Costanza Miriano's Blog, page 39
April 2, 2020
Una vita nel Vangelo, una vita con Cristo
Questa è la catechesi che don Ugo Borghello aveva preparato per il nostro incontro del 29 febbraio del monastero wi-fi di Bologna, al quale sarei voluta andare anche io, di ritorno da Arenzano (sigh!). Sarebbe stato presente anche il cardinal Zuppi. E’ una miniera d’oro di spunti preziosissimi.
Don Ugo da tempo prega e riflette e scrive sul tema di come “Rendere possibile una vita nel Vangelo, una vita con Cristo, in una comunione wi-fi, reale,forte, ma compatibile con le situazioni più intricate e diverse della vita nel mondo attuale”.
Un tema decisivo in questa fase della vita della chiesa, e ovviamente ancora di più in questo tempo particolare in cui l’isolamento è ancora più visibile.
Scuola di preghiera – scuola di comunione
di don Ugo Borghello
MONASTERO WI-FI, BOLOGNA 29 febbraio 2020
Uno dei documenti più belli e importanti del magistero pontificio è l’esortazione apostolica Novo millennio ineunte di san Giovanni Paolo II. Il Papa ha voluto darci un programma pastorale per il nuovo millennio, che portasse a compimento lo spirito del Concilio Vaticano II, basato su due grandi colonne: chiamata universale alla santità e spiritualità di comunione.
Il documento edifica la pastorale rinnovata su queste due colonne, invocando la Chiesa ad essere scuola di preghiera e scuola di comunione.
Per la scuola di preghiera occorre distinguere la preghiera propria della dimensione religiosa dell’uomo dalla preghiera nella fede che Gesù inaugura sulla terra. La prima è rivolta ad un Dio trascendente, lontano, onnipotente, per ringraziarlo dei suoi benefici, lodarlo e sperare di essere protetti ed esauditi nei nostri bisogni. La seconda è quella dell’intimità filiale: il Dio lontano si è rivelato Padre, si è incarnato, si è fatto massimamente vicino, intimo a noi, sempre presente. Ci vuole figli e per questo ci dona lo Spirito Santo meritato da Gesù sulla Croce. Gesù prega da figlio e gli apostoli si rendono conto che prega in un modo nuovo rispetto agli ebrei, e gli chiedono: insegnaci a pregare. La preghiera di religione si rivolge al potere di Dio, al Dio-potere, mentre la preghiera di fede si rivolge al Dio-amore.
La religione è connaturale all’uomo e anche gli atei hanno dogma e morale, appartenenza confessionale socio-sacrale con tanto di riti, libri sacri e profeti, più che atei sono idolatri. La fede viva è di coloro che entrano nel Vangelo, in comunione trinitaria, in intimità con Cristo. La religione è necessaria, ma confusa dal peccato originale; non salva. La preghiera di religione è al Dio lontano, con preghiere, liturgie, voti e richieste. La preghiera di fede è l’orazione; quando pregate chiudetevi in camera vostra e rivolgetevi al Padre che è nel segreto. Così pregava Gesù. Senza orazione, dialogo interiore, non c’è fede. Aver sete di Dio vuol dire passare da una preghiera di religione ad una preghiera di fede viva. La fede è nel Risorto, che è con noi ogni giorno fino alla fine del mondo; chi ha fede parla amichevolmente con Gesù. Come due fidanzati, si pensano tutto il giorno ma si ritagliano un po’ di tempo per un dialogo tra loro. Il centro rimane la celebrazione eucaristica, la liturgia, ma in modo mistagogico: vivendo il mistero che si celebra.
Insieme alla preghiera occorre la spiritualità di comunione. La fatica più grande di Gesù non è stata nel fare miracoli e predicare, ma nel costituire una piccola comunità di 12 apostoli, scelti in modo da non risparmiarsi conflitti (tra giudei e galilei, tra zeloti e collaborazionisti dell’impero romano, …). L’incontro con Gesù risorto è possibile solo nel suo Regno, nella comunione ecclesiale, pur che sia primaria rispetto agli altri vincoli relazionali nella società; purtroppo ciò si dà molto raramente nei cristiani in mezzo al mondo. Gesù implora il Padre che conceda ai suoi discepoli di essere una sola cosa come è la comunione nella Trinità. E affida a questa comunione la possibilità che il mondo sappia che lui è il Salvatore. Ogni evangelizzazione nasce dalla visibilità della nostra comunione in Cristo. Il comandamento nuovo non è da prendersi come virtù personale, ma come carta costituzionale del Regno. Gesù usa la parola Entolen che nel suo etimo più appropriato indica l’editto reale, la costituzione del Regno: se volete entrare nella salvezza del mio Regno sappiate che lì ci si ama come io ho amato voi.
La comunione trinitaria non si dà nelle religioni, ma solo nella fede teologale. È operata dallo Spirito Santo a Pentecoste. Per secoli si è ritenuto che si possa dare solo negli ordini religiosi, tanto è vero che neppure il presbiterio diocesano era impostato su tale comunione, ma solo su di una appartenenza socio-sacrale.
Nel secolo scorso molte realtà carismatiche hanno dimostrato che anche i laici in mezzo al mondo possono ritrovarsi uniti in Cristo con un solo cuore e un sola anima.
Ma occorre riscoprire il battesimo, vocazionale e in comunione, per tutti quelli che vogliono ritenersi cristiani.
È vero che nessuno è perfetto e che si è più o meno cristiani, ma diverso è se solo con un po’ di pratica religiosa e liturgica o se in un cammino di santità che unisce i cuori. Se uno non è sposato sarà più o meno un bravo lavoratore, un bravo amico, ecc. ma non sarà più o meno sposato. Ugualmente se uno non ha una appartenenza trinitaria, sarà più o meno praticante della dimensione religiosa del cristianesimo, ma non sarà più o meno nella comunione del Vangelo.
Qui si pone l’esperienza nascente del MONASTERO WI-FI
Rendere possibile una vita nel Vangelo, una vita con Cristo, in una comunione wi-fi, reale, forte, ma compatibile con le situazioni più intricate e diverse della vita nel mondo attuale.
Voi tutti siete qui col desiderio sincero di attuare il Vangelo nelle vostre vite, contando sull’azione dello Spirito Santo e su di una comunione del tutto necessaria anche se ben diversa dalla vita nei conventi.
Per entrare nel Vangelo ci sono alcuni punti di riferimento. Ne individuo 5 del tutto necessari:
CHIAMATA – SEQUELA –COMUNIONE TRINITARIA – REGOLA DI VITA O CAMMINO DI SANTITà – MANDATO APOSTOLICO
CHIAMATA: “venite a me, voi tutti”(Mt 11, 28)
La nuova evangelizzazione richiede un Kerigma un annuncio che ci pone a contatto con la chiamata di Cristo. Il Kerigna annuncia il Risorto, ma nel suo Regno. Gesù annunciava il Regno, che implica una scelta di campo, una decisione a seguire Gesù che ci chiama, in comunione con i fratelli. Lo sottolineava Benedetto XVI nell’Enciclica Deus caritas est, dove dice: “il punto di partenza della vita cristiana è in un incontro decisivo con Cristo”. Decisivo vuol dire che si prende una decisione, che si lasciano i calcoli e le sicurezze umane per fare di Cristo la nostra ragione di vita.
La chiamata risuona nella Chiesa, attraverso gli apostoli o pastori, e ci coinvolge in un cammino ecclesiale. Il primo risuonare del kerigma è nel giorno di Pentecoste, quando Pietro annuncia la risurrezione di Gesù e 3.000 entrano nella Chiesa quel giorno.
SEQUELA
Chi ascolta nel profondo del cuore e nella proposta ecclesiale la chiamata di Gesù, è invitato ad una scelta che suppone una conversione profonda, una rottura con un cristianesimo diluito e asettico. La sequela è come un matrimonio: non ammette sconti. È scelta di vita, una nuova identità, cristocentrica, col desiderio sincero di vivere secondo il Vangelo sine glossa. L’unico esempio della fede è il matrimonio. Già gli ebrei non paragonavano mai la Torà alle religioni circostanti, ma al matrimonio ed hanno nel Cantico dei cantici il cuore della Legge. E un matrimonio non si può fare a metà, sarebbe una pena. Ma nella buona e cattiva sorte. Così si segue Gesù: prendendo la Croce, che non vuol dire andare a cercare della cattiva sorte, ma pronti a tutto, perché l’amore di Gesù supera ogni croce e libera da ogni paura. Disposti a tutto non vuol dire che si è già santi: il Vangelo è per i peccatori, così come il matrimonio non è per genitori perfetti, ma in cammino.
Si tratta di scoprire la vocazione battesimale, come chiave di volta della nuova evangelizzazione. Occorre radicalizzare la relazione con Gesù, ma questo, come per il matrimonio, non si può fare da soli.
COMUNIONE
Da soli non si può essere nel Vangelo. La fede come vocazione nasce nella Chiesa, insieme ai fratelli. Già prima dicevo di come Gesù ha avuto la sua grande fatica nel preparare allo Spirito Santo una piccola comunità che avrebbe dato via alla sua Chiesa, al Regno, alla Nuova ed eterna Alleanza.
Occorre capire che tutti viviamo in società, ma con un legame di appartenenza primario là dove il cuore si sente accolto, valutato, amato. Può essere in una tribù di primitivi come di qualunque villaggio medievale, ma anche oggi tutti, in genere senza saperlo, curano una immagine sociale da cui trarre senso alla vita. L’immagine si consegue con prestazioni che danno riconoscimento, pur che si ottenga un certo successo. In genere è con il lavoro che l’uomo si sente importante per le persone essenziali, mentre la donna ha sempre puntato sul matrimonio e sui figli. Oggi la donna vive un’altra stagione, ma la condanna di Eva è sempre presente in lei: se l’uomo non la ama o se non nascono figli o quando i figli si rendono autonomi, si sente il dolore del parto. L’appartenenza primaria detta legge su come pensare e su come comportarsi. È impressionante vedere a quali sacrifici ci si sottopone per curare la propria immagine davanti ad altri. E poi ci sembra che Gesù ci chieda troppo se ci si vuol decidere a seguirlo da vicino. Dalla grande tradizione cattolica si è passati a tribù, ideologie, o partiti diversi, sempre più secolarizzati. E se si ha un discreto successo nella propria appartenenza secolarizzata si è del tutto refrattari ad ascoltare le catechesi della Chiesa. Impossibile convincere un relativista, più o meno come un musulmano. E nella Chiesa è impossibile trovare un tradizionalista che convinca un progressista o viceversa.
Solo una conversione comunitaria, ad una appartenenza basata sulla fede viva, può portare il cuore ad accogliere le verità cristiane. La catechesi non basta. Le esortazioni con cambiano la vita. I documenti del magistero, Sinodi ed encicliche comprese, non cambiano nulla, è l’appartenenza che cambia. Solo dove ci si unisce con comunione trinitaria si è recettivi dei contenuti del Vangelo. Gesù prima chiamava e poi li istruiva. Pensate a Matteo, un pubblicano peccatore pubblico: segue Gesù senza alcuna catechesi e diventa apostolo.
Sembra difficile mantenere in mezzo al mondo una profonda vita interiore, un afflato di carità verso i fratelli e verso i bisognosi, una proiezione apostolica, ma se si parte insieme, pronti a tutto, diventa possibile puntare alla santità cristiana, che è dono di grazia, per tutti i battezzati. Ormai sono numerosi i cristiani che escono dalle spire del secolarismo, dalla mediocrità di una pratica sacramentale più sociologica che mistagogica, attraverso l’esperienza esaltante di un cammino carismatico. Non basta una pastorale studiata a tavolino, non bastano le riunioni organizzative, se non c’è la gioia di un cammino di fede in unità di cuori.
C’è chi teme i gruppi elittari o una chiusura difensiva. Si possono dare chiusure presuntuose o settarie, ma ciò non deve trarre in inganno: una fede viva richiede un vincolo di amore reale, forte, che rimane aperto a tutti proprio per la spinta dell’amore. Pentecoste crea un legame di alleanza molto forte: guardate come si amano, commentavano dei primi cristiani, ma aperto a tutte le lingue. L’amore rende sensibili ad ogni persona, si va a braccetto con chi non la pensa come noi, e soprattutto si diventa molto più sensibili ai bisognosi, come ci sprona Papa Francesco. L’errore che si può fare è che per mantenere la parrocchia aperta a tutti si offre un minimo di pratica sacramentale e un po’ di catechesi. Le parrocchie rimarranno sempre aperte a tutti, ma devono poter offrire a chi vuole un cammino di santità, un vincolo di comunione trinitaria. San Giovanni Paolo II dice nel documento che ho citato che prima di organizzare l’assistenza ai poveri occorre favorire una mentalità di carità, una vera spiritualità di comunione, e per questo la Chiesa intera deve diventare scuola di comunione.
In una società che rende i vincoli familiari e religiosi sempre più fragili, occorre scoprire nella fede un vincolo di famiglia, che abbraccia le famiglie umane in una rete di famiglie, a sostegno della dimensione sacramentale del matrimonio cristiano. Solo dentro il Regno il matrimonio diventa luogo di santità, di incontro con Cristo e di evangelizzazione.
Su questo siamo molto indietro. Il demonio usa la giustizia e la responsabilità per corrompere la carità. Se il Papa parla di misericordia c’è chi subito aggiunge che c’è anche la giustizia; è vero ma la misericordia di Dio è infinita mentre la giustizia è somma, si esercita sui mezzi. Non è fifty-fifty, ma 1 a 100. Gesù diceva ad una santa mistica, santa Caterina da Genova: se sapessi come amo quella persona non potresti più pensare a nulla per tutta la tua vita. E quella persona sei tu ed è ognuno che ti si avvicina. Siamo molto indietro. San Paolo dice ai Romani: abbiate un solo dovere gli uni verso gli altri: di amarvi. Un solo dovere. E l’amore crea legami, virtù relazionali, comunione trinitaria. Il bello è che il comandamento nuovo non dipende dai nostri sforzi, è opera di grazia; è nuovo rispetto al dovere di “amare il prossimo come se stessi”. Però è verifica della grazia: “da questo sapranno che siete miei discepoli”; se non si vede la comunione trinitaria vuol dire che non lasciamo agire lo Spirito nel nostro cuore, che i nostri desideri vanno altrove, che dobbiamo contemplare il dono e riempirci di desiderio. Tutto il soprannaturale è dono, ma bisogna desiderarlo, perché l’amore non può imporsi La collaborazione alla santità non è nei nostri meriti, nelle nostre opere, che sono frutto della grazia, verifica che la grazia riesce ad operare in noi. La collaborazione è nella libertà: vuoi? Vuoi seguirmi? Vuoi il dono del mio amore? Però bisogna desiderarlo e volerlo più di ogni altra cosa, come vero salvatore.
REGOLA
Un cammino che risveglia la fede dei primi cristiani, implica la forza della comunione attraverso una piccola regola comune che garantisca la vita di preghiera, la vita sacramentale, la forza della Parola, momenti di formazione comuni e di festività gioiosa.
Il monastero wi-fi è nato proprio dalla necessità di aiutarsi ad avere vita interiore, con momenti di preghiera personali e qualcuno insieme; con la pratica fondamentale dei sacramenti della confessione e dell’Euccfarestia, con l’approfondimento della Parola. In mezzo al mondo non si vive come in un monastero benedettino dove tutto è scandito: occorre una “regola” agile che si adatti alle circostanze che accompagnano la vita familiare e professionale. Per tutti vale un tempo di meditazione, secondo il comando di Gesù: “quando pregate chiudetevi in camera vostra e rivolgetevi al Padre che è nel segreto”. Gesù pregava in questo modo, da figlio, tutti i giorni, qualche ora e a volte tutta la notte. L’orazione non è un opzional, è, insieme all’eucarestia, nel cuore della fede vissuta, fede nel Risorto, presente a noi, con cui ci si intrattiene.
Non tocca a me indicare i contenuti di questa “regola”, che tra l’altro non può essere uguale per tutti nei contenuti. Chi può andare a messa tutti i giorni e chi no. Chi può recitare il rosario e chi preferisce le Lodi e i Vespri. Una visita al santissimo quotidiana è più che opportuna. Un esame di coscienza, la lettura quotidiana del Nuovo Testamento. Pensate che c’è chi si considera cristiano e non ha mai letto una volta tutto il Nuovo Testamento, mentre ha letto montagne di manuali per laurearsi e tante altre cose. Poi ci si meraviglia che entri il secolarismo nella Chiesa!
E ci devono essere degli incontri comuni, di ritiro o di catechesi, ma anche di festa, con una certa periodicità.
In mezzo al mondo non è facile vivere sempre con fedeltà la regola; occorre una spirito da figli, desiderosi di essere fedeli ad un vincolo di amore, ma senza farne un impegno moralistico. Pur di desiderare e lottare per un compimento fedele, quando non ci si riesce si rimane sereni, col proposito di continuare senza esitazioni.
L‘importante è che con la “regola” ci si mette in cammino con gli altri. Si crea un legame di comunione dei santi. Chi è fedele sostiene la fedeltà degli altri. È la forza dell’amore che rende capaci di perseverare nei labirinti della vita quotidiana. I momenti della regola sono come gli appuntamenti dei fidanzati: il problema non è la fedeltà personale ad una regola, ma un sentire comune alimentato dal rapporto con Dio e dai momenti di incontro comuni.
La meditazione quotidiana sulla Scrittura, l’orazione nel dialogo amichevole con Gesù o con il Padre, insieme a momenti di ritiro, formano la scuola di preghiera che san Giovanni Paolo II indicava come programma pastorale prioritario, insieme alla scuola di comunione.
MISSIONARIETÀ
Gesù chiama e manda: “come il Padre ha mandato me, così io mando voi, perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Nessuno può considerarsi cristiano se non sente il bisogno di dare una mano a Gesù per realizzare il suo Regno. Quando diciamo “venga il tuo Regno” dobbiamo sentirci coinvolti a realizzarlo insieme. Il comandamento nuovo è dono di carità carismatica che si diffonde intorno a noi, dono gratuito per la felicità di tutti. Si incontra con tutti i bisogni, del corpo e dello spirito. Si riempie di opere di misericordia, corporale e spirituale. Aiuta fisicamente chi è nella sofferenza, ma è sempre attento alla più grande miseria: ignorare Cristo.
Occorre testimoniare la bellezza del Vangelo. Tutti pensano di sapere cos’è il Vangelo, ma sono lontanissimi dallo scoprirne la bellezza e anche, lasciatemelo dire, la facilità (se si guarda le croci che affliggono chi non ha un cammino di santità, scoprirà che seguendo Gesù si vive molto più serenamente). Il serpente per ingannare Eva ha abbruttito il volto di Dio. Della Chiesa si ha un’idea piuttosto palliduccia. I giovani la vedono come sorvegliante, severa, che impone sacrifici, preghiere e quaresime. A scuola per tanti professori di matrice marxista è un gioco da ragazzi presentare la Chiesa come oscurantista, che condanna Galileo, che condanna con l’Inquisizione. Basta leggere il libro di Umberto Eco, Il nome della rosa, per vedere una Chiesa brutta e pertanto da non seguire.
Invece il Vangelo è bellissimo: buona novella, apportatore di salvezza. La salvezza non è scansare l’inferno, ma avere il cielo nel cuore, senza più paure. Un amore più grande di ogni croce che viene dalla vita. La croce di Cristo è un amore più grande delle croci che la vita porta a tutti. Solo che bisogno prenderlo sul serio, con tutto il cuore. Come un matrimonio: a metà è un disastro. E come il matrimonio non si può entrarvi da soli, ma in un cammino insieme ai fratelli. La comunione trinitaria è esaltante. La bellezza di volersi bene, senza timore del giudizio, dà la forza della lealtà, supera ogni ostacolo, rende fedeli nel tempo.
Ognuno deve testimoniare la propria fede con semplicità e parresia. Testimoniare non vuol dire insegnare, discutere, voler convincere: ma solo confidare che si affronta la vita con la gioia della fede e con una appartenenza basata sul Vangelo. Ognuno secondo le sue prerogative, ma non solo con l’esempio; occorre una parola di testimonianza.
ATTO GENERATIVO
Il problema più acuto della nuova evangelizzazione consiste nel fatto che a dirci queste cose non cambia nulla. La catechesi non cambia la vita, aiuta solo chi già si è convertito ad un cammino reale e concreto. Se parlo di come educare i bambini a chi non ne ha, semino aria fritta. Prima occorre l’atto generativo. Se parlo di carità a chi non vive in un cammino di comunione trinitaria, rimangono parole al vento. È un po’ la tragedia di documenti del Magistero, magari stupendi come la Novo millennio ineanute o la Evangelii gaudium, dove non è segnalata con chiarezza la necessità di una proposta vocazionale per una sequela di Cristo insieme ai fratelli. Per questo occorre che ovunque si ritrovano tre cattolici nasca una cammino di comunione. E il problema della generatività, propria di una relazionalità familiare e sociale. La Trinità comprende la genetorialità del Padre. La Chiesa deve trovare il modo di coinvolgere in nuova vita i battezzati svuotati da tradizioni insufficienti e in via di decomposizione. Il secolarismo ha preso la grande maggioranza dei cristiani. È urgente una nuova evangelizzazione attraverso spazi di vita cattolica coerente con il Vangelo, dove può esprimersi la comunione trinitaria. Non c’è altro modo di riportare il Vangelo nel vecchio Occidente. I fondatori di realtà carismatiche hanno trovato di fatto il modo di coinvolgere numerosissimi fedeli in cammini di santità. Ma è nella Chiesa istituzionale che tutto deve essere proiettato a costituire cammini con carisma di Pentecoste.
Si propone un cammino concreto, con tanto di “regola”. Si propone di scoprire un mondo nuovo, ma occorre imbarcarsi per raggiungerlo. Troppi cristiani vivono nella foresta; qualcuno scende in riva al mare la domenica, e sente parlare di un viaggio nel mondo nuovo, ma poi torna nella foresta. Non è difficile proporre la scelta, occorre solo farlo con decisione, nel rispetto pieno della libertà.
Oggi può essere l’occasione per molti di voi di scegliere di vivere secondo il Vangelo, senza sconti, decidendosi a partire con chiarezza e concretezza nel Monastero wi-fi. Ricordate: il Vangelo è bellissimo, è la grande avventura, se lo si sposa senza remore, senza chiedere sconti. Non si tratta di essere santi, ma di desiderare l’azione dello Spirito Santo: il Vangelo è per i peccatori, per te e per me. Ma non da soli.
Il monastero nasce dal bisogno di aiutarsi ad avere vita interiore. Ma potrebbe sfuggire l’elemento decisivo: l’aiutarsi. Che non può essere un semplice organizzarsi per vedersi ogni tanto o una serie di catechesi che spronano alla vita di fede. L’aiutarsi del Vangelo è la condivisione di fede, nella carità
Occorre che la Chiesa sia sempre più carismatica, in ogni sua espressione locale. Il fondatore è Gesù, presente nel Vescovo, nell’eucarestia, nella Parola e nel comandamento nuovo.
Con la parola carismatico non intendo il movimento carismatico (che pur rientra nella nuova evangelizzazione), ma il fatto che si possa vivere il Vangelo a misura alta, come diceva san Giovanni Paolo II, con l’afflato di Pentecoste, presente negli ordini religiosi, ma sempre più deve essere proprio di ogni cristiano. Tante realtà carismatiche sorte nel secolo scorso dimostrano che ciò è possibile a tutti i battezzati, in qualunque circostanza si trovino a vivere, pur che si uniscano ad altri che percorrono un cammino compatibile con le loro circostanze.
Dato che non penso che Costanza voglia essere fondatrice di un cammino carismatico, tocca a ciascuno il volersi unire nel Monastero wi-fi con tutto il cuore, Con lo spessore della scelta di vita, di destino: sentirsi uniti a vivere il Vangelo nella quotidianità, pregando gli uni per gli altri. Avendo un camino tracciato dalla Regola, sui generis, certo, ma necessaria per un monastero.
Posso terminare con il racconto della Leggenda Aurea, che raccoglie episodi dei primi cristiani. Si racconta che san Giovanni era ormai vecchio e non riusciva a parlare. Ripeteva sempre: amatevi gli uni gli altri. Qualche giovani si stancò e glielo fece notare: maestro, ci dici sempre lo stesso. E lui, raccogliendo le forze, “come sempre lo stesso. È il comandamento del Maestro, chi lo osserva compie tutta la legge. Colui che ha fatto l’esperienza più profonda di Gesù e della Chiesa, potendo dire una sola cosa di tutta la vita cristiana, non dice pregate, mortificatevi, fate opere di misericordia, ma “amatevi”.
Ugo Borghello
Bologna, 29 febbraio 2020
March 31, 2020
Mogli cattoliche tradizionali
di Raffaella Frullone
Ma poi, che significa “mogli cattoliche tradizionali”? Mi fossi fatta questa domanda a diciotto anni non avrei saputo rispondere, sono nata in provincia di Bergamo negli anni Ottanta e sono cresciuta in parrocchia, a Messa andavano più o meno tutti (e ancora oggi è così) e non avrei certo saputo distinguere una moglie non cattolica da una moglie cattolica, figuriamoci una moglie “cattolica tradizionale”. Per me la moglie cattolica era semplicemente una moglie, una donna come tante che finalmente trova l’uomo della sua vita, si sposa in chiesa, e vissero felici e contenti. Ovviamente mantenendo entrambi «la propria indipendenza», eredità inconsapevole di quel femminismo che tutte abbiamo respirato.
Poi, crescendo, ho conosciuto mogli differenti. Per cui è bello poter «dipendere» da un marito, avere un uomo che limita, guida, regge. Spose che non misurano l’amore in base ai mazzi di fiori o alle dichiarazioni d’amore, che non tengono il conto di chi fa cosa in casa e quante volte, che sanno che maschi e femmine sono diversi e ogni tentativo di negare questa evidenza si trasforma in un disastro domestico, familiare, di coppia. Donne che vivono un fidanzamento casto anche se quando lo dicono scatta la risatina, spose che fanno tre, quattro, cinque e si sentono ripetere: «ma non avete la tv?», donne per cui usare gli anticoncezionali non è la normalità, per cui il divorzio non è mai la soluzione e per cui l’aborto non è mai una opzione. Mamme per cui la cosa più importante non è l’educazione, ma la fede, che sanno che amare il proprio marito è il primo bene dei propri figli, che lottano, che perdonano, che credono.
Intendiamoci. Non sono certo donne che non fanno fatica, che non sbagliano, che non cadono, si rialzano per poi ricadere, che non sognano di fuggire ai Caraibi e lasciare i problemi, i pesi e i dolori a qualcun altro. Eppure restano. Anche quando il gioco si fa duro e la vita le modella con sudore e lacrime. Sono donne che restano e danno la vita. Minuto dopo minuto, ora dopo ora, al marito, ai figli, lì dove la vita le chiama e soprattutto stanno. Nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, tutti i giorni della vita.
Sono mogli apparentemente normali. Le ho incontrate al supermercato, a scuola, in ufficio, per strada. Chiacchierano, sorridono, lavorano, studiano, corrono, si ritoccano make up, asciugano lacrime, raccolgono confidenze, vorrebbero salvare il mondo e si arrabbiano perché non ci riescono, esattamente come tutte le altre. Ma per loro il matrimonio ha un orizzonte differente: la vita eterna. Niente di più e niente di meno. Per loro il matrimonio è indissolubile e ogni figlio concepito, anche quello non nato, vive per l’eternità. Per queste donne non c’è progetto, meta o traguardo più grande da raggiungere col marito se non il Paradiso. Questa è la moglie cattolica tradizionale modello 2020. Cattolica non per etichetta, tradizionale non perché ancorata al passato, ma perché è proiettata nel futuro del futuro: l’eternità..
Ma veramente si può vivere così oggi, nel 2020? Lo scoprirete leggendo queste pagine, scoprirete una via controcorrente, ma possibile per tutti e soprattutto ben più grande del «vissero felici e contenti».
La cura negata
Era nato da 5 mesi e andammo da don S. prete siciliano, che indossava spesso la talare e celebrava coi merletti, per prepararci al suo battesimo. “Come si risponde alla domanda: per Filippo cosa chiedete alla chiesa di Dio?” – ci domandò. “Il battesimo” – rispondemmo con sicurezza, convinti di sapere bene la risposta.”Dovete rispondere: la vita eterna!” – ribatté lui. Così facemmo, pochi giorni dopo, totalmente ignari della profezia nascosta in quella risposta.
Era malato già da un po’, 2 anni di chemio, un primo trapianto, poi una recidiva e poi ancora chemio. Don S, prete polacco, parroco nella vicina parrocchia di Frascati, che conosceva la nostra storia, ci chiamò. “Venite qui da me, domani. Recitiamo insieme il rosario e affidiamo la vostra famiglia a Maria, madre di Dio.” – ci disse. Accettammo con gratitudine. Da quel giorno la corona del rosario non è mai più uscita dalle nostre…
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March 30, 2020
Il vuoto
di Marco Negri
Un contrasto improvviso ci ha sorpreso e ci ha trovato impreparati a perdere ciò che adesso tiene in piedi la nostra vita.
Nel giro di poche settimane qualcosa ci impone di misurare le cose con delle metriche che non corrispondono più alle unità di misura alle quali eravamo abituati.
I medici nelle corsie di ospedale fanno le radiografie ai malati per individuare il male che li affligge mentre chi è a casa, chiuso nella sua stanza, scopre il suo vuoto.
Sembra un colpo mortale al vivere comune come lo abbiamo sempre inteso ma anche all’ostinazione dell’uomo di costruirsi il senso delle cose in proprio e pensare di non aver bisogno di uno scopo ultimo.
Un esercizio che il progresso moderno considera un’opzione da scartare, che impedisce di succhiare fino in fondo senza pensieri il midollo dell’oggi, riempito di tante cose che ritagliano una prospettiva ben precisa su cosa sia bene e su cosa sia male.
Un contrasto inaspettato, un’eclissi improvvisa del proprio sole, abbagliante fino ad un attimo prima, ma che riavuta la vista, lascia intravvedere il vuoto.
Vuoto fatto di tante cose che c’erano prima ma che adesso non ci sono più e che un uomo che non si fida più di sé stesso, stenta a sperare che possano ritornare uguali a prima.
Perfino le chiese sono diventate improvvisamente inutili, quasi pericolose, e anche in esse sembra regnare un gravido senso di vuoto.
La Santa Eucarestia non viene data perché può “far male” a chi la riceve, la medicina del mondo ci può far ammalare.
E in tutto questo il nemico dell’uomo, che molto spesso è l’uomo stesso, cerca come sempre, di trovare un colpevole a cui addossare la colpa per ciò che ha perduto. E questo vuoto nel quale è caduto, per riemergere è tentato ancora di riempirlo giustamente delle stesse cose come il lavoro. Cose materiali, cose da fare, cose che gli spettano di diritto, tutte misurate con la prospettiva di prima, ma con un interrogativo che fa pensare che forse bisognerà trovarne una nuova, dopo da questo momento, per il futuro.
Il nemico dell’uomo che in questa situazione di sbandamento globale, oltre alle vite delle persone sembra volerne anche l’annientamento spirituale ha forse fatto male i conti e ha travalicato il proprio confine.
Sembra che nel voler chiudere il cerchio, provocando il maggior danno possibile stia sortendo l’effetto opposto.
Il male che per noi cristiani si chiama demonio è venuto palesemente allo scoperto in un teatro grandissimo e ora lo vedono tutti.
Anche chi non è cristiano percepisce la sua presenza vedendo le chiese chiuse, capisce che la domenica senza la messa è una cosa grave anche per lui, anche se non vi ha mai partecipato. E poi le agghiaccianti impossibilità di vedere i propri defunti, lasciati andare senza il funerale. Ci è stata tolta la Settimana Santa, il cuore della nostra fede, che non è una perdita da poco e che non sarà di certo colmata dallo streaming. La veglia Pasquale, la santa messa delle Sante Messe per il popolo non ci sarà. La Pasqua che praticamente non viene celebrata se non individualmente, anche per chi non crede risulta un avvenimento inquietante. Il nostro nemico ha proprio esagerato!
Adesso tutti chiusi in casa ci siamo fermati a riflettere e forse finalmente a capire che Dio non centra niente con tutto questo, anzi considerando anche la possibilità di una premeditazione diretta della mano dell’uomo nello scatenamento di tutto questo, ci stiamo ammorbidendo sul concetto di peccato che da individuale, ora forse siamo più propensi a considerarlo una ferita universale allargata all’intero genere umano. Abbiamo cioè l’evidenza in questi tristi giorni di prova che nessuno può considerarsi esente e che il male che ognuno commette ha una ripercussione inevitabile nel mondo intero.
Ma il nemico ha fatto i conti senza l’oste e ha scatenato incautamente una pandemia virale di preghiera. Voleva far cadere nel vuoto l’umanità senza sapere che dove c’è il vuoto Dio corre come un torrente in piena a riempirlo, come ha riempito il vuoto di umiltà di Maria per salvare il genere umano. Chi può pensare adesso che non ci sia bisogno di salvezza?
Nella mia piccola realtà dove vivo ho visto persone che conosco che adesso non si vergognano di dire il rosario, qualcuno non l’aveva mai recitato e lo dice in famiglia. So di un amico che lo dice mentre va a fare la spesa col furgone lungo il tragitto che lo separa dal supermercato e mi dice: < sai, nel recitarlo mi piace l’idea che il Signore non possa dire che lungo questa strada non si preghi, come nel mio cantiere o in attesa in farmacia. E´ come spargere un disinfettante e lasciare una scia dietro di me che aiuta tutti in questo momento>.
Quattro giorni fa ho saputo che un uomo che conosco, dopo due anni di collera atroce e ossessiva verso due colleghi, amici da 18 anni, e che gli destavano ogni giorno pensieri vendicativi, ha telefonato prima a uno e poi, ricevuto un messaggio, ha chiamato l’altro per sentire come stavano e avere notizie delle famiglie.
Le chat di WhatApp sono piene di preghiere e di richieste di preghiera e anche le più goliardiche come quella del mio gruppo del calcio, dove si ha di solito l’orticaria a parlare di religione, in questi giorni si tifa e si prega in particolare per due ragazzi giovani del nostro comune intubati in ospedale.
Senza pesare alle innumerevoli iniziative sulla rete che diventano un enorme esercizio spirituale.
Ma questo è sicuramente poca cosa rispetto alla grande preghiera di sacrificio di chi muore, soprattutto dei nostri anziani, ammalati, soli, forzatamente abbandonati, e che muoiono senza vedere i loro cari.
E´ la grande preghiera che sono sicuro, il nemico dell’uomo non si aspettava.
Si perché questo vuoto lo stanno riempendo loro, con la preghiera unanime che recita più o meno così: < Signore ho fatto tanta strada, in fondo è meglio che sia capitata a me e fa che non capiti ai miei figli e ai miei nipoti. Pago io per loro. Ricordati.> E´ la preghiera del samaritano.
Son sicuro che è così, li conosco, e una volta riempito questo vuoto allora davvero non sarà più come prima.
March 28, 2020
La comunione di fede in questo strano tempo
di Costanza Miriano
Chi l’avrebbe mai detto che il wi-fi sarebbe diventato il mezzo per vivere la comunione di fede in questo strano tempo!
Adesso tutta la Chiesa sta vivendo in questo modo, un collegamento di cuori e anime via Spirito Santo, come sempre – la più forte copertura wireless – ma anche via telefono, social, mail whatsapp, video di ogni genere, perfino le messe in streaming e tutto quello che sapete. Sono ammirata dalla creatività con cui tanti generosi sacerdoti (non tutti, forse neppure la maggioranza, ma tantissimi!), stanno cercando di starci vicini.
Non so voi ma io sono quasi in overdose di stimoli spirituali, visto che ovunque mi giri arrivano suggerimenti e consigli, e segnalazioni di cose interessantissime.
Solo che oltre a tenere i miei spazi di preghiera, smartworkare, scrivere il mio libro di notte, preparare cibo per della gente giovane che mangia un sacco di volte al giorno, si mette un sacco di mutande e magliette, e lascia in giro un sacco di roba,cerco comunque di mantenere un decoro minimo (trucco e manutenzione) e di muovermi un po’ (anche visto che l’OMS ha detto che è un presidio medico). Insomma, il tempo non avanza proprio. Ecco, non vorrei aggiungermi con l’ennesimo consiglio non richiesto, però se vi interessa io ho deciso di seguire questi esercizi spirituali di cui vi allego le istruzioni ( QUI .per scaricare il pdf)
Andranno da oggi a venerdì, 6 appuntamenti. Io ci provo perché ogni volta che ho ascoltato don Alessio Geretti sono rimasta arricchita, direi ribaltata da tanta ricchezza.
Aggiungo una cosa che avrei voluto annunciare in pompa magna, anche con i nomi dei sacerdoti coinvolti e tutto, ma non sono riuscita ancora a contattare tutti, e a fare bene il programma, però mi pare che dirvelo ora sia un buon auspicio per tenere duro e guardare avanti in questo tempo di prova e di isolamento.
Se Dio vorrà, il prossimo Capitolo Generale del Monastero wi-fi si terrà a SAN GIOVANNI IN LATERANO IL 24 OTTOBRE!
Certo, dovremo essere certi che tutto sarà tornato alla normalità, e forse adesso non possiamo dirlo, però ci sembra bello mettercelo come obiettivo.
Il Cardinale De Donatis – prima che tutto questo si profilasse neppure lontanamente all’orizzonte, molto molto tempo fa – ci ha promesso che ci concederà la Basilica per quella data.
Se Dio vorrà potremo riabbracciarci e stropicciarci tutti in carne ed ossa.
Ne approfitto per dire che anche dopo il Capitolo del 19 ottobre, come dopo il primo, quello del 19 gennaio, abbiamo coperto tutte le spese e abbiamo avuto dei soldi in cassa, che abbiamo diviso in due: metà sono stati consegnati nelle mani del Cardinale De Donatis, il padrone di casa, metà ad Aiuto alla Chiesa che soffre, per aiutare i nostri fratelli perseguitati nel mondo a causa della fede.
Due ultimi pensieri: grazie tutti i sacerdoti ma anche ai medici e agli infermieri che in nome di Cristo stanno dando la vita.
Infine, non dimentichiamoci di pregare per loro, per i malati, per i familiari: http://www.recode.digital/corona-anti-virus/
Siamo a quasi 16mila rosari pregati, cerchiamo di far sì che in ogni momento del giorno e della notte ci sia qualcuno che prega.
***
ESERCIZI SPIRITUALI WIFI – 28 MARZO 2020
INTRODUZIONE
Carissimi amici,
stiamo per dare inizio al percorso degli Esercizi Spirituali, che di giorno in giorno ci condurranno da domani, domenica 29 marzo 2020, fino a venerdì 3 aprile 2020, lungo un sentiero bellissimo ed intenso da percorrere in compagnia di Cristo.
Cosa vi proporrò in questi giorni? Sia ben chiaro: quel che proporrò io è soltanto un mezzo, un’occasione di partenza. Conta davvero quel che vi proporrà segretamente e intimamente lo Spirito Santo, che non vede l’ora di poter stare un po’ con voi in maniera speciale. Credo che il Signore abbia segnato nella sua agenda questa settimana perché da tutta l’eternità ha stabilito che in questi giorni ha qualcosa da dirvi e da darvi. Non so cosa, non posso saperlo io, e al momento probabilmente non riuscirete a prevederlo nemmeno voi, ma sono certo che il Signore ha qualcosa in serbo per ciascuno di voi e sono anche certo che se Gli aprite la porta interiore ve ne accorgerete.
Cosa sono gli Esercizi Spirituali? Gli Esercizi Spirituali sono un incontro speciale con il Signore, per chi desidera scendere in profondità nel cuore, attingere alla sorgente zampillante dello Spirito, rivedere la propria vita con gli occhi di Dio, consolidare la propria fede, scoprire pagine stupende della Parola di Dio.
In questo momento molto particolare che stiamo tutti vivendo, inoltre, gli Esercizi Spirituali sono un’occasione per capire cosa sta succedendo, o meglio, per capire cosa il Signore ci sta dicendo attraverso gli eventi della storia: senza la giusta password, gli eventi della vita e della storia rimangono come impenetrabili, ci scorrono via mentre siamo distratti oppure mentre arranchiamo nel tentarne spiegazioni varie. Mentre però gli eventi rimangono quelli nei quali ci ritroviamo, le spiegazioni e le scelte dipendono da noi. E ci sono spiegazioni sagge e illuminanti, oppure stolte o addirittura folli, o semplicemente superficiali, fino all’assenza di spiegazioni per chi subisce le cose senza farsi domande. E così ci sono scelte sagge e luminose, oppure stolte o folli, o superficiali, o c’è anche l’inedia e un’attesa che sperpera le occasioni buone, perfino geniali, che stanno dentro ad ogni istante di questa incantevole e squinternata avventura chiamata vita. Se siete arrivati a leggere fin qui, significa che vorreste cogliere le occasioni, senza rassegnarvi ad annebbiarvi tristemente: ottimo inizio.
Concretamente, ci sono due ingredienti essenziali per “fare gli Esercizi Spirituali”: 1) gli aiuti offerti da chi li guida; 2) i veri e propri esercizi personali. (In realtà, ancora più essenziale di tutto ciò sono la luce e la forza dello Spirito Santo, che prega in noi e che è la vera e suprema guida degli Esercizi, perciò invocatelo ogni giorno!).
Per quanto riguarda il primo punto, ogni giorno, per sei giorni consecutivi, potrete ascoltare una meditazione su una pagina della Sacra Scrittura che ho chiesto al Signore di ispirarmi per voi.
La meditazione si troverà dopo le ore 13.30 di ogni giorno su Youtube, nel mio canale che ho inaugurato qualche giorno fa:
https://www.youtube.com/channel/UCwNB3spFvFWo7kztWeVetfg
(in ogni caso, lo potete trovare entrando in youtube.com e digitando Alessio Geretti: non sarò cliccato come Fedez ma questa volta se volete degnatemi di qualche attenzione).
Per quanto riguarda i veri e propri esercizi personali, sono ciò che potrete vivere nel tempo che ognuno ricaverà nella propria giornata, quando potrà, tra le varie attività che continuano, per “restare in compagnia del Signore” e fermarsi sulla Parola di Dio che vi ho proposto di meditare. Potrete quindi trovare questo vostro “momento col Signore” da quando avete ascoltato la meditazione quotidiana su YouTube fino a quando ascolterete quella dell’indomani. A questo proposito, chiarisco che si chiamano “esercizi” perché sono in tutto paragonabili a quelli che fanno i ragazzi alle prese con i compiti di matematica o a quelli che fanno gli atleti o che magari fanno anche i meno atletici fra noi per mantenersi in buona salute o per evitare di darla vinta all’espansione della pancia e all’inflaccidimento delle membra: abbiamo alcune facoltà e potenzialità, della mente e del corpo, e se non si esercitano rimangono deboli, si atrofizzano, mentre esercitandole si tonificano e si sviluppano. Ebbene, anche per il nucleo spirituale del nostro essere possiamo ragionare in modo analogo. Ognuno di noi ha la facoltà di entrare in intimità con Dio e di percepire il suo linguaggio, ognuno di noi ha la possibilità di immergere in Cristo la propria vita e il proprio essere, in modo che sia Lui a vivere questa nostra vita e a regnare in questo nostro essere, con tutte le meravigliosi, sorprendenti conseguenze. Gli Esercizi Spirituali sviluppano grazia, non muscoli o velocità di calcolo. Li raccomanderei parecchio, dal momento che senza la grazia non sapremmo più usare bene né i muscoli che avessimo irrobustito né i calcoli che avessimo imparato a fare. Un consiglio, se mi permettete. Affinché sia possibile contemplare quello sguardo e immedesimarci in esso, guardare cioè con gli occhi del Signore tutte le cose, in questi
sei giorni, è preziosissimo un certo silenzio, esteriore ed interiore. So bene che siamo già reclusi per la prevenzione della pandemia che ci sta angustiando… Ma ciò non significa che automaticamente siamo in stato di silenzio benefico. C’è purtroppo un silenzio da vuoto, istupidimento, pigrizia. Quello di cui parlo è il silenzio di attesa e di attenzione, tipico di chi sta ascoltando una persona che ti fa battere il cuore per affetto o ammirazione. È quel genere di silenzio del quale in genere il mondo contemporaneo ha orrore, combattendolo continuamente con ogni genere di frenetico rumore, sproloquio e diavoleria assordante. A noi, che nella presenza di Gesù risorto confidiamo dolcemente, il silenzio non fa paura, anzi, ne abbiamo bisogno: è l’aspirazione del nostro essere, che tende l’orecchio nella speranza di percepire qualche nota della musica celeste, il sussurro delicato della voce di Cristo che parla al nostro cuore giorno e notte (e non lo fa mai per deprimerci, mai). In questi giorni, pertanto, non potremo sospendere tutte le nostre ordinarie attività né sottrarci ai nostri doveri, ma evitiamo se possibile tutto ciò che, magari senza accorgercene, ci metterebbe in stato di agitazione o di tristezza. Gustate quanto è bello stare con il Signore. Perfino mentre vostro marito o vostra moglie sta tentando di insidiarvi con discorsi fuori posto, voi sorridendo attivate nello sguardo lo screen-saver delle migliori occasioni, come nulla vi potesse toccare. Per una volta, non sarà una mancanza di carità, ma soltanto un supplemento di pazienza.
Per quel che posso, vorrei suggerire a voi alcune meditazioni che ci conducano e ci sospingano verso l’alto. Poiché Gesù è vicinissimo, e basta tendergli la mano per stringere la sua, ed Egli è il rovescio di tutto quello che ci schiaccia, ci atterrisce, ci fa scivolare in basso, chiediamo a Lui che trascini “in alto i nostri cuori”, come la liturgia ci insegna a dire. Non intendiamo minimante sfuggire dalla realtà, anzi. Noi in questi giorni e per tutta la vita cercheremo in Cristo la chiave dell’universo, la luce necessaria per scioglierne gli enigmi, la chiarezza magnifica che ci fa capire costa sta succedendo ora e in ogni momento, la forza indispensabile per guarire le ferite nostre e iniziare il meraviglioso rinnovamento di questa terra (che non finiremo in questa terra, d’accordo, ma è così bello iniziarlo…!). Cerchiamo Gesù non per scappare dalla realtà, ma perché senza Gesù è la realtà che ci scappa, è il suo senso che ci sfugge tremendamente.
Intendiamoci, però: guardare a Lui, guardare “lassù” non è facile; le tentazioni e gli scoraggiamenti sono normali, quasi quotidiani. “Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto”: ciascuno di noi in certi momenti e in certe situazioni è indotto a fare sue queste desolate parole del profeta Isaia. Ognuno di noi inizia questi Esercizi Spirituali partendo dal momento che sta “abitando”, dal suo cenacolo interiore, con tanti motivi di gioia e di curiosità, di confusione e di amarezza, di nostalgia e di speranza. Tra noi, facendo il punto della situazione sulla nostra vita, c’è chi ha conquistato traguardi importanti, affetti preziosi, stima professionale, conoscenze varie. E tra noi c’è chi ha perso occasioni per fare quello che avremmo dovuto o per dire “ti voglio bene” a persone che ora non ci sono più. C’è chi ha perso anni di vita nell’affanno o nella distrazione, c’è chi ha perso l’entusiasmo di un tempo, o la fede, limpida e audace, di quand’era bambino. Siamo qui, all’inizio di questi Esercizi, con il nostro cuore in mano, pieno di tesori incantevoli eppure talvolta appesantito da ferite che stentano a guarire o da imperfezioni che non sappiamo correggere e da peccati che non sappiamo spiegarci. O ancora, potrebbe esserci un motivo di sottile malessere che talvolta s’infiltra nell’anima dei credenti, sì, proprio dei credenti: l’impressione di vivere tra forze ostili e disinteresse dilagante, la percezione di una certa resistenza del mondo all’iniziativa d’amore di Dio. Dio ama il mondo, tanto, tantissimo; ma il mondo non sa se lasciarsi amare o no da Dio!
Ebbene, cambiamo prospettiva, ribaltiamo la visione delle cose e guardiamo il mondo di quaggiù dal punto di vista di Cristo: se abbiamo fede, ricordiamoci che il vero assedio è quello operato sui cuori e sulla storia da parte dello Spirito Santo, effuso senza sosta da Gesù Risorto che già regna alla destra del Padre; è l’assedio della divina misericordia, che senza stanchezza tenta di provocare anche nelle coscienze più indurite innumerevoli minuscole brecce, perché la luce e il calore della grazia s’infiltrino e infine vincano sulle nostre stupide durezze.
Poiché entrando in questa prospettiva ci si scopre parte di una compagnia vastissima percorsa da una gioia profonda dell’anima assai elettrizzante, ma in questi tempi di coronavirus gli assembramenti sono vietati, questi Esercizi sono WiFi. Ciascuno a casa propria. Ma tutti congiunti dalla forza di Dio.
Ho deciso perciò che questi Esercizi, dato che dobbiamo restare a casa moltissimo in questi giorni, avranno come filo conduttore un viaggio di città in città, scegliendo ogni giorno una delle città che Gesù ha visitato e in cui ha avuto un incontro di quelli che si ricordano per sempre! Sarà un modo per guardare in faccia le grandi sfide della vita, che ognuno di noi deve affrontare in un modo o in un altro. Ma soprattutto, sarà un modo per lasciarci guardare negli occhi dagli occhi di Cristo, con il quale tutto cambia.
Perciò, come titolo, vorrei suggerivi quello che scrisse un giorno l’apostolo Paolo, e che anche a me è divenuto tanto caro, perché mi pare che in 5 parole dica tutto, dica l’essenziale: PER ME VIVERE È CRISTO
March 26, 2020
27 marzo ore 18, preghiera e indulgenza plenaria da piazza San Pietro
A partire dalle ore 18.00 l’evento sarà trasmesso in diretta mondovisione da Vatican Media e potrà essere seguito in più lingue sulla Radio Vaticana e sulla Home page di VaticanNews (cliccando qui), oppure sulla pagina Facebook (accedi da qui), e in diretta sul canale youtube (clicca qui) sempre di VaticanNews.
(ANSA) – Il 27 marzo alle 18.00, Papa Francesco presiederà un momento di preghiera sul sagrato della Basilica di San Pietro, con la piazza vuota, come annunciato lo scorso 22 marzo al termine della preghiera dell’Angelus. “Il Pontefice – ricorda la sala stampa della Santa Sede – ha invitato tutti a partecipare spiritualmente, attraverso i mezzi di comunicazione, per ascoltare la Parola di Dio, elevare una supplica in questo tempo di prova e adorare il Santissimo Sacramento. Al termine della Celebrazione il Santo Padre impartirà la Benedizione ‘Urbi et Orbi’, a cui sarà annessa la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria”.
Il momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia durerà circa un’ora. Nei pressi del cancello centrale della Basilica Vaticana saranno collocati l’immagine della Salus Populi Romani e il Crocifisso di San Marcello. Dopo l’ascolto della Parola di Dio, Papa Francesco terrà una meditazione. Il Santissimo Sacramento sarà esposto sull’altare collocato nell’atrio della Basilica Vaticana. Dopo la supplica, seguirà il rito della Benedizione eucaristica “Urbi et Orbi”.
Il cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica di San Pietro, pronuncerà la formula per la proclamazione dell’indulgenza.
Vale la pena leggere direttamente, quanto stabilisce il decreto della Penitenzieria apostolica pubblicato lo scorso 20 marzo:
«Si concede l’Indulgenza plenaria ai fedeli affetti da Coronavirus, sottoposti a regime di quarantena per disposizione dell’autorità sanitaria negli ospedali o nelle proprie abitazioni se, con l’animo distaccato da qualsiasi peccato, si uniranno spiritualmente attraverso i mezzi di comunicazione alla celebrazione della Santa Messa o della Divina Liturgia, alla recita del Santo Rosario o dell’Inno Akàthistos alla Madre di Dio, alla pia pratica della Via Crucis o dell’Ufficio della Paràklisis alla Madre di Dio oppure ad altre preghiere delle rispettive tradizioni orientali, ad altre forme di devozione, o se almeno reciteranno il Credo, il Padre Nostro e una pia invocazione alla Beata Vergine Maria, offrendo questa prova in spirito di fede in Dio e di carità verso i fratelli, con la volontà di adempiere le solite condizioni (confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre), non appena sarà loro possibile »
March 20, 2020
Accettare ciò che non vogliamo: un malato in famiglia
di don Vincent Nagle* (Cappellano della Fondazione Maddalena Grassi)
Milano, San Carlo alla Ca’ Granda, venerdì 16 marzo 2018
Lavoro per la fondazione Maddalena Grassi, non lavoro per la Chiesa, sono dipendente di una ditta privata però devo fare comunque il prete e come piace a me: in prima linea. La Fondazione Maddalena Grassi è una fondazione di cura sanitaria nata 26 anni fa da un gruppo di persone cristiane che lavoravano nel settore sanitario (medici, infermieri, amministratori, terapisti) che hanno pensato che attraverso l’esperienza cristiana forte che loro vivevano avevano un modo di fare medicina per cui trovavano poco spazio nelle strutture in cui erano già impegnati.
Volevano poter fare cura medica facendo compagnia al malato, invece che fare solo un lavoro, rispondere solo alla malattia, alla ferita, invece di andare a risolvere il problema volevano poter andare ad accompagnare la persona malata anche, soprattutto se vuoi, attraverso le loro competenze. Quindi hanno cominciato a fare una caritativa, un volontariato, in cui andavano verso le persone più vulnerabili, le persone più isolate, le persone più disperate, persone con malattie da cui non sarebbero guariti, persone gravemente malate che non avevano nessuna prospettiva medica di recupero. Hanno cominciato proprio nel momento in cui c’è stato l’apice del dramma dell’AIDS, una malattia del sistema immunitario, che colpisce soprattutto persone tossicodipendenti o prostitute o prostituti, cioè una popolazione diciamo fuori dal sistema della vita, senza una rete di amicizie, una rete di persone famigliari, senza una rete sociale capace di sostenerli e accompagnarli. Persone gravemente malate senza prospettiva di guarigione. È cominciata come una caritativa: poche persone che andavano verso poche persone per qualche ora alla settimana e adesso abbiamo quasi 260/280 dipendenti e abbiamo in cura 900 persone (oltre a un centinaio di altre persone, anche loro inguaribili, curate in un’altra struttura, sempre afferente a noi). Di queste persone, più di 800 sono a domicilio, in famiglia, in casa, tante sono le persone non accompagnate da famiglia o da compagni stretti, altri invece lo sono. Abbiamo diverse strutture, alcune in grado di accogliere persone in stato vegetativo permanente o di accogliere e accompagnare persone con gravi malattie psichiatriche, strutture che ospitano persone ad uno stadio molto avanzato dell’AIDS, abbiamo 3 hospice (struttura che accoglie persone che vanno verso la parte finale del loro percorso di malattia e di vita, dove ricevono le cure palliative).
Poco fa sono arrivato da una struttura, non nostra – dato che sono dentro questo campo tante persone mi chiamano, anche non della Maddalena Grassi, e cerco di dire sì quando è possibile – e sono andato a visitare una ragazza che non ha nessuna storia di fede o di Chiesa, praticamente nessuna storia di famiglia, ha 35 anni ed è stata messa in un hospice lunedì. E’ una persona che non accetta minimamente che si stia avvicinando alla morte però ha fatto una osservazione molto giusta: diceva che lì ti fanno stare bene, puoi mangiare quello che vuoi, non ti danno nessun menu dicendoti che è per la tua salute…no no, e io le ho detto “sì, chiaro, nell’ospedale stavano cercando di farti guarire e quindi, come si fa con chi è nel mezzo di una lotta, ti mettono sotto ogni tortura pur di avere l’esito, adesso nessuno vuole metterti sotto nessuna tortura, lato positivo” (lei ha tutte le intenzione di tornare a casa sua, vedremo, non credo). Però sono molto grato a Dio di avermela fatta incontrare, sono molto molto contento, c’è molta strada da fare per lei, però… E di questa strada ora vi vorrei parlare.
Quindi io lavoro così, lavoro con persone gravemente malate (e le loro famiglie), di malattie da cui non guariranno se non con un intervento diretto del soprannaturale, che non è escluso però non è previsto. Come ho detto, quasi tutti sono in casa. La questione è come avvicinarsi a persone in queste condizioni e come aiutarle e perché aiutare persone così, non è automatico, nessuna di queste domande ha una risposta automatica: perché avvicinarsi e come aiutarle.
Anni fa, quando ero prete negli Stati Uniti, per 10 anni ho fatto il cappellano in ospedale (quindi non sono nuovo a questo ambiente) e non so quanti preti nel corso di quei dieci anni in cui mi presentavo “io sono cappellano, lavoro in ospedale, ecc…”, quanti preti mi hanno detto seccamente: “meglio te che me, io non potrei mai fare quel lavoro lì. Meno male che hai detto di sì tu, io non potrei farlo”, e non dicevo niente ma anche io dicevo tra me e me: “…e nemmeno io!” a volte. E capivo perfettamente quello che loro volevano esprimere con grande franchezza, onestà e sincerità (tra l’altro anche davanti al grande compito di Parroco credo di dover dire “meglio te che me, Jacques” – [don Jacques: “confermo…”]. Capivo e capisco queste osservazioni perché non è automatico e non è una questione legata al dire “sono una persona buona – per quanto uno faccia finta di essere più o meno buona – sono una persona generosa, voglio aiutare l’altro, ho un sentimento di compassione e sento molto struggimento e pietà per chi soffre ‘o povero, povero…’ perché sono una persona buona, con dei buoni valori, buoni principi e perciò mi faccio vicino per aiutare qualcuno che è in queste condizioni”. Non funziona così, non c’è nulla di automatico in questo. Ci vuole un passo, un passo significativo. Qual è questo passo? Questo passo è imparare (e dico imparare, perché è una cosa che va imparata), imparare a fare compagnia. Imparare a fare compagnia, come ho già detto, non è automatico. In cosa consiste? Come fare compagnia a una persona così?
Come ho detto non è automatico: oggi avevo paura entrando nella stanza di questa donna. L’avevo vista un mese e mezzo fa, era ancora a casa, le avevo regalato una bellissima statua della Madonna che avevo comprato per parecchi soldi a Medjugorje. Sono entrato nella sua stanza oggi nell’hospice e ad un certo punto ho guardato e ho detto: “non hai portato la Madonna?” e lei “no, l’ho rotta, l’ho distrutta, l’ho buttata contro il muro e l’ho calpestata con i piedi. Ero così arrabbiata! È così ingiusto che io debba morire!”. Le ho detto che ha fatto benissimo, Lei ce la fa, è tosta la Madonna! E se devi prendertela con qualcuno, lei e suo figlio sono tosti, non aver paura, fallo pure! Cioè in altre parole… “non farlo con me per favore!”. Perché uno ha fifa!
Due o tre giorni fa mi hanno chiamato da una persona che ha un gravissimo male ai polmoni che lo fa respirare sempre di meno e soffoca ogni giorno di più, si sente sull’orlo della disperazione di ora in ora, morirà entro un anno più o meno e la tortura sarà incrementata ogni giorno e lui voleva capire perché non togliersi la vita adesso. Io avevo fifa, ho sempre fifa, non ho la risposta, non ho la soluzione, non ho la parola che scioglie il nodo (faccio riferimento alla preghiera che piace a Papa Francesco, che ama pregare la Madonna che scioglie i nodi, chi scioglie i nodi è lei ma io no…). Allora come avvicinarsi? Non è una cosa da dare per scontata.
Parlavo settimana scorsa ad una facoltà di medicina e c’erano trecento medici, metà studenti metà già in campo, il tema della mia lezione (ho parlato con loro per due ore) era: per voi che siete addestrati a risolvere problemi grossissimi, difficili, complicatissimi, per voi che siete educati, allenati ad avvicinarvi per risolvere problemi che nessun’altro può risolvere, per voi che sul campo del lavoro siete giudicati per poter o meno risolvere i problemi (i vostri datori di lavoro stanno misurando questo, non stanno misurando altro), che vantaggio ci potrebbe mai essere ad avvicinarvi alla persona anche quando non si è in grado di risolvere il problema? Che vantaggio ci potrebbe essere per te nel guardare oltre alla malattia, oltre alla ferita, oltre al problema e guardare negli occhi senza la pretesa di essere colui che scioglie i nodi a quella persona e vedere in modo nudo la sua angoscia, la sua paura e il suo dolore? Che vantaggio ci potrebbe mai essere per te? E quindi faccio a voi la stessa domanda. Perché avvicinarsi vuole assolutamente dire questo: guardare in faccia, senza risposta, senza obiezioni, lasciandosi aperto alla paura, all’angoscia, al dolore dell’altro. Come farlo e che vantaggio ci potrebbe mai essere per te? È una cosa tutt’altro che automatica. Anche uno con buonissime intenzioni, ottime intenzioni, uno di famiglia, di casa, amorosamente e profondamente legato fa fatica, molta fatica.
Ricordo una volta, quando ero cappellano in ospedale, c’era un uomo anziano che entrava e usciva dall’ospedale finché è morto, un uomo anziano, già in pensione che per cinquant’anni era stato il pastore protestante più importante di quella città (non ricordo più, forse di 75.000-100.000 abitanti), era una città piuttosto protestante e lui era stato fin dalla gioventù il punto di riferimento più importante della comunità protestante e perciò anche di tutta la città. Un uomo che ha vissuto una vita veramente valida. E io, come cappellano cattolico di questo ospedale, senza nessuna pretesa di fare alcun ministero nei suoi confronti (aveva tutti i pastori protestanti della città che lo avevano sott’occhio), passavo per rispetto, per presentarmi, per salutare, non di più e senza altra pretesa. Fra l’altro aveva attorno a lui la sua famiglia e questo è un altro segno che aveva vissuto una vita da uomo, aveva una famiglia splendida intorno a lui, persone belle, mature, generose, fedeli. Io entravo e mi avvicinavo a lui, perché è così che faccio, mi mettevo anche in ginocchio di fianco a lui perché era seduto su una sedia a rotelle e lo guardavo negli occhi. Lui, che soffriva, mi diceva i suoi lamenti, “nessuno mi capisce, io soffro, mi fa molto male, non riesco a respirare” (non so, non mi ricordo esattamente i lamenti) mi guardava in faccia mentre io gli prestavo attenzione, solo per portare rispetto per dire ecco io ci sono, ecco sono il prete ciao ciao. Lui comunque mi diceva queste cose, io lo ascoltavo e gli dicevo: “sì sì, vedo che stai soffrendo, vedo vedo, ci credo, mamma mia ci credo, oh davvero, capisco e se non capisco almeno ti credo, ti credo”. Facevo tre o quattro minuti al massimo così e poi uscivo “ciao, ciao”, non ero lì per fare chissà quale percorso con questa persona. Però ogni volta che facevo questo gesto notavo attorno a me nei famigliari – non so – una scossa, qualcosa non andava, una reazione forse non esplicita ma anche io, che sono la persona meno sensibile che ha mai camminato sulla faccia della terra, anche io percepivo qualcosa però… “non è un problema mio, io non c’entro, ciao ciao”. Dopo la quarta volta che passavo di lì, una delle figlie è uscita, mi è venuta dietro e mi ha detto: “grazie, grazie!”, “ma no, grazie di niente, è dovere! Tuo papà è una persona molto rispettabile, tutto bene”, “no ma grazie! Non sai quanto ci hai fatto capire, quanto ci hai insegnato!”…”Insegnato…io sono passato di lì tre o quattro minuti” “no no, tu non hai capito” e ha cominciato a piangere, poi ha ripreso controllo di sé, io un po’ avevo il terrore di avere fatto uno sbaglio da qualche parte (ho sempre il terrore di queste cose, perché le conseguenze dei miei sbagli sono forti..) e lei ha detto “no perché, non so, prima quando lui faceva tutti questi lamenti, ci diceva quanto soffriva, quanta paura aveva, quanto era frustrato dall’incapacità dell’ospedale, dei medici e nostra di aiutarlo e noi dicevamo «dai papà, su, non essere drammatico, dai non è poi così tragico, dai su papà», ma tu vieni dentro e lo ascolti, lo ascolti e lasci che lui esprima il suo sgomento, la sua paura, la sua angoscia” e dopo questo ha cominciato a piangere veramente a dirotto con grandi singhiozzi e ha detto: “noi l’abbiamo lasciato tutto solo, perché ci rifiutavamo di fargli questa compagnia”.
E perché non guardare in faccia in modo nudo l’angoscia, la paura e il dolore dell’altro? Tra l’altro, per favore, diamo una definizione a questa parola “angoscia”, che per me è estremamente importante (se posso indicherei anche una piccola lettura Curarsi e curare un discorso dell’ex arcivescovo cardinale Angelo Scola del 2016 a Medicina e Persona in cui parla del dramma dell’angoscia, è una lettura, come sempre per quelle di Scola, non necessariamente facile che però ripaga). Cos’è l’angoscia? È la percezione articolata o meno della fine, della morte, della mortalità, dell’incapacità di stare sulla terra, dell’annullamento della mia esistenza terrena. L’angoscia è questa percezione – articolata in modo chiaro o comunque, anche se non articolata, percepita e sentita – senza una chiara visione di un buon destino, senza poter afferrare qualcosa per cui vale la pena accettare questo fatto. Questa è l’angoscia. E l’angoscia è uno di quei sentimenti che, quando ti prende, è insopportabile. L’angoscia umanamente non è sopportabile, è una posizione che, come quella fibrosi nel polmone di questo povero uomo, ti soffoca, hai bisogno di aria, fai qualunque cosa pur di allontanarla.
E qual è la difficoltà di guardare in faccia l’angoscia dell’altro? Il problema di guardare in faccia l’angoscia dell’altro è il fatto che subito ti richiama alla tua angoscia. Svela subito, mette a nudo, la tua angoscia. La maggior parte di noi è così brava a non pensarci, a sopprimere, a nascondere, a non guardare, a non pensarci come se questa angoscia non ci fosse. Questa angoscia è un mare e la nostra esistenza quotidiana è solo una piccola isola galleggiante sopra questo mare (di angoscia), di terrore della morte. È insopportabile e quindi l’avvicinarsi, il lasciarci colpire, guardare in faccia l’angoscia dell’altro senza poter risolvere il problema in nessun modo: come si può e perché sarebbe a mio vantaggio il farlo? Sono convinto che quando le persone si tolgono la vita è l’angoscia che non sopportano, non è il dolore né il limite di non poter camminare più, vedere più, fare le cose di una volta, non è neanche la solitudine in sé e per sé ma è l’angoscia a essere insopportabile.
Io che accompagno centinaia e centinaia di persone in situazioni gravi posso dire che c’è un fattore comune tra queste persone, anche per il famoso dj Fabo – ero io il suo prete anche se lui si è tolto la vita (cosa che per me è stata veramente orrenda, io ho sofferto molto per questa cosa, come i miei compagni di casa sanno, li ho messi in imbarazzo per 5 mesi. Ricordo una volta al Mc Donald’s….non riuscivo a non piangere, ho passato tutta la cena solo a piangere, è stato molto imbarazzante per me…). Tutte queste persone che seguiamo, anche lui, anche dj Fabo, esprimono un unico desiderio: vogliono vivere ma non sanno vivere così, non con questa angoscia e neanche noi che forse non abbiamo le stesse prove, forse anche noi non sappiamo vivere così.
Come nell’esempio di quella famiglia di cui vi ho parlato prima, una famiglia splendida, intatta, sana, amorosa, generosa, anche loro non riuscivano a stare vicino, tanto meno noi che siamo un po’ meno perfetti. Come fare, che passo ci vuole? Conosco una famiglia, hanno tre maschi, l’ultimo è uno di quei figli d’oro, a scuola tutti gli insegnanti non riuscivano a esprimere abbastanza la gratitudine per avere uno studente così in classe, in parrocchia il parroco diceva “Meno male che tra i giovani c’è uno come lui a cui tutti gli altri vanno dietro”, era anche molto bello fisicamente. Ha avuto un incidente in motorino e a 15 anni è stato in stato vegetativo permanente. Il suo sistema fisico è ottimo però con uno stato di coscienza difficile da definire, questo stato vegetativo, però diciamo che al meglio si può dire minimo al peggio si può dire sotto il minimo. E comunque, la prima volta che sono arrivato a casa loro (ricordo benissimo, ho un po’ di esperienza e alcune cose riesco a percepirle subito ormai) nella conversazione con i due genitori – bravi, cristiani molto impegnati, coinvolti nella parrocchia, si prendono cura loro del loro figlio, lo tengono in casa, non lo mettono in una struttura – comunque c’era qualcosa che non andava: dopo venti minuti che ero lì a parlare con i genitori e la badante ho detto al papà, solo per intuito, “andiamo noi due in cucina a parlare”. E davvero dopo trenta secondi lui ha cominciato a dire “voglio portare mio figlio in Svizzera per fare finita questa storia” E ho detto: “Ok, va bene, dimmi, raccontami perché vuoi portare tuo figlio in Svizzera, a ucciderlo?”. “Ma non possiamo lasciarlo in questa angoscia, non possiamo lasciarlo così, guardalo! tutto chiuso in questo corpo che non risponde mai, chiuso in questo letto, chiuso in questa camera, chiuso, prigioniero. Non possiamo lasciarlo in questa angoscia!”. Io gli ho detto: “ma questa che stai dicendo è veramente una considerazione grossa grossa, però io non so dell’angoscia di tuo figlio, io non so che angoscia provi e quanta ne provi, ma so una cosa…che il motivo per cui mi stai dicendo questo, così di getto dopo trenta secondi a tu per tu, non è per l’angoscia di tuo figlio ma per la tua”. E se posso fare una nota leggermente politica, queste leggi che ci propongono per risolvere il problema non ce le propongono per compassione di chi soffre ma per liberare noi dalla nostra angoscia davanti a persone così, liberarci dicendo: ehi, abbiamo messo nelle vostre mani i mezzi per risolvere il problema, quindi non ho più la responsabilità di avvicinarmi a te e guardare te in faccia, sono liberato da questa responsabilità, da questa angoscia perché abbiamo fatto passare queste leggi. Non è l’angoscia di chi soffre che detta queste leggi, è l’angoscia di chi fa le leggi.
E poiché noi siamo angosciati non facciamo nessuna protesta, nessuna, sì ammazziamoli perché ho l’angoscia e non la sopporto. Fine della nota politica, scusate se urto le sensibilità sociali. Questa è la sfida per noi: come rispondere a questa sfida? Un termine per rispondere a questa sfida si chiama ipotesi di valore e questo è un termine per me molto importante. Entrambe le parole sono molto importanti. Cosa intendo con questa ipotesi di valore?
Cominciamo con il secondo termine che è valore. Un’ipotesi che dice: io voglio vedere, voglio scommettere che anche la tua vita vale la pena di essere vissuta, anche una vita come la tua, che mi fa terrore, vale la pena di essere vissuta. Valore vuol dire questo: che vale la pena.
Però c’è da sottolineare il primo termine, la prima parola: ipotesi. Perché dico ipotesi e non certezza? Fra l’altro un’ipotesi ha anche della certezza sotto. Quando uno scienziato mette su un progetto per un esperimento in cui si spenderanno 10 milioni di dollari e lui passerà sei anni della sua vita per verificare un’ipotesi…è un’ipotesi ma dentro di lui c’è anche una certezza, altrimenti non lo farebbe. Però deve essere verificata. Perché dico ipotesi?
Per spiegarlo racconto un’altra storia.
Quattro anni e mezzo fa, un sabato mattina di settembre, a mezzogiorno, un mio amico (che ho incontrato nel 1987 – ci conosciamo da allora, era un neolaureato all’epoca e adesso è papà di famiglia, anzi è nonno) mi chiama, è sconvolto e mi dice: “ho bisogno del tuo aiuto”. E io mi dico: che cosa è successo? io conosco bene la sua famiglia, sua moglie e i suoi figli. Sento nella voce che è qualcosa di grosso. E lui dice: “ho appena ricevuto una telefonata”. E io “ok, raccontami”. “E io non voglio andare” mi dice lui. È molto sconvolto, ma dopo tante domande capisco questa storia. Lui, da più di dieci anni forse undici/dodici, fa caritativa una volta al mese, porta il pacco di alimentari a diverse famiglie povere. C’è una famiglia in particolare che conosce da tutti questi anni, e in tutti questi anni non ha mai perso un mese nel portare questo pacco, è fedele, e quando lui ha cominciato ad andare in questa famiglia c’era la mamma e la figlia adolescente, però passati gli anni ci sono la mamma, la figlia, e la figlia della figlia. Non c’è il marito in giro (i figli vengono per natura… la famiglia per la grazia). E c’è una bambina, 8 anni, lui è stato lì alla sua nascita, è stato lì per ogni suo compleanno, e poi l’ha vista ogni mese per tutta la sua vita in questi 8 anni. Loro (cioè la mamma e la nonna) l’hanno appena chiamato per chiedergli di andare lì da loro. Quel sabato mattina era passato da casa il papà che come tutti i sabati passava a prendere la bambina. Però lui aveva anche un figlio da un’altra donna vicino e andava anche da lei a prendere il bambino e passava il sabato coi suoi figli e poi li riportava. Questa volta era venuto a prendere i figli e poi, tornato a casa, li ha uccisi (a Seregno, 5 anni fa circa). La prima cosa che hanno fatto è stata chiamare lui e volevano che lui andasse lì. E lui non voleva andare. Perché provava angoscia. Gli ho chiesto: “perché non vuoi andare?”. “Ma no, non posso, perché ho paura”. “Ho capito che hai paura, io ne ho solo sentendoti; però tu hai vissuto una grande storia di bellezza, di vita, di speranza. Lascia che questo ti mandi”. “No, tu non hai capito niente, perché…”, “Cos’è che non ho capito?”, “Tutte quelle certezze che 15 minuti fa, un quarto d’ora fa, tutte quelle certezze che io portavo con me in tutta la mia vita non le ho più, non le ho più”. Io gli credevo. E non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare e aveva paura di guardarla in faccia, questa angoscia, questo dolore, questa paura. Quindi gli ho detto: “Sono contento che mi dici questo perché così entrerai in quella casa povero come loro sono poveri. Però proprio perché hai vissuto la storia che hai vissuto, anche tu entrerai in quella casa e tu con il tuo sgomento, la tua rabbia, la tua confusione, la tua paura, tu dirai: e Tu dove sei? Tu farai la domanda di un’evidenza, la domanda di una verifica e non potrai farne a meno, perché queste due donne non ce la fanno a fare questa domanda, non hanno la tua storia e sono schiacciate, la realtà per loro si è dimostrata essere omicida, senza pietà, la realtà che ha tolto da loro il loro tesoro, in modo disumano. Loro non ce la fanno a interrogare la realtà, a interpellare la loro esperienza. Ma tu andrai in questa casa e lo farai tu. E se per caso tu vedi che Lui risponde sarai tu capace di dire: hai visto? hai sentito? hai notato? Ma pensa un po’! Sarai tu”.
Mi ha chiamato dopo una settimana e mi ha detto: “Sono appena tornato dal funerale e il prete nella predica ha detto: Noi siamo stati tutti smarriti da questa tragedia, e chi di noi avrebbe mai pensato, avrebbe mai osato pensare che questa sarebbe stata la settimana delle meraviglie, dei segni!”. E questi sono i segni che normalmente la persona, in prima persona non è capace di intercettare, perché è smarrito, così schiacciato. Ma una compagnia rende intercettabili questi segni, visibili, percepibili, una compagnia può indicare l’opera del Mistero a nostro favore. Ma compagnia si fa con questa ipotesi di valore, ipotesi perché non puoi portare dentro dal di fuori la risposta all’angoscia di queste persone, non puoi dire: ecco, tiro fuori dalla mia tasca quello che risolve.
Tu vai lì, con una ferita, però con questa ipotesi che dice: dove sei? fatti vedere. E quando tu lo vedi dici: ma pensa un po’, hai visto!? E questo apre tutte le esperienze dell’altro, diventa una compagnia, non solo tua ma del Mistero che gli vuole bene.
Tornando a questo signore con la fibrosi al polmone, sono stato due ore a casa sua e gli ho detto: “Tutto il male che hai addosso è tutto in preventivo, cioè in bilancio, già messo in conto e quindi tu guardando avanti, vedi tutto quel male che ti aspetta già scritto, già prefissato e guardando in avanti lo senti tutto già addosso. Non solo il male di oggi, la sofferenza di oggi, ma già stai soffrendo le sofferenze dei mesi prossimi, il soffocamento che sarà la tua morte lo stai già soffrendo ora, perché è tutto in preventivo, non so se mi spiego. Però dobbiamo accogliere la parola di Gesù: “non affannarti per il domani, a ciascun giorno basta la sua pena” (cioè lascia a domani il peso di domani), l’oggi è quello che conta. E perché conta l’oggi? E perché vivere oggi? E gli ho detto: “Ma c’è qualcosa che è capitato oggi, qualcosa che hai visto oggi, che hai sentito oggi, qualche battuta che hai scambiato con tua moglie oggi, un ricordo che ti è venuto oggi, qualcosa oggi, un momento per cui valeva la pena di esserci?”
E lui ha detto: “Si”. Gli ho chiesto: “Che cosa?”. “Quando ti parlavo dei miei nipotini, ero così felice”; “E altro?”. “La tua visita”. Io non so come sarà domani. Perché gli ho detto: “il male è già impastato da quando sei nato, le uniche due garanzie della tua vita sono che tu devi soffrire, che tu devi morire. Già, le uniche due garanzie, tutto il resto è promessa. Ma promessa e garanzia non sono mica la stessa cosa. Però questi momenti, questi segni di una realtà che non ti è nemica, ma misteriosamente, attraverso questa valle di lacrime, ti accompagna, questa Grazia – perché è Grazia – non è in preventivo, non è sulla bilancia, deve venire liberamente, gratuitamente, come vuole.
Sta a noi essere aperti, intercettare questi segni. Però, per intercettare, ci vuole una compagnia, quelli che ti si fanno vicino – e vicino non vuol dire solo fisicamente ma con un’ipotesi di valore. Perché ho detto ipotesi? Perché può essere verificata solo sul campo, non viene “dentro” preconfezionata. E che vantaggio c’è per noi nel fare così, nel fare compagnia? perché quando noi “vediamo” – cioè non facciamo niente ma siamo solo testimoni che dicono: hai visto? ma pensa un po’! – quando viene fuori un momento innegabile di verità, di bellezza, di perdono, di stupore, di gratitudine, siamo noi a essere liberati dalla nostra angoscia e usciamo da quel posto liberi, come non lo siamo mai stati. Questo non risolve la prossima volta, ogni volta deve essere vissuta come un rischio; però quando vediamo che veramente c’è un Altro all’opera a nostro favore, siamo noi ad uscirne più vivi, più liberi, come non siamo mai stati prima. Il vantaggio è per noi.
Avrei tante storie da raccontare stasera per spiegare questo, però finisco con una sola storia ancora, sono alla fine, l’ultima battuta. C’è da dire che quando sono uscito dalla casa del malato di fibrosi, lui mi ha detto una cosa bellissima: “Tu vieni qua, ma quando sto soffrendo viene fuori da me una persona che non voglio riconoscere (la persona angosciata, la persona arrabbiata, la persona che non sostiene, non sopporta la vita, la persona irragionevole, terrorizzata), viene fuori questa persona sconosciuta, sono un altro”. Io gli ho detto: “Meno male, perché finalmente ti esponi e puoi essere amato fino in fondo come mai prima”. E lui mi ha guardato, mi ha preso le mani e ha cominciato a baciarle. Quando ero arrivato, lui era tutto angosciato e voleva suicidarsi, mentre quando sono partito aveva tutta un’altra ipotesi, di gratitudine.
È come quando, la settimana scorsa, sono stato invitato a tenere una lezione. La dottoressa che mi aveva invitato a tenere questa lezione, un’oncologa, la settimana prima mi aveva parlato di una sua paziente che era malata di cancro al quinto stadio, quindi siamo alla fine. Lei – la malata – è una persona ricchissima, una contessa, con una casa di tre piani, vicino alla Scala, in via Montenapoleone. A volte i soldi riuniscono, ma spesso anche dividono. Come in questo caso: la sua famiglia già da tanti anni era completamente divisa, lei era separa da tutti, non si era mai sposata, aveva conviventi vari, ma era così sola che quando si è scoperta malata ha voluto andare in un albergo del centro, il Four Seasons, pur di non sentirsi sola. Quando mi ero reso disponibile ad andare a farle visita, la dottoressa mi aveva detto: no, no, lei con i preti no, è nata e cresciuta in una famiglia massona, non sa nemmeno il Padre Nostro.
E quando sono arrivato a fare la lezione questa dottoressa mi ha detto: “ho dovuto ricoverarla stamattina, è qua, sta morendo, vieni”.
Io entro al Pronto Soccorso, ed era evidentissimo che stava morendo (bene o male ho accompagnato tantissime persone e so…i segni sono chiari, per chi sa riconoscere). E lei stava vivendo questi ultimi minuti, ultima ora della sua vita e normalmente trovo le persone molto chiuse dentro un guscio, ma quando ho cominciato a parlare con lei, mi ha guardato, mi ha fissato, ha fatto questo sorriso da una parte all’altra. Ho cominciato a pregare silenziosamente e ho capito che voleva essere interpellata, quindi ho cominciato a pregare a voce alta e ogni volta che parlavo di Gesù, che parlavo della Madonna, quando pregavo Dio lei mi fissava con questo volto luminoso, come un faro di luce. E dopo averle dato la benedizione sono uscito per andare a fare la lezione e ho detto a questa oncologa: «che cosa è successo? non è questa la persona che mi avevi descritto una settimana fa…anzi!». «Non lo so!» – ha detto – «Lei mi ha chiamato ieri mattina, prima dell’arrivo di questa crisi, dicendo “Hai ragione! don Giussani ha ragione! (Perché questa oncologa l’avevo portata a qualche scuola di comunità, anche se lei diceva: Ma no questa roba di chiesa, per me è brava gente ma non è per me questa cosa) Hai ragione Gesù Cristo c’è, Gesù è vero, è vero!”». E l’oncologa avrebbe voluto quanto prima farle visita per capire di più però non c’è mai stata questa occasione. Lei è morta dopo mezz’ora, meno di un’ora dopo la nostra visita. C’era una compagnia che rischiava. Quando quel medico mi aveva parlato la settimana precedente era piena di angoscia lei, perché pensava a come avrebbe potuto aiutare questa persona. Ma è stata la sua vicinanza con un’ipotesi di valore che ha aperto quella signora alla scoperta dell’opera di un Altro. Non è stata lei a risolvere qualcosa ma è stata la sua vicinanza con un’ipotesi di valore che non solo ha fatto fare a questa donna una morta santa come pochi di noi faranno, non solo questo, ma ha reso lei stessa piena di stupore e gratitudine nella sua vita, nella sua vocazione e nella sua professione. Questo è un vantaggio ragazzi miei, e quindi ho raccontato a quei medici questa storia con lei al mio fianco. Ho raccontato questa e altre storie. Ero arrivato per tenere la lezione con le prime sei pagine del mio discorso già scritte perché c’era il traduttore (io parlavo in inglese perché la Facoltà di Medicina è in inglese e gli studenti sono stranieri però la metà degli uditori erano personale dell’ospedale e quindi c’era lui a tradurre). Io e il traduttore ci eravamo incontrati per capire alcune cose e metterci d’accordo. Alla fine della lezione lui è uscito dalla stanza da cui aveva fatto la traduzione per gli altri ed è entrato nella sala, prima ha parlato con questa stessa dottoressa e lei gli ha detto: “questo lo devi dire a lui”. E cosa mi ha detto? Lui (che ha la mia stessa età), buddista da tutta la vita praticamente – è occidentale ma a 22 anni è diventato buddista – ha detto che per la prima volta da quando fa questo lavoro delle traduzioni, per la prima volta in 30 anni che fa questo lavoro lui ha pianto facendo la traduzione. Perché in una o due di queste storie ho raccontato la meraviglia della sua esperienza di accompagnare la sua mamma alla morte e lui ha detto è un’ipotesi di valore: “Certo la mia ipotesi non è la tua ma è stata questa ipotesi di valore che ha permesso a me di domandare dentro questa esperienza”. Noi abbiamo la fede o, almeno, siamo qui, dentro una casa costruita per aiutarci nella fede. E la fede non è la risoluzione dei problemi, ma fa vivere, fa nascere dentro di noi la possibilità di entrare nella vita con un’ipotesi di valore, che però ha bisogno di essere verificata sul campo. Non è una prevenzione ma una speranza che nasce e rinasce. Bene, chiediamo che questa Quaresima ci faccia andare fino in fondo a questa ipotesi di valore.
don Jacques: Abbiamo un po’ di tempo, se qualcuno desidera fare una domanda, un commento, può venire qui davanti, c’è il microfono.
Ciao, mi ha molto colpito quando tu hai parlato dell’esperienza della paura a stare di fronte alla angoscia dell’altro. Questa è anche la mia paura. Io vivo questa esperienza rispetto a mio fratello, che è malato psichiatrico. E pur vivendo una vita di fede – che, come dici tu, permette di non lasciarsi abbattere dalle cose ma di essere sempre protagonisti – di fronte alla paura che a volte mi prende io mi paralizzo. Quindi non è che la fede mi faccia “scomparire” questa cosa. E vorrei imparare, non con una strategia o con un trucco (tu hai detto che non c’è meccanismo e questo è verissimo), come umanamente stare di fronte a questa paura senza censurarla.
don Vincent: È molto semplice, noi siamo discepoli di don Luigi Giussani o almeno figli di don Massimo Camisasca che era figlio di Luigi Giussani (don Massimo Camisasca è l’attuale vescovo di Reggio Emilia, fondatore della Fraternità San Carlo). Lui diceva sempre che la fede è generata da persone che a loro volta sono generate nella fede. La fede è generata nelle persone che a loro volta sono state e vengono ora generate: genera chi è generato. Ma io lo sposterei un attimo e direi: riesce a far compagnia chi è accompagnato. Riesce a far compagnia, cioè ad andare avanti con un’ipotesi di valore anche davanti all’angoscia, paura, dolore dell’altro, chi si lascia accompagnare da chi guarda te nel tuo dolore, nella tua angoscia. E quando noi ci lasciamo accompagnare in modo sincero, drammatico, nel reale in quanto questa compagnia esiste per noi ci sarà di più la possibilità di fare compagnia all’altro. Cos’è l’Incarnazione? È la compagnia di Dio all’uomo, con un’ipotesi di valore anche in queste circostanze. Circostanze che da sé non potrebbero mai far suscitare un’ipotesi di valore di nessun tipo e in nessun modo. È perché c’è Lui che diventa ragionevole avere questa ipotesi di valore. Emanuele, si chiama, Dio tra noi, cioè Dio che ci fa compagnia. Il grande grido degli Ebrei nel deserto nei primi mesi con Mosè e gridano arrabbiati e terrorizzati: “Ma Dio è con noi o no?” – è LA domanda umana e non c’è mai una risposta definitiva per tutti i tempi, è la domanda che si apre sempre di più esperienza di fede, perché c’è sempre più speranza di una risposta. La domanda non si chiude ma si apre sempre di più: Dio è con noi o no? Coloro che vivono la compagnia così, con questa domanda aperta, perché deve essere verificata. “Dio è con noi o no?” Questo è l’aiuto più pertinente a tornare a vivere la compagnia a chi non riesce a fare nessuna ipotesi. È troppo astratto quello che sto dicendo? Comunque ho molto in mente tuo fratello, grazie di avermelo ricordato.
don Jacques: Bene. Grazie don Vincent per questo incontro. Io non ho la tua esperienza, ma un po’ di malati li vedo come sacerdote [don Vincent: “siamo tutti qua…”], come parroco, come dici tu adesso: vedo tutti i miei parrocchiani…quindi tanti malati, quasi tutti…di qualcosa… Una cosa che mi ha sempre molto colpito, quando dicevi: qual è il passo di fronte all’altro che è malato? Imparare a fare compagnia, imparare! Quindi avere questa apertura di crescita, di cambiamento e di grazia che uno riceve quando va a trovare un malato. E c’è un segno molto significativo che mi viene in mente. Questo pomeriggio sono andato a trovare un malato. La prima cosa che ha fatto, e che ho anche desiderato che facesse, è stato prendermi la mano, senza dire una parola (e comunque non si capiva molto bene quello che diceva) mi ha preso la mano. Io, come don Vincent, come tanti di noi della Fraternità San Carlo, siamo stati in tanti paesi del mondo e quasi sempre colui che soffre ti prende per mano, è incredibile perché uno pensa di essere la soluzione e invece l’altro ti mette a nudo, come dicevi tu Vincent, e ti prende la mano perché cerca questa compagnia. È una cosa stratosferica e che fa piangere perché l’altro cerca. E quante fatiche in famiglia sarebbero vivibili con questo semplice passo, con questo semplice metodo che siamo invitati a vivere dal malato stesso. È lui che ci dà il metodo [don Vincent: qual è la prima premessa de Il Senso Religioso di don Giussani? Il metodo è imposto dall’oggetto]. Partire dall’altro. Vorrei fissare questo punto per stasera, prima di tutto per me ma spero per ognuno di voi: il desiderio, l’apertura, la domanda a Dio di imparare a fare compagnia ai nostri malati, in particolare ai nostri amici, ai nostri famigliari e lasciarsi accompagnare da loro nelle nostre angosce per fare veramente compagnia a loro.
*Parrocchie San Carlo alla Ca’ Granda e Gesù Divin Lavoratore
Incontri Quaresimali 2018
March 17, 2020
Chi prega si salva
Chi prega si salva è un piccolo libro contenente le preghiere fondamentali dei cristiani maturatesi nel corso dei secoli. Si può scaricare cliccando QUI
Questa l’introduzione di Joseph Ratzinger all’edizione del 2005.
Da che l’uomo è uomo, prega. Sempre e ovunque l’uomo si è reso conto che non è solo al mondo, che c’è qualcuno che lo ascolta. Sempre si è reso conto che ha bisogno di un Altro più grande e che deve tendere a Lui perché la sua vita sia ciò che deve essere.
Ma il volto di Dio è sempre stato velato e solo Gesù ci ha mostrato il Suo vero volto. Chi vede Lui vede il Padre (cfr. Gv 14,9). Così, se da una parte all’uomo risulta naturale pregare (chiedere nel momento del bisogno e ringraziare nel momento della gioia), d’altra parte c’è sempre anche la nostra incapacità di pregare e di parlare a un Dio nascosto. Non sappiamo cosa conviene domandare, dice san Paolo (cfr. Rm 8,26). Perciò dobbiamo sempre dire al Signore, come i discepoli: «Signore, insegnaci tu a pregare» (Lc 11,1).
Il Signore ci ha insegnato il Padre nostro come modello dell’autentica preghiera e ci ha donato una Madre, la Chiesa, che ci aiuta a pregare. La Chiesa ha ricevuto dalla Sacra Scrittura un grande tesoro di preghiere. Nel corso dei secoli sono salite, dai cuori dei fedeli, numerose preghiere con cui essi sempre di nuovo si indirizzano a Dio.
Nel pregare con la Madre Chiesa noi stessi impariamo a pregare. Sono molto contento perciò che 30Giorni faccia una nuova edizione di questo piccolo libro contenente le preghiere fondamentali dei cristiani maturatesi nel
corso dei secoli. Ci accompagnano lungo tutte le vicende della nostra vita e ci aiutano a celebrare la liturgia della Chiesa pregando. A questo piccolo libro auguro che possa diventare un compagno di viaggio per molti cristiani.
Roma, 18 febbraio 2005
Cardinal Joseph Ratzinger
March 16, 2020
Due minuti di catechismo per i bambini a casa
La serie di video “2 minuti di catechismo” nasce da padre Maurizio Botta e dai catechisti della Chiesa Nuova per permettere ai bambini delle comunioni e ai loro genitori di ripassare alcuni elementi fondamentali del catechismo nel periodo in cui sono sospesi gli incontri in parrocchia.
March 15, 2020
Distruggere la Madonnina di Civitavecchia
Una storia iniziata 25 anni fa e mai conclusa. Il 15 marzo l’anniversario della lacrimazione della statuina nelle mani del Vescovo Girolamo Grillo.
[image error] di Elisabetta Castana
Distruggete la Madonnina!
Così comandò Monsignor Girolamo Grillo, vescovo di Civitavecchia, quando il 2 febbraio di 25 anni fa apprese che nella sua diocesi una statuina di gesso sistemata nel giardino della famiglia Gregori aveva pianto lacrime di sangue.
Una storia troppo assurda per essere vera, pensò il presule. E così ordinò la distruzione della statua. Ma Fabio Gregori, insieme ai suoi famigliari, non se la sentì di ubbidire. Era troppo sicuro di aver visto la Madonnina lacrimare sangue. E dopo quel 2 febbraio era successo altre 12 volte.
Era stata sua figlia Jessica, che all’epoca aveva 5 anni, ad avvisarlo del fenomeno, ma inizialmente non le aveva creduto. Poi gli bastò toccare il liquido caldo sulla gota di gesso per avere la certezza che fosse un evento soprannaturale: un brivido sconvolgente lo aveva attraversato dalla testa ai piedi.
La notizia della Madonna che piangeva sangue si diffuse rapidamente trascinando folle di curiosi a Pantano di Civitavecchia.
Fra il 2 e il 6 febbraio di quel 1995 – anche dopo che la statuina fu posta sotto chiave dentro una teca e piantonata notte e giorno dalle forze dell’ordine – più di cinquanta persone la videro lacrimare. Fra essi anche giornalisti, sacerdoti e pubblici ufficiali.
Ma Monsignor Grillo continuava a essere scettico. Finché il 15 marzo accadde l’imprevedibile: alla presenza di 4 testimoni, la Madonnina pianse anche nelle mani del vescovo, che per lo spavento ebbe un malore. Ma tanto bastò a trasformarlo in uno dei più tenaci difensori della “Madonnina delle lacrime”.
Quella fu la quattordicesima e ultima lacrimazione della statua.
Tuttavia il caso non si chiuse lì. Ci fu un’inchiesta giudiziaria a carico di Fabio Gregori per sette ipotesi di reato, fra cui associazione a delinquere, truffa aggravata e abuso della credulità popolare. Tutto finì nel 2000 con un’archiviazione. Il giudice concluse che il fenomeno fosse da attribuire “a suggestione collettiva o a cause soprannaturali”, affermando che spettasse all’autorità ecclesiastica il compito di pronunciarsi sull’eventuale natura miracolosa del fatto.
Effettivamente, il Vescovo Grillo, nel 1995 aveva istituito una Commissione teologica diocesana che dopo un anno e mezzo emise un verdetto positivo: su 11 membri 7 erano a favore, 1 contro e 3 chiedevano ulteriori verifiche. Due di loro affermarono poi di credere all’evento, come riferito da Monsignor Grillo.
A seguito di ciò lo stesso vescovo chiese un pronunciamento anche alla Congregazione per la Dottrina della Fede, perché voleva un suggello della Santa Sede.
Roma nel 1997 acquisì gli atti pur non arrivando mai a una pronuncia ufficiale. Un silenzio assoluto, spezzato solo dalla sortita del futuro Segretario di Stato del Vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, che, in veste di arcivescovo di Genova, pertanto fuori dalla sua competenza, nel 2005 annunciò in televisione di conoscere il giudizio della Congregazione: “non constat” della soprannaturalità dell’evento. Un responso che non è stato confermato con la pubblicazione di un decreto.
Monsignor Grillo nel 2011 rivelò, con tanto di documento autografo dell’ex pontefice, che San Giovanni Paolo II aveva privatamente onorato la Madonnina, donandole anche un rosario d’oro e una coroncina, poi esposti accanto alla statuina nella chiesa di Sant’Agostino a Pantano, che il 15 marzo 2005, non a caso, fu eretta a santuario.
Ma se per il riconoscimento ecclesiastico dei fatti di Civitavecchia non era bastata la conversione di un vescovo, non servi a nulla neppure la testimonianza di un papa, per di più santo. Irrilevante anche il fatto che Grillo, l’8 dicembre 1996, durante una solenne pubblica cerimonia di Consacrazione della diocesi, avesse citato e dunque avallato i messaggi che la Madonna avrebbe trasmesso a Jessica Gregori.
Sì perché, secondo Jessica, oggi madre di famiglia, a Civitavecchia la Madonna sarebbe anche apparsa e avrebbe parlato a lei e a suo padre Fabio. I messaggi – intensi e accorati come quelli di una madre che mette in guardia i propri figli – in parte sono stati rivelati. Ma ve ne sono alcuni tuttora segreti, che riguarderebbero il futuro della Chiesa e dell’umanità, proprio come il famoso terzo segreto di Fatima, che – secondo molti studiosi – sarebbe stato parzialmente distrutto perché troppo spaventoso o troppo scomodo…
Dunque la Chiesa continua a essere prudente sulla Madonnina.
Distruggete la Madonnina!
Distruggere l’attendibilità dei fatti e rovinare l’onorabilità dei suoi protagonisti: i media possono farlo con molta facilità. Lo sa bene chi scrive, che fa televisione e ha anche dedicato a questa vicenda un documentario per la serie “La Storia siamo Noi”, andato in onda sulle reti Rai nel 2013.
Recentemente padre Flavio Ubodi, teologo cappuccino, che è stato vicepresidente della Commissione teologica che ha investigato sulla Madonnina, ha pubblicato il libro “Civitavecchia. 25 anni con Maria. Le apparizioni, i segni, il messaggio” (ed. Ares), con un’accurata ricostruzione dei fatti, i testi dei messaggi e importanti rivelazioni.
Tuttavia, proprio in concomitanza con l’uscita del volume, una seguitissima trasmissione televisiva ha accreditato la testimonianza di un paio di persone che dopo 25 anni d’inspiegabile silenzio affermano di essere stati loro a imbrattare di sangue la Madonnina. Con buona pace di tutti i testimoni oculari che l’hanno vista ripetutamente lacrimare.
Forse si tratta dell’ultimo di una serie di tentativi dei media di cancellare il ricordo di questo evento. Magari – come probabilmente è accaduto con le apparizioni di Fatima – per neutralizzarne il significato.
E allora viene da chiedersi oggi, dopo 25 anni: chi e perché vuole distruggere la Madonnina di Civitavecchia?
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