pretenderlo, non aspettare che sia il Governo a concederlo. I pastori devono pretenderlo, e risponderne davanti a Dio, quindi avendo cura della salute fisica dei fedeli, che saranno certo pronti a prendere almeno le stesse precauzioni che seguono disciplinatamente per andare a fare la spesa.
E’ chiaro che al fondo di tutto c’è una questione di fede, che è ormai compresa da pochissimi. Di sicuro non dalle istituzioni, che riconoscono alla Chiesa solo il diritto di continuare a fare carità per il corpo, come è giusto che sia. Anzi, le attività sono aumentate. Ci sono mense aperte, con maggiori distanziamenti, ci sono distribuzioni di cibo e vestiti. Anche quelli sono a rischio assembramento. L’unico motivo per cui non si riconosce la stessa rilevanza alla messa risiede nel fatto che le nostre autorità, evidentemente, non riconoscono la nostra fede: pensano che per dare un panino ci si può organizzare con guanti e mascherine e distanze, ma per dare il corpo di Cristo non vale la pena sbattersi troppo.
Che la autorità civili la pensino così non mi sconvolge, è evidente da ogni singola legge. Ma noi che sappiamo che la fede è un incontro con una persona dobbiamo annunciarlo, anche chiedendo che questo incontro ci venga consentito, come ci è permesso andare a comprare il pane. I nostri pastori lo pretendano!
Premetto che ho parlato con diversi medici cattolici in primissima linea sul fronte del Covid. Quelli delle città più colpite. Non solo sono d’accordo sul fatto che sia assolutamente possibile trovare un modo per far riprendere le messe aperte al popolo, ma anzi sono forse quelli che ne hanno più bisogno. Combattono in modo estenuante dalla mattina alla sera, guardano in faccia la morte tutti i giorni, come si può lasciarli senza eucaristia?
Si trovino soluzioni. Ce ne sono infinite: a prenotazione, con il numerino (se sei fuori un giorno almeno ti prenoti per il successivo), con delle liste, dei turni, messe più brevi e senza omelia, più frequenti, all’aperto. Si mettano nastri sulle panche per indicare i posti. La vorrei vedere, tra l’altro, la gente che si contende il privilegio, sarebbe proprio una bella sorpresa. (A parte alla messa delle palme che essendo quella col gadget in regalo è la più affollata dell’anno).
Le occasioni di contagio sono molte di meno che al supermercato, perché non devi toccare niente, non ti porti a casa niente, non metti nei pensili roba con il cartone o la plastica su cui forse ha tossito qualcuno con il virus. Il sacerdote può indossare la mascherina nell’unico momento in cui ci si avvicina – sempre a più di un metro – a lui. Si può pulire le mani con l’amuchina prima della comunione.
Insomma, non si può trattare la messa come il cinema o il teatro. Non è uno spettacolo a cui puoi assistere anche fra sei mesi, è il centro della vita del cristiano, e la fretta che c’è stata nel sospenderla può essere comprensibile solo nel momento della paura e della concitazione, mentre è imperdonabile adesso che si deve imparare a convivere col virus. Non si può trattenere il fiato a oltranza e la messa per noi è il respiro.
I medici potrebbero dare indicazioni: magari vieterebbero l’accesso agli over 65 (e già nella mia parrocchia certi giorni rimarremmo in tre, se va bene), agli immunodepressi, a chi vive con qualche categoria a rischio. Poi però coerentemente bisognerebbe impedire anche l’accesso ai supermercati agli over 65, organizzare la consegna a casa obbligatoria, perché è inutile che mi vieti la messa alla vecchina che poi va tra le corsie dello scatolame ben più strette delle nostre chiese da 800 posti sempre vuote.
Adesso tutti hanno capito bene le regole, e se è vero che le forze dell’ordine dicono che un 3% delle persone che fermano non sono in regola, significa che il 97% del nostro popolo allergico alle regole questa volta le sta rispettando. Mi aspetto che tra i frequentatori delle chiese la percentuale salga ulteriormente, ma comunque anche un 3% sarebbe gestibile: in ogni parrocchia ci sono dei laici che potrebbero collaborare con una sorta di servizio di sicurezza.
La Chiesa così annuncerebbe in modo visibile e chiaro che la vera guarigione è quella che Cristo è venuto a portarci, la guarigione dal peccato orginale grazie al suo sacrificio, quello che si consuma durante ogni messa, che ci fa diventare suoi contemporanei. È un incontro insostituibile e irrinunciabile: che non lo sappiano al Viminale ci sta, che lo dimentichiamo noi, no.
Vi prego, astenetevi dal farmi la predica sull’obbedienza (non mi pare un valore spirituale l’obbedienza alle leggi civili, alla quale siamo tutti tenuti, ma è tutto un altro piano, quello) e anche sul fatto che Dio parla lo stesso, nelle nostre case, mentre serviamo e amiamo i familiari (se vado a messa ho comunque altre 23 ore e trenta per stare nella mia realtà), nelle nostre preghiere solitarie. Lo so che Dio parla e agisce, e sono certa che sta facendo miracoli nelle vite di ciascuno, so che si serve anche di questa strana storia. Ma pensare che le preghiere da soli possano sostituire l’azione liturgica è una sorta di devozionismo, contrario e opposto, quindi complementare all’idea tutta sociale di una Chiesa che siccome dà i pacchi viveri sta facendo tutto quello che deve. È lo stesso problema: pensare che non abbiamo bisogno di Dio e della Chiesa per essere guariti dal peccato originale, pensare che possiamo essere buoni da soli.
Proprio in questo momento in cui la morte, la grande rimossa, è al centro della scena pubblica, è il momento di annunciare che solo uno ha il potere sulla morte, solo lui ci parla di vita, e per sempre. Ma ne ha il potere grazie al suo sacrificio, che ci ha detto di “fare in memoria di lui”. Ora che molti sono terrorizzati parliamo dell’unico che può dirci “non temete”. Ora che pregano anche gli insospettabili, permettiamo loro di ascoltare parole buone in chiesa.
Concludo infine lanciando un’idea, a proposito del fatto che la carità verso il corpo va sempre insieme a quella per lo spirito.
Tutti noi probabilmente stiamo contribuendo a sfamare qualcuno, nel mio quartiere quasi tutti i negozi hanno un carrello dove puoi lasciare qualcosa per chi ne ha bisogno. Anche le parrocchie fanno questo servizio, e così la Caritas. Ma molte persone se riescono ancora a mangiare, stanno avendo dei problemi con le bollette e i mutui. Mi è venuto in mente che potremmo provare a dare una mano a qualche confratello o consorella del Monastero wi-fi, o a qualcuno che voi ci segnalaste, conoscendolo però personalmente. Un minimo di verifica infatti è necessario… Siccome il nostro conto è stato svuotato dando al Cardinale e ad Aiuto alla Chiesa che soffre tutto quello che ci avevate offerto, e non si può in questo momento operare online (il conto online costava di più) né andare alle poste (dove abita la nostra Monica sono chiuse), in questo momento l’unica cosa che possiamo provare a fare è mettere in contatto le persone. Qualcuno potrebbe versare qualcosa a qualcun altro. Abbiamo fatto così per i primi due capitoli generali: chi voleva venire a Roma ma aveva qualche difficoltà ce lo ha detto, e qualcuno che poteva dare una mano gli ha pagato il biglietto. Non so se riusciremo, ma vi chiederei di scrivere a monasterowifi@gmail.com dicendo se avete bisogno di qualcosa, se conoscete qualcuno che ne ha, o se invece potete dare una mano a qualcuno. La mitica Monica e le altre bionde e io cercheremo di incrociare domanda e offerta e di verificare le richieste.
Abbiamo pensato, per evitare che diventi una cosa troppo gravosa, che potremmo dare fino a 200 euro a chi ne fa richiesta (ma si può partecipare anche in più persone mettendo che so 10 euro a testa). E stabiliamo che Mario Rossi può dare a Maria solo una volta, in modo che non si crei un obbligo o una dipendenza.
Non so, proviamo se riusciamo.
Altrimenti vi invitiamo a partecipare a una delle tante, straordinarie iniziative che si fanno un po’ dappertutto, a partire da quelle del Banco Alimentare. Non importa come, basta fare qualcosa. Magari anche nel nostro palazzo c’è una vecchietta che ha piacere a ricevere una torta, per sentirsi meno sola.
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