Costanza Miriano's Blog, page 37
July 10, 2020
Agustín Laje: “Le vere vittime dell’ideologia gender sono le donne”
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Agustín Laje è nato nella città di Córdoba (Argentina) il 16 gennaio 1989. Editorialista di importanti media nazionali già a 18 anni.
È autore dei libri “Los mitos setentistas” (2011), “Plumas Democráticas” (2012), “When the story is a Farce” (2013), “Liberando” (2015) e il suo ultimo lavoro si chiama “The Black Book de la Nueva Izquierda “(2016), in collaborazione con Nicolás Márquez.
Attualmente dirige il think tank “Centro de Estudios LIBRE”.
Il suo twitter è @agustinlaje
July 9, 2020
In piazza per la libertà! #restiamoliberi
di Costanza Miriano
Non so perché sia stato scelto l’11 luglio, il giorno in cui nella maggior parte delle città la gente si alzerà in piedi per difendere la libertà di espressione (a Roma saremo in piazza il 16). Mi piace pensare che sia perché è il giorno di san Benedetto, l’uomo che, andato a Roma a studiare, di fronte alla disperazione e allo sfacelo di un impero che cadeva in rovina – ignoranza, miserie morali e materiali – decise non di buttare il napalm come a volte vorremmo fare noi, non di combattere in qualsiasi altro modo “del mondo”, ma di ritirarsi in una grotta, tra le rocce, in un servizio alla Parola di Dio. All’inizio lo fece in totale solitudine, perché il primo banco di prova per la nostra conversione siamo noi.
Da quel gesto è nata l’Europa. Perché Benedetto da Norcia ha affascinato migliaia di uomini, che attraverso la via tracciata da lui – il monachesimo occidentale – hanno incontrato Dio, cioè la Verità, cioè la realtà. E per amore alla realtà, e quindi alla Verità, hanno tramandato le opere letterarie, hanno bonificato campi, hanno salvato il seme.
Ecco, non so se la scelta del giorno sia dovuta a questo, ma di certo so che questa è una battaglia di civiltà sull’ultima trincea, quella della realtà. Una legge che impedirà di dire che i maschi sono maschi e le femmine femmine è la fine della civiltà, della adaequatio rei et intellectus (corrispondenza tra realtà e intelletto), della Verità. Dopo questo, basta, potremo dire tutto: tutto sarà vero e falso insieme, perché se io posso dire che mi sento maschio, dunque sono maschio, vale tutto. Come quel genio spagnolo che a 60 anni stanco di lavorare si è dichiarato donna, senza fare nessuna operazione – in Spagna non serve – e si è aggiudicato il diritto alla pensione 5 anni prima. E tutti muti, perché discutere questo significherebbe mettere in discussione il principio, affermato in Spagna e molti altri paesi, che quello che conta è la percezione. O come il violentatore seriale che in carcere ha dichiarato di sentirsi donna, si è fatto trasferire nel carcere femminile, e ha stuprato due carcerate, mettendole incinta, perché ovuli e spermatozoi sono omofobi, si sa, e quindi non hanno tenuto conto del fatto che lo stupratore si sentisse donna.
Per questo, per difendere il diritto di dire la realtà così come è, ci alzeremo in piedi in cento piazze in tutta Italia, qui trovate l’elenco: https://www.restiamoliberi.it/elenco-citta/
Ci alzeremo anche per tutte le persone, soprattutto i ragazzi, che vengono convinti dalla melassa di indifferentismo nella quale vengono immersi dall’infanzia, di una enorme, crudele bugia. Il fatto che siamo definiti dal nostro sesso è vero, è innegabile, e non è una costrizione ma la nostra realtà. Il limite è ciò che permette l’incontro con l’altro. Il fatto che ci sia una ringhiera mi permette di uscire sul terrazzo, e di non stare chiusa in casa. Il limite è ciò che ci fa funzionare. Il nostro compimento viene dall’incontro con l’altro, quindi non da una relazione narcisistica come quella omoerotica.
Ci alzeremo, dunque, staremo in piedi un’ora, in silenzio, leggendo un libro perché la cultura e la libertà di parola sono il fondamento di ogni civiltà, ci alzeremo soprattutto per loro, le persone ingannate dai lustrini arcobaleno, per poter continuare a parlare loro del lato oscuro dell’arcobaleno, per poter continuare a dire che spesso una attrazione verso lo stesso sesso, condizione transitoria e reversibile, viene da ferite nella maturazione e nella crescita, o dall’avere subito molestie o violenze, o dall’avere assistito a rapporti violenti o abusanti. Noi vogliamo poterlo dire a coloro che soffrono, perché la prima forma di amore è la verità: a chi soffre non puoi dire solo “poverino”, ma devi dare gli strumenti, se puoi, perché si tiri fuori dal suo dolore. Noi non vogliamo che il gender sia insegnato nella scuola statale dell’obbligo. Noi non vogliamo che le teste dei nostri ragazzi siano imbottite di opinioni prefabbricate, ma aiutate a funzionare in modo indipendente.
Anche chi non la pensa così dovrebbe scendere in piazza, per difendere la nostra libertà di dirlo, se con rispetto e senza offese. La libertà è un bene non negoziabile, invalicabile perfino a Dio, che vuole sempre il nostro consenso per agire. E se oggi tolgono la libertà a noi, domani potranno toglierla a tutti.
Per questo vi chiediamo di venire in piazza, e se non potete di mandare qualcuno per voi.
Da Nord a Sud un popolo si alzerà in piedi per dire “No” al liberticida ddl Zan sull’omotransfobia, ora in discussione in Parlamento.
Con la nostra presenza di piazza vogliamo dire no all’istituzione di un nuovo reato, quello di omotransfobia, appunto, che non viene definito dal legislatore, lasciando così enormi spazi a interpretazioni e derive liberticide che colpiranno tutti coloro che si esprimeranno pubblicamente in modo non allineato al mainstream.
In caso di approvazione del testo, sarà possibile per chi gestisce una palestra vietare ai maschi transgender (che si “sentono” donne) l’ingresso nello spogliatoio delle donne? Sarà possibile per un genitore chiedere che il figlio non partecipi ad attività scolastiche inerenti temi sensibili sulla sessualità e la famiglia? Sarà ancora possibile per un sacerdote spiegare la visione cristiana del matrimonio? Sarà possibile dire pubblicamente che la pratica dell’utero in affitto è un abominio o dirsi contrari alla legge sulle unioni civili? Per tutte queste domande il ddl sull’omofobia ha una sola risposta, NO.
Ecco perché scendiamo in piazza. Per la libertà di espressione, per la libertà di educazione, per la libertà di stampa, per la libertà di associazione, per la libertà religiosa.
In piazza per la libertà! #restiamoliberi
di Costanza Miriano
Non so perché sia stato scelto l’11 luglio, il giorno in cui nella maggior parte delle città la gente si alzerà in piedi per difendere la libertà di espressione (a Roma saremo in piazza il 16). Mi piace pensare che sia perché è il giorno di san Benedetto, l’uomo che, andato a Roma a studiare, di fronte alla disperazione e allo sfacelo di un impero che cadeva in rovina – ignoranza, miserie morali e materiali – decise non di buttare il napalm come a volte vorremmo fare noi, non di combattere in qualsiasi altro modo “del mondo”, ma di ritirarsi in una grotta, tra le rocce, in un servizio alla Parola di Dio. All’inizio lo fece in totale solitudine, perché il primo banco di prova per la nostra conversione siamo noi.
Da quel gesto è nata l’Europa. Perché Benedetto da Norcia ha affascinato migliaia di uomini, che attraverso la via tracciata da lui – il monachesimo occidentale – hanno incontrato Dio, cioè la Verità, cioè la realtà. E per amore alla realtà, e quindi alla Verità, hanno tramandato le opere letterarie, hanno bonificato campi, hanno salvato il seme.
Ecco, non so se la scelta del giorno sia dovuta a questo, ma di certo so che questa è una battaglia di civiltà sull’ultima trincea, quella della realtà. Una legge che impedirà di dire che i maschi sono maschi e le femmine femmine è la fine della civiltà, della adaequatio rei et intellectus (corrispondenza tra realtà e intelletto), della Verità. Dopo questo, basta, potremo dire tutto: tutto sarà vero e falso insieme, perché se io posso dire che mi sento maschio, dunque sono maschio, vale tutto. Come quel genio spagnolo che a 60 anni stanco di lavorare si è dichiarato donna, senza fare nessuna operazione – in Spagna non serve – e si è aggiudicato il diritto alla pensione 5 anni prima. E tutti muti, perché discutere questo significherebbe mettere in discussione il principio, affermato in Spagna e molti altri paesi, che quello che conta è la percezione. O come il violentatore seriale che in carcere ha dichiarato di sentirsi donna, si è fatto trasferire nel carcere femminile, e ha stuprato due carcerate, mettendole incinta, perché ovuli e spermatozoi sono omofobi, si sa, e quindi non hanno tenuto conto del fatto che lo stupratore si sentisse donna.
Per questo, per difendere il diritto di dire la realtà così come è, ci alzeremo in piedi in cento piazze in tutta Italia, qui trovate l’elenco: https://www.restiamoliberi.it/elenco-citta/
Ci alzeremo anche per tutte le persone, soprattutto i ragazzi, che vengono convinti dalla melassa di indifferentismo nella quale vengono immersi dall’infanzia, di una enorme, crudele bugia. Il fatto che siamo definiti dal nostro sesso è vero, è innegabile, e non è una costrizione ma la nostra realtà. Il limite è ciò che permette l’incontro con l’altro. Il fatto che ci sia una ringhiera mi permette di uscire sul terrazzo, e di non stare chiusa in casa. Il limite è ciò che ci fa funzionare. Il nostro compimento viene dall’incontro con l’altro, quindi non da una relazione narcisistica come quella omoerotica.
Ci alzeremo, dunque, staremo in piedi un’ora, in silenzio, leggendo un libro perché la cultura e la libertà di parola sono il fondamento di ogni civiltà, ci alzeremo soprattutto per loro, le persone ingannate dai lustrini arcobaleno, per poter continuare a parlare loro del lato oscuro dell’arcobaleno, per poter continuare a dire che spesso una attrazione verso lo stesso sesso, condizione transitoria e reversibile, viene da ferite nella maturazione e nella crescita, o dall’avere subito molestie o violenze, o dall’avere assistito a rapporti violenti o abusanti. Noi vogliamo poterlo dire a coloro che soffrono, perché la prima forma di amore è la verità: a chi soffre non puoi dire solo “poverino”, ma devi dare gli strumenti, se puoi, perché si tiri fuori dal suo dolore. Noi non vogliamo che il gender sia insegnato nella scuola statale dell’obbligo. Noi non vogliamo che le teste dei nostri ragazzi siano imbottite di opinioni prefabbricate, ma aiutate a funzionare in modo indipendente.
Anche chi non la pensa così dovrebbe scendere in piazza, per difendere la nostra libertà di dirlo, se con rispetto e senza offese. La libertà è un bene non negoziabile, invalicabile perfino a Dio, che vuole sempre il nostro consenso per agire. E se oggi tolgono la libertà a noi, domani potranno toglierla a tutti.
Per questo vi chiediamo di venire in piazza, e se non potete di mandare qualcuno per voi.
Da Nord a Sud un popolo si alzerà in piedi per dire “No” al liberticida ddl Zan sull’omotransfobia, ora in discussione in Parlamento.
Con la nostra presenza di piazza vogliamo dire no all’istituzione di un nuovo reato, quello di omotransfobia, appunto, che non viene definito dal legislatore, lasciando così enormi spazi a interpretazioni e derive liberticide che colpiranno tutti coloro che si esprimeranno pubblicamente in modo non allineato al mainstream.
In caso di approvazione del testo, sarà possibile per chi gestisce una palestra vietare ai maschi transgender (che si “sentono” donne) l’ingresso nello spogliatoio delle donne? Sarà possibile per un genitore chiedere che il figlio non partecipi ad attività scolastiche inerenti temi sensibili sulla sessualità e la famiglia? Sarà ancora possibile per un sacerdote spiegare la visione cristiana del matrimonio? Sarà possibile dire pubblicamente che la pratica dell’utero in affitto è un abominio o dirsi contrari alla legge sulle unioni civili? Per tutte queste domande il ddl sull’omofobia ha una sola risposta, NO.
Ecco perché scendiamo in piazza. Per la libertà di espressione, per la libertà di educazione, per la libertà di stampa, per la libertà di associazione, per la libertà religiosa.
July 2, 2020
Voglio essere sessista
di Costanza Miriano
Ho letto e riletto, ma l’unica cosa che dovrebbe fare una legge del codice penale, cioè definire un reato, non c’è. Non sono una giurista, ma a me questa legge pare davvero scritta da analfabeti giuridici, perché cerca di imporre un atteggiamento culturale attraverso strumenti penali.
Sarebbe assurda anche se fosse scritta da persone che la pensano come me, cioè convinte che il sesso biologico determina alcuni aspetti della nostra vita, e che la realtà ha alcuni paletti che sono belli solidi. Se ci fosse una legge che punisce con il carcere l’eterofobia, o la famigliofobia, o la fobia per le madri e i bambini, le categorie in assoluto più discriminate, io la troverei ridicola esattamente come trovo ridicola questa. Gli atteggiamenti cutlurali non si cambiano per legge, che è proprio invece lo scopo del ddl Zan Scalfarotto (così come la 194 ha cambiato la percezione della vita nascente, e partendo da esempi estremi ed emotivamente adatti a suscitare empatia ha portato allo sterminio attuale, che vede nel mondo 42 milioni di morti l’anno, altro che Covid).
Insomma, a me va benissimo punire chi discrimina chiunque altro, ma diteci cosa vuol dire discriminare. Questa legge ovviamente non porterebbe alla denuncia di milioni di italiani che pensano che nasci maschio o femmina, punto e basta. Le carceri non potrebbero ospitarci tutti. Servirebbe però come spauracchio a punire i più esagitati, e come fattore di formazione di una nuova cultura.
Lo ripeto, diteci cosa vuol dire omofobia, esattamente.
La lotta contro la realtà dichiarata nel ’68 raggiunge con questa legge il suo punto apicale.
Dire che uno sviluppo armonioso e ordinato della personalità conduce al compimento di un identità che può essere solo maschile o femminile è reato?
Dire che non si vuole che teorie contrarie a questa vengano insegnate nelle scuole è reato?
E’ evidente che la legge crea intenzionalmente un amplissimo cono d’ombra, una zona grigia in cui non saprai mai se puoi essere incriminato e condannato e finire in carcere facendo di queste idee una affermazione pubblica, una battaglia (come quella contro l’utero in affitto).
Eppure questo va necessariamente chiarito.
Cosa significa per esempio misoginia (pare che nche questa verrà punita)?
Dire che le donne non hanno certe caratteristiche che le rendono adatte ad alcuni ruoli sarà misoginia, temo. Eppure se devo dire la mia esperienza, la sola vera misoginia che ho sperimentato in prima persona è stata quella che mi ha “costretto” – se volevo mangiare – a tornare al lavoro con un bambino di quattro mesi, per ben due volte. Eppure ero una giovane donna emancipata, che non aveva mai pensato nella sua vita a dedicare tempo alla maternità, occupata come ero a cercare di diventare brava nel lavoro e a fare sport. Poi è successa questa cosa incredibile, cioè che le mie viscere materne hanno ruggito, e tutto il resto è diventato insignificante, è scomparso all’istante alla vista di quel prodigio, un bambino uscito da me. Nessuno mi ha plagiata, nessuno mi ha costretta ad attaccarmi a lui, anzi, sono dovuta tornare al lavoro, un lavoro prestigioso, gratificante e tutto sommato ben retribuito rispetto alla media, che io avrei barattato con i pannolini di mio figlio tutta la vita, guidavo piangendo e odiavo tutte quelle perdite di tempo mentre un’altra donna scaldava il biberon col mio latte e si godeva il MIO bambino. Il mondo del lavoro è stato misogino con me, non ha rispettato il mio essere donna. Ci sono molti modi di essere madre, io volevo esserci il più possibile, ma mi è stato impedito.
Dire che la donna ha bisogno di uno sguardo su di sé è misoginia? Dalle quattro righe che ho letto della polemica fatta contro Morelli dalla Murgia – una che ama moltissimo gli sguardi su di sé, come tutte noi, visto che è ovunque – pare di sì. Eppure non ci trovo niente di male. La donna si trova nello sguardo dell’altro, non c’è assolutamente niente di offensivo a dirlo, così come l’uomo ha bisogno di vedere che è capace di fare delle cose. Non mi danno fastidio i complimenti per strada, anzi mi stupisce se ancora ne arriva qualcuno, sono grata a Dio per l’esistenza degli operai rumeni (aiuto, razzismo!) e di altri amanti dei modelli d’epoca come me. [image error]Come ho cercato di spiegare in Quando eravamo femmine, il punto non è rifiutare lo sguardo, ma decidere quale sguardo si cerca. Decidere a chi voglio piacere io. Scegliere lo sguardo più alto e che più ci rispetta (quello di Dio), ma non rifiutare questo bisogno, che ci dice semplicemente che siamo creature in relazione, tutti, uomini e donne.
Sono sessista?
Non so cosa voglia dire. Se dire che ci sono alcune caratteristiche profonde nell’uomo e nella donna sì, lo sono, e rivendico la mia libertà di esserlo. Non penso che ci siano cose che mi sono precluse in quanto donna, penso che ci siano cose che non mi interessano. È perfino ovvio, e trovo offensivo doverlo ripetere, ma siccome a certa gente piace pensarci come dei medievali lo ripeto, che le donne possono guidare banche, astronavi, istituti di ricerca e mega aziende. Siamo brave e forse ci piacerebbe anche, ma se il prezzo è la vita, molte di noi preferiscono dire di no, se questo comporta la rinuncia a ciò che ci è più caro, la custodia delle persone che ci sono affidate.
Non è vero che abbiamo un carico maggiore perché gli uomini se ne fregano – la tesi del libro Bastava chiedere – abbiamo un carico maggiore perché vogliamo che le cose vadano a modo nostro, in molte situazioni non vogliamo mollare il controllo. Io non riordino da sola perché mio marito non lo fa, riordino perché la sua idea di ordine non è la mia (basta che la casa non sia allagata, incendiata, esplosa, e per lui va bene, se la forchetta per girare il sugo è appoggiata sul piano di marmo sopravvive, se i calzini di spugna sono insieme a quelli in microfibra riesce a dormire, lui). Non delego quello che non voglio delegare, non è che non delego perché lui sia un egoista, anzi.
Uomini e donne sono diversi, la donna non è sempre vittima dell’uomo, né ovviamente viceversa. Siamo povere creature ferite dal peccato originale, e dunque incapaci di amare senza la grazia. Quando non ama nella verità e nella libertà, l’uomo è più capace di egoismo e di violenza fisica e verbale, la donna di manipolazione. Rifiuto la versione politicamente corretta del vittimismo femminista, e voglio essere libera di continuare a dire tutto questo e molto altro.
Ecco, sì, sono sessista, come molti altri milioni di persone, noi che non rifiutiamo la realtà bandita ormai dal discorso pubblico.
***
leggi anche Restiamo Liberi
June 17, 2020
Restiamo liberi
Questo il parere scritto che mi ha chiesto la Commissione Giustizia della Camera sul ddl Zan Scalfarotto Boldrini. Perdonate la lunghezza…
di Costanza Miriano
Ringrazio i membri della Commissione che vorranno dedicarmi un po’ del loro tempo, e ringrazio coloro che mi hanno dato la possibilità di dare il mio contributo. Mi scuso se il mio linguaggio non sarà affatto tecnico: scrivo in qualità di giornalista e anche di madre (di due maschi e due femmine).
Per chi (immagino tutti) non sa chi sono, vorrei premettere che mi sono trovata a occuparmi di questi temi – maschile e femminile, ruoli, identità – del tutto casualmente, ormai quasi dieci anni fa, quando, mentre lavoravo alla redazione economia del tg3, ho pubblicato un libro in cui scrivevo lettere alle mie amiche per convincerle a sposarsi.
Quando ho cominciato a scrivere non pensavo che dire alcune ovvietà – dobbiamo essere libere di scegliere che tipo di donna diventare – mi avrebbe causato denunce, raccolte di firme per fermare il mio libro, contromanifestazioni: ciò prova che oggi ha diritto di cittadinanza un solo modo di intendere i ruoli, le relazioni, l’identità. Le centinaia di migliaia di copie vendute però dicono che invece a molte persone interessa anche un altro punto di vista, che racconterò alla fine per chi avrà la pazienza di arrivare fin lì.
Credo infatti, e arrivo al punto, che ogni persona debba essere libera di vivere gli affetti, i ruoli, la sessualità nel modo che sceglie più o meno liberamente (la storia di ognuno di noi è segnata da molte circostanze, e non in tutto ci autodeterminiamo). Credo che sia insindacabile ciò che ciascuno sceglie di fare in camera da letto, nella propria vita, privata e pubblica. Proprio perciò trovo questa legge profondamente ingiusta e contro la libertà. Ecco perché.
Non è la prima, ma è l’obiezione discriminante (discriminare non è sempre una brutta parola): la libertà religiosa. L’articolo 2 del Concordato tra Repubblica Italiana e Chiesa Cattolica, che gode di protezione costituzionale ex art. 7 Cost., garantisce “ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
La Chiesa basa sulla differenza maschio-femmina tutta la sua visione dell’uomo. Quando la Genesi dice che Dio crea l’uomo a sua immagine, non dice che è dotato di ragione, o parola. Dice “maschio e femmina, a sua immagine”. Nella relazione tra uomo e donna è nascosto il segreto di Dio, la continua tensione, il rapporto di amore, la complementarietà figura della Trinità. Ovviamente questo per noi credenti, che non vogliamo imporre la nostra visione a nessuno, ma non possiamo neppure essere impediti a esprimerla. La Chiesa davanti all’omosessualità non può che dire che non compie il disegno originario della relazione uomo-donna.
Nel 2018 io ho riportato sul mio blog un’affermazione del Papa, che aveva detto che “nel caso dell’omosessualità ci sono tante cose che si possono fare, anche con la psichiatria, finchè sono piccoli, dopo i venti anni no”, e sono stata segnalata all’Ordine dei Giornalisti. L’OdG ha risposto che non potevo essere sanzionata perché avevo solo riferito un’affermazione del Pontefice.
Io, però, come tutti i cattolici, pretendo di essere libera non solo di riferire ciò che dice il Papa in un’intervista, ma anche di pensare come lui. La libertà religiosa è tutelata a livello costituzionale, ex art. 19 Cost., altrimenti si provoca un formidabile cortocircuito, perché per non discriminare altri la discriminata diventerei io, e proprio in base allo stesso articolo che qui si sta chiedendo di integrare, l’art 604 bis c.p., che vieta “ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.
Non odio né, tanto meno, ho paura delle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, non la considero una malattia ma un mistero che è spesso l’esito di una ferita (in questo senso, e non nel senso di malattia, l’accenno alla psichiatria come possibilità). Penso che ci sia, come dicevo, un mistero inaccessibile al cuore di ognuno di noi – ciascuno ferito a suo modo – su cui nessuno è titolato a sindacare, ma pur rispettando questo ritengo che l’omosessualità non compia profondamente l’umanità di una persona, e proprio per amore di queste persone, per poter fare a quella persona la carità più grande, che è la verità, voglio essere libera di pensarlo, dirlo e scriverlo come ha fatto il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.»
Libertà di pensiero e di espressione: va garantita a tutti, anche a chi come me e la maggioranza degli italiani, inclusi i molti non cattolici, è convinto che si nasce uomo o donna, cosa che si stabilisce alla nascita, e che segna non solo la conformazione degli organi riproduttivi, ma tutto di noi, a livello fisico, intellettuale, spirituale. Uomini e donne liberi di vivere la propria sessualità come desiderano, anche con persone dello stesso sesso, ma allo stesso modo di esprimere opinioni, nel rispetto della dignità della persona. Mi preoccupa molto, di fronte a una grande vaghezza delle norme che si vorrebbero introdurre, la tutela della libertà di espressione. Il ddl Scalfarotto ha il merito di essere l’unico che porta un esempio concreto, citando il caso dell’esposizione di uno striscione offensivo come quelli degli stadi. Se è questa la materia di cui si dibatte, nessun problema per me e tutte le persone civili, se non che gli striscioni offensivi sono già sanzionabili, senza bisogno di una nuova legge. Ma il reato di “omofobia” non è spiegato chiaramente, cosa che dovrebbe fare una legge. Questa vaghezza è evidentemente voluta per lasciare ampi margini di discrezionalità, e avere un potere di intimidazione, e alfine culturale.
Per esempio, può l’affermazione che si è uomini o donne essere considerata violenta, o istigazione alla violenza? Un caso fra tanti: il terzo collegio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti del Lazio ha preso in esame, su segnalazione del signor Massimiliano Piagentini, l’articolo del collega Aldo Grandi che sulla Gazzetta di Lucca il 15 gennaio 2020 aveva scritto in merito a un fatto di cronaca “un transessuale brasiliano”, usando l’articolo maschile, e più sotto “l’identità si acquisisce alla nascita, si è maschi o femmine”. L’Odg ha archiviato il ricorso, ritenendo che il collega non abbia violato le norme deontologiche, ma da giornalista mi chiedo e vi chiedo: se fossero in vigore le norme che state prendendo in esame, si potrà davvero essere denunciati solo perché si usa l’articolo maschile? O perché si afferma che l’identità è sessuata? Cosa vuol dire omofobia (ammesso che si possa considerare reato una paura, sempre che esista)? E se è tutelata la libertà delle persone di scegliere la propria appartenenza di genere – cioè se un uomo che si sente donna ha la libertà di cercare di diventarlo – allo stesso modo io non ho la libertà di percepirlo comunque come un uomo? Può una legge entrare in una sfera privatissima, sacra e intoccabile come la percezione delle cose? Può essermi imposto per legge come percepire le persone? Possiamo imporre agli altri in uno stato democratico come ci devono percepire? (Nel caso io voglio essere percepita bellissima e giovanissima).
Ovviamente non ho nessuna ostilità neppure verso le persone che affrontano operazioni per cambiare sesso, come possono testimoniare quelle che conosco, nel mio quartiere, e anche coloro a cui mi è capitato di dare una mano (in questo periodo di covid e di attività ferme), perché di fronte al bisogno siamo tutti uguali. Ma usare un pronome maschile o dire che si nasce maschio o femmina non può essere sanzionabile. Dire che i figli hanno bisogno di un padre e una madre, e che l’utero in affitto è sfruttamento del corpo della donna, violenza sulla donna e sul bambino privato dei suoi genitori (anche quando etero), non può essere sanzionabile: lo afferma anche la filosofa francese Sylviaine Agacinski, femminista, di sinistra, laica, ricercatrice all’École des Hautes Études en Sciences Sociales, moglie dell’ex Primo Ministro socialista Lionel Jospin, nei suoi quattro ultimi libri.
Tra le tante parole spese nei ddl non ho letto le più utili e le più necessarie: cosa si intende per omofobia. Non è ammissibile ritenere discriminatoria qualsiasi affermazione di differenze basate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere, quando, invece, il principio di uguaglianza presupporrebbe di trattare in modo uguale situazioni uguali; e in modo ugualmente differente situazioni differenti. E’ evidente che una coppia eterosessuale aperta alla vita è totalmente diversa da una coppia dello stesso sesso che non può concepire una nuova vita (a meno di non commettere il reato dell’utero in affitto, e di privare quello che anche agli animali è riconosciuto come diritto, cioè di essere allevati dalla mamma).
La differenza è enorme e non di dettaglio, è normale dire che siano diverse, non è offensivo. È semplicemente la realtà. La sanno tutti, solo che con questa legge non si potrà più dire: norme così fumose servono precisamente a questo, non a proteggere dalla violenza, cosa sacrosanta ma già prevista dalla legge. Servono a proibire alle persone di dire quello che vedono tutti (mi ricorda la fiaba di Andersen, ma ci sarà pur qui un bambino che avrà il coraggio di dire “il re è nudo”): dire che una coppia di due persone dello stesso sesso è diversa da una formata da uomo e donna non può offendere nessuno.
Se guardiamo ai paesi dove leggi simili sono in vigore, l’esito è spaventoso: padri di famiglia in carcere per un’immagine sulla felpa (Francia), vescovi incriminati per l’espressione delle verità professate, dipendenti pubblici licenziati per un like (Spagna), per non parlare dei paesi di common law (l’ostetrica sollevata dall’incarico per aver detto che solo le donne partoriscono, in Gran Bretagna, idem per l’eroe dei pompieri Usa, capo del corpo nazionale, perché sostenitore del matrimonio uomo donna).
Immagino che in concreto non verremo denunciati tutti, ma solo qualcuno a scopo dimostrativo, secondo il famoso insegnamento del Presidente Mao: colpirne uno per educarne cento.
Sapete bene cosa comporta una denuncia: costi enormi in termini di tempo, energie, soldi. Nelle anticipazioni del ddl pubblicate da L’Espresso – non mi risultano smentite – è previsto che le vittime di reati di discriminazione abbiano accesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato anche a prescindere dai limiti di reddito generalmente stabiliti, grazie a un fondo di 2 milioni di euro all’anno. Avete presente per una famiglia con figli e che vive di stipendio cosa può rappresentare dover sostenere una causa, anche se si è innocenti? Perché lo Stato dovrebbe sostenere solo una parte, pregiudizialmente? E certo, sapere di avere le spese pagate e un trattamento di favore come categoria protetta incoraggerà le querele: perché non provare? Perché io, giornalista, devo essere denunciata da avvocati pagati dallo Stato, e togliere risorse ai miei figli per difendermi, se non ho fatto niente?
Purtroppo, viste le azioni di monitoraggio degli articoli fatte dai militanti lgbt che definiscono sul loro sito gay.it “omotransfobia” anche solo usare un articolo del genere “sbagliato”, non credo alle rassicurazioni degli estensori di questo ddl: si tenterà di imporre una lingua, in linea con le organizzazioni sovranazionali che dichiarano che usare un genere piuttosto che un altro cancelli la dignità delle persone. Ma dover parlare una lingua imposta cancella invece la mia dignità di persona che pensa autonomamente, di educatrice, di giornalista e di scrittrice.
Chi dovesse sostenere che una coppia dello stesso sesso non ha diritto al matrimonio o alla (omo)genitorialità, dunque, come potrà ritenersi al riparo da una denuncia? La distinzione tra i concetti di propaganda di idee fondate sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (che rimarrebbe teoricamente non punibile), da una parte, e l’istigazione alla discriminazione (che diverrebbe punibile) è, dunque, del tutto effimera. Infatti, alla luce delle nuove tendenze che si vanno diffondendo a proposito di hate speech, cavalcate proprio dalle comunità LGBT, qualunque manifestazione di pensiero che inviti a differenziare in relazione all’orientamento sessuale e all’identità di genere viene tout court ricondotto a un discorso d’odio che si pretende porti con sé l’incitamento alla violenza. Con ulteriore pericolosa erosione della preziosa concezione del reato come fatto offensivo tipico (in antitesi a concezioni del reato facenti capo all’atteggiamento interiore del soggetto e alle sue opinioni) contenuta nel nostro codice penale e nella nostra Costituzione. Insomma, il processo alle intenzioni.
Sono totalmente con Papa Francesco quando dice che il gender è un grande sbaglio della mente umana: “Il riemergere di tendenze nazionalistiche (…) è pure l’esito dell’accresciuta preponderanza nelle Organizzazioni internazionali di poteri e gruppi di interesse che impongono le proprie visioni e idee, innescando nuove forme di colonizzazione ideologica, non di rado irrispettose dell’identità, della dignità e della sensibilità dei popoli.” – Papa Francesco al Corpo Diplomatico (7 gennaio 2019, http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/january/documents/papa-francesco_20190107_corpo-diplomatico.html )
Dunque se il Parlamento istituirà il fondo per la difesa legale,voglio anche io un fondo per difendere chi è vittima di odio lgbt: insulti in rete a non finire, e poi ogni anno il Gay pride – ci sono i filmati – mi omaggia di un vaffa… corale di piazza (il fatto che l’ingiuria avvenga in presenza di più persone è anche un aggravante). Perché io non posso avere una difesa pagata con fondi pubblici? Leggo che il testo del ddl Boldrini sottolinea che “le donne sono di gran lunga le maggiori destinatarie del discorso d’odio on line”. Ma solo l’odio per le donne di una certa parte va punito? Questo introduce il secondo tema: perché alcune persone dovrebbero ricevere una tutela maggiore di altre? Non è anticostituzionale?
Da madre di adolescenti vi invito infine a riflettere per esempio sul calvario dei ragazzini sovrappeso a scuola. O di quelli imbranati, fuori moda, magari con pochi mezzi economici. Perché le offese a loro dovrebbero essere colpite con minore attenzione di quelle basate sull’identità? “La presente proposta di legge – dice il ddl Zan – si propone, dunque, di realizzare un quadro di maggiore tutela delle persone omosessuali e transessuali”. Perché dovrebbero essere tutelate più di altre, quando già il nostro quadro normativo prevede tutte le tutele verso ogni persona (che poi non vengano applicate, come nel mio caso, è un altro discorso). Può la ragazzina sovrappeso che i compagni a scuola chiamano “cicciona de m…” ricevere minori tutele?
Credo che l’accettazione e il rispetto, l’attenzione e la tenerezza verso ogni persona non siano atteggiamenti che si impongono per legge, e neanche con l‘indottrinamento – mi riferisco ai fondi stanziati dal ddl per la presenza nelle scuole. Nelle scuole dei miei figli si sono fatti corsi contro il bullismo, ma se vedeste quello che si legge in certe chat di classe capireste che non sono serviti a nulla. L’educazione non è indottrinamento, è un lavoro di cura, paziente, che richiede la presenza dei genitori, l’ascolto, l’amore: solo chi è amato e accettato può amare. Il cuore dei ragazzi non cambia con la lezioncina sui diritti, che spesso in loro sortisce, anzi, la reazione contraria, e tanto meno con l’imposizione di una neolingua. E’ la testimonianza di adulti credibili e disposti a spendersi per loro che educa i ragazzi: loro, soprattutto nell’adolescenza, non ascoltano le parole degli adulti. Loro guardano gli adulti. E poi come sanno anche i muri, sui ragazzi hanno più influenza, che so i palchi televisivi ornati di arcobaleno, i talent show pieni di modelli sessualmente indefinibili, la riscrittura persino dei classici (anche Shakespeare a teatro riserva ormai l’ammiccamento a tematiche gay), le serie Netflix, Amazon e tutte le altre che ormai prevedono obbligatoriamente l’inserimento di almeno un personaggio con attrazione verso lo stesso sesso, anche quando non richiesto dalla trama. Sembra una sorta di “tassa” da pagare per poter essere ammessi nei grandi circuiti dell’intrattenimento.
Quanto alle scuole, io sono contraria all’educazione sessuale perché tema valoriale (e per non togliere tempo alla didattica sempre più povera e meno esigente), ma se la si vuole imporre, in nome della libertà educativa tutelata dalla Costituzione si imponga anche la visione della sessualità che propone un rapporto esclusivo tra uomo e donna, aperto alla vita. Perché solo l’educazione proposta da una parte e ideologicamente connotata deve essere finanziata dallo Stato? Perché l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo – benché senza averne i fondamenti non si capisce metà della nostra letteratura e la maggior parte dell’arte e architettura – mentre la lezione sul gender deve essere obbligatoria, e pagata anche dalle mie tasse? Usare le leggi e i soldi pubblici per operazioni culturali è scorretto e degno di uno stato totalitario.
Infine: discriminare secondo il dizionario Treccani significa “distinguere, separare, fare una differenza”. Se io dico per esempio che non voglio che una persona omosessuale insegni educazione sessuale nella classe dei miei figli, sto facendo una differenza, esattamente come immagino farebbe una lesbica che non volesse che a fare educazione sessuale nella classe di suo figlio andasse una persona che pensa che il sesso ordinato è solo tra maschio e femmina, quindi che insegnasse a suo figlio che i rapporti sessuali della madre sono intrinsecamente disordinati.
Su temi valoriali discriminare, cioè distinguere, non solo non può essere reato, ma è un diritto intoccabile e sacro: giudicare – le azioni, non le persone – è ciò che dice come stiamo nel mondo, dove io – e quelli che la pensano come me – abbiamo lo stesso diritto di cittadinanza degli altri.
Concludo con la mia esperienza – è un po’ fuori tema ma non del tutto, comunque siete esentati dalla lettura. Io ho sperimentato che non solo gli stereotipi di genere non esistono più, ma anzi al contrario mi ritengo vittima di stereotipi opposti a quelli della donna costretta a stare a casa soggetta al maschio. Mi sono bevuta tutti i dettami della cultura femminista, crescendo negli anni ’80 con l’idea che dovevo prima pensare alla mia realizzazione professionale, poi al resto. Presto sono diventata una giovane che aveva lasciato la sua città per la capitale, lavorava al tg nazionale, abitava da sola a Campo de’ Fiori, attraversava l’Oceano per andare a correre maratone a New York, usciva di notte. Quando ho avuto la fortuna di innamorarmi, sposarmi e dare alla luce un figlio tutto il mondo intorno mi diceva che ero un’incosciente, e che prima avrei dovuto consolidare una carriera. La prima cosa che mi chiese il medico fu: “vuoi tenerlo?”. Avevo 27 anni, non 15.
Quando è nato nostro figlio, ho capito che non c’è un privilegio più grande al mondo, non c’è carriera che non impallidisca di fronte a un figlio dato alla vita. Ho capito che anche quando facevo cose importanti al lavoro, usavo una parte infinitamente più piccola dell’intelligenza che serve nelle relazioni e nella gestione della vita. Dirigere un tg è una cosa che passa, mettere al mondo una persona e amarla e cercare di accompagnarla è un’opera che resta per sempre.
Ho avuto quattro figli da precaria, mentre tutte le mie colleghe facevano carriera, perché oggi contrariamente a quanto si dice non sono discriminate le donne, sono discriminate le madri. Non per addossare colpe alla mia azienda, che anzi ha avuto comprensione per le mie esigenze, ma per stigmatizzare i modelli lavorativi in generale, che non tengono conto del lavoro di cura, e prevedono solo uno stile di lavoro “maschile”, in cui la vita privata è tenuta fuori. Le donne possono fare carriera, ma solo a patto di essere pronte a lasciare i propri figli molto a lungo.
Incontro – prima del covid e spero di riprendere – centinaia di donne ogni settimana, in giro per tutta l’Italia, da anni: sono ormai decine di migliaia. Quando voglio essere certa di avere tutta la sala dalla mia parte, e di strappare infallibilmente un applauso dico: “noi non chiediamo che le madri possano lavorare di più, ma che le lavoratrici siano più libere di essere madri”. Ovviamente non lo dico per l’applauso, ma perché questa è stata la mia faticosa storia personale, ed è quella di un numero incalcolabile di donne nel mondo, che non chiedono di essere sollevate dai figli, ma libere di essere madri presenti, se lo desiderano. Io conosco quasi solo donne che desiderano essere più presenti, e avere più figli di quelli che hanno (infatti abbiamo tassi demografici da estinzione). Molte amiche e colleghe si sono accorte troppo tardi di essere state ingannate dai diktat della cosiddetta emancipazione, che può essere anche una schiavitù, perché la maggior parte delle donne non fa la dirigente d’azienda, l’avvocato, la politica o la giornalista, ma lavori meno riconosciuti e con scarsissima libertà di gestione, tale da rendere la cura degli affetti più cari un lavoro quasi eroico. E la chiave non è essere sollevate dalla cura, che è la cosa che amiamo di più, ma aiutate a ottimizzare, meglio pagate, più libere. Il sogno delle donne non è avere i figli al nido otto ore al giorno per poter andare a fare le commesse, ma godersi il privilegio di tanti piccoli uomini o donne da far entrare nel mondo. Credo – insieme alla totalità delle donne che incontro – che sia una violenza sulle donne imporre loro modelli di produzione e presenza sul lavoro maschili, e che la vera battaglia sia chiedere un modo di lavorare diverso.
Alle nostre figlie cerco di insegnare che quando sceglieranno cosa fare da grandi, tengano conto del fatto che il più grande potere che potranno raggiungere studiando sarà la libertà di scegliere il loro bilanciamento tra affetti e presenza nel mondo esterno (che non è necessariamente lavoro: ho amiche con dottorati e master che hanno scelto la famiglia senza alcuna frustrazione, certe anzi di avere un privilegio). Credo infatti che la libertà sia davvero il più grande privilegio che si possa avere, e per me che sono cattolica è ovvio che la libertà di ciascun uomo è sacra e intoccabile persino per Dio.
June 14, 2020
Solo la Chiesa può tenere accesa la luce della Verità
di Costanza Miriano
Siccome io non parlo l’ecclesialese, non so lanciare messaggi incrociati né usare tatticismi, lo dico in questo modo per niente diplomatico.
Da tempo – direi dall’approvazione della legge sulle unioni civili con la benedizione di Galantino – sento dire da tante persone che non avrebbero più versato l’8 per mille alla Chiesa cattolica perché non se ne sentivano più rappresentata (e infatti la Chiesa purtroppo ha perso due milioni di contribuenti). Di certo non per la sua rigidità, perché non abbiamo mai avuto una Chiesa tanto “dialogante”. Il popolo sceso in piazza per dire che le persone dello stesso sesso potevano liberamente convivere e avere tutti ma proprio tutti i diritti dei conviventi, ma non avevano alcuna necessità di una legge sulle unioni, si aspettavano che la Chiesa li appoggiasse e sostenesse, continuando a dire che maschio e femmina è l’unica unione nel disegno di Dio, invece si è vista sbattere molte porte in faccia proprio dai pastori che dovevano insegnare queste cose.
In questi anni di continue concessioni da parte di tanti pastori più politici che dediti alla salvezza eterna, anni di distinguo, affermazioni piene di timidezza e sensi di colpa ho fatto interminabili discussioni con tanti amici per dire che nonostante tutto questa è la nostra Chiesa, e nonostante le macchie e le fragilità bisogna sostenerla. Ultimamente, con l’avvicinarsi della discussione della legge che renderebbe reato sostenere pubblicamente quello che dice il Catechismo le persone che ho sentito minacciare lo sciopero dell’8 per mille erano ulteriormente cresciute. “Vediamo, se non capiscono la piazza, capiranno con le casse vuote”.
Per questo sono molto, molto grata alla CEI per avere detto che la legge sull’omofobia non serve, perché la cura e il rispetto di ogni persona senza distinzione non è in discussione, ma la Verità e la libertà di espressione neanche. Ho alzato il telefono con alcuni di quegli amici e ho potuto dire la mia frase preferita (vedi? Te l’avevo detto!).
Adesso Avvenire – che tra l’altro è tra i beneficiari dell’8 per mille – e che da tempo sembra una versione neanche molto più cattolica di Repubblica ha intrapreso come previsto la sua battaglia per cercare di correggere il tiro. Il giorno dopo il comunicato in cui la CEI ha tenuto la schiena dritta il solerte Moia si è affrettato a fare un’intervista a Zan (primo firmatario di uno dei ddl bavaglio). Un’intervista che dire amichevole è dir poco, ponendo domande molto “aggressive” tipo “Affermare la verità del matrimonio fondato sull’amore tra uomo e donna, senza attribuire identica valenza alle unioni omosessuali, diventerà un reato?” Cioè, ho letto bene? Chiede davvero se ci è ancora permesso dire che l’unione tra uomo e donna è vera, e che quella omosessuale “non ha la stessa valenza” senza andare in prigione? Ripeto, ho letto bene? Come “non ha la stessa valenza”? La Chiesa dice che è peccato. Senza sfumature. Il giornale dei vescovi chiede il permesso di dire senza commettere reato che la Chiesa alle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso propone solo ed esclusivamente la via della castità? Cioè un giornalista del giornale della CEI?
La Chiesa sa, scrive, annuncia che l’omosessualità non compie il disegno di Dio sui suoi figli. Non accusa e non colpevolizza – ancora aspettiamo da Moia un pezzo in cui ci riporti una storia in cui un omosessuale è stato maltrattato dalla Chiesa – ma fa la vera e più importante forma di carità, la Verità. E la Chiesa non può permettere che i suoi figli che diranno la Verità andranno in carcere, o anche siano “solo” querelati, con tutto quello che in termini di tempo, soldi, energie questo comporta. La Chiesa non può permettere che ai bambini nelle scuole, questo prevede il testo unico nelle anticipazioni pubblicate da L’Espresso, si insegni il contrario di quello che ascoltano in chiesa e a catechismo, cioè che il sesso non è una percezione ma un dato oggettivo, un dono secondo il quale compiere un progetto; non potrà permettere che venga loro insegnato a scuola a esplorare, sperimentare ogni tipo di identità (e magari i genitori che si opporranno, denunciati, rieducati, esautorati?). Chi ci difenderebbe da un indottrinamento di Stato?
Io non credo che questa volta i vertici della CEI cederanno alla lobby interna, sanno che la legge lascerebbe in pasto i cattolici alla minaccia di essere denunciati per una parola, di perdere il posto di lavoro per avere detto che solo le donne hanno il ciclo, o che solo le donne partoriscono, come è successo a un’ostetrica in Inghilterra, al capo dei pompieri in America, al pasticcere in Usa, al padre di famiglia in Francia, al dipendente di Ikea in Polonia. Proprio ieri le nazioni Unite, che sembrano essere per una parte di Chiesa un punto di riferimento più importante del Catechismo, hanno twittato che le donne transgender sono donne. E chi nega questo ne cancella l’identità e ne nega la dignità. Il livello verso cui ci incamminiamo in Italia è questo, e la Chiesa è l’unica a difenderci da un presunto reato di omofobia che nei ddl rimane pericolosamente indefinito (a meno che non faccia giurisprudenza l’intervista di Moia, che chiede rassicurazioni a Zan: scusi la sua legge è liberticida? No, si figuri!).
Ma fino a che la Chiesa tiene accesa la luce della ragione e della libertà di opinione, bisogna continuare a sostenerla, anche economicamente. La CEI, oltre a sostenere un’informazione in cui ci riconosciamo sempre meno, usa i nostri soldi per fare del bene, come per esempio per il fondo Gesù divino lavoratore, istituito per volere del Papa a Roma per quelli che in questi mesi hanno perso il lavoro, o per chi magari lo aveva in nero o precario: la Chiesa ha messo 1 milione di euro, la regione e il comune 500mila euro per uno.
[image error]Potrà aiutare 1800 famiglie, alle quali andranno dai 300 ai 600 euro al mese per sei mesi. Chi chiederà aiuto parteciperà anche a dei percorsi di (re)inserimento nel mondo del lavoro, e avrà a disposizione avvocati, commercialisti, bancari, psicologi, educatori, insegnanti, appartenenti alle forze dell’ordine, perché, come ha scritto il nostro Cardinale, non basta dare contributi economici, serve “restituire dignità a tutti coloro che a causa della perdita del lavoro o della sua precarietà sono caduti nello scoraggiamento e pensano di non farcela” (per informazioni 06/88815190, o ). “Vorrei veder fiorire nella nostra città – ha scritto il Papa al Cardinale De Donatis – la solidarietà della porta accanto, le azioni che richiamano gli atteggiamenti dell’anno sabbatico, in cui si condonano i debiti, si fanno cadere le contese, si chiede il corrispettivo a seconda delle capacità del debitore, e non del mercato”. Siamo con lei, Santo Padre, nel cercare di farci carità continuando a dire la Verità. Certi che come ha detto lei: La carità senza verità diventa ideologia del buonismo distruttivo e la verità senza carità diventa “giudiziarismo” cieco…
June 11, 2020
Giovanna d’Arco e noi, ragazze di oggi
di Eleonora Barberio
Durante quell’interminabile e strano tempo identificato come “quarantena” mi sono ritrovata tra le mani un libro prezioso. No, non si trattava di un classico e nemmeno di una qualche celebre opera letteraria: le pagine che tenevo tra le dita, al contrario, straripavano di storia vera e di interrogatori, di accuse infamanti e di innocenza disarmante. Insomma, mi stavo accingendo a leggere per la seconda volta il Processo di condanna a Giovanna d’Arco.
Della Pulzella d’Orleans avevo sentito parlare spesso, in passato; l’avevo studiata a scuola, avevo letto il suo nome sui libri di storia delle medie e del liceo e avevo persino visto il famoso film a lei ispirato- liberamente costretta da un professore- con regia di Luc Besson. Ricordo perfettamente le sensazioni che quel film mi suscitò, un distillato di forte repulsione, di pungente disgusto e di profondo fastidio. La giovane Jeanne- interpretata da Milla Jovovich – veniva infatti tratteggiata a tutti gli effetti come una psicopatica, una giovane donna mentalmente instabile in preda a continue e spossanti allucinazioni. Niente di originale, quindi, data la comune convinzione che vede la pulzella francese come una povera giovane pazza. Eppure fu proprio quel film che mi consentì di mettere in atto una vera e propria ribellione intellettuale (benedetta quella voglia di negazione dei sedici anni) contro tale concezione che, qualcosa, dentro di me, gridava essere falsa. Iniziai così ad informarmi, a leggere, ad approfondire e a scoprire la vera essenza e la reale natura di quella ragazza che tanto aveva fatto parlare di sé e con cui potenti e re, storici e posteri, atei e cattolici avevano dovuto confrontarsi.
Cominciai a comprendere quanto straordinarie fossero state le sue gesta, quanto speciale la Missione a lei affidata e quanto vere e puntuali le sue profezie circa il destino della Francia. Compresi che la giovane guerriera- secondo le testimonianze di chi la conobbe- era una ragazza normale, una come tante, che la storiografia francese descrisse come “bella, alta e forte, con una fisionomia graziosa e gioviale” (Jean d’Aulon). Capii che si trattava di una giovane donna che accettò la volontà di Dio, e a Lui fece plasmare la sua, perché esattamente a quello era stata chiamata, nonostante le paure e la consapevolezza che la strada innanzi a lei sarebbe stata tutt’altro che rosea. Dimostrò durante la sua intera esistenza- e soprattutto durante gli innumerevoli ed estenuanti interrogatori- una fede genuina, teologicamente impeccabile nonostante le insidie e le accuse da parte di corrotti uomini di chiesa che per ragioni politiche si ostinarono a cercare e ad inventare, contro di lei, capi d’accusa falsi o inesistenti per giungere poi a condannarla per stregoneria. ( La sua riabilitazione avvenne nel 1455 e la sua canonizzazione nel 1920, con Papa Benedetto XV).
Giovanna d’Arco era ed è una ragazza che tanto ha da dire a noi, giovani donne del XXI secolo, ingannate da un femminismo che ci vuole sempre più tristi, incattivite, ripiegate su noi stesse e spesso volgari. Ci mostra una strada alternativa, quella per la felicità, scandita da piccoli o grandi “sì” a Colui che ci ha fatte, a qualunque missione ci chiami e a qualunque prezzo. Ci rivela, la pulzella d’Orleans, che se lei- con la grazia di Dio e per Suo volere- era riuscita a condurre un esercito e dei soldati prima del suo diciannovesimo compleanno- ecco, allora forse anche noi possiamo contribuire a costruire il regno di Dio, qui sulla terra, nei luoghi a noi affidati, nella nostra quotidianità fatta di amicizie, relazioni, famiglia, studio e fidanzati (se ci sono!). Significa vivere una fede autentica, pronta a combattere- certo, in modo diverso da quanto era stato richiesto a Giovanna- e a lottare in un campo di battaglia la cui vista, a volte, può spaventarci talmente tanto da farci barcollare, se non proprio cadere. A tal proposito, conoscere la storia della giovane Jeanne è di immensa consolazione poiché, contrariamente a qualunque possibile idealizzazione, ci si ritrova a fare i conti con una ragazza che per abbracciare il destino a lei affidato, dovette scontrarsi anche con la più cruda e paralizzante paura: quella della morte. Pochi sanno, infatti, che vi fu un momento nella vita della santa, in cui ella- in preda alla tentazione di abbandonare la croce fino a quel momento tanto strenuamente difesa- arrivò a rinnegare le “voci” e a firmare così l’atto di abiura (il 24 maggio 1431). Ma la disperazione non riuscì a impossessarsi del cuore di Giovanna la quale, quattro giorni dopo, si pentì profondamente e ritrattò l’abiura accettando così il martirio a cui, ora, andò serenamente incontro. Coloro che assistettero a tale atrocità testimoniarono che la giovane, il 30 maggio 1431, morì, seppur tra le fiamme che le penetrarono fin dentro le carni, con una inspiegabile pace che le permise di spirare- dopo aver chiesto che le venisse portata una croce da tenere in alto, affinchè la potesse guardare- pronunciando continuamente le parole: “Gesù, Gesù”.
Si tratta di una vicenda gloriosa, decisamente umana e tanto reale da far vibrare le corde più nascoste del cuore e che mi ha convinto, con il tempo, che un ruolo speciale, nonché una importante responsabilità, sia affidata oggi a noi giovani ragazze. Certo, a ciascun uomo e a ciascuna donna è dato un compito diverso: i genitori avranno il loro, gli educatori o gli insegnanti un altro e i sacerdoti, i consacrati e le consacrate un altro ancora. Tutti sono indispensabili e irrinunciabili, tutti sono a noi misteriosamente necessari e legati. Ma a noi ragazze, ecco, forse spetta qualcosa di diverso, di certamente duro, seppur grandioso.
Forse anche a noi- come a Giovanna- è richiesto di prendere in mano lo stendardo, e simbolicamente anche la spada, per iniziare a riportare in alto la nostra dignità e il nostro valore, per opporci ad una costante mercificazione del corpo femminile a cui abbiamo tacitamente aderito, per sfidare i ragazzi, con cui ci interfacciamo, ad un rispetto, ad una nobiltà e ad una cavalleria autentici, senza cedere a compromessi di sorta alcuna. È giunto il momento di prendere posizione, di affrontare anche conversazioni scomode e di accettare il testimone che le grandi donne e sante del passato (e del presente) ci affidano. La realtà presenta alcune oscure sfaccettature che potrebbero vedere la Luce, se solo dessimo il permesso alle nostre anime di essere ciò che sono state chiamate ad essere. Dopotutto, Giovanna d’Arco, oltre ad essere riuscita a far incoronare re il Delfino Carlo VII (avvenimento ritenuto per lo più impossibile all’epoca), riuscì anche ad imporre alle sue truppe uno stile di vita rigoroso, fece allontanare le prostitute dai soldati, vietò loro le bestemmie e li esortò a riunirsi in preghiera due volte al giorno davanti al suo stendardo. Chi mai avrebbe potuto fare tanto, se non una giovane ragazza di appena diciotto anni con un cuore ardente per il suo Dio?
June 10, 2020
Omofobia, una nuova legge non serve, anzi è dannosa
di Costanza Miriano
Se c’è qualcuno che davvero aiuta le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, è la Chiesa. Avevo lanciato il guanto di sfida tempo fa, ma nessuno di coloro che – anche da dentro – invitano la Chiesa a “costruire ponti”, qualunque cosa singifichi, mi ha mai saputo indicare un solo episodio concreto di persona “discriminata” dalla Chiesa per le sue preferenze sessuali. Io ho sempre e solo visto accoglienza, ascolto, pazienza verso le persone, accompagnamento e aiuto. In molti casi la Chiesa è stata l’unica voce a non dire “fa’ quello che ti pare”, perché sa che fare quello che ci pare non sempre ci rende veramente felici, quando è la risposta a una ferita (e non è così solo per l’attrazione omoerotica, siamo tutti feriti, e la Chiesa, nei suoi pastori più sapienti, ha proprio la missione di guarire, attraverso Cristo, la ferita di ciascuno).
Siamo perciò in tantissimi a essere davvero grati alla Conferenza episcopale italiana, che ha ribadito con misura ma con decisione quello che è ovvio: cioè che ogni persona va rispettata con le parole e con le azioni, che la legge già punisce chi non lo fa, che non c’è nessunissimo vuoto normativo (comprese le aggravanti), ma che non possiamo accettare una legge che uccide la libertà di espressione e di educazione.
Il vero obiettivo del ddl Zan non è proteggere “ragazzi che vengono picchiati per strada solo perché si tengono per mano” ma, come dice lo stesso Alessandro Zan all’Ansa poco dopo, gettando la maschera, “l’accettazione sociale delle persone lgbt+”. Le aggressioni di qualsiasi natura sono già punite, e anche con le aggravanti in casi simili (sempre più sporadici, come riconosce l’UE). L’importante è che questo sia chiaro: il ddl serve a CAMBIARE LA PERCEZIONE SOCIALE dei comportamenti omoerotici, è un’operazione squisitamente culturale. Legittimo provarci, ma bisogna essere onesti: le persone che picchiano la gente per strada, i bulli e gli assassini sono già puniti dalla legge, e sono previste anche le aggravanti.
La reazione di Zan al comunicato della Cei tira astutamente in ballo Mattarella, ma i vescovi hanno tenuto la schiena dritta. Grazie a Dio.
Io non faccio finta di non sapere che ci sono, o forse dovremmo dire ci sono state, insieme a quelli che hanno fatto della loro omosessualità una bandiera, una storia politica, una via al successo, anche persone che oltre alla sofferenza per la loro storia hanno anche dovuto soffrire per non essere state accettate, in alcuni contesti storici e culturali. D’altra parte chi può dire di essere amato veramente, pienamente per come desidera? Chi di noi almeno una volta non è stato frainteso, non capito, non incoraggiato quando ne aveva bisogno?
Non credo però che tutta la sofferenza che uno prova possa venire dallo stigma sociale, perché se si è felici e sereni il giudizio degli altri è abbastanza poco importante. A me per esempio non importa nulla degli insulti del gay pride (loro ovviamente possono insultare).
Noi sappiamo bene Chi guarisce il cuore dell’uomo: non è l’approvazione sociale, non è l’amore umano, non è, tanto meno, una legge che mandi in galera chi dice la Verità sull’uomo e sulla donna, su cosa davvero compie la nostra umanità.
Ecco cosa hanno scritto i nostri Vescovi, che ringraziamo di cuore. Sebbene siano parole equilibrate e toni pacati, sappiamo che c’è voluto coraggio, in questo clima arrogante e violento contro chi dissente dal pensiero unico.
“Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde”, sottolinea Papa Francesco, mettendo fuorigioco ogni tipo di razzismo o di esclusione come pure ogni reazione violenta, destinata a rivelarsi a sua volta autodistruttiva.
Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione della dignità umana, che – in quanto tale – deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Trattamenti pregiudizievoli, minacce, aggressioni, lesioni, atti di bullismo, stalking… sono altrettante forme di attentato alla sacralità della vita umana e vanno perciò contrastate senza mezzi termini.
Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio.
Questa consapevolezza ci porta a guardare con preoccupazione alle proposte di legge attualmente in corso di esame presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati contro i reati di omotransfobia: anche per questi ambiti non solo non si riscontra alcun vuoto normativo, ma nemmeno lacune che giustifichino l’urgenza di nuove disposizioni.
Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte. Per esempio, sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.
Crediamo fermamente che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto.
Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese.
La Presidenza della CEI
10 giugno 2020
May 30, 2020
Verso la distopia arcobaleno
di Costanza Miriano
Pensavo che questo periodo avrebbe messo in luce le priorità della realtà, questa cosa esotica e sempre più lontana dalla politica, lo strano mondo che si preoccupa delle donne che non diventano amministratore delegato, mentre loro, le donne di carne e ossa, vorrebbero essere aiutate che so, con i permessi per la recita delle elementari o magari ad arrivare a fine mese. Invece niente, la realtà in Parlamento pare non ancora pervenuta. Cosa c’è nei prossimi mesi in calendario, e con una certa fretta?
Un disegno di legge contro la omofobia, un fenomeno di cui prima bisognerebbe verificare l’esistenza, visto che persino l’Unione Europea ha confermato che i casi segnalati sono pochissimi, e in costante calo. L’Oscad, l’osservatorio sugli atti di natura discriminatoria del Ministero dell’Interno, ha registrato dal 2010 al 2018, otto anni, 197 casi di segnalazioni di discriminazioni per l’orientamento sessuale: 26 segnalazioni all’anno. 26. Se questa è un’emergenza, cosa sono le 50 famiglie che potrei elencare solo io, oggi, solo in questo secondo, che non possono comprare gli occhiali o le scarpe ai figli, o pagare le rate del funerale della mamma? E non conto le persone che non conosco ma che vedo in giro, tipo ieri al supermercato la vecchietta che alla cassa ha lasciato i pannoloni perché estraendo da un barattolino di plastica tutte le sue monete è arrivata solo a 17 euro e 10.
Punto primo, dunque: non è un’emergenza, soprattutto non lo è in questo momento.
Ma se ci fosse davvero violenza sulle persone che provano attrazione verso lo stesso sesso, per il solo fatto della loro preferenza sessuale, e se questa cosa non fosse punibile, anche un solo episodio sarebbe sufficiente a imporre la promulgazione di una legge. Il fatto è che le leggi già ci sono, la violenza è già punita dalla legge, e sono già previste anche le aggravanti (come ha chiaramente esposto nella sua magistrale audizione in commissione giustizia Alfredo Mantovano, Consigliere della Corte Suprema di Cassazione ed ex sottosegretario agli Interni).
E se le leggi per proteggere chiunque dalla violenza già ci sono, quello che è a rischio in realtà con questo ddl è l’espressione di una legittima opinione. Diciamo la verità, l’obiettivo vero di questa legge è quello di cambiare la cultura e la percezione sociale dell’omosessualità. Un obiettivo legittimo, secondo me, a patto che sia onestamente dichiarato, che sia perseguito con gli strumenti giusti, e quindi non lesivi della libertà. Cioè, tu puoi cercare di far cambiare idea alle persone, se ci riesci, e se lo desideri. Ma non puoi farlo punendo coloro che non cambiano opinione. Il rischio con questo ddl c’è, ed è molto elevato.
Lo si è visto nei paesi dove leggi simili sono state già approvate, con uomini di Chiesa incriminati (un Cardinale in Spagna) per avere detto che la sessualità è finalizzata alla procreazione e dunque deve essere tra un maschio e una femmina (perché questa è la realtà: i figli nascono da un maschio e da una femmina, per forza). Che questa sia la natura buona della sessualità è un’opinione che a molti suonerà sbagliata, ma è un’opinione e non può essere punita. Per non parlare delle persone comuni arrestate – ripeto, arrestate – in Francia per avere indossato una felpa della Manif pour tous raffigurante padre, madre e bambini.
L’obiettivo del ddl dunque non è solo cercare di rafforzare il già alto consenso sociale intorno all’omosessualità, ma mettere a tacere tutti coloro che la pensano diversamente. Quanto al consenso sociale, finiamola per favore con la storia dei perseguitati: molti personaggi dello spettacolo non fanno mistero o addirittura esibiscono la loro attrazione verso lo stesso sesso, abbiamo avuto il palco di Sanremo invaso dai nastrini arcobaleno, il massimo del nazionalpopolare, lo stesso per molti politici, dunque votati dagli elettori, che sono la prova provata della assoluta mancanza di stigma sociale. Addirittura ci sono persone che della loro ambiguità sessuale hanno fatto una vera e propria carriera (scelta che trovo umiliante e riduttiva, perché ogni persona è molto più grande e preziosa della propria attrazione). Quanto alle aziende, non solo non discriminano, ma ormai sono obbligate all’omaggio alla causa, pena la sollevazione dell’indignazione generale, con conseguenti scuse a tappetino. Obblighi di assunzione di minoranze, quote protette e via dicendo. Vai a teatro a vedere Shakespeare e ti devi sorbire il balletto di uomini in tanga, completamente fuori tema. Vedi la serie netflix e c’è sempre minimo la strizzatina d’occhio, un personaggio e un episodio che, magari infilato a forza serva a dire “ci siete anche voi”. Il Ceo Disney dichiara di voler dare sempre più spazio alla “diversity” e ospita i gay pride nei propri parchi.
Nessuna condanna, dunque, neppure tra i giovani, che a differenza di quanto pretende la narrazione vittimistica non hanno nessun tipo di problema con l’omosessualità, anzi. Spesso ci sono professori che invitano i ragazzi a scegliere liberamente “perché il corpo è solo un involucro”. Quando mesi fa sono stata in un liceo a parlare ai ragazzi di “amore per sempre”, questo doveva essere il tema, alcuni professori scontenti della mia presenza hanno trasformato quella che doveva essere la mia conferenza in una tavola rotonda con loro e dei ragazzi. Quando ha preso la parola una studentessa, dichiarandomi tutta orgogliosa che lei era lesbica, i compagni hanno fatto una specie di ola, come se fosse un’eroina. Nessuna condanna, nessuna risatina, nessuno scandalo (io comunque le ho detto “per me tu sei Giovanna e basta, non sei né lesbica né etero, sei una persona e non vorrei che ti facessi definire da questo). Ovviamente per me molti fischi e poca possibilità di spiegarmi.
Peraltro l’ambito dell’educazione, poiché interviene sulla formazione dei minori, è l’unico nel quale io ritengo lecito discriminare in base all’idea che si ha della sessualità. Ritengo infatti che dovrebbe essere vietato entrare in una sfera valoriale nella quale la libertà educativa delle famiglie va tutelata, ma se ci si entra, i genitori dovrebbero essere informati e messi nelle condizioni di scegliere come si parla di sesso ai loro figli. Io non vorrei che a scuola dei miei figli si facesse propaganda omosessualista, e ritengo lecito che qualcuno disapprovi chi come me va a parlare di un altro modo di intendere la sessualità (“i cattolici reprimono, deprimono, fanno venire i sensi di colpa”, inibiscono eccetera). Ma non mi metto a fare la vittima se mi fischiano, mi tengo le mie opinioni, spero solo che i genitori sappiano cosa si insegna a scuola ai loro figli, mentre loro li pensano immersi nella tragedia greca o nelle equazioni.
Io comunque non mi sono sognata di chiedere un ddl per proteggere le mie idee, anche se sono stata offesa infinite volte nelle piazze e sui social, ho intere pagine a me dedicate, piene di insulti, bestemmie, offese e derisioni di ogni tipo (sono stata anche definita down, e mi dispiace per le persone che hanno quella sindrome, evidentemente molto migliori di quei trogloditi).
Infine l’ultimo tema: la libertà religiosa. Se la legge venisse approvata, molti brani della Bibbia sarebbero fuori legge, così come alcuni articoli del Catechismo della Chiesa Cattolica. In occasione di ddl precedenti se non sbaglio si era pensato di ovviare a questo stabilendo che quelle parole potessero essere proclamate solo in contesti di fede, dentro le chiese, ma questo evidentemente potrebbe sollevare un problema di costituzionalità della legge (la Costituzione tutela la libertà religiosa nei contesti civili). Va bene che il Papa è un Capo di Stato estero e quindi si sottrae alle nostre leggi, ma se io ripetessi quello che lui ha detto una volta in aereo, cioè che con l’omosessualità la psichiatria “può fare ancora qualcosa quando sono piccoli” sarei penalmente perseguibile? Cioè se io sposassi la posizione del capo del mio credo religioso commetterei un reato? Questo secondo me pone un problema serio di libertà. Io per esempio già sono stata deferita all’Ordine per avere riferito questa affermazione del Papa (di cui esistono prove video), ma l’Ordine ha affermato che è lecito che io riferisca le parole del Santo Padre, essendo tra l’altro il mio lavoro: ma se l’avessi fatta mia, affermando che è una mia convinzione, sarei condannabile in base alla nuova legge, se dovesse essere approvata? Cioè, se la penso come il Papa, cosa che essendo cattolica può succedere, mi denunciano? Cosa potrà dunque sanzionare questa legge, in definitiva? Anche le opinioni generali?
Quindi, prima che venga approvata la legge, provo a dire alcune cose, prima che diventino vietate. Penso che il disegno originario su ogni uomo e su ogni donna, fatti salvi alcuni rarissimi casi di alterazioni, preveda che siamo fatti in modo tale che un’affettività matura, feconda, adulta e generativa si realizzi in rapporto con l’altro sesso. Penso anche che ognuno di noi abbia un nucleo di mistero, un luogo interiore sacro che nessuno può permettersi di giudicare, nel quale il processo di una sana maturazione può in qualche modo alterarsi: per i rapporti familiari, per esperienze esterne alla famiglia, per un abuso, per avere assistito a episodi di violenza tra i genitori, per infinite vicende. Questo, unito alla precoce stimolazione della sessualità nella quale viviamo tutti immersi, nell’epoca del pansessualismo, può portare a una concezione edonistica e narcisistica in cui il sesso è visto esclusivamente come sorgente del proprio piacere, e quindi causare lo sviluppo di una sessualità non armoniosa. Gli atti omosessuali sono intrinsecamente disordinati, come dice il Catechismo, cioè non compiono la nostra piena felicità. Sono un male. Perché noi crediamo che esista il bene e il male. Il bene ci fa felici, il male infelici. Se non viviamo per quello per cui siamo stati pensati, soffriamo.
A volte l’omosessualità viene sviluppata e rafforzata come strategia per riparare una ferita che si è subita. Credo che se una persona vive con soddisfazione questa sua attrazione ovviamente deve essere libera di viverla, come infatti avviene, ma credo anche che se uno soffre per questo deve essere libero di confrontarsi con altre opinioni, eventualmente chiedere aiuto, e deve poter trovare professionisti che non vengano per questo sanzionati o radiati dall’albo, come succede sempre più spesso in Italia e altrove (la new entry del club è l’Albania, che paga così il suo tributo all’accettazione nell’UE).
Credo anche che sia vero, alcune volte, in passato e in altre aree probabilmente, le persone omosessuali non si sono sentite accettate dal contesto, famiglia o altro, e questo non è giusto; terribile colpevolizzare o stigmatizzare, soprattutto inutile. Credo però che a moltissime persone succeda di non essere amate o comprese abbastanza, o nel modo giusto, e temo che a rimediare a questo non basti una legge, perché il problema alla radice di tutto si chiama peccato originale.
Credo infine che i bambini abbiano bisogno di un padre e di una madre, condizione minima, necessaria ma non sufficiente alla loro crescita equilibrata, e che togliere a un bambino la madre o il padre e sostituirli con una figura del proprio stesso sesso sia una grave violenza, e un atto di profondo egoismo, perché i figli non sono un diritto ma un regalo che può anche non arrivare.
Per la mia esperienza spesso le persone che provano attrazione verso lo stesso sesso sono più sensibili e profonde della media, perché hanno dovuto rendere ragione prima di tutto a se stesse di quella ferita di cui dicevo. Ad alcune di loro voglio bene, e proprio perché voglio bene alla loro verità, alla loro felicità, mi è capitato, quando me lo hanno chiesto, di dire loro chiaramente che c’è un bene e un male nel vivere la sessualità, e che non è vero che tutte le emozioni vadano comunque assecondate e vissute, perché alcune sono buone per noi, per la nostra vera felicità, altre no. Credo che questa sia la vera e più alta forma di carità, che va sempre insieme a quella concreta di sostegno, ascolto, aiuto concreto. Con un’amica per esempio abbiamo deciso di aiutare economicamente, in questi giorni difficili, una persona transessuale, proprio perché crediamo che ogni persona sia degna di amore, indipendentemente dalle sue scelte.
Ho il diritto di pensare quanto ho scritto, e ho il diritto di esprimerlo, in modo rispettoso e non offensivo (d’altra parte molti pensano che i cattolici siano squilibrati che credono all’amico immaginario, e lo dicono liberamente senza alcuna conseguenza penale: Marx ci ha costruito un sistema filosofico che ha fatto anche qualche danno, peraltro).
Se invece dovesse passare la legge, ecco la versione riveduta: i gay sono i più felici di tutti, lo dice la parola stessa, e quando sono infelici è tutta colpa dei cattivi come me che li giudicano, e per colpa mia alcuni si uccidono, altri, sempre per colpa di quelli come me, si sentono autorizzati a picchiarli. L’amore è amore, quindi va bene anche comprare bambini da donne povere, perché comunque meglio due uomini o due donne che amano, piuttosto che il modello patriarcale in cui la povera donna fa la schiava al marito violento (quella che uteroaffitta non è schiava, perché è pagata, anche due spicci non importa, l’importante è che non lo faccia per suo marito). Tutte le famiglie etero sono così, soprattutto se cattoliche, tranne quelle di sinistra, si intende. Le famiglie cattoliche si sa sono un covo di nevrosi e inibizioni e perversioni nascoste sotto una patina di perbenismo, ma se vedi la cronologia della navigazione su internet vedrai che schifo, meglio le famiglie allargate, così allegre e libere e per bene. Comunque è tutta colpa della Chiesa.
Va bene così?
May 25, 2020
Spirito Santo, questo sconosciuto. L’ultimo dei cinque passi in diretta streaming
Cari amici, è con tanta gioia che vi annunciamo l’ultimo dei Cinque Passi. Sarà Venerdì 29 Maggio 2020 alle ore 21.00, non qui nella chiesa di Santa Maria in Vallicella come di consueto, ma esclusivamente in diretta streaming su YouTube da questo link (se non funziona il link copiate e incollate questo https://bit.ly/5PassiLive052020 sul vostro browser) in modo che davvero tutti possiate partecipare.
Ricordatevi di impostare il promemoria direttamente su YouTube.
Grazie ad Oratorium, speriamo di offrirvi un video di altissima qualità in modo da sentirci un po’ più vicini. Se vi fa piacere, inoltrate il link ai vostri amici per invitarli alla diretta dei 5 Passi o condividete l’evento direttamente da YouTube tra i vostri contatti, grazie!
Oratorium (https://www.associazioneoratorium.org/) è una piccola Associazione nata, tra le altre cose, per aiutare i padri della Congregazione di Roma a sostenere le molteplici attività di questo plurisecolare apostolato oratoriano che supera i confini della sola città di Roma.
In questi tempi così duri i nostri risparmi servono per le nostre tante spese e per le necessità primarie di tanti cari e amici che ci circondano. Ecco perché la firma ad Oratorium del 5per1000 (che ricordiamo non è una tassa aggiuntiva e che comunque anche se non esprimerete una vostra preferenza sarà destinata) è il modo più immediato ed efficace con cui potrete aiutarci a continuare a donarvi quello che vi doniamo. Il sogno di Oratorium per aiutare al meglio le opere della Congregazione di Roma e le sue attività culturali è da qualche anno quello di raggiungere le 1000 firme, ma vogliamo raggiungere questo obbiettivo con uno stile molto personale. Se avete già un’altra associazione del cuore a cui date la vostra firma vi invitiamo con forza a continuare a sostenerla, ma se non avete mai scelto nessuno e sentite gratitudine per l’Oratorio di San Filippo Neri scegliete Oratorium! Basta inoltrare questo messaggio al commercialista, o alla persona che si occupa della vostra dichiarazione dei redditi per destinare a Oratorium il vostro 5per1000.
Potrete scaricare e ascoltare in podcast tutti i Cinque Passi 2019-2020, semplicemente cliccando sul seguente link:
http://cinquepassi.org/2020/05/download-mp3-cinque-passi-2019-2020/
Vi auguriamo un buon ascolto!
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