Cactus di Fuoco's Blog, page 38
March 29, 2020
Un boccaccio di Amuchina - 10. Un bracciale di salpe
<Precedente (capitolo 9)
+Un bracciale di salpe, una storia di Belarda Cigna +
Passiamo subito al sodo, vi va?Io sono Belarda Cigna, e questa è la storia che vi racconto stasera, in cambio di un po’ di Amuchina.
Su una bellissima spiaggia lontana, che aveva la sabbia bianca e fine come farina e si affacciava su un mare incredibilmente blu, c’era una casa. Non era una casa molto ricca, anzi, era piuttosto modesta, ma nonostante tutto le persone che ci abitavano la amavano molto.Non importava che fosse così piccola o che avesse un piano solo, per i suoi abitanti era una buona casa: era stata costruita abbastanza lontano dalla onde perché fosse sicura, aveva delle fondamenta solide e non li aveva mai lasciati alla mercé della pioggia o del maltempo.Nella piccola casa sulla spiaggia vivevano solo due persone: una giovane mamma e il suo bambino, un ragazzetto curioso a cui il sole aveva punteggiato il volto di lentiggini. Sua madre era una donna piccola e gentile che sembrava la personificazione di una brezza marina, con quei suoi lunghi capelli biondi e gli occhi chiari, ed il figlio le somigliava molto.Il bimbo era un tipo curioso, ma anche diligente nell’ubbidire alla sua cara mamma perché, fosse pure per tutto l’oro del mondo, non avrebbe voluto mai darle un dispiacere; così non si allontanava mai troppo dalla bella casetta anche si ritrovava spesso a giocare da solo.Conosceva ormai come il palmo delle proprie mani quel fazzoletto di spiaggia a forma di mezzaluna e tutto quello che conteneva, dai lunghi tronchi sbiancati dal mare (“le ossa di drago” li chiamava la mamma) alla pietraia a sud, piena di piccoli sassi verdastri, levigato dal moto delle onde. La sua mamma tornava a chiacchierare e giocare con lui solo di sera, dopo che aveva lavorato. Di solito poco dopo il tramonto e, se il tempo, era bello, i due facevano un bel falò e chiacchieravano seduti sulle ossa di drago.«Il mare è un amico capriccioso. Una persona puoi sgridarla» Diceva la mamma «Ma come puoi sgridare il mare, alla fine? Lui ne sa più di te. È un buon amico se sai come prenderlo, ma basta un fraintendimento e si può finire molto male»«Si può morire?»«Anche»«E papà è morto?».La donna guardava allora il mare, che era nero come se il cielo stellato si stesse sciogliendo e mescolando con le acque. Il disco della luna proiettava un proprio riflesso rifulgente e tremolante, cavalcando le piccole onde increspate che venivano a rotolare mormorando sul bagnasciuga.«No. È solo lontano» Disse alla fine«E il mare lo protegge?»«Non lo so. Forse, se si è comportato bene»«E uno deve stare sempre attento tutti i giorni?»«Sì, è così».Era una conversazione che avevano spesso, eppure ad entrambi stava bene che rispuntasse invariata di tanto in tanto.Quella volta però, il bambino protestò: «Ma non vale la pena di farci amicizia con questo mare, se è messo così».La donna rise, come se trovasse quella risposta molto ingenua, molto divertente, o entrambe.«Non proprio» Gli rivelò «Perché anche se è un poco permaloso, se diventi amico del mare puoi andare in posti dove non si può arrivare altrimenti e lui» e gli toccò la punta del naso con un indice «è generoso e ti farà moltissimi regali. Le onde portano a riva davvero di tutto, non ci hai mai fatto caso?».No, il bambino aveva dato per scontato che certe cose apparissero sulla spiaggia, ma adesso tutto aveva ai suoi occhi un significato completamente diverso: era un invito a fare amicizia del mare, che tentava di lusingarlo con belle pietre colorate e cocci splendidi, levigati perché non si tagliasse. Un giorno, il bambino decise di portare un regalo al mare. Entrò nella propria casa e piegò un foglio di carta finché non somigliò, almeno ai suoi occhi, ad un uccello, dopodiché lo consegnò alle acque salate.Il giorno dopo la corrente portò a riva un’enorme conchiglia, di quelle che se le poggi all’orecchio ti ripetono quello che il mare gli ha sussurrato prima.Il bambino sorrise e, tenendosi quell’oggetto nuovo di cui si era innamorato all’istante contro il lato della faccia, tornò a giocare. Nel suo cuore decise di provare ancora a portare un’offerta sulla spiaggia per vedere se era successo per caso o il suo regalo era stato ricambiato.La seconda volta regalò al mare un pesce di carta, e sulla riva trovò, infissa tra i granelli di sabbia come una piccola spada, una collana dorata con una catenella rotta.La terza volta gli regalò una barchetta di carta, e sulla riva, illuminata dal colore caldo del sole al tramonto, trovò un ragazzino.Il ragazzo era di qualche anno più grande del bambino, che però era in quell’età in cui quella differenza bastava e avanzava per considerare l’altro quasi uno dei grandi, e si trascinava a quattro zampe sulla rena bagnata. Somigliava ben poco al bambino ed a sua madre: aveva i capelli riccissimi e neri, e la sua pelle molto scura era imperlata dell’acqua che gli inzuppava capelli e vestiti. «Aiuto» Gli disse, e si mise a tossire forte.Il bambino si guardò attorno, un po’ disperato. Alla fine decise di tirarlo per un braccio per portarlo alla bella casetta, ma questo non fece altro che sbilanciare il ragazzino e buttarlo a faccia in giù nella sabbia. Sua madre, per fortuna, arrivò poco dopo.Tempo qualche minuto, e il ragazzo era stato fatto sedere di fronte ad un caminetto e gli era stata data una tazza di latte caldo, che lui stringeva tra le mani con forza. Era curvato in avanti, con le gambe un po’ ritratte verso il petto, come se avesse voluto proteggere quel calore a tutti i costi.I suoi vestiti erano stati un disastro, completamente zuppi d’acqua salata e della taglia sbagliata, così la mamma gli aveva dato dei vestiti con cui cambiarsi; erano comunque della taglia sbagliata, ma almeno erano asciutti e comodi, e sulle sue spalle era stata avvolta una coperta che potesse riscaldarlo.«So che sono grandicelli, visto che sono miei. Spero che vada bene lo stesso» Aveva detto la mamma con allegria, in un tono che era più una spiegazione che una scusa. Vedere la sicurezza della donna aveva tranquillizzato anche il figlio e, in qualche misura, anche il piccolo sconosciuto.Il ragazzo non aveva detto una sola parola da quando aveva chiesto aiuto. In effetti, il bambino cominciava a chiedersi se sapesse parlare. Teneva gli occhi fissi sulle fiamme, ma il bambino si era accorto che i suoi occhi scuri in realtà continuavano a saettare per la stanza e sui suoi due abitanti, vigili, prima di tornare discretamente al fuoco acceso tra una sorsata piccolissima e l’altra. La mamma non gli aveva ancora chiesto chi fosse e da dove venisse, e di questo il bambino non si capacitava: non sentiva anche lei la curiosità di saperne di più?Il bambino si lasciò cadere accanto al ragazzino con il suo sorriso di benvenuto più grande che gli riusciva e incrociò le gambe nella posizione del loto. «Mi chiamo Glauco» Si presentò, e si chiuse in un silenzio invitante. Alzò le sopracciglia. Fece un paio di smorfie. Ma niente di tutto questo scucì il nome del suo interlocutore, che si limitò a guardarlo benevolente, inclinando la testa da un lato. «Anche a me piace molto il latte» Proseguì allora Glauco, prendendo una gran boccata d’aria per prepararsi a continuare praticamente in apnea «Non abbiamo tanti soldi, ma il latte caldo l’abbiamo, e avere il latte e la mamma e la nostra casetta mi basta, perché tanto il resto me lo da il mare; la mia famiglia è amica del mare da generazioni, per questo abbiamo tutti nomi che ricordano il mare! La mia mamma si chiama Marina, infatti, e mi ha spiegato che il mio nome significa “azzurro come il mare”. Anche tu sei amico del mare?». Il bambino si zittì, pensando di aver fatto una domanda un po’ inopportuna: a pensarci bene, magari il mare non gli piaceva tanto visto com’era messo quando lo avevano trovato.A sorpresa però, il ragazzino sorrise e annuì, e i suoi occhi scintillarono come se il fuoco nel camino si fosse ingrandito. «Magari siamo parenti alla lontana» Glauco tamburellò le dita sul pavimento, sporgendosi in avanti «Io ho nove anni, ma ne faccio dieci tra un paio di settimane»«E parli come se dovessi mettere nove anni di discorsi in questa mezz’ora soltanto, povero ragazzo» lo prese in giro la mamma, e il bambino ondeggiò sul posto, mostrandosi contrito ed imbarazzato anche se non lo era affatto.«Vieni, aiutami ad apparecchiare, bimbo» Chiamò Marina, così il figlio fece un cenno di saluto al loro ospite e si rialzò, traballando per la fretta, e trotterellò accanto alla donna.«Perché non parla?» Sussurrò alla donna, mentre si impegnava a mettere le posate a posto come gli era stato insegnato«Potrebbe non sapere come farlo» spiegò Marina, mettendo i piatti a posto «O non sapere la nostra lingua. Potrebbe anche non essere pronto a parlare»«Non essere pronto? Ma è più vecchio di me!»«A volte, Glauco, quando alle persone succedono cose brutte, hanno bisogno di spazio e possono smettere di parlare per un po’, finché non si sentono più tranquille. L’età non c’entra. Se gli è successo ed è per questo che è finito sulla nostra spiaggia, potrebbe aver smesso di parlare; per questo dobbiamo lasciarlo un po’ in pace e forse, se è in grado di farlo, ci spiegherà che cosa è successo».Il bambino ci pensò su, assimilando le nuove informazioni. Al ragazzo venuto dal mare poteva essere successo qualcosa di brutto. Non era così ingenuo da non sapere cosa fosse un naufragio e il fatto che, di norma, ai ragazzi ed alle ragazze troppo giovani non era permesso imbarcarsi da soli. Il ragazzo sembrava illeso, anche se la stanchezza era chiara in ogni suo gesto e, man a mano che si calmava, anche in quei suoi occhi vigili. Ma chissà dov’era il resto dell’equipaggio... «Quindi adesso vivrà con noi?» Chiese Glauco, senza essere sicuro di come sentirsi a riguardo. Da una parte, avere qualcuno con cui passare la mattinata mentre la mamma era via sembrava incredibilmente divertente, dall’altra, era così abituato a passare quel tempo sulla spiaggia da solo da esserne diventato quasi geloso.«Potrebbe avere una sua famiglia che lo aspetta» disse gentilmente la mamma, mettendo un freno alle sue fantasie «Meglio non fare troppi progetti per ora»«Quindi che facciamo ora?»«Ora» disse Marina, toccandogli la punta del naso con l’indice «Si mangia».Così, almeno per un po’, il ragazzo rimase nella bella casetta sulla spiaggia.Come aveva detto la mamma, poco a poco il ragazzo iniziò a dire qualche parola. La prima che disse fu: «Grazie» la notte del secondo giorno, prima di andare a dormire, e la disse a Marina. Però anche Glauco lo sentì e andò a dormire soddisfatto: ora che aveva sentito di nuovo quella voce melodiosa, era sicuro di non essersi immaginato la prima richiesta d’aiuto, e che un giorno avrebbe potuto rispondere alle sue domande.La mattina del terzo giorno, Glauco si svegliò in casa da solo.Quando andò in sala da pranzo trovò la colazione già pronta sulla tavola, con il solito biglietto della mamma che gli diceva che era al lavoro dalla Signorina e che gli voleva bene. Chiamava Signorina la sua datrice di lavoro, una vecchia donna piena di acciacchi che pagava altri perché la badassero, e la chiamava così tanto spesso che Glauco non ricordava il suo vero nome.Di lato al suo piatto ce n’era un altro, ripulito alla perfezione tranne che per qualche briciolina. Doveva essere del loro ospite: mangiava come uno squalo quello.Glauco finì la sua colazione diligentemente, contento nella calma della sua stanzetta familiare; lui era l’unica cosa animata nella piccola casa sulla spiaggia in quel momento – o almeno così gli piaceva pensare – e gli piaceva il modo in cui risuonava il suono delle posate nel silenzio. Quel giorno il cielo era un po’ nuvoloso e un po’ assolato, così i raggi del sole che trafiggevano le nuvole sembravano ancora più belli, come nei dipinti, e lui li rimirò mentre faceva colazione.Spostò piatti e posate sul ripiano della cucina (li avrebbe lavati la mamma più tardi) e si cambiò i vestiti, fantasticando su cosa avrebbe fatto oggi.Aprì la porta e iniziò a togliersi le scarpe per andare a giocare con la sabbia. Oggi voleva portare il ragazzo venuto dal mare a vedere le pozze salate, e avrebbe potuto mostrargli le murene e i ghiozzetti e come prendere i grilli bianchi. Sì, in realtà voleva vantarsi un po’ di fronte a quel ragazzo, perché era diventato bravissimo a prenderli ormai.Era sicuro che fosse sulla spiaggia, perché aveva sentito cantare da lontano e anche se non poteva esserne sicuro, sembrava che fosse la stessa voce che aveva detto “aiuto” e “grazie”.Era una canzone stupenda quella che il ragazzo cantava, lenta, melodica e meravigliosa, ma Glauco non riusciva capire se fosse malinconica o speranzosa. Più il bambino si avvicinava alla spiaggia e diventavano chiare le note, più se ne sentiva stregato, come se stesse assistendo a una qualche portentosa magia. In realtà a vedersi non c’era niente di fuori dell’ordinario: il ragazzo venuto dal mare era seduto a poca distanza dal bagnasciuga (e per qualche motivo, a vedersi, a Glauco sembrò che lui appartenesse a quel posto proprio come lui e la mamma, e questo lo riempì di meraviglia e di un po’ di gelosia) e cantava.Smise quando si accorse dell’altro bambino, voltando la testa ricciuta per osservarlo.«Non volevo interrompere la tua canzone» Si scusò Glauco «Se vuoi ti lascio solo».Il ragazzino fece cenno di no con la testa. Lo guardò indeciso per un secondo, poi poggiò una mano sulla sabbia e se la rimise in grembo, tornando ad osservare il mare. Glauco lo prese come un invito a sedersi accanto a lui ed ubbidì, stiracchiandosi e prendendo una bella boccata d’aria salmastra.«Mi piace quando canti. Sembra che tu abbia tre voci e siano tutte intonate, anche se non ho capito un parola di quello che hai detto. Tu capisci la mia lingua, ma quella che cantavi era la tua, vero? Si sentiva che le volevi bene».Il ragazzo lo guardò sorpreso, schiudendo appena le labbra, ma la luce nei suoi occhi si ammorbidì di nuovo in quel suo sguardo benevolente e annuì.«Era una canzone triste o felice?»«Tutt’e due» Rispose il ragazzo, mentre una folata di vento fresco gli accarezzava il viso. Come se l’avesse saputo, un attimo prima che arrivasse aveva chiuso gli occhi.I due rimasero per un attimo in silenzio. Glauco non si aspettava che gli rispondesse, ma non gli dispiaceva, e neanche la situazione in quel momento gli dispiaceva. C’era così tanto su cui rimuginare e da guardare in riva alla spiaggia che si sentiva come se avesse potuto rimanere assorto per ore a pensarci.«Ti stai trovando bene qui con noi?» Chiese comunque Glauco, perché si era accorto che molti dei pensieri che lo tenevano assorto erano domande per quel ragazzo. Quello annuì.«Se parli un’altra lingua, vieni da lontano» Ragionò Glauco ad alta voce«Non molto»«Davvero? Sei tanto diverso da me. Credevo che venissi da lontano»«Siamo diversi. Tutti. A volte si vede fuori, a volte si sa dentro. Ma siamo sempre vicini lo stesso» rispose il ragazzo, facendo lunghe pause durante il suo piccolo discorso, come se avesse avuto bisogno di concentrazione. Artigliò la sabbia, lasciando dei solchi paralleli che vennero subito riempiti nuovamente dai granelli minuti, ma il suo viso non mutò espressione.Glauco fu felice di sentirlo parlare tanto e lo incoraggiò con un sorriso, come faceva la mamma quando lui rispondeva bene ad una domanda o faceva un lavoretto di casa di sua iniziativa.«Allora sarà facile tornare dalla tua famiglia, se non devi andare lontano» Disse il bambino, ma stavolta il ragazzo negò con la testa, assottigliando le labbra.«Perché no?». Il ragazzo riprese ad artigliare la sabbia, in silenzio, ma dopo un paio di minuti riprese a parlare.«La mia casa non c’è più, loro l’hanno... Abbiamo viaggiato per arrivare qui, perché non potevamo rimanere, ma non siamo arrivati tutti» Diede un’occhiata grave ai flutti, che mormoravano dolcemente in sottofondo. «Io sono arrivato. Solo».Glauco non chiese né del “loro” né di quel “noi” implicito. Lo invitò a vedere le pozze salate e passarono la mattinata insieme a saltellare da una all’altra, facendo la gara a chi vedeva più animali. Al ritorno, per far vedere quanto era bravo, Glauco prese tre grilli e il ragazzo ne mangiò uno, facendo emettere un urletto sorpreso a Glauco che tornò di filato in casa.La mamma tornò a casa un po’ prima con un sacco di cose buone da mangiare, ed organizzarono un falò sulla spiaggia con il cibo e le barzellette stupide e le canzoni, e, anche se il ragazzo si zittì un paio di volte e non disse loro qual era il suo nome, fu una bella serata.Fu in quel momento che Glauco capì che voleva un amico, o forse voleva che quel ragazzo lo fosse per lui. Forse era questo il terzo dono che gli aveva fatto il mare.Nel tempo, mentre il ragazzo iniziava a parlare con regolarità, sia Marina che Glauco si fecero la loro idea sull’identità ed il passato del loro ospite.Qualunque cosa ci vedesse Marina, probabilmente aveva qualcosa a che fare col naufragio di profughi sfortunati, qualcuno che era dovuto scappare dalla propria terra ed era approdato lì per miracolo.Glauco era sicuro, senza ombra di dubbio, che quel ragazzo nero fosse una sirena. Veniva dal mare, e diceva di esserne amico anche dopo un presunto naufragio. La sua voce era fantastica, e quando cantava (ormai lo faceva tutte le mattine) sembrava che il mare si calmasse e le cose sarebbero andate bene (e di solito era vero). Non toccava mai l’acqua anche se non sembrava avere paura del mare, e Glauco era ormai certo che ne bastasse una goccia per mostrare la sua vera natura.Si era persino spinto a sussurrare al ragazzo che lo sapeva, sapeva che lui era una sirena.Lui aveva riso, ma non aveva negato. Gli bastava. Non vedeva coda né branchie, ma la magia non deve essere una cosa che ti spieghi subito. Forse, un giorno, proprio come aveva imparato a parlare con loro, si sarebbe fidato abbastanza da rivelargli anche questo.Un giorno i due trovarono una strana creatura nel mare, vicino alla spiaggia. Sembravano una serie di rotoli trasparenti attaccati insieme per formare un nastro, con delle testoline rosse tonde: era viscido, ma affascinante, e Glauco si tuffò e lo raccolse immediatamente, per mostrarlo all’amico.«Salpe» Disse il ragazzo, sottovoce. Sorrise e lo indicò «Vedi? Sono tante salpe attaccate insieme. È così difficile che si lascino adesso che si possono usare così...».Legò i loro polsi insieme e disse: «Amici per sempre. Giura».Glauco giurò, con tutta la convinzione che aveva, e l’altro gli credette.
La casa sul mare, un po’ più vecchia e scolorita, era ancora bella come lo era stata sette anni fa per i suoi tre abitanti.Glauco aveva smesso di aspettare che suo padre tornasse dal mare da molto tempo ormai, e non era sicuro se lo stesso potesse dirsi di quello che era diventato un fratello, ma sperava che anche lui smettesse di aspettare che il mare gli restituisse ciò che si era preso.Il mare è un amico permaloso: è generoso e dona ciò che ha, ma basta uno sbaglio perché si riprenda tutto. Di tanto in tanto glielo ripeteva, ma sembrava che più diceva la sua perla di saggezza, meno veniva presa sul serio.«Hai sedici anni, Glauco. Ormai dovresti aver scelto la carriera che vuoi» Lo prese in giro Nereo, arruffandogli i capelli: «Marinaio o filosofo?»«Perché non entrambi?» chiese l’altro ridendo. La sua voce era diventata più profonda, ma aveva una sfumatura gentile, come quella di Marina. La voce di Nereo era solo un po’ più bassa di quando era un bambino, naufragato da poco su una spiaggia sconosciuta a cantare una canzone che era sia felice che triste.Il ragazzo venuto dal mare non aveva mai svelato loro il nome che aveva prima, ma a Glauco aveva detto, in confidenza, che era perché era convinto che non l’avrebbero mai pronunciato bene. Così Marina gli aveva offerto un nome provvisorio… che aveva finito per diventare permanente.«Hai un momento, Glauco?» Chiese un giorno Nereo.I due fratelli uscirono alla luce del sole, incamminandosi sulla spiaggia familiare a due passi dalla casetta.«Non abbiamo molti soldi a casa. Tra questo e altri… pensieri...»«Vuoi partire, vero?» lo interruppe Glauco, in modo gentile.Nereo annuì piano. L’altro gli fece un sorriso incoraggiante «L’avevo capito. Lo sai che puoi rimanere quanto vuoi però, vero? Possiamo farcela, non abbiamo così pochi soldini»
«So che ad un certo punto partirai anche tu, visto che vuoi viaggiare. Non voglio vederti partire»«Saremo comunque lontani» osservò Glauco«Sì, è vero. Però vorrei… rivedere il posto in cui sono nato. Ho paura, ma credo che le cose possano essere cambiate ormai. Se non lo fossero...»«Sarai sempre il benvenuto qui» rispose il ragazzo, mettendogli un braccio attorno alle spalle «La mamma lo sa?»«S컫Bene». Ci fu una pausa, ma non erano mai pesanti fra loro.«Quel giorno sei stato tu a farmi capire che siamo tutti diversi, tu e la mamma» La voce di Nereo era bassa, praticamente un sussurro «Credevo che le persone diverse da me fossero mostri. Non avevo avuto che sofferenza da loro, fino a quando tu e la mamma non mi avete dato una mano. Non lo scorderò mai, Glauco»«Bene, perché spero che non ti dimenticherai facilmente di me» «Non lo farò»«Chissà, magari ci rivedremo ancora anche se troverai un bel posto lì» Glauco sorrise «Ho intenzione di viaggiare tanto, lo sai. Ti verrò a trovare. So che non potrai scrivermi da sott’acqua, però cerca di riemergere ogni tanto, o dovrò affidare i miei pensieri ai messaggi in bottiglia».Nereo rise, ma, di nuovo, non negò o corresse nulla. «Dovrebbero sbrigarsi ad inventare un metodo migliore delle lettere di parlare a distanza. Sono scomode». «Magari, invece di lamentarti, dovresti provarci tu»
«Forse lo farò. Mi aiuti a fare le valigie?».Glauco lo strinse in un abbraccio e i due rientrarono in casa.
Non lo vide partire; Nereo aveva voluto che i loro saluti fossero fatti in casa prima di andarsene. Sia Glauco che Marina erano convinti che fosse andato via per mare, anche se entrambi in modi diversi.Glauco non aveva mai avuto una conferma ai suoi sospetti, ma non importava.Il ragazzo venuto dal mare era stato il suo migliore amico per sette anni e aveva promesso di esserlo per sempre, e questo gli bastava.
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+Un bracciale di salpe, una storia di Belarda Cigna +
Passiamo subito al sodo, vi va?Io sono Belarda Cigna, e questa è la storia che vi racconto stasera, in cambio di un po’ di Amuchina.
Su una bellissima spiaggia lontana, che aveva la sabbia bianca e fine come farina e si affacciava su un mare incredibilmente blu, c’era una casa. Non era una casa molto ricca, anzi, era piuttosto modesta, ma nonostante tutto le persone che ci abitavano la amavano molto.Non importava che fosse così piccola o che avesse un piano solo, per i suoi abitanti era una buona casa: era stata costruita abbastanza lontano dalla onde perché fosse sicura, aveva delle fondamenta solide e non li aveva mai lasciati alla mercé della pioggia o del maltempo.Nella piccola casa sulla spiaggia vivevano solo due persone: una giovane mamma e il suo bambino, un ragazzetto curioso a cui il sole aveva punteggiato il volto di lentiggini. Sua madre era una donna piccola e gentile che sembrava la personificazione di una brezza marina, con quei suoi lunghi capelli biondi e gli occhi chiari, ed il figlio le somigliava molto.Il bimbo era un tipo curioso, ma anche diligente nell’ubbidire alla sua cara mamma perché, fosse pure per tutto l’oro del mondo, non avrebbe voluto mai darle un dispiacere; così non si allontanava mai troppo dalla bella casetta anche si ritrovava spesso a giocare da solo.Conosceva ormai come il palmo delle proprie mani quel fazzoletto di spiaggia a forma di mezzaluna e tutto quello che conteneva, dai lunghi tronchi sbiancati dal mare (“le ossa di drago” li chiamava la mamma) alla pietraia a sud, piena di piccoli sassi verdastri, levigato dal moto delle onde. La sua mamma tornava a chiacchierare e giocare con lui solo di sera, dopo che aveva lavorato. Di solito poco dopo il tramonto e, se il tempo, era bello, i due facevano un bel falò e chiacchieravano seduti sulle ossa di drago.«Il mare è un amico capriccioso. Una persona puoi sgridarla» Diceva la mamma «Ma come puoi sgridare il mare, alla fine? Lui ne sa più di te. È un buon amico se sai come prenderlo, ma basta un fraintendimento e si può finire molto male»«Si può morire?»«Anche»«E papà è morto?».La donna guardava allora il mare, che era nero come se il cielo stellato si stesse sciogliendo e mescolando con le acque. Il disco della luna proiettava un proprio riflesso rifulgente e tremolante, cavalcando le piccole onde increspate che venivano a rotolare mormorando sul bagnasciuga.«No. È solo lontano» Disse alla fine«E il mare lo protegge?»«Non lo so. Forse, se si è comportato bene»«E uno deve stare sempre attento tutti i giorni?»«Sì, è così».Era una conversazione che avevano spesso, eppure ad entrambi stava bene che rispuntasse invariata di tanto in tanto.Quella volta però, il bambino protestò: «Ma non vale la pena di farci amicizia con questo mare, se è messo così».La donna rise, come se trovasse quella risposta molto ingenua, molto divertente, o entrambe.«Non proprio» Gli rivelò «Perché anche se è un poco permaloso, se diventi amico del mare puoi andare in posti dove non si può arrivare altrimenti e lui» e gli toccò la punta del naso con un indice «è generoso e ti farà moltissimi regali. Le onde portano a riva davvero di tutto, non ci hai mai fatto caso?».No, il bambino aveva dato per scontato che certe cose apparissero sulla spiaggia, ma adesso tutto aveva ai suoi occhi un significato completamente diverso: era un invito a fare amicizia del mare, che tentava di lusingarlo con belle pietre colorate e cocci splendidi, levigati perché non si tagliasse. Un giorno, il bambino decise di portare un regalo al mare. Entrò nella propria casa e piegò un foglio di carta finché non somigliò, almeno ai suoi occhi, ad un uccello, dopodiché lo consegnò alle acque salate.Il giorno dopo la corrente portò a riva un’enorme conchiglia, di quelle che se le poggi all’orecchio ti ripetono quello che il mare gli ha sussurrato prima.Il bambino sorrise e, tenendosi quell’oggetto nuovo di cui si era innamorato all’istante contro il lato della faccia, tornò a giocare. Nel suo cuore decise di provare ancora a portare un’offerta sulla spiaggia per vedere se era successo per caso o il suo regalo era stato ricambiato.La seconda volta regalò al mare un pesce di carta, e sulla riva trovò, infissa tra i granelli di sabbia come una piccola spada, una collana dorata con una catenella rotta.La terza volta gli regalò una barchetta di carta, e sulla riva, illuminata dal colore caldo del sole al tramonto, trovò un ragazzino.Il ragazzo era di qualche anno più grande del bambino, che però era in quell’età in cui quella differenza bastava e avanzava per considerare l’altro quasi uno dei grandi, e si trascinava a quattro zampe sulla rena bagnata. Somigliava ben poco al bambino ed a sua madre: aveva i capelli riccissimi e neri, e la sua pelle molto scura era imperlata dell’acqua che gli inzuppava capelli e vestiti. «Aiuto» Gli disse, e si mise a tossire forte.Il bambino si guardò attorno, un po’ disperato. Alla fine decise di tirarlo per un braccio per portarlo alla bella casetta, ma questo non fece altro che sbilanciare il ragazzino e buttarlo a faccia in giù nella sabbia. Sua madre, per fortuna, arrivò poco dopo.Tempo qualche minuto, e il ragazzo era stato fatto sedere di fronte ad un caminetto e gli era stata data una tazza di latte caldo, che lui stringeva tra le mani con forza. Era curvato in avanti, con le gambe un po’ ritratte verso il petto, come se avesse voluto proteggere quel calore a tutti i costi.I suoi vestiti erano stati un disastro, completamente zuppi d’acqua salata e della taglia sbagliata, così la mamma gli aveva dato dei vestiti con cui cambiarsi; erano comunque della taglia sbagliata, ma almeno erano asciutti e comodi, e sulle sue spalle era stata avvolta una coperta che potesse riscaldarlo.«So che sono grandicelli, visto che sono miei. Spero che vada bene lo stesso» Aveva detto la mamma con allegria, in un tono che era più una spiegazione che una scusa. Vedere la sicurezza della donna aveva tranquillizzato anche il figlio e, in qualche misura, anche il piccolo sconosciuto.Il ragazzo non aveva detto una sola parola da quando aveva chiesto aiuto. In effetti, il bambino cominciava a chiedersi se sapesse parlare. Teneva gli occhi fissi sulle fiamme, ma il bambino si era accorto che i suoi occhi scuri in realtà continuavano a saettare per la stanza e sui suoi due abitanti, vigili, prima di tornare discretamente al fuoco acceso tra una sorsata piccolissima e l’altra. La mamma non gli aveva ancora chiesto chi fosse e da dove venisse, e di questo il bambino non si capacitava: non sentiva anche lei la curiosità di saperne di più?Il bambino si lasciò cadere accanto al ragazzino con il suo sorriso di benvenuto più grande che gli riusciva e incrociò le gambe nella posizione del loto. «Mi chiamo Glauco» Si presentò, e si chiuse in un silenzio invitante. Alzò le sopracciglia. Fece un paio di smorfie. Ma niente di tutto questo scucì il nome del suo interlocutore, che si limitò a guardarlo benevolente, inclinando la testa da un lato. «Anche a me piace molto il latte» Proseguì allora Glauco, prendendo una gran boccata d’aria per prepararsi a continuare praticamente in apnea «Non abbiamo tanti soldi, ma il latte caldo l’abbiamo, e avere il latte e la mamma e la nostra casetta mi basta, perché tanto il resto me lo da il mare; la mia famiglia è amica del mare da generazioni, per questo abbiamo tutti nomi che ricordano il mare! La mia mamma si chiama Marina, infatti, e mi ha spiegato che il mio nome significa “azzurro come il mare”. Anche tu sei amico del mare?». Il bambino si zittì, pensando di aver fatto una domanda un po’ inopportuna: a pensarci bene, magari il mare non gli piaceva tanto visto com’era messo quando lo avevano trovato.A sorpresa però, il ragazzino sorrise e annuì, e i suoi occhi scintillarono come se il fuoco nel camino si fosse ingrandito. «Magari siamo parenti alla lontana» Glauco tamburellò le dita sul pavimento, sporgendosi in avanti «Io ho nove anni, ma ne faccio dieci tra un paio di settimane»«E parli come se dovessi mettere nove anni di discorsi in questa mezz’ora soltanto, povero ragazzo» lo prese in giro la mamma, e il bambino ondeggiò sul posto, mostrandosi contrito ed imbarazzato anche se non lo era affatto.«Vieni, aiutami ad apparecchiare, bimbo» Chiamò Marina, così il figlio fece un cenno di saluto al loro ospite e si rialzò, traballando per la fretta, e trotterellò accanto alla donna.«Perché non parla?» Sussurrò alla donna, mentre si impegnava a mettere le posate a posto come gli era stato insegnato«Potrebbe non sapere come farlo» spiegò Marina, mettendo i piatti a posto «O non sapere la nostra lingua. Potrebbe anche non essere pronto a parlare»«Non essere pronto? Ma è più vecchio di me!»«A volte, Glauco, quando alle persone succedono cose brutte, hanno bisogno di spazio e possono smettere di parlare per un po’, finché non si sentono più tranquille. L’età non c’entra. Se gli è successo ed è per questo che è finito sulla nostra spiaggia, potrebbe aver smesso di parlare; per questo dobbiamo lasciarlo un po’ in pace e forse, se è in grado di farlo, ci spiegherà che cosa è successo».Il bambino ci pensò su, assimilando le nuove informazioni. Al ragazzo venuto dal mare poteva essere successo qualcosa di brutto. Non era così ingenuo da non sapere cosa fosse un naufragio e il fatto che, di norma, ai ragazzi ed alle ragazze troppo giovani non era permesso imbarcarsi da soli. Il ragazzo sembrava illeso, anche se la stanchezza era chiara in ogni suo gesto e, man a mano che si calmava, anche in quei suoi occhi vigili. Ma chissà dov’era il resto dell’equipaggio... «Quindi adesso vivrà con noi?» Chiese Glauco, senza essere sicuro di come sentirsi a riguardo. Da una parte, avere qualcuno con cui passare la mattinata mentre la mamma era via sembrava incredibilmente divertente, dall’altra, era così abituato a passare quel tempo sulla spiaggia da solo da esserne diventato quasi geloso.«Potrebbe avere una sua famiglia che lo aspetta» disse gentilmente la mamma, mettendo un freno alle sue fantasie «Meglio non fare troppi progetti per ora»«Quindi che facciamo ora?»«Ora» disse Marina, toccandogli la punta del naso con l’indice «Si mangia».Così, almeno per un po’, il ragazzo rimase nella bella casetta sulla spiaggia.Come aveva detto la mamma, poco a poco il ragazzo iniziò a dire qualche parola. La prima che disse fu: «Grazie» la notte del secondo giorno, prima di andare a dormire, e la disse a Marina. Però anche Glauco lo sentì e andò a dormire soddisfatto: ora che aveva sentito di nuovo quella voce melodiosa, era sicuro di non essersi immaginato la prima richiesta d’aiuto, e che un giorno avrebbe potuto rispondere alle sue domande.La mattina del terzo giorno, Glauco si svegliò in casa da solo.Quando andò in sala da pranzo trovò la colazione già pronta sulla tavola, con il solito biglietto della mamma che gli diceva che era al lavoro dalla Signorina e che gli voleva bene. Chiamava Signorina la sua datrice di lavoro, una vecchia donna piena di acciacchi che pagava altri perché la badassero, e la chiamava così tanto spesso che Glauco non ricordava il suo vero nome.Di lato al suo piatto ce n’era un altro, ripulito alla perfezione tranne che per qualche briciolina. Doveva essere del loro ospite: mangiava come uno squalo quello.Glauco finì la sua colazione diligentemente, contento nella calma della sua stanzetta familiare; lui era l’unica cosa animata nella piccola casa sulla spiaggia in quel momento – o almeno così gli piaceva pensare – e gli piaceva il modo in cui risuonava il suono delle posate nel silenzio. Quel giorno il cielo era un po’ nuvoloso e un po’ assolato, così i raggi del sole che trafiggevano le nuvole sembravano ancora più belli, come nei dipinti, e lui li rimirò mentre faceva colazione.Spostò piatti e posate sul ripiano della cucina (li avrebbe lavati la mamma più tardi) e si cambiò i vestiti, fantasticando su cosa avrebbe fatto oggi.Aprì la porta e iniziò a togliersi le scarpe per andare a giocare con la sabbia. Oggi voleva portare il ragazzo venuto dal mare a vedere le pozze salate, e avrebbe potuto mostrargli le murene e i ghiozzetti e come prendere i grilli bianchi. Sì, in realtà voleva vantarsi un po’ di fronte a quel ragazzo, perché era diventato bravissimo a prenderli ormai.Era sicuro che fosse sulla spiaggia, perché aveva sentito cantare da lontano e anche se non poteva esserne sicuro, sembrava che fosse la stessa voce che aveva detto “aiuto” e “grazie”.Era una canzone stupenda quella che il ragazzo cantava, lenta, melodica e meravigliosa, ma Glauco non riusciva capire se fosse malinconica o speranzosa. Più il bambino si avvicinava alla spiaggia e diventavano chiare le note, più se ne sentiva stregato, come se stesse assistendo a una qualche portentosa magia. In realtà a vedersi non c’era niente di fuori dell’ordinario: il ragazzo venuto dal mare era seduto a poca distanza dal bagnasciuga (e per qualche motivo, a vedersi, a Glauco sembrò che lui appartenesse a quel posto proprio come lui e la mamma, e questo lo riempì di meraviglia e di un po’ di gelosia) e cantava.Smise quando si accorse dell’altro bambino, voltando la testa ricciuta per osservarlo.«Non volevo interrompere la tua canzone» Si scusò Glauco «Se vuoi ti lascio solo».Il ragazzino fece cenno di no con la testa. Lo guardò indeciso per un secondo, poi poggiò una mano sulla sabbia e se la rimise in grembo, tornando ad osservare il mare. Glauco lo prese come un invito a sedersi accanto a lui ed ubbidì, stiracchiandosi e prendendo una bella boccata d’aria salmastra.«Mi piace quando canti. Sembra che tu abbia tre voci e siano tutte intonate, anche se non ho capito un parola di quello che hai detto. Tu capisci la mia lingua, ma quella che cantavi era la tua, vero? Si sentiva che le volevi bene».Il ragazzo lo guardò sorpreso, schiudendo appena le labbra, ma la luce nei suoi occhi si ammorbidì di nuovo in quel suo sguardo benevolente e annuì.«Era una canzone triste o felice?»«Tutt’e due» Rispose il ragazzo, mentre una folata di vento fresco gli accarezzava il viso. Come se l’avesse saputo, un attimo prima che arrivasse aveva chiuso gli occhi.I due rimasero per un attimo in silenzio. Glauco non si aspettava che gli rispondesse, ma non gli dispiaceva, e neanche la situazione in quel momento gli dispiaceva. C’era così tanto su cui rimuginare e da guardare in riva alla spiaggia che si sentiva come se avesse potuto rimanere assorto per ore a pensarci.«Ti stai trovando bene qui con noi?» Chiese comunque Glauco, perché si era accorto che molti dei pensieri che lo tenevano assorto erano domande per quel ragazzo. Quello annuì.«Se parli un’altra lingua, vieni da lontano» Ragionò Glauco ad alta voce«Non molto»«Davvero? Sei tanto diverso da me. Credevo che venissi da lontano»«Siamo diversi. Tutti. A volte si vede fuori, a volte si sa dentro. Ma siamo sempre vicini lo stesso» rispose il ragazzo, facendo lunghe pause durante il suo piccolo discorso, come se avesse avuto bisogno di concentrazione. Artigliò la sabbia, lasciando dei solchi paralleli che vennero subito riempiti nuovamente dai granelli minuti, ma il suo viso non mutò espressione.Glauco fu felice di sentirlo parlare tanto e lo incoraggiò con un sorriso, come faceva la mamma quando lui rispondeva bene ad una domanda o faceva un lavoretto di casa di sua iniziativa.«Allora sarà facile tornare dalla tua famiglia, se non devi andare lontano» Disse il bambino, ma stavolta il ragazzo negò con la testa, assottigliando le labbra.«Perché no?». Il ragazzo riprese ad artigliare la sabbia, in silenzio, ma dopo un paio di minuti riprese a parlare.«La mia casa non c’è più, loro l’hanno... Abbiamo viaggiato per arrivare qui, perché non potevamo rimanere, ma non siamo arrivati tutti» Diede un’occhiata grave ai flutti, che mormoravano dolcemente in sottofondo. «Io sono arrivato. Solo».Glauco non chiese né del “loro” né di quel “noi” implicito. Lo invitò a vedere le pozze salate e passarono la mattinata insieme a saltellare da una all’altra, facendo la gara a chi vedeva più animali. Al ritorno, per far vedere quanto era bravo, Glauco prese tre grilli e il ragazzo ne mangiò uno, facendo emettere un urletto sorpreso a Glauco che tornò di filato in casa.La mamma tornò a casa un po’ prima con un sacco di cose buone da mangiare, ed organizzarono un falò sulla spiaggia con il cibo e le barzellette stupide e le canzoni, e, anche se il ragazzo si zittì un paio di volte e non disse loro qual era il suo nome, fu una bella serata.Fu in quel momento che Glauco capì che voleva un amico, o forse voleva che quel ragazzo lo fosse per lui. Forse era questo il terzo dono che gli aveva fatto il mare.Nel tempo, mentre il ragazzo iniziava a parlare con regolarità, sia Marina che Glauco si fecero la loro idea sull’identità ed il passato del loro ospite.Qualunque cosa ci vedesse Marina, probabilmente aveva qualcosa a che fare col naufragio di profughi sfortunati, qualcuno che era dovuto scappare dalla propria terra ed era approdato lì per miracolo.Glauco era sicuro, senza ombra di dubbio, che quel ragazzo nero fosse una sirena. Veniva dal mare, e diceva di esserne amico anche dopo un presunto naufragio. La sua voce era fantastica, e quando cantava (ormai lo faceva tutte le mattine) sembrava che il mare si calmasse e le cose sarebbero andate bene (e di solito era vero). Non toccava mai l’acqua anche se non sembrava avere paura del mare, e Glauco era ormai certo che ne bastasse una goccia per mostrare la sua vera natura.Si era persino spinto a sussurrare al ragazzo che lo sapeva, sapeva che lui era una sirena.Lui aveva riso, ma non aveva negato. Gli bastava. Non vedeva coda né branchie, ma la magia non deve essere una cosa che ti spieghi subito. Forse, un giorno, proprio come aveva imparato a parlare con loro, si sarebbe fidato abbastanza da rivelargli anche questo.Un giorno i due trovarono una strana creatura nel mare, vicino alla spiaggia. Sembravano una serie di rotoli trasparenti attaccati insieme per formare un nastro, con delle testoline rosse tonde: era viscido, ma affascinante, e Glauco si tuffò e lo raccolse immediatamente, per mostrarlo all’amico.«Salpe» Disse il ragazzo, sottovoce. Sorrise e lo indicò «Vedi? Sono tante salpe attaccate insieme. È così difficile che si lascino adesso che si possono usare così...».Legò i loro polsi insieme e disse: «Amici per sempre. Giura».Glauco giurò, con tutta la convinzione che aveva, e l’altro gli credette.
La casa sul mare, un po’ più vecchia e scolorita, era ancora bella come lo era stata sette anni fa per i suoi tre abitanti.Glauco aveva smesso di aspettare che suo padre tornasse dal mare da molto tempo ormai, e non era sicuro se lo stesso potesse dirsi di quello che era diventato un fratello, ma sperava che anche lui smettesse di aspettare che il mare gli restituisse ciò che si era preso.Il mare è un amico permaloso: è generoso e dona ciò che ha, ma basta uno sbaglio perché si riprenda tutto. Di tanto in tanto glielo ripeteva, ma sembrava che più diceva la sua perla di saggezza, meno veniva presa sul serio.«Hai sedici anni, Glauco. Ormai dovresti aver scelto la carriera che vuoi» Lo prese in giro Nereo, arruffandogli i capelli: «Marinaio o filosofo?»«Perché non entrambi?» chiese l’altro ridendo. La sua voce era diventata più profonda, ma aveva una sfumatura gentile, come quella di Marina. La voce di Nereo era solo un po’ più bassa di quando era un bambino, naufragato da poco su una spiaggia sconosciuta a cantare una canzone che era sia felice che triste.Il ragazzo venuto dal mare non aveva mai svelato loro il nome che aveva prima, ma a Glauco aveva detto, in confidenza, che era perché era convinto che non l’avrebbero mai pronunciato bene. Così Marina gli aveva offerto un nome provvisorio… che aveva finito per diventare permanente.«Hai un momento, Glauco?» Chiese un giorno Nereo.I due fratelli uscirono alla luce del sole, incamminandosi sulla spiaggia familiare a due passi dalla casetta.«Non abbiamo molti soldi a casa. Tra questo e altri… pensieri...»«Vuoi partire, vero?» lo interruppe Glauco, in modo gentile.Nereo annuì piano. L’altro gli fece un sorriso incoraggiante «L’avevo capito. Lo sai che puoi rimanere quanto vuoi però, vero? Possiamo farcela, non abbiamo così pochi soldini»
«So che ad un certo punto partirai anche tu, visto che vuoi viaggiare. Non voglio vederti partire»«Saremo comunque lontani» osservò Glauco«Sì, è vero. Però vorrei… rivedere il posto in cui sono nato. Ho paura, ma credo che le cose possano essere cambiate ormai. Se non lo fossero...»«Sarai sempre il benvenuto qui» rispose il ragazzo, mettendogli un braccio attorno alle spalle «La mamma lo sa?»«S컫Bene». Ci fu una pausa, ma non erano mai pesanti fra loro.«Quel giorno sei stato tu a farmi capire che siamo tutti diversi, tu e la mamma» La voce di Nereo era bassa, praticamente un sussurro «Credevo che le persone diverse da me fossero mostri. Non avevo avuto che sofferenza da loro, fino a quando tu e la mamma non mi avete dato una mano. Non lo scorderò mai, Glauco»«Bene, perché spero che non ti dimenticherai facilmente di me» «Non lo farò»«Chissà, magari ci rivedremo ancora anche se troverai un bel posto lì» Glauco sorrise «Ho intenzione di viaggiare tanto, lo sai. Ti verrò a trovare. So che non potrai scrivermi da sott’acqua, però cerca di riemergere ogni tanto, o dovrò affidare i miei pensieri ai messaggi in bottiglia».Nereo rise, ma, di nuovo, non negò o corresse nulla. «Dovrebbero sbrigarsi ad inventare un metodo migliore delle lettere di parlare a distanza. Sono scomode». «Magari, invece di lamentarti, dovresti provarci tu»
«Forse lo farò. Mi aiuti a fare le valigie?».Glauco lo strinse in un abbraccio e i due rientrarono in casa.
Non lo vide partire; Nereo aveva voluto che i loro saluti fossero fatti in casa prima di andarsene. Sia Glauco che Marina erano convinti che fosse andato via per mare, anche se entrambi in modi diversi.Glauco non aveva mai avuto una conferma ai suoi sospetti, ma non importava.Il ragazzo venuto dal mare era stato il suo migliore amico per sette anni e aveva promesso di esserlo per sempre, e questo gli bastava.
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Published on March 29, 2020 01:40
March 26, 2020
Character - Furiadoro
(Se stai cercando questa scheda in italiano vai qui)
Species: Aurolupus lycan (homolupus auratus magnus)Complete name: Alvara de Rocamora / FuriadoroGender: FemaleHeight (feral form): 98 cm at the withers
Height (human form): 1,92 m
Height (full moon form): 2,20 mBody type: Lean and muscular, with wide shoulders
Occupation: Explorer, bodyguard, hunterSmells like: Dog fur, coal and blood
S.O.: Heterosexual
Rank in her pack: --
Voice: ContraltoHometown: --
Appears in: Urban Legends (book) | Io, Dracula e altri Mostri (book) | Blindfury (comic) |
Off through the new day's mist I run
Out from the new day's mist I have come
I hunt
Therefore I am
Harvest the land
Taking of the fallen lamb -"Of Wolf and Man" (Metallica)
+++ Furiadoro's Playlist on Spotify +++Aggressive | Bad tempered | Brave | Clever | Adventurous | Strong | Materialistic
SupergoldenwolfenUsually, the aurolupus lycans (also called by some "goldenwolfens") are 1,60-1,78 m tall when in human form. Furiadoro is 1,92 m tall, with a weight ranging between 100 and 160 kg. This particular subspecies, taller and with lighter pigmented skin, is known as "supergoldenwolfen" and it's extremely rare, enough to be considered a legend. Also, even if she has the phenotype of a pure supergoldenwolfen, she is not actually a pureblood and this results in non-total refractoriness to magic (pure goldenwolfens are totally refractory to magic) and theoretically she could even use very simple basic spells.
Dominant, but not too muchFuriadoro, like the majority of the aurolupus lycans, has a very strong personality and tends to be dominant, but she doesn't want the responsibility that comes from being the alpha female of a pack, so she's just a sort of... bully. Her natural role, if she would have been in a pack, is beta (or lower rank, if someone would be capable of beating her, but that's very difficult).
An ancient spiritHer spirit is way older than her body, and even if it can't remember everything from its past lives, sometimes knows stuff that she isn't supposed to know. And, oh boys, her body is strong, but her soul is fifty times stronger.
Not her nameFuriadoro (it means "golden fury/ golden rage" in Italian) should have been just a temporary name given to her by September Aster, a young magician. Instead, in the end, it stuck and now everyone calls her like this ...
An extra form?Furiadoro is a lycanthrope with complete cycle: this means that she can reach any possible lycan form, even the intermediate ones that there aren't portrayed here (for example a mix of crinos and human, with claws, some fur and a more solid building, but the basic body shape of a woman). Her appearance is fluid enough that even her facial features could slightly change when she's in human form, so her face could eventually appear a bit different every day. But the most interesting thing is that she can reach a stadium, called "great crinos" or "monster lycan", that's so rare that only a few lycanthropes in history have obtained it. She could stay only a few minutes in this very energy consuming state, but she becomes an enormous wolf-tank, with thick skin, that grows up in size eating the flesh of her enemies and totally abandon herself to instinct and aggressivity.
She likes She dislikes- Meat
- The humanSeptember-Aster
- German Shepherds
- Violence! Blood! Biting flesh!
- Stories
- Big and strong males
- Heat
- Sand
- Tribal music- Vegan people
- Chihuahuas
- Fire
- Being bored
- Vampires- Weaklings
- Cold
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Wrestling (very good)
- Standing fight / boxing (good/very good)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Fast healing (very good/excellent)
- Shapeshifting (good/very good)Language
- US English (Beginner in speaking, disaster in writing, good in understanding)
- Garou of the sands (excellent in speaking/understanding, disaster in writing)Music
- Singing (excellent/master)
- Playing drums (very good/excellent)
- Playing guitar (excellent)
- Playing flute (good/very good)
- Playing piano (good/very good)
- Composing songs (excellent)
- Terryfing howl (good)
Magical- Refractory to magic (very good) Misc.
- Hunting large animals (very good)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (very good)
- Orienting in forests (good)
- Orienting in cities (good/very good)
- Caring for puppies/babies (very good)
Moodboard
-
Gallery of images (Click to enlarge!)
With September Aster
Furiadoro vs Thomas Wolf
With Thomas Wolf
With September Aster
With Mica
With Mica
by color-droplet
against Reylai, a piece by Sareii+
With Alejandro, by PangurBan91
by Fantazyo
by MrxBluexKarlyle
by LauraMegara
by fearandme
by Muddpaws
by Aarushii
by LadyBadgeress
With Cuscino and September
With Aria, by Aria-Suna-Kunoichi.
by Bayobayo
by hylip and reysi
by Angy89
With Alejandro,by PangurBan91
With Sherazade
by Francesco Terracciano+++
All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Species: Aurolupus lycan (homolupus auratus magnus)Complete name: Alvara de Rocamora / FuriadoroGender: FemaleHeight (feral form): 98 cm at the withersHeight (human form): 1,92 m
Height (full moon form): 2,20 mBody type: Lean and muscular, with wide shoulders
Occupation: Explorer, bodyguard, hunterSmells like: Dog fur, coal and blood
S.O.: Heterosexual
Rank in her pack: --
Voice: ContraltoHometown: --
Appears in: Urban Legends (book) | Io, Dracula e altri Mostri (book) | Blindfury (comic) |
Off through the new day's mist I run
Out from the new day's mist I have come
I hunt
Therefore I am
Harvest the land
Taking of the fallen lamb -"Of Wolf and Man" (Metallica)
+++ Furiadoro's Playlist on Spotify +++Aggressive | Bad tempered | Brave | Clever | Adventurous | Strong | Materialistic
SupergoldenwolfenUsually, the aurolupus lycans (also called by some "goldenwolfens") are 1,60-1,78 m tall when in human form. Furiadoro is 1,92 m tall, with a weight ranging between 100 and 160 kg. This particular subspecies, taller and with lighter pigmented skin, is known as "supergoldenwolfen" and it's extremely rare, enough to be considered a legend. Also, even if she has the phenotype of a pure supergoldenwolfen, she is not actually a pureblood and this results in non-total refractoriness to magic (pure goldenwolfens are totally refractory to magic) and theoretically she could even use very simple basic spells.
Dominant, but not too muchFuriadoro, like the majority of the aurolupus lycans, has a very strong personality and tends to be dominant, but she doesn't want the responsibility that comes from being the alpha female of a pack, so she's just a sort of... bully. Her natural role, if she would have been in a pack, is beta (or lower rank, if someone would be capable of beating her, but that's very difficult).
An ancient spiritHer spirit is way older than her body, and even if it can't remember everything from its past lives, sometimes knows stuff that she isn't supposed to know. And, oh boys, her body is strong, but her soul is fifty times stronger.
Not her nameFuriadoro (it means "golden fury/ golden rage" in Italian) should have been just a temporary name given to her by September Aster, a young magician. Instead, in the end, it stuck and now everyone calls her like this ...
An extra form?Furiadoro is a lycanthrope with complete cycle: this means that she can reach any possible lycan form, even the intermediate ones that there aren't portrayed here (for example a mix of crinos and human, with claws, some fur and a more solid building, but the basic body shape of a woman). Her appearance is fluid enough that even her facial features could slightly change when she's in human form, so her face could eventually appear a bit different every day. But the most interesting thing is that she can reach a stadium, called "great crinos" or "monster lycan", that's so rare that only a few lycanthropes in history have obtained it. She could stay only a few minutes in this very energy consuming state, but she becomes an enormous wolf-tank, with thick skin, that grows up in size eating the flesh of her enemies and totally abandon herself to instinct and aggressivity.
She likes She dislikes- Meat
- The humanSeptember-Aster
- German Shepherds
- Violence! Blood! Biting flesh!
- Stories
- Big and strong males
- Heat
- Sand
- Tribal music- Vegan people
- Chihuahuas
- Fire
- Being bored
- Vampires- Weaklings
- Cold
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Wrestling (very good)
- Standing fight / boxing (good/very good)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Fast healing (very good/excellent)
- Shapeshifting (good/very good)Language
- US English (Beginner in speaking, disaster in writing, good in understanding)
- Garou of the sands (excellent in speaking/understanding, disaster in writing)Music
- Singing (excellent/master)
- Playing drums (very good/excellent)
- Playing guitar (excellent)
- Playing flute (good/very good)
- Playing piano (good/very good)
- Composing songs (excellent)
- Terryfing howl (good)
Magical- Refractory to magic (very good) Misc.
- Hunting large animals (very good)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (very good)
- Orienting in forests (good)
- Orienting in cities (good/very good)
- Caring for puppies/babies (very good)
Moodboard
-
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With September Aster
Furiadoro vs Thomas Wolf
With Thomas Wolf
With September Aster
With Mica
With Mica
by color-droplet
against Reylai, a piece by Sareii+
With Alejandro, by PangurBan91
by Fantazyo
by MrxBluexKarlyle
by LauraMegara
by fearandme
by Muddpaws
by Aarushii
by LadyBadgeress
With Cuscino and September
With Aria, by Aria-Suna-Kunoichi.
by Bayobayo
by hylip and reysi
by Angy89
With Alejandro,by PangurBan91
With Sherazade
by Francesco Terracciano+++All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Published on March 26, 2020 09:55
March 24, 2020
Recensione - Il genio non esiste (e a volte è un idiota)
Quello che recensiamo oggi non è un romanzo. Quello che recensiamo oggi è insieme un libro di storia, un libro di scienze e un libro di comicità. Ma come, tutte queste cose insieme? E certo, se il suo scrittore è un ricercatore chimico, un cantante, musicista, cantautore, youtuber, scrittore, divulgatore scientifico e comico (e forse un pochino anche illustratore, ma proprio pochino pochino sinceramente), vi potete aspettare questo e altro.
Sì. Sì, lo stiamo facendo: stiamo recensendo il libro di uno youtuber.... ehm, un content creator (ci fa un po' ribrezzo questa cosa di chiamarlo youtuber, sarebbe come accomunarlo a tutta la schiera di gamers perdigiorno... anche se sia chiara, non abbiamo niente contro i videogame!) principalmente noto per Scienza Brutta, rubrica di divulgazione scientifica in salsa umoristica, i riassuntazzi brutti brutti, in cui riassume in modo comico puntate di telefilm e film famosi, e i Diari di Bordo, racconti di viaggio in terza persona.
Considerando il livello medio di cultura (e soprattutto la loro capacità di scrivere un libro, testimoniata dagli innumerevoli volumi spazzatura del passato) degli youtuber, pensavamo che questo giorno non sarebbe mai arrivato, ma poi abbiamo visto la luce. E le onde. E le vele, con sopra uno splendido simbolo pirata, il teschio con il cappello da giullare, l'orecchino e le ossa disposte in croce. Siamo insomma saliti sul vascello (vascello? Volevamo dire VASCELLAZZO) della cultura brutta (in realtà bellissima), quello di Barbascura X, un content creator più assimilabile a un documentarista che a un semplice intrattenitore. Cioè, non è che vogliamo dire che sia barboso, anzi... la barba ce l'ha, ma a voi non la farà crescere, perché è sì un intrattenitore, ma con un twist molto, molto speciale: mentre vi fa sganasciare dalle risate e liberare qualche goccia di urina nei pantaloni, egli vi renderà anche, ed è questo ciò che lo rende speciale, edotti.
Insomma, tutta 'sta presentazione per dirvi che conosciamo lo scrittore da prima di aver letto il suo libro, che può essere una cosa positiva o una cosa negativa. È positiva perché ci aspettavamo già grandi cose da lui, che non fallisce mai nell'insegnarci qualcosa di nuovo. È negativa sempre perché ci aspettavamo grandi cose da lui, e quindi se per caso il libro non fosse stato all'altezza, la delusione rischiava di farci dare un voto ancora più basso di quanto il libro meritasse.
Per fortuna nostra (e di Barbascura, che così si becca una bella recensione) il libro è bello, perciò senza altri indugi ci buttiamo nella recensione di "Il genio non esiste (e a volte è un idiota)", il primo libro non-fiction di cui ci azzardiamo a parlare! E oltre ad essere il primo libro non-fiction che recensiamo, è anche il primo libro in assoluto che abbiamo pre-ordinato. Ci sentiamo come un gruppo di fieri fanboys.
Via con la recensione!
1. La trama: non essendo un romanzo, questo libro non ha una vera e propria trama, sarebbe perciò meglio definirlo "il tema". Barbascura ci accompagna, in modo assolutamente ironico, attraverso le vite di quegli uomini che la storia ha definito "geni", ma che geni non erano affatto, perché si trattava di persone come tutte le altre, persone che avevano i loro problemi, le loro manie, i loro attacchi di stupidità acuta, le loro intuizioni sbagliate, le loro vite incasinate, le loro scelte idiote, insomma... che forse troppo geniali non erano. Alcuni di loro sono stati baciati dalla fortuna, sono nati in famiglie ricchissime che li hanno supportati nelle loro ricerche fornendogli strumenti che nessuno aveva, o in periodi in cui quasi tutto era già stato scoperto nel loro campo e tutto quello che loro avrebbero dovuto fare era unire i puntini, e altre volte ancora (come nel caso di Charles Darwin) entrambe le cose.
Questo libro, con la leggerezza del gossip e la profondità della scienza, esplora le vite di uomini straordinari che non erano davvero così straordinari (o meglio, lo erano, ma in tutti i modi sbagliati), ma che in un modo o nell'altro hanno cambiato la storia e la vita dell'umanità intera.
Lo sapevate che Charles Darwin era presidente di un'associazione goliardica studentesca che aveva come scopo di mangiare animali che normalmente la gente non mangiava? E lo sapevate che secondo Isaac Newton possiamo vedere i colori perché la luce crea una pressione sul nostro occhio, e per dimostrarlo si infilava gli spilloni nelle orbite? E lo sapevate che Tesla calcolava il volume di ogni contenitore nella quale si trovavano cibo o bevande, altrimenti dichiarava di non godersi il nutrimento? Oh, e aveva anche un'altra fissazione: non iniziava a mangiare se prima non aveva preso tutti i tovaglioli e se li era impilati davanti, ed essi dovevano essere sempre, rigorosamente, dodici o diciotto.
Pensate che queste cose siano strane? Sono solo la punta dell'iceberg. Leggete il libro e vi si aprirà un mooondo intero!
2. La copertina
La copertina questa volta è una sola, perché non ci sono state altre edizioni oltre a questa, che è proprio del 2020:
Per noi è non solo adeguata, ma bellissima. Barbascura con il cappello da giullare, a simboleggiare che nessun genio è serio come lo si crede e contemporaneamente a ricordarci il simbolo della sua bandiera pirata, con la lingua di fuori come Einstein nella sua foto più famosa, con atomi come sonagli alla fine di ciascun delle punte del cappello (gli atomi, e i loro fuorvianti nome e storia, sono proprio una delle prime cose di cui il libro parla), su uno sfondo che richiama l'universo aperto, con la stilizzazione di alcune delle scoperte più rilevanti, come il magnetismo e il DNA.
Congratulazioni a Caterina Ferrante, l'illustratrice, per questa bilanciata intuizione: questa è proprio una di quelle copertine che invogliano il lettore curioso a buttarsi a pesce su un viaggio pieno di scoperte.
3. Cosa ci è piaciuto:
Sarebbe molto, ma molto più facile raccontarvi cosa non ci è piaciuto (e lo faremo, eh, come sempre) piuttosto che elencarvi tutto quello che ci è piaciuto, perché rischieremmo di rimanere qui fino a domani mattina. Perciò ci limiteremo a dirne... ecco... a dirne cinque di cose che ci sono piaciute. Randomicamente. Per recensire proprio come piacerebbe a Barbascura: MALE.
Per prima cosa abbiamo amato il modo in cui cose complicatissime, come la teoria della relatività, l'evoluzione dalle specie, gli atomi, vengono spiegati con metafore che ne rendono la comprensione non solo semplice, ma anche estremamente divertente. È come se durante la lettura si potessero visualizzare queste cose, ed è stato... trascendentale. Soprattutto perché le visualizzi mentre ridi come un cretino. Insomma, questo libro è meglio di un trip allucinogeno e forse, a ben vedere, è un trip allucinogeno.
La seconda cosa che ci è piaciuta è la personalizzazione del tutto, l'impronta pesante e tutt'altro che impersonale di Barbascura durante la narrazione. Ammettiamo che per qualcuno possa sembrare un po' strano, e che possano persino esserci persone a cui un'impronta così forte possa dare fastidio, ma non l'abbiamo assolutamente adorata: i racconti di Barbascura da bambino, i continui riferimenti a quello che gli piace, alle sue esperienze come chimico e come persona, rendono tutto ancora più divertente e azzerano la distanza morale fra le menti dei grandi scienziati del passato e quella di persone come noi o come Barbascura: quello che rimane è un'umanità nuda e complessa, pura nei suoi errori e nelle sue fissazioni, ed è una cosa bellissima.
La terza cosa che ci è piaciuta è il femminismo. Sì, è un libro che parla di uomini di scienza, eppure il sessismo qui non è di casa: Barbascura dipinge non solo come eguali i "grandi" del passato e la gente del presente, ma anche uomini e donne. Davvero, una parità autentica di dignità nelle nostre imperfezioni umane, e di questo gli siamo tutti grati.
La quarta cosa sono le immagini. Sì, ci sono le immagini dentro questo libro, con tanto di didascalie, e combinate parlano un linguaggio giovane e fresco che vi strapperà qualche risatina anche se lo state leggendo da soli.
4. Cosa non ci è piaciuto:
Le illustrazioni sono poche. Non è che è una mancanza del libro o chissà che, ma sono così divertenti che avremmo voluto vederne di più... e poi lo saprete ormai che abbiamo un debole per le arti visive e in particolare per i libri illustrati!
E poi... ci sono tante parolacce. Ma proprio tante, proprio come nei video di Barbascura X. Questo ci da poco fastidio in un video, che però è un mezzo di comunicazione assai diverso da un libro: vederle stampate su carta, vederne così tante, per qualche motivo ci distrae. Inoltre questo ci impedisce di consigliare a tutti i nostri conoscenti, specie i più grandicelli che hanno avuto un'educazione diversa da noi, questo libro, ed è un peccato... ci fosse stato un pizzico di scurrilità in meno, lo avremmo tirato in testa a tutti i nostri conoscenti e consigliato anche alle scuole (superiori, ovviamente, perché i bimbi delle medie e delle superiori sono comunque troppo piccoli...). Così invece rischiamo di sentirci domandare "ma che cavolo leggete?" da ogni persona a cui lo consigliamo.
Ovviamente alcune battute e storielline a sfondo sessuale rimangono esilaranti, ma non è tanto il fatto che siano contenuti per adulti, quanto il tono di per sé della narrazione. Non è male, ma... si poteva contenere un po'.
Un'altra piiiiccolissima nota è che è molto "rapido" e per chi non conosce lo stile di narrazione di Barbascura X, alcuni passaggi potrebbero risultare confusi, o addirittura si potrebbero prendere per vedere le affermazioni ironiche e viceversa... ma a noi frega poco, perché conosciamo il suo stile, e quindi...
Voto complessivo: 87 su 100. Hai superato veramente bene il test, oltre le nostre aspettative, bel libro! E sei anche il secondo libro in quanto a punteggio fra quelli che abbiamo recensito, subito dopo La Nave dei Sogni. Che dire, un successo! *suono di trombetta allegra*
A chi lo consigliamo: non è un libro proprio per tutti tutti, visto che ci sono molte persone annoiate a morte sia dalla scienza che dalla storia. Ovviamente questo libro potrebbe far cambiare loro idea, ma se proprio dobbiamo consigliarlo in maniera e precisa, sappiamo che le persone incuriosite da tutto ciò che le circonda sono quelle che apprezzeranno di più questa intrigante lettura... se poi conoscete qualcuno che è intelligente, ma ha una bassa autostima, regalategli questo libro per conquistarlo (o conquistarla, visto che funziona benissimo anche con le ragazze) ;)
Dove comprare il libro? Noi lo abbiamo preso in pre-ordine su Tlon, il sito della casa editrice, e gongoliamo tutti. Forse questa è persino la prima recensione del libro di tutta la rete! Ahhhh! *Posa da supereroi*. Ma voi, che non siete stati così fortunati, furbi, veloci da beccarvelo in pre-ordine, potete comprarlo adesso qui su La Feltrinelli o su Amazon.
Ci teniamo a dire che non abbiamo alcun accordo con nessun sito, perciò non percepiamo nessuna percentuale sulle vendite. Siamo un po' tristi di questa cosa, ma vabbé, un giorno saremo ricchi e famosi pure noi e tutti ci manderanno roba da recensire e soldi. Dopotutto, se è diventato famoso Democrito, possiamo farcela pure noi...
Che cosa ne pensate del libro? Siete d'accordo con noi su tutto, siamo stati troppo cattivi (perché un po' cattivi lo siamo sempre, è normale nelle recensioni spinose) o siamo stati troppo indulgenti? Fateci sapere, e alla prossima recensione!
P.S. Suggeriteci libri da recensire! (Meglio se sono gratis, che siamo senza soldi. Ma accettiamo di tutto). Nota: un sacco di gente si limita a dirci il titolo del libro da recensire, o addirittura a scrivere un sacco di titoli in fila, e non abbiamo davvero il tempo di andare a controllare una ad una tutte le trame per decidere se ci interessano o no, perciò per favore potete scrivere un piccolo abbozzo di cosa parla il libro? Così possiamo decidere se controllare la trama ed eventualmente leggerlo.
Per fare un esempio: "Hey, Cactus! Vi consiglio La Magia del Lupo di Michelle Paver perché è un fantasy diverso dal solito, ambientato nella preistoria, ed è molto avventuroso!" oppure "Ciao, vi consiglio Nina, La Bambina della Sesta Luna, perché è un libro per bambini davvero brutto e mi piacerebbe leggere una recensione scritta da voi per spanciarmi dalle risate".
Vi aspettiamo ;)
Sì. Sì, lo stiamo facendo: stiamo recensendo il libro di uno youtuber.... ehm, un content creator (ci fa un po' ribrezzo questa cosa di chiamarlo youtuber, sarebbe come accomunarlo a tutta la schiera di gamers perdigiorno... anche se sia chiara, non abbiamo niente contro i videogame!) principalmente noto per Scienza Brutta, rubrica di divulgazione scientifica in salsa umoristica, i riassuntazzi brutti brutti, in cui riassume in modo comico puntate di telefilm e film famosi, e i Diari di Bordo, racconti di viaggio in terza persona.
Considerando il livello medio di cultura (e soprattutto la loro capacità di scrivere un libro, testimoniata dagli innumerevoli volumi spazzatura del passato) degli youtuber, pensavamo che questo giorno non sarebbe mai arrivato, ma poi abbiamo visto la luce. E le onde. E le vele, con sopra uno splendido simbolo pirata, il teschio con il cappello da giullare, l'orecchino e le ossa disposte in croce. Siamo insomma saliti sul vascello (vascello? Volevamo dire VASCELLAZZO) della cultura brutta (in realtà bellissima), quello di Barbascura X, un content creator più assimilabile a un documentarista che a un semplice intrattenitore. Cioè, non è che vogliamo dire che sia barboso, anzi... la barba ce l'ha, ma a voi non la farà crescere, perché è sì un intrattenitore, ma con un twist molto, molto speciale: mentre vi fa sganasciare dalle risate e liberare qualche goccia di urina nei pantaloni, egli vi renderà anche, ed è questo ciò che lo rende speciale, edotti.Insomma, tutta 'sta presentazione per dirvi che conosciamo lo scrittore da prima di aver letto il suo libro, che può essere una cosa positiva o una cosa negativa. È positiva perché ci aspettavamo già grandi cose da lui, che non fallisce mai nell'insegnarci qualcosa di nuovo. È negativa sempre perché ci aspettavamo grandi cose da lui, e quindi se per caso il libro non fosse stato all'altezza, la delusione rischiava di farci dare un voto ancora più basso di quanto il libro meritasse.
Per fortuna nostra (e di Barbascura, che così si becca una bella recensione) il libro è bello, perciò senza altri indugi ci buttiamo nella recensione di "Il genio non esiste (e a volte è un idiota)", il primo libro non-fiction di cui ci azzardiamo a parlare! E oltre ad essere il primo libro non-fiction che recensiamo, è anche il primo libro in assoluto che abbiamo pre-ordinato. Ci sentiamo come un gruppo di fieri fanboys.
Via con la recensione!
1. La trama: non essendo un romanzo, questo libro non ha una vera e propria trama, sarebbe perciò meglio definirlo "il tema". Barbascura ci accompagna, in modo assolutamente ironico, attraverso le vite di quegli uomini che la storia ha definito "geni", ma che geni non erano affatto, perché si trattava di persone come tutte le altre, persone che avevano i loro problemi, le loro manie, i loro attacchi di stupidità acuta, le loro intuizioni sbagliate, le loro vite incasinate, le loro scelte idiote, insomma... che forse troppo geniali non erano. Alcuni di loro sono stati baciati dalla fortuna, sono nati in famiglie ricchissime che li hanno supportati nelle loro ricerche fornendogli strumenti che nessuno aveva, o in periodi in cui quasi tutto era già stato scoperto nel loro campo e tutto quello che loro avrebbero dovuto fare era unire i puntini, e altre volte ancora (come nel caso di Charles Darwin) entrambe le cose.
Questo libro, con la leggerezza del gossip e la profondità della scienza, esplora le vite di uomini straordinari che non erano davvero così straordinari (o meglio, lo erano, ma in tutti i modi sbagliati), ma che in un modo o nell'altro hanno cambiato la storia e la vita dell'umanità intera.
Lo sapevate che Charles Darwin era presidente di un'associazione goliardica studentesca che aveva come scopo di mangiare animali che normalmente la gente non mangiava? E lo sapevate che secondo Isaac Newton possiamo vedere i colori perché la luce crea una pressione sul nostro occhio, e per dimostrarlo si infilava gli spilloni nelle orbite? E lo sapevate che Tesla calcolava il volume di ogni contenitore nella quale si trovavano cibo o bevande, altrimenti dichiarava di non godersi il nutrimento? Oh, e aveva anche un'altra fissazione: non iniziava a mangiare se prima non aveva preso tutti i tovaglioli e se li era impilati davanti, ed essi dovevano essere sempre, rigorosamente, dodici o diciotto.
Pensate che queste cose siano strane? Sono solo la punta dell'iceberg. Leggete il libro e vi si aprirà un mooondo intero!
2. La copertina
La copertina questa volta è una sola, perché non ci sono state altre edizioni oltre a questa, che è proprio del 2020:
Per noi è non solo adeguata, ma bellissima. Barbascura con il cappello da giullare, a simboleggiare che nessun genio è serio come lo si crede e contemporaneamente a ricordarci il simbolo della sua bandiera pirata, con la lingua di fuori come Einstein nella sua foto più famosa, con atomi come sonagli alla fine di ciascun delle punte del cappello (gli atomi, e i loro fuorvianti nome e storia, sono proprio una delle prime cose di cui il libro parla), su uno sfondo che richiama l'universo aperto, con la stilizzazione di alcune delle scoperte più rilevanti, come il magnetismo e il DNA.Congratulazioni a Caterina Ferrante, l'illustratrice, per questa bilanciata intuizione: questa è proprio una di quelle copertine che invogliano il lettore curioso a buttarsi a pesce su un viaggio pieno di scoperte.
3. Cosa ci è piaciuto:
Sarebbe molto, ma molto più facile raccontarvi cosa non ci è piaciuto (e lo faremo, eh, come sempre) piuttosto che elencarvi tutto quello che ci è piaciuto, perché rischieremmo di rimanere qui fino a domani mattina. Perciò ci limiteremo a dirne... ecco... a dirne cinque di cose che ci sono piaciute. Randomicamente. Per recensire proprio come piacerebbe a Barbascura: MALE.
Per prima cosa abbiamo amato il modo in cui cose complicatissime, come la teoria della relatività, l'evoluzione dalle specie, gli atomi, vengono spiegati con metafore che ne rendono la comprensione non solo semplice, ma anche estremamente divertente. È come se durante la lettura si potessero visualizzare queste cose, ed è stato... trascendentale. Soprattutto perché le visualizzi mentre ridi come un cretino. Insomma, questo libro è meglio di un trip allucinogeno e forse, a ben vedere, è un trip allucinogeno.
La seconda cosa che ci è piaciuta è la personalizzazione del tutto, l'impronta pesante e tutt'altro che impersonale di Barbascura durante la narrazione. Ammettiamo che per qualcuno possa sembrare un po' strano, e che possano persino esserci persone a cui un'impronta così forte possa dare fastidio, ma non l'abbiamo assolutamente adorata: i racconti di Barbascura da bambino, i continui riferimenti a quello che gli piace, alle sue esperienze come chimico e come persona, rendono tutto ancora più divertente e azzerano la distanza morale fra le menti dei grandi scienziati del passato e quella di persone come noi o come Barbascura: quello che rimane è un'umanità nuda e complessa, pura nei suoi errori e nelle sue fissazioni, ed è una cosa bellissima.
La terza cosa che ci è piaciuta è il femminismo. Sì, è un libro che parla di uomini di scienza, eppure il sessismo qui non è di casa: Barbascura dipinge non solo come eguali i "grandi" del passato e la gente del presente, ma anche uomini e donne. Davvero, una parità autentica di dignità nelle nostre imperfezioni umane, e di questo gli siamo tutti grati.
La quarta cosa sono le immagini. Sì, ci sono le immagini dentro questo libro, con tanto di didascalie, e combinate parlano un linguaggio giovane e fresco che vi strapperà qualche risatina anche se lo state leggendo da soli.
4. Cosa non ci è piaciuto:
Le illustrazioni sono poche. Non è che è una mancanza del libro o chissà che, ma sono così divertenti che avremmo voluto vederne di più... e poi lo saprete ormai che abbiamo un debole per le arti visive e in particolare per i libri illustrati!
E poi... ci sono tante parolacce. Ma proprio tante, proprio come nei video di Barbascura X. Questo ci da poco fastidio in un video, che però è un mezzo di comunicazione assai diverso da un libro: vederle stampate su carta, vederne così tante, per qualche motivo ci distrae. Inoltre questo ci impedisce di consigliare a tutti i nostri conoscenti, specie i più grandicelli che hanno avuto un'educazione diversa da noi, questo libro, ed è un peccato... ci fosse stato un pizzico di scurrilità in meno, lo avremmo tirato in testa a tutti i nostri conoscenti e consigliato anche alle scuole (superiori, ovviamente, perché i bimbi delle medie e delle superiori sono comunque troppo piccoli...). Così invece rischiamo di sentirci domandare "ma che cavolo leggete?" da ogni persona a cui lo consigliamo.
Ovviamente alcune battute e storielline a sfondo sessuale rimangono esilaranti, ma non è tanto il fatto che siano contenuti per adulti, quanto il tono di per sé della narrazione. Non è male, ma... si poteva contenere un po'.
Un'altra piiiiccolissima nota è che è molto "rapido" e per chi non conosce lo stile di narrazione di Barbascura X, alcuni passaggi potrebbero risultare confusi, o addirittura si potrebbero prendere per vedere le affermazioni ironiche e viceversa... ma a noi frega poco, perché conosciamo il suo stile, e quindi...
Voto complessivo: 87 su 100. Hai superato veramente bene il test, oltre le nostre aspettative, bel libro! E sei anche il secondo libro in quanto a punteggio fra quelli che abbiamo recensito, subito dopo La Nave dei Sogni. Che dire, un successo! *suono di trombetta allegra*
A chi lo consigliamo: non è un libro proprio per tutti tutti, visto che ci sono molte persone annoiate a morte sia dalla scienza che dalla storia. Ovviamente questo libro potrebbe far cambiare loro idea, ma se proprio dobbiamo consigliarlo in maniera e precisa, sappiamo che le persone incuriosite da tutto ciò che le circonda sono quelle che apprezzeranno di più questa intrigante lettura... se poi conoscete qualcuno che è intelligente, ma ha una bassa autostima, regalategli questo libro per conquistarlo (o conquistarla, visto che funziona benissimo anche con le ragazze) ;)
Dove comprare il libro? Noi lo abbiamo preso in pre-ordine su Tlon, il sito della casa editrice, e gongoliamo tutti. Forse questa è persino la prima recensione del libro di tutta la rete! Ahhhh! *Posa da supereroi*. Ma voi, che non siete stati così fortunati, furbi, veloci da beccarvelo in pre-ordine, potete comprarlo adesso qui su La Feltrinelli o su Amazon.
Ci teniamo a dire che non abbiamo alcun accordo con nessun sito, perciò non percepiamo nessuna percentuale sulle vendite. Siamo un po' tristi di questa cosa, ma vabbé, un giorno saremo ricchi e famosi pure noi e tutti ci manderanno roba da recensire e soldi. Dopotutto, se è diventato famoso Democrito, possiamo farcela pure noi...
Che cosa ne pensate del libro? Siete d'accordo con noi su tutto, siamo stati troppo cattivi (perché un po' cattivi lo siamo sempre, è normale nelle recensioni spinose) o siamo stati troppo indulgenti? Fateci sapere, e alla prossima recensione!
P.S. Suggeriteci libri da recensire! (Meglio se sono gratis, che siamo senza soldi. Ma accettiamo di tutto). Nota: un sacco di gente si limita a dirci il titolo del libro da recensire, o addirittura a scrivere un sacco di titoli in fila, e non abbiamo davvero il tempo di andare a controllare una ad una tutte le trame per decidere se ci interessano o no, perciò per favore potete scrivere un piccolo abbozzo di cosa parla il libro? Così possiamo decidere se controllare la trama ed eventualmente leggerlo.
Per fare un esempio: "Hey, Cactus! Vi consiglio La Magia del Lupo di Michelle Paver perché è un fantasy diverso dal solito, ambientato nella preistoria, ed è molto avventuroso!" oppure "Ciao, vi consiglio Nina, La Bambina della Sesta Luna, perché è un libro per bambini davvero brutto e mi piacerebbe leggere una recensione scritta da voi per spanciarmi dalle risate".
Vi aspettiamo ;)
Published on March 24, 2020 07:39
March 23, 2020
Character - Billee
(Se stai cercando questa scheda in italiano vai qui)
Species: Lycan (half aurolupus / half unknown breed)Complete name: Billee of the deadly sandsGender: MaleHeight (feral form): 91 cm at the withers
Height (human form): 1,76 m
Height (full moon form): 1,91 m Body type: Stocky
Occupation: Puppy nanny, hunter, sentrySmells like: Dog fur and motor oil
S.O.: Heterosexual
Rank in his pack: Beta male
Voice: Natural tenor, can shift his own vocal cords to other ranges, even the dramatic basso profondoHometown: Unknown
Appears in: --
Lawful Neutral | Entertainer | EclecticUltimate nanny for baby monsters | Good guy -- for being a ferocious beast | Has n.2 pair of shorts | Billee is the male alpha that succeded Herzeleid among the Deadly Sands pack. His role was however taken by Blindfury in the spring 2018.
While he was a good leader and father, his authority was frequently challenged by his fellow packmates because Billee is not a pureblood aurolupus, as can be seen from his slightly softer fur and light blue eyes. His not being pure is a deep source of self-loathing for him, because he hates something of himself that is actually out of his control, and much of a bigger problem for him that it is actually for his packmates.
His vocation is one of a bard, narrator, and singer. Billee is so skilled at using his voice for his and other's amusements that he learned to make incredibly accurate imitations, especially of other male voices.
He gladly covers a medium-high role in the pack and is the Deadly Sands' nanny every spring. His strong paternal instinct makes him want to take care of every puppy, even if they are of a different species. This inclination made sure that he had many pets of various species during his lifetime.This is the form that Gilga is the most comfortable in, and the one that she'll be in for most of the time. While in Crinos, she manages to appear bigger and at the same time she's more “light” and manageable, with opposable thumbs that allow her to craft traps and other objects.
He likes He dislikes- Puppies!
- Singing and dancing.
- Food!
- Nicki Minaj (singer)
- Dogs (especially puppies)
- Screaming
- People that have children/puppies and won't hand them to him
-Silence
- Vegan food
- Vampires
- Fire
- Weddings
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Wrestling (very good)
- Standing fight / boxing (good/very good)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Fast healing (very good/excellent)
- Shapeshifting (good/very good)Language
- US English (Beginner in speaking, disaster in writing, good in understanding)
- Garou of the sands (excellent in speaking/understanding, disaster in writing)Music
- Singing (excellent/master)
- Playing drums (very good/excellent)
- Playing guitar (excellent)
- Playing flute (good/very good)
- Playing piano (good/very good)
- Composing songs (excellent)
- Terryfing howl (good)
Magical- Refractory to magic (very good) Misc.
- Hunting large animals (very good)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (very good)
- Orienting in forests (good)
- Orienting in cities (good/very good)
- Caring for puppies/babies (very good)
Moodboard
-
Gallery of images (Click to enlarge!)
With the Deadly Sands pack
by Debby1996
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All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Species: Lycan (half aurolupus / half unknown breed)Complete name: Billee of the deadly sandsGender: MaleHeight (feral form): 91 cm at the withersHeight (human form): 1,76 m
Height (full moon form): 1,91 m Body type: Stocky
Occupation: Puppy nanny, hunter, sentrySmells like: Dog fur and motor oil
S.O.: Heterosexual
Rank in his pack: Beta male
Voice: Natural tenor, can shift his own vocal cords to other ranges, even the dramatic basso profondoHometown: Unknown
Appears in: --
Lawful Neutral | Entertainer | EclecticUltimate nanny for baby monsters | Good guy -- for being a ferocious beast | Has n.2 pair of shorts | Billee is the male alpha that succeded Herzeleid among the Deadly Sands pack. His role was however taken by Blindfury in the spring 2018.
While he was a good leader and father, his authority was frequently challenged by his fellow packmates because Billee is not a pureblood aurolupus, as can be seen from his slightly softer fur and light blue eyes. His not being pure is a deep source of self-loathing for him, because he hates something of himself that is actually out of his control, and much of a bigger problem for him that it is actually for his packmates.
His vocation is one of a bard, narrator, and singer. Billee is so skilled at using his voice for his and other's amusements that he learned to make incredibly accurate imitations, especially of other male voices.
He gladly covers a medium-high role in the pack and is the Deadly Sands' nanny every spring. His strong paternal instinct makes him want to take care of every puppy, even if they are of a different species. This inclination made sure that he had many pets of various species during his lifetime.This is the form that Gilga is the most comfortable in, and the one that she'll be in for most of the time. While in Crinos, she manages to appear bigger and at the same time she's more “light” and manageable, with opposable thumbs that allow her to craft traps and other objects.
He likes He dislikes- Puppies!
- Singing and dancing.
- Food!
- Nicki Minaj (singer)
- Dogs (especially puppies)
- Screaming
- People that have children/puppies and won't hand them to him
-Silence
- Vegan food
- Vampires
- Fire
- Weddings
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Wrestling (very good)
- Standing fight / boxing (good/very good)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Fast healing (very good/excellent)
- Shapeshifting (good/very good)Language
- US English (Beginner in speaking, disaster in writing, good in understanding)
- Garou of the sands (excellent in speaking/understanding, disaster in writing)Music
- Singing (excellent/master)
- Playing drums (very good/excellent)
- Playing guitar (excellent)
- Playing flute (good/very good)
- Playing piano (good/very good)
- Composing songs (excellent)
- Terryfing howl (good)
Magical- Refractory to magic (very good) Misc.
- Hunting large animals (very good)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (very good)
- Orienting in forests (good)
- Orienting in cities (good/very good)
- Caring for puppies/babies (very good)
Moodboard
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With the Deadly Sands pack
by Debby1996+
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All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Published on March 23, 2020 04:50
March 22, 2020
Characters - Gilga
(Se stai cercando questa scheda in italiano vai qui)
Species: Aurolupus lycan (Homolupus auratus)Complete name: Gilga (Jeel-gah) of The Deadly SandsGender: FemaleHeight (feral form): 92 cm (at the withers)
Height (human form): 1,69 m
Height (full moon form): 1,82 m Body type: Inverted triangle mesomorph, slender but solid
Occupation: HunterSmells like: Wax, steel and dog fur
S.O.: Heterosexual
Rank in her pack: Omega femaleHometown: Weird. She was born on Mimmum, an exoplanet.
Appears in: --
"I need your love
I need your time
When everything's wrong
You make it right
I feel so high
I come alive
I need to be free with you tonight"
I need your love - Calvin Harris ft. Ellie Goulding Lawful Neutral | Peacemaker | Submissive
Cute monster | Belly up for friends, fangs out for enemies | Spiky cupcake | Gilga is part of the pack of Deadly Sands and covers the lowest rank as the Omega. Her main role is to be a cute pupperina and sedate the tensions between her fellow pack members. She's sweet but never shy and, even if while she's with her pack she seems playful and harmless (at least compared to her aurolupus packmates), she's really dependent on the company of her pack and she feels so lost without them that her developing nervousness brings her to try and destroy everything - and everyone - around her out of rage and frustration.
She can understand a bit of English, but she speaks only the language of her people, called Garou of the Sands. She likes to keep and breed Phasmidae insects she finds in the wild. Sometimes she eats them.
Crinos (“full moon”) form This is the form that Gilga is the most comfortable in, and the one that she'll be in for most of the time. While in Crinos, she manages to appear bigger and at the same time she's more “light” and manageable, with opposable thumbs that allow her to craft traps and other objects.
Hispo form Her native form. While in Hispo, Gilga becomes more awkward, but much more compact and suitable for combat. It's an anomaly among her fellows, who are generally more skilled in their native form, but the constant use of the full moon form leaves her baffled when she returns to this state.
Omega of the pack Gilga covers the role of Omega in her pack, so she is the lowest in hierarchy, recognizes as dominant all her packmates, and her main role is to act as a peacemaker. When the tension rises, especially for a bunch of aggressive creatures such as aurolupuses and especially in crucial periods, such as spring, it's essential for the tension to be disposed of in some way to prevent the infighting from turning into something serious. This role in the pack has given her many scars and a certain physical and mental resistance: at times it happens that she has to intervene forcefully to interrupt the arguments, but she doesn't always come out unscathed from them. Gilga does not aim to social climbing, feeling perfectly fulfilled in her role as an omega. On the contrary, the idea of making decisions for herself and others makes her extremely nervous, and she prefers to rely on her superiors. Her sweetness, submissive attitude and puppy-like appearance are all things that aid her greatly at fulflling her role.
Lonely rampage She's really dependant on the company of her pack and she feels so lost without them that her developing nervousness brings her to try and destroy everything – and everyone – around her out of rage and frustration. The only thing that can calm her down is, of course, having someone belonging to her pack near: that makes her feel secure again enough to stop destroying things.
Forced to be humanGilga never assumed human form of her own will, nor she's able to do it at her whim, but it may happen to her if she gets really worn-out: aurolupuses bodies are programmed to revert to more energy-saving shapes in case of exhaustion, and the human form happens to be that shape. However, since she never did that before, she can't be confused at all with a regular human being as she retains various feral characteristics quite distinct, in primis the presence of a tail.
She likes She dislikes- Blindfury
- Being the center of the attention
- Rough cuddles and raw food
- Peace in her pack
- Her pack
- Chewing on other people's stuff- Being alone
- Technology
- Arguments
- Fire
- Being around too many puppies (aka, more than two)
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Wrestling (very good)
- Standing fight / boxing (good/very good)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Fast healing (very good/excellent)
- Shapeshifting (good/very good)Language
- US English (Beginner in speaking, disaster in writing, good in understanding)
- Garou of the sands (excellent in speaking/understanding, disaster in writing)
- German (beginner in speaking/undertanding, disaster in writing)Music
- Singing (mediocre)
- Terryfing howl (very good)
Magical- Refractory to magic (master) Misc.
- Hunting large animals (very good)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (excellent)
- Orienting in forests (very good)
- Orienting in cities (good/very good)
- Crafting small hunting traps (very good)
- Calming people (very good/excellent)
- Caring for Phasmidae insects (good)- Telling funny jokes (very good)
Moodboard
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With Blindfury
With Blindfury
Watching armwrestling
With Blindfury
by Aria-Suna-Kunoichi
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All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Species: Aurolupus lycan (Homolupus auratus)Complete name: Gilga (Jeel-gah) of The Deadly SandsGender: FemaleHeight (feral form): 92 cm (at the withers)Height (human form): 1,69 m
Height (full moon form): 1,82 m Body type: Inverted triangle mesomorph, slender but solid
Occupation: HunterSmells like: Wax, steel and dog fur
S.O.: Heterosexual
Rank in her pack: Omega femaleHometown: Weird. She was born on Mimmum, an exoplanet.
Appears in: --
"I need your love
I need your time
When everything's wrong
You make it right
I feel so high
I come alive
I need to be free with you tonight"
I need your love - Calvin Harris ft. Ellie Goulding Lawful Neutral | Peacemaker | Submissive
Cute monster | Belly up for friends, fangs out for enemies | Spiky cupcake | Gilga is part of the pack of Deadly Sands and covers the lowest rank as the Omega. Her main role is to be a cute pupperina and sedate the tensions between her fellow pack members. She's sweet but never shy and, even if while she's with her pack she seems playful and harmless (at least compared to her aurolupus packmates), she's really dependent on the company of her pack and she feels so lost without them that her developing nervousness brings her to try and destroy everything - and everyone - around her out of rage and frustration.
She can understand a bit of English, but she speaks only the language of her people, called Garou of the Sands. She likes to keep and breed Phasmidae insects she finds in the wild. Sometimes she eats them.
Crinos (“full moon”) form This is the form that Gilga is the most comfortable in, and the one that she'll be in for most of the time. While in Crinos, she manages to appear bigger and at the same time she's more “light” and manageable, with opposable thumbs that allow her to craft traps and other objects.
Hispo form Her native form. While in Hispo, Gilga becomes more awkward, but much more compact and suitable for combat. It's an anomaly among her fellows, who are generally more skilled in their native form, but the constant use of the full moon form leaves her baffled when she returns to this state.
Omega of the pack Gilga covers the role of Omega in her pack, so she is the lowest in hierarchy, recognizes as dominant all her packmates, and her main role is to act as a peacemaker. When the tension rises, especially for a bunch of aggressive creatures such as aurolupuses and especially in crucial periods, such as spring, it's essential for the tension to be disposed of in some way to prevent the infighting from turning into something serious. This role in the pack has given her many scars and a certain physical and mental resistance: at times it happens that she has to intervene forcefully to interrupt the arguments, but she doesn't always come out unscathed from them. Gilga does not aim to social climbing, feeling perfectly fulfilled in her role as an omega. On the contrary, the idea of making decisions for herself and others makes her extremely nervous, and she prefers to rely on her superiors. Her sweetness, submissive attitude and puppy-like appearance are all things that aid her greatly at fulflling her role.
Lonely rampage She's really dependant on the company of her pack and she feels so lost without them that her developing nervousness brings her to try and destroy everything – and everyone – around her out of rage and frustration. The only thing that can calm her down is, of course, having someone belonging to her pack near: that makes her feel secure again enough to stop destroying things.
Forced to be humanGilga never assumed human form of her own will, nor she's able to do it at her whim, but it may happen to her if she gets really worn-out: aurolupuses bodies are programmed to revert to more energy-saving shapes in case of exhaustion, and the human form happens to be that shape. However, since she never did that before, she can't be confused at all with a regular human being as she retains various feral characteristics quite distinct, in primis the presence of a tail.
She likes She dislikes- Blindfury
- Being the center of the attention
- Rough cuddles and raw food
- Peace in her pack
- Her pack
- Chewing on other people's stuff- Being alone
- Technology
- Arguments
- Fire
- Being around too many puppies (aka, more than two)
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Wrestling (very good)
- Standing fight / boxing (good/very good)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Fast healing (very good/excellent)
- Shapeshifting (good/very good)Language
- US English (Beginner in speaking, disaster in writing, good in understanding)
- Garou of the sands (excellent in speaking/understanding, disaster in writing)
- German (beginner in speaking/undertanding, disaster in writing)Music
- Singing (mediocre)
- Terryfing howl (very good)
Magical- Refractory to magic (master) Misc.
- Hunting large animals (very good)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (excellent)
- Orienting in forests (very good)
- Orienting in cities (good/very good)
- Crafting small hunting traps (very good)
- Calming people (very good/excellent)
- Caring for Phasmidae insects (good)- Telling funny jokes (very good)
Moodboard
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With Blindfury
With Blindfury
Watching armwrestling
With Blindfury
by Aria-Suna-Kunoichi+
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All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Published on March 22, 2020 09:49
March 21, 2020
Characters - Sara Barker
(Se stai cercando questa scheda in italiano vai qui)
Species: Aurolupus lycan (Homolupus auratus magnus)Complete name: Sara Barker of the Deadly SandsGender: FemaleHeight/Weight: Variable (it depends on how much she eats), but not less than 130 kg. Max height 2,48 m (8'2'').Body type: Big, square, strong, TANK
Occupation: Bodyguard, alpha of the Deadly Sands pack, vloggerSmells like: Dog fur, raw meat and jasmine
S.O.: Heterosexual
Rank in her pack: Alpha femaleHometown: Houston, TX
Appears in: Sara's fitness vlog (webcomic) | Lupus in Aula (webcomic) | Scontramondi 1. La Pietra delle Fonti (book) | Il Fiore e l'Artiglio (book) |
Authentic monster | Supergoldenwolfen | Moody | The great golden killer
Born as a human, Sara became a lycanthrope through the bite of one of his kind and her asleep nature, her secret genes, woke up and transformed her into a supergoldenwolfen, the alpha of the alphas in the aurolupus breed. Respected by the tribes, even venerated by some aurolupuses, she decided to abandon her human side and enjoy her new incredible power. She understood that never re-transforming into her human form would have gifted her of more reactive muscles, higher healing factor and, her favorite, a bigger size. She's one of the few lycan that can actually reach a great crinos form without being in extreme danger, but it's very very difficult for her to transform into something that looks like a real human. She's moody and bossy and definitely knows that every single one of his desires... it's an order.
She can not talk any human language while in non-human form, so she usually talks in "Garou of the Sand Children", the common language of aurolupus tribe.
Queen of queensSuperior physical strength and aggression are not the only required characteristic for a lycanthrope to be an alpha, they need empathy, strong paternal/maternal instinct, and intelligence, but aurolupuses are different from regular lycanthropes... they are the incarnated spirit of the beast and they chose to follow the stronger and most ferocious specimen of the pack. Sara is an excellent fighter, a fearless warrior, and she does not allow anyone to disrespect or contradict her: this causes her to be seen by the pack as an incredibly valid alpha. Her strength, ability and arrogance allow her to subdue the alphas of any other pack and therefore Sara usually behaves in an "overbearing" way, commanding any werewolf and even allowing herself to kill the ones that she doesn't like. However, she is a capricious and sometimes magnanimous beast, able to help others as well as to ruin their lives...
Refractory to magicThis tank of muscles can only be stopped by mechanical means: magic, even that of dragons, has no effect on her. On the other hand, she is allergic to silver, like all werewolves! Should we prepare some special bullets?
Not so human-looking...She passes the majority of her time in feral forms, both hispo (the favorite and native form for many aurolupuses, even if she was born as a human) and wolf-like, sometimes (especially during the full moon nights) she looks like a monster, an anthropomorphic giant wolf (and you wouldn't like to meet her during that time, really), but she completely abandoned her human form. If she's forced to shift back to look like a woman, the result will be... well... not very convincing: she still shows some animal traits, like strong claws-like nails, a short tail, big teeth with pointy canines, a lot of hair and even some beard. But, hey, at least she can now talk, even if her voice is now different and more "scratchy" from the one she had when she was young. It's hard to think that she was actually born with a human form!
One weakness?Sly, pragmatic, strong and refractory to magic, Sara has virtually no weaknesses... or not? Apart from a genuine dislike for fire (like all aurolupuses, she has a "problematic" relationship with the flames), Sara is strongly protective of her (main) mate, the werewolf Mark McWoodland, and is willing to do anything for him, even jumping through the fire, spill blood (that of others or her own) and, someone says, to die. Is that true love or a terrible weakness?
She likes She dislikes- Tearing apart living pulsing bodies while hearing their screams
- Ham
- Sledgehammers
- Being respected
- Wrestling with friends
- Cozy spots for peaceful naps
- Pawn stars (tv show)
- Big dogs
- Gore, blood and violence
- Beer
- Her beloved Mark McWoodland
- Her interdimensional buff friend CODE-0
- Disrespecteful people - Cops
- Priests
- Pretty little liars (tv show)
- Baby blue (color, #89CFF0)
- Smartphones
- Playing Monopoly
- Vegan food
- Her "sidekick" Harry Griffin
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Fencing (good)
- Medieval fencing (very good)
- Wrestling (very good / excellent)
- Standing fight / boxing (excellent)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Archery (mediocre/good)Language
- US English (very good in written and spoken, excellent in understanding)
- Garou of the sands (very good/excellent)
- German (good)Music
- Guitar (mediocre)
- Drums (excellent)
- Piano (disaster)
- Singing (good/very good)
- Terryfing howl (excellent)
Magical- Refractory to magic (master) Misc.- Cooking (mediocre)
- Hunting large animals (master)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (excellent)
- Learn quickly (very good)
- Orienting in forests (very good)
- Orienting in cities (excellent)
- Shooting with guns (very good)
- Planning murders (very good)
- Video editing (very good)
- Hacking (beginner)
Moodboard
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With Mark and Bara
Young Mark and Sara
Sara with Mark and Code-0
By Zikeny
by Silvahrush
by Mizuki-Chan
By (Taevari)
by Aria-Suna-Kunoichi
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All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Species: Aurolupus lycan (Homolupus auratus magnus)Complete name: Sara Barker of the Deadly SandsGender: FemaleHeight/Weight: Variable (it depends on how much she eats), but not less than 130 kg. Max height 2,48 m (8'2'').Body type: Big, square, strong, TANKOccupation: Bodyguard, alpha of the Deadly Sands pack, vloggerSmells like: Dog fur, raw meat and jasmine
S.O.: Heterosexual
Rank in her pack: Alpha femaleHometown: Houston, TX
Appears in: Sara's fitness vlog (webcomic) | Lupus in Aula (webcomic) | Scontramondi 1. La Pietra delle Fonti (book) | Il Fiore e l'Artiglio (book) |
Authentic monster | Supergoldenwolfen | Moody | The great golden killer
Born as a human, Sara became a lycanthrope through the bite of one of his kind and her asleep nature, her secret genes, woke up and transformed her into a supergoldenwolfen, the alpha of the alphas in the aurolupus breed. Respected by the tribes, even venerated by some aurolupuses, she decided to abandon her human side and enjoy her new incredible power. She understood that never re-transforming into her human form would have gifted her of more reactive muscles, higher healing factor and, her favorite, a bigger size. She's one of the few lycan that can actually reach a great crinos form without being in extreme danger, but it's very very difficult for her to transform into something that looks like a real human. She's moody and bossy and definitely knows that every single one of his desires... it's an order. She can not talk any human language while in non-human form, so she usually talks in "Garou of the Sand Children", the common language of aurolupus tribe.
Queen of queensSuperior physical strength and aggression are not the only required characteristic for a lycanthrope to be an alpha, they need empathy, strong paternal/maternal instinct, and intelligence, but aurolupuses are different from regular lycanthropes... they are the incarnated spirit of the beast and they chose to follow the stronger and most ferocious specimen of the pack. Sara is an excellent fighter, a fearless warrior, and she does not allow anyone to disrespect or contradict her: this causes her to be seen by the pack as an incredibly valid alpha. Her strength, ability and arrogance allow her to subdue the alphas of any other pack and therefore Sara usually behaves in an "overbearing" way, commanding any werewolf and even allowing herself to kill the ones that she doesn't like. However, she is a capricious and sometimes magnanimous beast, able to help others as well as to ruin their lives...Refractory to magicThis tank of muscles can only be stopped by mechanical means: magic, even that of dragons, has no effect on her. On the other hand, she is allergic to silver, like all werewolves! Should we prepare some special bullets?
Not so human-looking...She passes the majority of her time in feral forms, both hispo (the favorite and native form for many aurolupuses, even if she was born as a human) and wolf-like, sometimes (especially during the full moon nights) she looks like a monster, an anthropomorphic giant wolf (and you wouldn't like to meet her during that time, really), but she completely abandoned her human form. If she's forced to shift back to look like a woman, the result will be... well... not very convincing: she still shows some animal traits, like strong claws-like nails, a short tail, big teeth with pointy canines, a lot of hair and even some beard. But, hey, at least she can now talk, even if her voice is now different and more "scratchy" from the one she had when she was young. It's hard to think that she was actually born with a human form!
One weakness?Sly, pragmatic, strong and refractory to magic, Sara has virtually no weaknesses... or not? Apart from a genuine dislike for fire (like all aurolupuses, she has a "problematic" relationship with the flames), Sara is strongly protective of her (main) mate, the werewolf Mark McWoodland, and is willing to do anything for him, even jumping through the fire, spill blood (that of others or her own) and, someone says, to die. Is that true love or a terrible weakness?She likes She dislikes- Tearing apart living pulsing bodies while hearing their screams
- Ham
- Sledgehammers
- Being respected
- Wrestling with friends
- Cozy spots for peaceful naps
- Pawn stars (tv show)
- Big dogs
- Gore, blood and violence
- Beer
- Her beloved Mark McWoodland
- Her interdimensional buff friend CODE-0
- Disrespecteful people - Cops
- Priests
- Pretty little liars (tv show)
- Baby blue (color, #89CFF0)
- Smartphones
- Playing Monopoly
- Vegan food
- Her "sidekick" Harry Griffin
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (good)
- Hearing at great distances (very good)
- Smell (excellent)
- Fencing (good)
- Medieval fencing (very good)
- Wrestling (very good / excellent)
- Standing fight / boxing (excellent)
- Pain resistance (very good/excellent)
- Running (good on two legs, excellent on four)
- Archery (mediocre/good)Language
- US English (very good in written and spoken, excellent in understanding)
- Garou of the sands (very good/excellent)
- German (good)Music
- Guitar (mediocre)
- Drums (excellent)
- Piano (disaster)
- Singing (good/very good)
- Terryfing howl (excellent)
Magical- Refractory to magic (master) Misc.- Cooking (mediocre)
- Hunting large animals (master)
- Hunting small animals (very good/excellent)
- Intimidate the opponent (excellent)
- Learn quickly (very good)
- Orienting in forests (very good)
- Orienting in cities (excellent)
- Shooting with guns (very good)
- Planning murders (very good)
- Video editing (very good)
- Hacking (beginner)
Moodboard
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With Mark and Bara
Young Mark and Sara
Sara with Mark and Code-0
By Zikeny
by Silvahrush
by Mizuki-Chan
By (Taevari)
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Published on March 21, 2020 04:57
Un boccaccio di Amuchina - 9. Non vogliono pagare
<Precedente (capitolo 8)
+Non vogliono pagare, una storia di Rosina Gomblotti +
Hai finito? Il signorino scostumato ha finito?
Bene, allora lasciate parlare una vecchia che ha tanto da dire. Anzitutto, grazie al signor Lazzaretti per questo rapimento: la casa è veramente brutta, ma il sedile, qui, è comodo, si capisce che lei ha i soldi.
Lo fa di professione? Il rapitore, intendo?
Ah no? E che bisogno c’è di alterarsi? Chiedo soltanto. Però, già il fatto che abbia negato così sappia che mi ha detto tutto quello che dovevo sapere. Non si preoccupi, che non lo dico a nessuno, io, finché continuiamo così bene. Ma al primo sgarro me la paga, lo giuro su tutti e quattro i miei nomi.
Qua si sta facendo sera e ancora solo Giangiorgio e quel bambino sproporzionato hanno raccontato delle storie che avevano un poco di praticità, che ci serviranno a qualcosa per quando usciremo di qui. Storie belle anche le altre, per amor di Dio, però troppo astratte. Ah, e ci tengo a ripetere che quel bambino non mi è parente, ma proprio no.
Giangiorgino mio sì che è parente, sì che è mio nipotino. Giangiorgino, lo so che tu vuoi farli tutti più esperti e perdi tempo a raccontargli le cose dall’inizio, fin dall’alba dei tempi, ma io non voglio raccontarvi delle cose che vi distraggano dal disastro che c’è là fuori, come fanno tutti questi telegiornali, politici e benpensanti.
Io vi racconto di come stanno davvero le cose ora!
Poi, a nonna, Giangiorgino, tu gli puoi raccontare le storie di quello che ci sta in mezzo tra il presente e quel tuo Simbad Admin o come cavolo si chiama lui.
Allora, dovete sapere che tutti i politici sono malvagi, quindi sono tutti coinvolti in un modo o nell’altro nei guai in cui ci troviamo. Governo ladro! Non se ne salva neanche uno! Però credo che, anche se sono coinvolti tutti, questo casino è partito da uno solo di loro, ma gli altri sono d’accordo ormai.
Io ho i miei diritti di cittadina e non voglio che me li tolgano, perciò vado a votare anche se non mi piace nessuno di loro. Però non voglio dare sostegno a questi poteri forti che credono di averci in pugno, così voto a modo mio.
Ogni anno, così, io glielo scrivo, proprio così: “Io so tutto, poteri forti”, e firmo tutte le caselle.
I miei voti non li prendono mai sul serio, ma almeno so di avergli fatto paura.
Dovete sapere anche che io sono una vecchia con un grande spirito di osservazione. Avevo iniziato a sospettare di una possibile epidemia già dagli anni settanta, e infatti, dopo più di trent’anni, si è capito che avevo ragione io. Sono lungimirante.
Un bel giorno mi ero addormentata sul divano di casa davanti alla tivù, e una visione mi è venuta in sogno. Dovete sapere che le donne della mia famiglia a volte fanno dei sogni speciali, e quindi tengo sempre un occhio di riguardo per queste cose: una volta la nonna di mia nonna ha sognato un delfino che saltava fuori dal mare con del basilico in bocca, e suo marito è morto due giorni dopo. Sembra incredibile, vero? Eppure era riuscita a prevederlo!
Zitto scimunito, tu evidentemente non sai leggere i segni. Manco le lettere normali saprai leggere, figurati se puoi interpretare i sogni.
Comunque stava dormendo, e nella visione mi appare… Matteo Salvini. Era addormentato anche lui, ma era sul suo letto che invece che sul divano come ero io, e addosso aveva un pigiama a righe blu e bianche. E già in quel momento mi dico: Rosetta, questo è un brutto segno. Salvini stava sicuramente sognando il suo pupino perduto di Zorro, che però gli dava cattivi consigli, perché quando si svegliò aveva già in mente un piano malvagio e lo disse ad alta voce:
«Facciamo il coronavirus».
Allora mi svegliai di soprassalto. La mia preoccupazione è diventata reale in quel momento: alla tivù stavano passando un documentario sui delfini.
Allora mi ero messa a rimuginare su cosa volesse dire quel sogno. Sapete, ci sono due tipi di sogni: quelli che vanno interpretati e quelli che vanno presi alla lettera, e dovevo pensarci per bene per essere sicura di capire in modo corretto cosa il mio sogno stesse cercando di dirmi.
A pensarci bene, che senso aveva che Salvini facesse una cosa del genere?
Forse, da solo, non l’avrebbe fatto. Ma più ci pensavo, più mi convincevo che avesse senso che tutto fosse partito dal nostro governo stesso. Non dai cinesi, non dagli americani, ma proprio qui da noi, in Italia.
Anzitutto, le persone che muoiono per questo virus non sono mica i lavoratori, ma quelli a cui la società deve pagare le pensioni e le cure mediche: noi vecchi e gli ammalati. Oh quanti soldi avrebbe risparmiato il Governo se fossimo morti tutti di cause misteriose!
«Giangiorgino» Dissi allora al mio nipotino «Imprestami il tuo personel compiuter, che devo fare delle ricerche per scoprire i piani del governo».
Giangiorgino è un bravo nipote intelligente, al contrario di tutti voi, e infatti ha subito lasciato il suo compiuter alla nonna ed è andato a giocare e studiare con lo smarfon.
Così ho fatto un po’ di domande al Web e man a mano che mi informavo, ho capito come stanno le cose.
Il primo indizio era il colore del pigiama di Salvini nel mio sogno: era blu e bianco, quindi questi due colori erano fondamentali. Così ho cercato “loghi blu e bianchi” e mi sono messa a scorrere per vedere se qualcuno di questi poteva essere colpevole. Mi erano usciti Feisbùc, che è un gran cospiratore e ci vuole controllare e spiare nelle case, ma ci tiene che siamo tanti, sennò nessuno fa i profili social e non si può spiare nelle case di nessuno, e quindi non poteva essere. Quello aveva fatto altre cose. Neanche la birra Corona e l’UNICEF mi sembravano candidati plausibili, ma mentre vedevo tutti i loghi mi si è materializzato un altro nella mia testa, come un’epifania, così tutto è andato finalmente al suo posto...
Quale ente avrebbe interesse a fare morire questi vecchi ed ammalati per non pagarci la pensione? Quale ente avrebbe potuto trovare un politico con cui mettersi d’accordo per far sì che ci fosse una nuova malattia a danno degli italiani, che però sarebbe stata diffusa pubblicizzandola come se fosse arrivata dall’esterno, così si poteva dare la colpa a tutti i non-italiani sul territorio?
Salvini doveva essere in combutta con l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
L’INPS, ovviamente!
Ci sono tutte le prove del mondo! Oltre a quello che vi ho detto, pensateci bene, il virus si è diffuso in Italia prima dalla pianura Padana. E quante volte avete visto nelle news degli italiani intrappolati a Wuhan durante la quarantena? E se non fossero stati semplicemente intrappolati? Avrebbero benissimo potuto lavorare per l’INPS ed essere stati loro a portare il coronavirus in Cina! Se ci pensate, si possono prendere due piccioni con una fava così.
Non solo si possono incolpare poi i cinesi di essere stati loro a portare il virus, ma si può pure dare una botticella a quella loro economia, che mi sembra che guadagnino troppo e ci siano troppe persone che lavorano da loro.
Come se non bastasse, di certo quando tutto questo sarà finito cercheranno di rifilarci tutti i loro vaccini pieni di metalli e di polistirolo. Polistirolo nelle nostre vene! La gente non sarà neanche costretta a prenderli, si precipiteranno tutti a pesce su quelle invenzioni del male per vaccinarsi di loro spontanea volontà, ma io no, no signore. Io non cederò certo alla loro campagna del terrore.
È inutile che mi fa la predica, signor Lazzaretti, proprio lei che io lo so che si prende i pilloloni: ai miei tempi, se qualcuno si sentiva poco bene ci si bagnava il gozzo con vino quanto basta per riscaldarlo, finché o noi non sentivamo più l’affanno o i nostri vecchi non sentivano più noi, e siamo cresciuti tutti benissimo. Arrivateci voi alla mia età!
Ora che avevo individuato il nemico, non mi restava che organizzarmi per attaccare. Ma mi ci voleva un diversivo, e non potevo portare con me il mio caro Giangiorgino, era troppo pericoloso.
Così ho chiamato tutti i vecchi che avevo in rubrica e gli ho detto:
«Signori, quegli schifosi dell’INPS hanno detto che c’è stato un disguido e dovete ritirare ora le pensioni, subito, sennò da domani non saranno più disponibili per tutto il mese».
Ha funzionato così bene che quando sono arrivata anche io, con il mio rampino e la borsa piena, era tutto pieno di anziani tra cui mi mimetizzavo benissimo ma era diventato molto difficile anche passare. Tutte quelle vecchie assembrate a parlare ad alta voce, tutti quei vecchi con le mani dietro la schiena, non ho avuto altra scelta che farmi spazio a botte!
Questo però è stato un po’ un errore, perché qualche vecchio spia ha cominciato a sgridarmi per il mio “comportamento inappropriato” a voce alta e davanti a tutti, quella prugna rinsecchita col riporto. Diverse persone hanno iniziato ad accorgersi di me e a cercare di assembrarsi ancora più forte per non farmi passare, temendo che potessi entrare a riscuotere la mia pensione per prima.
Cosa? Sì, certo che il coronavirus era già in giro quando sono successi i fatti, altrimenti non avrei potuto capirne la causa.
L’assembramento, eh? Non avremmo dovuto metterci tutti vicini? Ah, ingenua! Noi vecchi siamo al di sopra della legge. Se arrivi a vivere quanto noi è un diritto che ti sei guadagnato, di andare dove vuoi quando vuoi. Ecco perché siamo cittadini scomodi e la gente vuole ucciderci. Alcuni ignorantelli sembra che se lo scordino a volte, ma è così che gira il mondo. Arriva alla mia età e poi ne parliamo.
Comunque, il muro di vecchi stava diventando sempre più compatto e soffocante, e se non fossi riuscita a passare in fretta la mia occasione sarebbe stata persa per sempre! Poi avrei dovuto farmi spazio a colpi di rampino e di certo si sarebbero accorti di me: non ne sarebbe più valsa la pena.
Così mi misi a correre con tutta la forza che queste vecchie gambe mi consentono quando…
I carabinieri! Le forze dell’ordine erano arrivate perché si erano resi conto che qualcosa non andava e che, spinti dalla paura che io fossi potuta entrare per prima, tutti gli altri vecchi stavano cercando di forzare le porte dell’INPS.
«Perché prendete d’assalto quest’ente?» Ci disse uno degli agenti
«Non ho mai visto una gang di vecchi criminali» fece l’altro, mi sembrava anche con un po’ di ammirazione
«E poi sono tantissimi, ma dovete fermarvi, in nome della legge!».
Avevo capito che il mio diversivo mi si era ritorto contro, ma sarebbe andato tutto secondo il mio piano perfetto se la prugna col riporto si fosse fatto gli affari suoi. A pensarci bene, era vestito di bianco e blu e non potevo averlo chiamato io, perché non lo conosco affatto. Non può essere una coincidenza: sono sicura che lavorasse per l’INPS, e appena si è accorto del fatto che avevo un piano ingegnoso ha pensato di sabotarmi, il maledetto.
La mia finestra di opportunità si era appena chiusa, quindi sono scappata via con la mia auto anche se i poliziotti mi avevano detto di fermarmi, mentre loro arrestavano tutti quegli altri vecchi. Sì, sono andata contro la legge. Ma la legge è ingiusta, e poi io sono una vecchia e posso. Già che c’ero sono passata a prendere Giangiorgino.
Dopo il mio colpo fallito l’avevo lasciato vulnerabile alle trame del governo e se qualcuno mi avesse riconosciuta, lo sapevo, l’avrebbero cercato e avrebbero potuto fargli del male o usarlo contro di me, così avevo capito che non potevo lasciarlo da solo. Ed è in quel momento che mi avete incontrata e rapita. Ma so che voi non siete affiliato con loro: non siete vestiti di bianco e blu e, può sembrare niente, ma questi sono i dettagli che contano.
Il vostro rapimento, vi dico la verità, è capitato proprio a pennello.
Per adesso riposo qui, ma sto facendo un nuovo piano, migliore, e quando sarà pronto e sarò uscita di quei riuscirò finalmente a vendicarmi. I miei sogni mi aiuteranno, ne sono certa, ma soprattutto, lo farà la mia mente attenta.
Perché a me non interessa se non vogliono pagare. Io gliela farò pagare.
E la pagheranno cara!
+Indice +
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+Non vogliono pagare, una storia di Rosina Gomblotti +
Hai finito? Il signorino scostumato ha finito?
Bene, allora lasciate parlare una vecchia che ha tanto da dire. Anzitutto, grazie al signor Lazzaretti per questo rapimento: la casa è veramente brutta, ma il sedile, qui, è comodo, si capisce che lei ha i soldi.
Lo fa di professione? Il rapitore, intendo?
Ah no? E che bisogno c’è di alterarsi? Chiedo soltanto. Però, già il fatto che abbia negato così sappia che mi ha detto tutto quello che dovevo sapere. Non si preoccupi, che non lo dico a nessuno, io, finché continuiamo così bene. Ma al primo sgarro me la paga, lo giuro su tutti e quattro i miei nomi.
Qua si sta facendo sera e ancora solo Giangiorgio e quel bambino sproporzionato hanno raccontato delle storie che avevano un poco di praticità, che ci serviranno a qualcosa per quando usciremo di qui. Storie belle anche le altre, per amor di Dio, però troppo astratte. Ah, e ci tengo a ripetere che quel bambino non mi è parente, ma proprio no.
Giangiorgino mio sì che è parente, sì che è mio nipotino. Giangiorgino, lo so che tu vuoi farli tutti più esperti e perdi tempo a raccontargli le cose dall’inizio, fin dall’alba dei tempi, ma io non voglio raccontarvi delle cose che vi distraggano dal disastro che c’è là fuori, come fanno tutti questi telegiornali, politici e benpensanti.
Io vi racconto di come stanno davvero le cose ora!
Poi, a nonna, Giangiorgino, tu gli puoi raccontare le storie di quello che ci sta in mezzo tra il presente e quel tuo Simbad Admin o come cavolo si chiama lui.
Allora, dovete sapere che tutti i politici sono malvagi, quindi sono tutti coinvolti in un modo o nell’altro nei guai in cui ci troviamo. Governo ladro! Non se ne salva neanche uno! Però credo che, anche se sono coinvolti tutti, questo casino è partito da uno solo di loro, ma gli altri sono d’accordo ormai.
Io ho i miei diritti di cittadina e non voglio che me li tolgano, perciò vado a votare anche se non mi piace nessuno di loro. Però non voglio dare sostegno a questi poteri forti che credono di averci in pugno, così voto a modo mio.
Ogni anno, così, io glielo scrivo, proprio così: “Io so tutto, poteri forti”, e firmo tutte le caselle.
I miei voti non li prendono mai sul serio, ma almeno so di avergli fatto paura.
Dovete sapere anche che io sono una vecchia con un grande spirito di osservazione. Avevo iniziato a sospettare di una possibile epidemia già dagli anni settanta, e infatti, dopo più di trent’anni, si è capito che avevo ragione io. Sono lungimirante.
Un bel giorno mi ero addormentata sul divano di casa davanti alla tivù, e una visione mi è venuta in sogno. Dovete sapere che le donne della mia famiglia a volte fanno dei sogni speciali, e quindi tengo sempre un occhio di riguardo per queste cose: una volta la nonna di mia nonna ha sognato un delfino che saltava fuori dal mare con del basilico in bocca, e suo marito è morto due giorni dopo. Sembra incredibile, vero? Eppure era riuscita a prevederlo!
Zitto scimunito, tu evidentemente non sai leggere i segni. Manco le lettere normali saprai leggere, figurati se puoi interpretare i sogni.
Comunque stava dormendo, e nella visione mi appare… Matteo Salvini. Era addormentato anche lui, ma era sul suo letto che invece che sul divano come ero io, e addosso aveva un pigiama a righe blu e bianche. E già in quel momento mi dico: Rosetta, questo è un brutto segno. Salvini stava sicuramente sognando il suo pupino perduto di Zorro, che però gli dava cattivi consigli, perché quando si svegliò aveva già in mente un piano malvagio e lo disse ad alta voce:
«Facciamo il coronavirus».
Allora mi svegliai di soprassalto. La mia preoccupazione è diventata reale in quel momento: alla tivù stavano passando un documentario sui delfini.
Allora mi ero messa a rimuginare su cosa volesse dire quel sogno. Sapete, ci sono due tipi di sogni: quelli che vanno interpretati e quelli che vanno presi alla lettera, e dovevo pensarci per bene per essere sicura di capire in modo corretto cosa il mio sogno stesse cercando di dirmi.
A pensarci bene, che senso aveva che Salvini facesse una cosa del genere?
Forse, da solo, non l’avrebbe fatto. Ma più ci pensavo, più mi convincevo che avesse senso che tutto fosse partito dal nostro governo stesso. Non dai cinesi, non dagli americani, ma proprio qui da noi, in Italia.
Anzitutto, le persone che muoiono per questo virus non sono mica i lavoratori, ma quelli a cui la società deve pagare le pensioni e le cure mediche: noi vecchi e gli ammalati. Oh quanti soldi avrebbe risparmiato il Governo se fossimo morti tutti di cause misteriose!
«Giangiorgino» Dissi allora al mio nipotino «Imprestami il tuo personel compiuter, che devo fare delle ricerche per scoprire i piani del governo».
Giangiorgino è un bravo nipote intelligente, al contrario di tutti voi, e infatti ha subito lasciato il suo compiuter alla nonna ed è andato a giocare e studiare con lo smarfon.
Così ho fatto un po’ di domande al Web e man a mano che mi informavo, ho capito come stanno le cose.
Il primo indizio era il colore del pigiama di Salvini nel mio sogno: era blu e bianco, quindi questi due colori erano fondamentali. Così ho cercato “loghi blu e bianchi” e mi sono messa a scorrere per vedere se qualcuno di questi poteva essere colpevole. Mi erano usciti Feisbùc, che è un gran cospiratore e ci vuole controllare e spiare nelle case, ma ci tiene che siamo tanti, sennò nessuno fa i profili social e non si può spiare nelle case di nessuno, e quindi non poteva essere. Quello aveva fatto altre cose. Neanche la birra Corona e l’UNICEF mi sembravano candidati plausibili, ma mentre vedevo tutti i loghi mi si è materializzato un altro nella mia testa, come un’epifania, così tutto è andato finalmente al suo posto...
Quale ente avrebbe interesse a fare morire questi vecchi ed ammalati per non pagarci la pensione? Quale ente avrebbe potuto trovare un politico con cui mettersi d’accordo per far sì che ci fosse una nuova malattia a danno degli italiani, che però sarebbe stata diffusa pubblicizzandola come se fosse arrivata dall’esterno, così si poteva dare la colpa a tutti i non-italiani sul territorio?
Salvini doveva essere in combutta con l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
L’INPS, ovviamente!
Ci sono tutte le prove del mondo! Oltre a quello che vi ho detto, pensateci bene, il virus si è diffuso in Italia prima dalla pianura Padana. E quante volte avete visto nelle news degli italiani intrappolati a Wuhan durante la quarantena? E se non fossero stati semplicemente intrappolati? Avrebbero benissimo potuto lavorare per l’INPS ed essere stati loro a portare il coronavirus in Cina! Se ci pensate, si possono prendere due piccioni con una fava così.
Non solo si possono incolpare poi i cinesi di essere stati loro a portare il virus, ma si può pure dare una botticella a quella loro economia, che mi sembra che guadagnino troppo e ci siano troppe persone che lavorano da loro.
Come se non bastasse, di certo quando tutto questo sarà finito cercheranno di rifilarci tutti i loro vaccini pieni di metalli e di polistirolo. Polistirolo nelle nostre vene! La gente non sarà neanche costretta a prenderli, si precipiteranno tutti a pesce su quelle invenzioni del male per vaccinarsi di loro spontanea volontà, ma io no, no signore. Io non cederò certo alla loro campagna del terrore.
È inutile che mi fa la predica, signor Lazzaretti, proprio lei che io lo so che si prende i pilloloni: ai miei tempi, se qualcuno si sentiva poco bene ci si bagnava il gozzo con vino quanto basta per riscaldarlo, finché o noi non sentivamo più l’affanno o i nostri vecchi non sentivano più noi, e siamo cresciuti tutti benissimo. Arrivateci voi alla mia età!
Ora che avevo individuato il nemico, non mi restava che organizzarmi per attaccare. Ma mi ci voleva un diversivo, e non potevo portare con me il mio caro Giangiorgino, era troppo pericoloso.
Così ho chiamato tutti i vecchi che avevo in rubrica e gli ho detto:
«Signori, quegli schifosi dell’INPS hanno detto che c’è stato un disguido e dovete ritirare ora le pensioni, subito, sennò da domani non saranno più disponibili per tutto il mese».
Ha funzionato così bene che quando sono arrivata anche io, con il mio rampino e la borsa piena, era tutto pieno di anziani tra cui mi mimetizzavo benissimo ma era diventato molto difficile anche passare. Tutte quelle vecchie assembrate a parlare ad alta voce, tutti quei vecchi con le mani dietro la schiena, non ho avuto altra scelta che farmi spazio a botte!
Questo però è stato un po’ un errore, perché qualche vecchio spia ha cominciato a sgridarmi per il mio “comportamento inappropriato” a voce alta e davanti a tutti, quella prugna rinsecchita col riporto. Diverse persone hanno iniziato ad accorgersi di me e a cercare di assembrarsi ancora più forte per non farmi passare, temendo che potessi entrare a riscuotere la mia pensione per prima.
Cosa? Sì, certo che il coronavirus era già in giro quando sono successi i fatti, altrimenti non avrei potuto capirne la causa.
L’assembramento, eh? Non avremmo dovuto metterci tutti vicini? Ah, ingenua! Noi vecchi siamo al di sopra della legge. Se arrivi a vivere quanto noi è un diritto che ti sei guadagnato, di andare dove vuoi quando vuoi. Ecco perché siamo cittadini scomodi e la gente vuole ucciderci. Alcuni ignorantelli sembra che se lo scordino a volte, ma è così che gira il mondo. Arriva alla mia età e poi ne parliamo.
Comunque, il muro di vecchi stava diventando sempre più compatto e soffocante, e se non fossi riuscita a passare in fretta la mia occasione sarebbe stata persa per sempre! Poi avrei dovuto farmi spazio a colpi di rampino e di certo si sarebbero accorti di me: non ne sarebbe più valsa la pena.
Così mi misi a correre con tutta la forza che queste vecchie gambe mi consentono quando…
I carabinieri! Le forze dell’ordine erano arrivate perché si erano resi conto che qualcosa non andava e che, spinti dalla paura che io fossi potuta entrare per prima, tutti gli altri vecchi stavano cercando di forzare le porte dell’INPS.
«Perché prendete d’assalto quest’ente?» Ci disse uno degli agenti
«Non ho mai visto una gang di vecchi criminali» fece l’altro, mi sembrava anche con un po’ di ammirazione
«E poi sono tantissimi, ma dovete fermarvi, in nome della legge!».
Avevo capito che il mio diversivo mi si era ritorto contro, ma sarebbe andato tutto secondo il mio piano perfetto se la prugna col riporto si fosse fatto gli affari suoi. A pensarci bene, era vestito di bianco e blu e non potevo averlo chiamato io, perché non lo conosco affatto. Non può essere una coincidenza: sono sicura che lavorasse per l’INPS, e appena si è accorto del fatto che avevo un piano ingegnoso ha pensato di sabotarmi, il maledetto.
La mia finestra di opportunità si era appena chiusa, quindi sono scappata via con la mia auto anche se i poliziotti mi avevano detto di fermarmi, mentre loro arrestavano tutti quegli altri vecchi. Sì, sono andata contro la legge. Ma la legge è ingiusta, e poi io sono una vecchia e posso. Già che c’ero sono passata a prendere Giangiorgino.
Dopo il mio colpo fallito l’avevo lasciato vulnerabile alle trame del governo e se qualcuno mi avesse riconosciuta, lo sapevo, l’avrebbero cercato e avrebbero potuto fargli del male o usarlo contro di me, così avevo capito che non potevo lasciarlo da solo. Ed è in quel momento che mi avete incontrata e rapita. Ma so che voi non siete affiliato con loro: non siete vestiti di bianco e blu e, può sembrare niente, ma questi sono i dettagli che contano.
Il vostro rapimento, vi dico la verità, è capitato proprio a pennello.
Per adesso riposo qui, ma sto facendo un nuovo piano, migliore, e quando sarà pronto e sarò uscita di quei riuscirò finalmente a vendicarmi. I miei sogni mi aiuteranno, ne sono certa, ma soprattutto, lo farà la mia mente attenta.
Perché a me non interessa se non vogliono pagare. Io gliela farò pagare.
E la pagheranno cara!
+Indice +
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Published on March 21, 2020 01:31
March 20, 2020
Characters - Mark McWoodland
(Se stai cercando questa scheda in italiano vai qui)
Species: Red werewolf (Lupus hominarium rubrum)Complete name: Mark McWoodlandof the Deadly SandsGender: maleHeight/Weight: 2,14 m / 150 kg (variable)Body type: Strong but elegant and manly. Muscles not heavily defined
Data di nascita: ???Occupazione: Farmer / Dungeon explorer /Dark Minister / Fighter / ex-Dark Knight of the Ermes Om'TaSmells like: Clean sheets, lilies, olive tree wood and a hint of iron Hometown: Austin, TX
Appears in: Lupus in Aula (webcomic) | Scontramondi 1. La Pietra delle Fonti (book) | Il Fiore e l'Artiglio (book) | Autobiografia (forse romanzata) di un drago dorato (book) |
Quiet | Gentle | The Gardener | Sleeping is for the strong | Scruff | A legend |Lawful neutral | Necromancer/Warlock | Wiccan
He's a lupus hominarium var. rubrum, a red monoform (it means no natural shapeshifter) major werewolf, but also a very powerful dark mage, so he can achieve shapeshifting through magic. He can assume different forms (like the human or the wolf ones), but only if they're almost identical at him in size (for example he can become a VERY big wolf) and can not change his color (in every form his hair and skin will be the same).
When he assumes a human form he's almost as tall as he is in his natural body and his weight doesn't change. He always wears a beard, dark clothes (with some green, of course, dark green), and he has an intimidating look... think to the Undertaker, the one from wrestling! He looks a lot like him ;)
Anyway, staying in this shape for him is energy consuming and if he passes out while in human form, the temporary magic sigil that keeps him this way will continue to drain him of energy and, eventually, will kill him if he doesn't wake up in time for transforming back in his natural form.
Other forms that he can easily assume, but that he almost never does, are: dog, wolf, bear and other human beings that are similar to him in size.
While in other forms, different from his natural one, he limps slightly from his left leg, but this particular is almost unnoticeable if he's not tired. The more he stresses the left leg, the more the limping becomes evident.
Despite looking so menacing, he's a quiet and gentle creature, that likes to help people and to care for animals. He knows way too well that looking intimidating for people will prevent them from being too noisy or disrespectful when they are close to him!
He can, on the other hand, be totally merciless with those who attack with no reason weak creatures (yes, this includes plants) or that simply dare to harm his friends, but with the rest of the world his philosophy is "live and let live".
He is a dragoneer, linked with Shadow (the son of the Ermes Siegader To'Rvak), a dark dragon.
Notes of style: The fur color depends a lot on the age that is portrayed and even on the season. Young Mark had a very bright ginger fur, while the older he becomes, the more grey/silver the fur goes. Also, in summer the coat is shorter and brighter, while in winter is longer, fluffier and more silver.
Mark likes hats, bandanas and even hoods, so he wears them often!
He has a scar under his left eye, due to a lash that he took in the face when he was young.
He likes He dislikes- Nature - Big cities- Graveyards - The smell of cigarette smoke- Dogs (the bigger, the better!) - Noise and chaos- Children - Despacito (song)- Magic - Being touched (especially on the tail: DON'T TOUCH THE TAIL!) - Reading - Confusing chatty people - Gardening - This specific Naruto AMV - Silence and calm and when the breeze gently blows over the lake - FIGHT!
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (very good)
- Feel at great distances (good / very good)
- Smell (very good)
- Combat with scythe (excellent / master)
- Wrestling (very good / excellent)
- Standing fight / boxing (very good)
- Balance (very good)
- Pain resistance (excellent)
- Running (good on two legs, very good on four)
- Archery (good, excellent when its powers are entirely free)Language
- US English (very good in written and spoken, excellent in understanding)
- Garou of the sands (good/very good in understanding and good in speech)
- Italian (mediocre spoken, very good at understanding, good written)
- German (mediocre spoken and written, good at understanding)
- Draconic/sodor do draco (good in speech, very good in understanding, mediocre in writing)
- Dwarf language (good at understanding and speaking, beginner / mediocre in writing)Music
- Violin (excellent / master)
- Guitar (very good)
- Baroque guitar (good / very good)
- Battery (good / very good)
- Piano (beginner / mediocre)
- Singing (??? practice not allowed in public for him)
- Howl (good)
Magical- Vision of auras (very good)
- Extraction of souls from their bodies (very good)
- Resuscitation of the dead/creation of zombies (very good)
- Entering the spiritual realm (excellent)
- Striking with spiritual energy (very good)
- Make plants grow (very good / excellent)
- Understanding animals (excellent)
- Pass through the shadows (very good)
- Entering in dreams (mediocre / good)
- Create magic seals (very good / excellent)
- Create protective shields with singing (???)
- Modeling living forms with singing (???)
- Create discharges of electricity (very good)
- Use the vital energy of the creatures around you (good / very good)
- Build magical artifacts (good/very good)
- Shapeshifting (good)
- Shielding body appearance with illusions (very good / excellent)
- Reading minds/thoughts (very good / excellent)
- Protecting thoughts (excellent)Miscellanea- Cooking (good / very good)
- Preparing coffee (excellent)
- Hunting large animals (excellent)
- Hunt small animals (very good)
- Intimidate the opponent (very good)
- Sew (mediocre)
- Gardening (excellent)
- Taming the beasts (very good / excellent)
- Check your facial expressions (very good / excellent)
- Reassure people (good, sometimes very good, mediocre if the person is easily frightened by his appearance)
- Learn quickly (very good / excellent)
- Orienting in a wood (excellent / master)
- Orienting in a city (mediocre)
- Bear insults (excellent)
- Recognize various types of marble (very good)
- Recognize precious stones (beginner / mediocre)
- Make terrible jokes and puzzling word games (very good / master)
Moodboard
Gallery of images (Click to enlarge!)
(By ducclord)
(By Mizuki-Chan)
By (Taevari)
(By Coyoteprince)
With Alejandro (By K_vortex )
++++
All the drawings in this page (e probably in all the other pages, if not differently specified) were realized by our artists, Furiarossa e Mimma. You can see more of their works and support them on their Patreon page. Become patrons of the arts!
Species: Red werewolf (Lupus hominarium rubrum)Complete name: Mark McWoodlandof the Deadly SandsGender: maleHeight/Weight: 2,14 m / 150 kg (variable)Body type: Strong but elegant and manly. Muscles not heavily definedData di nascita: ???Occupazione: Farmer / Dungeon explorer /Dark Minister / Fighter / ex-Dark Knight of the Ermes Om'TaSmells like: Clean sheets, lilies, olive tree wood and a hint of iron Hometown: Austin, TX
Appears in: Lupus in Aula (webcomic) | Scontramondi 1. La Pietra delle Fonti (book) | Il Fiore e l'Artiglio (book) | Autobiografia (forse romanzata) di un drago dorato (book) |
Quiet | Gentle | The Gardener | Sleeping is for the strong | Scruff | A legend |Lawful neutral | Necromancer/Warlock | Wiccan
He's a lupus hominarium var. rubrum, a red monoform (it means no natural shapeshifter) major werewolf, but also a very powerful dark mage, so he can achieve shapeshifting through magic. He can assume different forms (like the human or the wolf ones), but only if they're almost identical at him in size (for example he can become a VERY big wolf) and can not change his color (in every form his hair and skin will be the same).
When he assumes a human form he's almost as tall as he is in his natural body and his weight doesn't change. He always wears a beard, dark clothes (with some green, of course, dark green), and he has an intimidating look... think to the Undertaker, the one from wrestling! He looks a lot like him ;)Anyway, staying in this shape for him is energy consuming and if he passes out while in human form, the temporary magic sigil that keeps him this way will continue to drain him of energy and, eventually, will kill him if he doesn't wake up in time for transforming back in his natural form.
Other forms that he can easily assume, but that he almost never does, are: dog, wolf, bear and other human beings that are similar to him in size.
While in other forms, different from his natural one, he limps slightly from his left leg, but this particular is almost unnoticeable if he's not tired. The more he stresses the left leg, the more the limping becomes evident.
Despite looking so menacing, he's a quiet and gentle creature, that likes to help people and to care for animals. He knows way too well that looking intimidating for people will prevent them from being too noisy or disrespectful when they are close to him!
He can, on the other hand, be totally merciless with those who attack with no reason weak creatures (yes, this includes plants) or that simply dare to harm his friends, but with the rest of the world his philosophy is "live and let live".
He is a dragoneer, linked with Shadow (the son of the Ermes Siegader To'Rvak), a dark dragon.
Notes of style: The fur color depends a lot on the age that is portrayed and even on the season. Young Mark had a very bright ginger fur, while the older he becomes, the more grey/silver the fur goes. Also, in summer the coat is shorter and brighter, while in winter is longer, fluffier and more silver.
Mark likes hats, bandanas and even hoods, so he wears them often!
He has a scar under his left eye, due to a lash that he took in the face when he was young.
He likes He dislikes- Nature - Big cities- Graveyards - The smell of cigarette smoke- Dogs (the bigger, the better!) - Noise and chaos- Children - Despacito (song)- Magic - Being touched (especially on the tail: DON'T TOUCH THE TAIL!) - Reading - Confusing chatty people - Gardening - This specific Naruto AMV - Silence and calm and when the breeze gently blows over the lake - FIGHT!
Skills
[Possible levels: disaster | beginner | mediocre | good | very good | excellent | master] Physical- Seeing in low light (very good)
- Feel at great distances (good / very good)
- Smell (very good)
- Combat with scythe (excellent / master)
- Wrestling (very good / excellent)
- Standing fight / boxing (very good)
- Balance (very good)
- Pain resistance (excellent)
- Running (good on two legs, very good on four)
- Archery (good, excellent when its powers are entirely free)Language
- US English (very good in written and spoken, excellent in understanding)
- Garou of the sands (good/very good in understanding and good in speech)
- Italian (mediocre spoken, very good at understanding, good written)
- German (mediocre spoken and written, good at understanding)
- Draconic/sodor do draco (good in speech, very good in understanding, mediocre in writing)
- Dwarf language (good at understanding and speaking, beginner / mediocre in writing)Music
- Violin (excellent / master)
- Guitar (very good)
- Baroque guitar (good / very good)
- Battery (good / very good)
- Piano (beginner / mediocre)
- Singing (??? practice not allowed in public for him)
- Howl (good)
Magical- Vision of auras (very good)
- Extraction of souls from their bodies (very good)
- Resuscitation of the dead/creation of zombies (very good)
- Entering the spiritual realm (excellent)
- Striking with spiritual energy (very good)
- Make plants grow (very good / excellent)
- Understanding animals (excellent)
- Pass through the shadows (very good)
- Entering in dreams (mediocre / good)
- Create magic seals (very good / excellent)
- Create protective shields with singing (???)
- Modeling living forms with singing (???)
- Create discharges of electricity (very good)
- Use the vital energy of the creatures around you (good / very good)
- Build magical artifacts (good/very good)
- Shapeshifting (good)
- Shielding body appearance with illusions (very good / excellent)
- Reading minds/thoughts (very good / excellent)
- Protecting thoughts (excellent)Miscellanea- Cooking (good / very good)
- Preparing coffee (excellent)
- Hunting large animals (excellent)
- Hunt small animals (very good)
- Intimidate the opponent (very good)
- Sew (mediocre)
- Gardening (excellent)
- Taming the beasts (very good / excellent)
- Check your facial expressions (very good / excellent)
- Reassure people (good, sometimes very good, mediocre if the person is easily frightened by his appearance)
- Learn quickly (very good / excellent)
- Orienting in a wood (excellent / master)
- Orienting in a city (mediocre)
- Bear insults (excellent)
- Recognize various types of marble (very good)
- Recognize precious stones (beginner / mediocre)
- Make terrible jokes and puzzling word games (very good / master)
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By (Taevari)
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Published on March 20, 2020 04:55
March 17, 2020
Un boccaccio di Amuchina - 8. Anita
<Precedente (Capitolo 7)
+ Anita, una storia di Eros Giannetta + Ah, l’amore. Perché è questo quello di cui volete sentire parlare, non è vero? L’amore e la morte sono le cose che intrigano la gente di più, quelle che vi incollano al divano quando guardate un film, che vi fanno portare le mani al petto, come madonnine sorprese, quando sentite le vostre amichette e i vostri amichetti che spettegolano, solo che la morte è deprimente, ma l’amore… l’amore è eccitante. E io vi ecciterò.
Come… che c’entra che c’è un bambino che ascolta? E se non vuole ascoltare si tappa le orecchie.
Tappati le orecchie, Pinocchio, che cavolo. O vai a giocare col gatto in giardino o da qualche altra parte. Ah, non vuoi? E va bene, io ti avevo avvertito, perché questa è una storia da grandi.
Che significa che non hai paura? Questa mica è una storia di paura. E ora stai zitto, che sennò gli altri non se la godono a sentire la voce di un marmocchio come te.
Dunque, dov’eravamo? Ah sì, l’amore.
Ne esistono di molti tipi, e uno di questo, il mio preferito, è ovviamente Eros. Sì, proprio come il mio nome. Questa parola è greca, anche se alcuni esperti suggeriscono un’origine pre-greca, e significa “desiderio”. Eros è un dio delle origini e muove il mondo degli umani e delle bestie. Eros è in me, Eros è in tutti voi, ed è colui che garantisce la sopravvivenza dei nostri popoli.
Che c’è, perché mi guardate così? Ascoltate. Ascoltate. Eros è la parte migliore di noi e le sue storie sono di una bellezza ossessiva, perciò io vi racconterò il modo in cui fa muovere il mondo.
Persino io sono qui per colpa sua e ora vi racconterò come è successo.
Nacqui in Calabria nel millenovecentonovantaquattro, da madre cassiera e padre fieramente muratore, terzogenito, con due sorelle più grandi di me. La Calabria sa essere una terra silenziosa, quando vuole, e io fui avvolto da un silenzio che non potete immaginare.
Mi lasciavano da solo con le mie sorelle, in campagna, e loro non mi parlavano mai. Rimanevo seduto sotto gli olivi, che dove vivo io sono enormi, con enormi tronchi nodosi che sembrano sculture e rami che si curvano sotto il peso di fronde abbondanti e di ancora più abbondanti olive scure. Non piangevo quasi mai e tutti erano contenti di me: ero come ipnotizzato dalla luce che penetrava attraverso le foglie, disegnando tutto a terra come delle figure di luce dorata. Io me ne stavo lì, con il fondo dei pantaloni ben piantato in nidi di erba verde o di vegetali secchi, a pensare a che cosa dovessi fare.
I miei genitori erano molto impegnati e quando finalmente la sera tornavamo tutti a casa, io dopo non aver fatto niente tutto il giorno e loro dopo aver lavorato, non ci parlavamo praticamente mai.
Fino ai quattro anni di età non dissi una sola parola, tanto che i miei iniziarono a pensare che fossi ritardato. In realtà capivo tutto quello che dicevano, sia loro sia le mie sorelle.
Sapevo che le mie sorelle si vedevano con i loro fidanzatini. Sapevo cos’erano dei fidanzatini. Sapevo cos’era un bacio e che cosa significava. A volte mi stufavo di guardare la luce e gli insetti che volteggiavano, e allora guardavo loro, le mie sorelle, che si nascondevano nei cespugli e credevano che non le vedessi.
Era un amore innocente, il loro, del tutto infantile: erano troppo piccole per fare sul serio, sia loro che i rispettivi fidanzatini, ma imitavano probabilmente quello che avevano visto in televisione o letto sui libri. E io iniziai a imitare loro.
Quando a tre anni mi mandarono alla scuola materna, incontrai una bambina. Non sapevo il suo nome, probabilmente perché non glielo chiesi mai, ma ricordo che aveva una faccina rotonda dalla pelle abbronzata e due grosse trecce nere come inchiostro. Decisi in cuor mio che sarebbe stata la mia fidanzatina e così la baciai.
Diedi il mio primo bacio prima di dire la mia prima parola, e fu un bacio rubato. Lei, però, mi sorrise. Eh sì, ero un gran baciatore anche da bambino.
I miei genitori furono chiamati a scuola perché, a quanto pare, ero diventato ossessivo e non facevo altro che baciare questa bambina. Di questo non mi ricordo, ma i miei lo raccontano sempre e… beh, sono gente semplice, che non mente. Deve essere vero.
Provarono a farmi desistere in ogni modo dal mio comportamento. Fui sgridato, fui picchiato, messo in castigo, privato delle cassette dei cartoni animati. Non avevo mai guardato quelle cassette, comunque, perché le mie sorelle mi portavano in campagna appena i miei genitori uscivano e quando rientravamo guardavamo sempre i film per grandi, quindi non fu una perdita, inoltre mi ero convinto che le famose sofferenze d’amore, quelle di cui parlavano nei film che vedevo la sera, fossero proprio queste: essere sgridato, picchiato e messo in castigo.
Alla fine mi ritirarono dalla scuola materna. A cinque anni finalmente iniziai a parlare e i miei genitori, che credevano fossi un po’ ritardato, tirarono un sospiro di sollievo: sembravo proprio apposto. E sembrava anche che, a loro dire, non fossi più ossessionato dalle bambine.
In realtà non ero “ossessionato dalle bambine”, no. Ero ossessionato dall’idea dell’amore. Mi ero fatto un’idea mia di cosa fosse questo amore e, devo dire, non mi ero sbagliato.
Frequentando le elementari scoprii altre sfumature dell’amore, diverse da quelle che conoscevo: l’amicizia, la fratellanza e… l’amore romantico. Imparai a scrivere poesie. Le leggevo alle maestre e loro mi sorridevano felici e mi spettinavano i capelli.
Non provavo il desiderio di baciare le maestre, ma sapevo che avrei fatto tutto per loro. Le corteggiavo come se avessi qualche chance, ed ero pronto ad eseguire i loro ordini: pulivo i cancellini, portavo loro le borse, fingevo di essere attento alla lezione quando invece fantasticavo su come avrebbe potuto essere farsi imboccare da loro di biscotti alla crema. Era un’amore romantico senza traccia di malizia e…
Oh, ma sta zitto Pinocchio! Che c’è di male ad essere il cocco delle maestre? A te piace essere trattato male, vero? Io mi beccavo i sorrisi e le carezze, scommetto che a te ti prendono tutto a calci in cu… ehm, a calci nel sedere. Non guardatemi tutti così! E no, non ero un secchione: avevo voti bassissimi. Che vi ridete? Voi eravate tanto più bravi a scuola?
Comunque, le maestre mi adoravano. Dicevano che ero tenero, che ero carino e pieno di immaginazione. Portavo mimose a tutte nel giorno delle donne, regalavo fiori e cioccolatini quando era il loro compleanno, mi mettevo in piedi sul banco e leggevo loro poesie che avevo trovato in biblioteca. Più avanti iniziai anche a scrivere poesie io stesso e fu lì che i miei voti in italiano si alzarono… a dire il vero l’italiano è l’unica materia in cui io sia mai stato davvero, ma davvero bravo. Leggevo le gesta dei cavalieri, uomini pieni d’ardore e forza, capaci di affrontare a muso duro la morte e i nemici più terrificanti, eppure così delicati e romantici con le dame che amavano. La loro forza, la loro virilità, il loro coraggio provenivano dall’amore. Non c’era nient’altro che valesse più dell’amore per me, perché per amore valeva la pena di fare tutto.
Alcuni miei compagnetti, bulli fatti e finiti, mi derisero perché scrivevo le poesie alle maestre. Mi scagliai contro di loro con la furia di un novello Orlando e sebbene fossero di più, ne presero un sacco e una sporta. Certo, anche io le presi, e mi fecero un occhio nero, ma che me ne importava? Erano sofferenze d’amore, potevo sopportare questo e altro. Io ero un cavaliere, loro gli infedeli che non avevano alcun amore nella vita. Uscii pesto da quella rissa, ma dritto in piedi e urlante, mentre loro si allontanavano gridandomi «Tu sei pazzo! Sei pazzo!».
Nessuno mi diede più fastidio perché scrivevo poesie. Alcuni ragazzini delle altre classi mi guardavano con ammirazione, anche. «È un eccentrico» Dicevano quelli di quinta «Sa quello che vuole». E io sapevo davvero quello che volevo: ed era l’amore.
Nel mio modo puro e infantile, credevo che tutte le maestre mi amassero, anzi vi dico di più, credevo che mi amassero più di quanto amavano i loro stessi mariti. Quando le incrociavo per strada, e magari loro stavano passeggiando con il loro consorte, loro mi venivano sempre incontro. Lasciavano il braccio, la mano, il fianco del marito per venire a parlare con me, per accarezzarmi la testa o darmi una pacca di incoraggiamento, per ridere delle mie battute, e questo mi faceva credere, nella mia ingenuità, che questo significava che preferivano me. Preferivano me, ah!
«Ma suo marito le scrive mai delle poesie?» Chiesi una volta alla mia professoressa di matematica. Ero già pronto, nel caso mi avesse detto di sì, a chiederle «Ma sono belle come le mie?».
Lei però non mi disse di sì, mi guardò invece con un sorrisetto. Le altre mi guardavano con un gran sorriso, ma lei no: un sorrisetto era il massimo che concedeva a chiunque, perciò ero comunque piuttosto soddisfatto.
«No» Mi disse «Non credo che mi abbia mai scritto una poesia. Però è muscoloso, con muscoli come quelli che bisogno ha di scrivere poesie?».
Tutta la mia baldanza scomparve all’improvviso. E così la mia professoressa di matematica preferiva suo marito perché aveva un fisico più definito del mio? In effetti suo marito, un bodybuilder di centodieci chili con i capelli a spazzola, era ammirato da parecchie persone, compreso me che avevo iniziato a figurarmelo come un cavaliere… beh, adesso era un nemico. Un cavaliere nemico. Ma io ero soltanto un bambino! Non avevo modo di diventare come lui, non avevo il testosterone. Mi disegnai una barba finta, mi appiccicai dell’ovatta sul petto, ma non erano muscoli, erano finti peli, e me li fecero pure togliere perché era pieno inverno e con la camicina aperta per mostrarli rischiavo di prendere una polmonite. Ero grato alle insegnanti perché volevano prendersi cura della mia salute, ma anche molto deluso perché non avevano notato i miei nuovi, seducenti peli di ovatta.
Finiscila di ridere, Pinocchio cretino. Scommetto che fai ca… volate molto peggiori di questa. Almeno questa era motivata dall’amore.
I miei genitori erano fieri di me: sono persone che credono che la cosa più importante, per un figlio maschio, sia sapersi difendere, e io avevo dimostrato di non provare alcun timore. Nessun bulletto poteva farmi del male. Mentre sono sicuro che a te, Pinocchio, te ne danno così tante ogni giorno che… ahi! Ma sei scemo, mi hai dato un calcio? Ma io ti strappo la testa figlio di… non mi guardi così, signor Lazzaretti! Lei si fa prendere a calci senza rispondere? E che cavolo significa che è solo un bambino? Sì, sì, mi calmo, mi siedo, stia tranquillo. Tenga a posto quelle manone!
Dove ero rimasto? Ah, sì, alla mia infanzia, alle mie prime risse, alle piccole e dolci stupidaggini che feci per amore. E alla mia prima, straziante gelosia.
Più i giorni passavano, più odiavo il marito della mia insegnante di matematica. Si chiama Giovanni ed era ben lontano dall’essere il marito perfetto: era egoista ed egocentrico, maschilista, il contrario di galante, e lo sapevo perché avevo iniziato a spiare la sua vita. Insomma, dicevo a mia madre che andavo a giocare con i miei compagni, ma invece mi appostavo nel giardino della casa della maestra e ascoltavo da sotto la finestra, a volte mi azzardavo anche a guardare dentro, tanto se mi avessero scoperto avrei potuto dire che stavo solo giocando nel loro giardino e che ero passato per salutare.
Giovanni non indossava quasi mai la maglia, lo faceva per mettere in mostra il suo torso che sembrava scalpellato da Michelangelo, e secondo il mio parere era questa l’unica cosa che aveva fatto innamorare la mia maestra di lui. Mentre lei spazzava il pavimento, stendeva i panni al balcone, passava il mocio, cucinava, andava a prendere la loro unica figlia a scuola, lui faceva sempre le stesse due cose: beveva birra analcolica di fronte alla tv oppure si allenava. Giovanni si allenava a casa e anche in palestra, occupato quando sua moglie era in casa e sempre assente per tutto il resto del tempo. Non lo lodi, signor Lazzaretti! C’è poco da lodare, quando non si ha nient’altro nella vita che questa dannata palestra. Non sapevo che lavoro facesse Giovanni, ma la mia mente di bimbo arrivò a credere, forse a torto, che fosse persino disoccupato e che la mia amata maestra dovesse mantenerlo oltre che tenere a posto la casa per lui.
Come avrete intuito, avevano una figlia, ma la bambina non giocava o parlava quasi mai con loro: tornava a casa, tutta imbacuccata fra sciarpe e cappellini anche se la giornata era calda, e correva a nascondersi nella sua camera. Erano una famiglia molto poco unita, ma c’era una particolare distanza fra i due coniugi.
Poi un giorno li vidi baciarsi. La mia maestra con Giovanni, che si baciavano, capite? Sapevo che era suo marito e mi si spezzò lo stesso il cuoricino in un migliaio di piccoli pezzettini, ma ero giovane e si sa che i giovani guariscono meglio degli adulti. Tuttavia, porto ancora le cicatrici… la mia maestra preferiva lui, un uomo senza romanticismo, che non la chiamava mai con un nome affettuoso, che non la portava mai a vedere un film, che non cucinava mai per lei, che non le dava neanche una sana pacchetta sul cu… ehm… didietro. Oh, stai zitto, Pinocchio! Che ne vuoi capire tu di come si deve trattare una donna?
Comunque, mi misi in testa di affrontare Giovanni, come un cavaliere, in singolar tenzone. Lo avrei sfidato e mi sarei preso la mia bella maestra bionda, anche se era solo bionda tinta. Ma se era tinta o naturale, a me che importava? Era la cosa più bella che avessi mai visto, e poiché era di qualcuno che non la meritava, io la avrei salvata e fatta mia. Il problema era che mentre io ero un bimbetto pelle e ossa incapace di fare una sola flessione, anche se avevo un fuoco di ferocia e passione nel cuore, lui era un bestione probabilmente in grado di ammazzarmi con un solo pugno. Per diventare forte come lui mi ci sarebbero voluti anni e nel frattempo avrei fatto soffrire la mia bella maestra e questo non potevo sopportarlo! Così rubai la spada arrugginita che mio nonno aveva sopra il caminetto e andai a sfidarlo lo stesso, pensando che se fossi morto sarebbe stato tanto peggio per me, ma almeno sarei morto d’amore.
Giovanni era come al solito sul divano, con la sua birra analcolica e calda in mano. Mi ricordo che era un pomeriggio di fine Marzo e gli uccelli cantavano a perdifiato, come se facessero una gara: quello era il mio inno di battaglia, la musica che mi batteva nel cuore.
«Ti sfido!» Gridai attraverso la finestra.
Lui prese una sorsata, mi guardò e chiese «Chi sei, moccioso?».
Non sapeva neanche chi fossi. Preso da una rabbia incontenibile, balzai dentro la finestra. Sì, non ero buono a fare neanche una flessione, ma le gambe le avevo buone: ero il miglior saltatore della classe, forse dell’intera scuola. Con la spada come una lancia in resta, mi slanciai verso Giovanni, che vista la punta della mia arma capì la mia pericolosità e con insospettabile agilità si nascose dietro il divano. La mia spada rimase infilzata nel bracciolo e mi accorsi con orrore che avrei dovuto perdere un paio di secondi di tempo per liberarla, ma quei due secondi erano troppi e fui acciuffato per il colletto e sollevato come un gatto.
Ridi, ridi Pinocchio! Vorrei vedere te con una spada!
«Razza di deficiente!» Disse Giovanni «Potevi ammazzarmi!»
«È quello che voglio» replicai, guardandolo dritto negli occhi, già che da quell’altezza potevo
«Sei un piccolo idiota. Chi sono i tuoi genitori?».
Non glielo dissi, ero muto come una tomba e determinato a non fargli capire chi fossi. Non lo sapeva e io non volevo dargli nessun appiglio. Mi sgridò duramente, mi mise seduto, mi fece una ramanzina lunghissima sulla responsabilità e sugli oggetti pericolosi. Ogni secondo in cui parlava, il mio odio verso di lui cresceva e si acuiva, sempre più acido nel mio petto, e desideravo prendere la spada, infilzata ancora lì, a nemmeno trenta centimetri da me, e conficcarla nel suo misero e arido cuore che avrebbe dovuto essere colmo d’amore, e che invece era solo un muscolo ben lustrato ed allenato come tutti gli altri che si portava addosso.
Però, poi, arrivo la mia maestra. Ero così assorbito nei miei pensieri d’odio da aver dimenticato tutto il mondo intorno a me, tranne il volto di quell’uomo che disprezzavo, ma quando la donna che amavo entrò nel mio campo visivo, l’acido che si era aggregato intorno al mio cuore si sciolse e scivolò via.
«Che cosa è successo?» Chiese lei, occhieggiando alla spada e subito dopo a suo marito.
Giovanni mi indicò con aria esasperata e iniziò a spiegarle quello che era successo.
«Perché lo hai fatto?» Mi domandò la maestra.
Mi sentii fremere e scattai in piedi, gridando che la amavo e non potevo semplicemente guardare quando lei veniva trattata così dal suo uomo.
«Così come?» Ringhiò Giovanni, afferrandomi per il bavero «Che ne sai tu, moccioso?»
«Lascialo stare!» gridò la maestra «È solo un bambino!»
«Un bambino che voleva ammazzarmi. I suoi genitori non lo hanno educato e la scuola neanche, a quanto pare. Se nessuno di voi è capace di impartire una lezione a questo moccioso, lo farò io».
Gli tirai un calcio all’inguine con tutta la forza che avevo e voi lo sapete già, no? Avevo delle gambe piuttosto forti. Giovanni fece un verso strozzato, come se gli fosse andato di traverso un fagiolo, e mi lasciò andare per afferrarsi le pa… l’inguine. Non guardatemi così, non credo che Pinocchio si scandalizzerebbe per così poco!
Comunque, scappai e non fui inseguito, anche se sentii la voce della donna che amavo chiamarmi da lontano, con ansia. Ora lo sapevo, perché quella donna non sorrideva mai come le altre maestre: cosa aveva da sorridere, vivendo con un uomo così? Cosa aveva da sorridere, quando aveva paura di lui?
I miei genitori non vennero a sapere quello che avevo fatto a casa della maestra. Non so perché Giovanni decise di non dirlo, o se magari la maestra mi aveva protetto nascondendo il mio nome, ma i miei non vennero a sapere come era scomparsa la spada del nonno. E il nonno era smemorato, perciò neanche lo sapeva di avere avuto un’arma appesa sopra il caminetto.
Dopo quel primo tentativo, decisi di aspettare e crescere, di diventare forte abbastanza da sconfiggere Giovanni prima di salvare la mia bella maestra. Dovettero passare anni. In terza media ero alto quasi un metro e settanta ed ero robusto abbastanza da poterlo sfidare senza perdere di sicuro, ma insieme al mio corpo era cresciuta anche la mia mente e ora mi chiedevo se fosse davvero il caso di picchiare un uomo e rischiare di finire in prigione. La mia povera mamma sarebbe di certo stata molto dispiaciuta se suo figlio si fosse fatto mettere in gabbia, così ero molto indeciso sul picchiare Giovanni oppure no.
Nel frattempo Giovanni aveva anche perso un po’ di massa, perciò l’idea di combatterlo era sempre più allettante… quell’uomo stava invecchiando, io stavo crescendo. La mia ex-maestra di matematica invece era più bella ogni giorno che passava, ma anche più acida e non sorrideva quasi più. Ogni tanto passavo a salutarla e lo vedevo nei suoi occhi che lei era triste.
Un giorno, però, fu lei a passare a scuola da me. Lei era una maestra delle elementari, perciò pensai che l’unico motivo per cui fosse alle medie era che fosse venuta a dirmi qualcosa di importante. Forse, ora che ero cresciuto un po’ lei si sentiva attratta da me ed era pronta a lasciare suo marito?
Scoprii che non era venuta per me, ma per prendere sua figlia, quella sempre imbacuccata in sciarpe e cappellini. Per spezzare una lancia in favore della ragazza imbacuccata, quel giorno faceva abbastanza freddo e c’era un gran vento… un vento così forte che le fece volare il berretto in una pozzanghera.
«Oh no!» Gridò la ragazzina e la sua voce fu come balsamo sulle cicatrici del mio cuore.
Vidi il suo volto, o almeno una parte di esso, ed ebbi una specie di fulmine, un ricordo ancestrale di quando ero molto piccino. Un volto rotondo, olivastro, perfetto. Un paio di occhi come carboni ardenti che scavavano nel mio cuore.
Avevo già visto quella faccia, in un tempo che parve alternativo e lontanissimo: lei era la bambina a cui avevo dato il mio primo bacio. Era la figlia della maestra che avevo amato per tutto il periodo delle elementari e, scoprii più tardi, era anche la nipote della preside che amavo alle scuole medie. Era un distillato di amore.
Quella notte, solo ripensando a lei mi prese una gran fiamma nel cuore e una stretta ai muscoli che corse giù fino a… giù. Corse fino a giù. Non mi guardi così, signor Lazzaretti: io la amavo. Iniziai a pensare a lei ogni volta che… avete capito, no?
Non guardavo neanche più il porno. Che c’è, si può dire porno, no? Non è una parolaccia.
Le scrissi una poesia, la firmai e gliela feci trovare sotto il banco. Io ero nella sezione A, lei nella sezione B: mi bastò chiedere come si chiamasse a una delle sue amiche per venire a conoscenza del nome più bello del mondo, Anita.
Due giorni dopo, Anita venne da me. Aveva un’aria timida, ma quando parlò era risoluta.
«Non ti conosco» Mi disse «Perché mi hai scritto quella poesia?»
«Perché la tua voce è miele e balsamo» le risposi incantato «Perché la tua pelle mi parla delle dune di deserti lontani e del profumo delle liquirizie che crescono nelle nostre fiumare. Ti ho vista senza cappello e il mio cuore è saltato in alto come un atleta olimpico: così in alto che ha afferrato una stella, e quando è tornato giù nel mio petto sentivo la luce irradiarmi da dentro»
«Davvero pensi questo?» chiese lei, arrossendo e indietreggiando un poco.
E il suo rossore era delizioso, come lo schiudersi dei primi fiori di geranio su un balcone sudtirolese che per tutto l’inverno era stato cosparso di neve. Il suo rossore era il mio eros e la mia ossessione.
«Vuoi uscire con me? Ti dimostrerò chi sono. Sarò all’altezza» Le dissi.
Lei si guardò intorno. Forse pensava che fossi pazzo e forse lo ero. A quattordici anni gli ormoni iniziano a batterti alla testa e io sapevo già cos’era l’amore, anche se i miei sentimenti non erano mai stati ricambiati appieno.
«Sì» Disse lei «Ti va giovedì? Andiamo a mangiarci una pizza»
«Certo» risposi, poi mi chinai a baciarle una mano e rientrai in classe perché il professore di disegno tecnico stava strillando il mio nome a ripetizione insieme a minacce che non ripeterò perché c’è un bambino che ascolta.
Giovedì, però, io non potei uscire con lei: una delle sue compagne venne da me e mi disse che si era trasferita. Si era… trasferita, capite?
«Dove?» Chiesi
«Non lo so» rispose.
Nessuno sembrava sapere dove fosse andata. La mia maestra e sua figlia, le donne che avevo amato di più al mondo, erano entrambe sparite dalla faccia della terra senza lasciare traccia. Indagai senza sosta, chiesi a tutti nel paese, conosciuti e sconosciuti, e tutti sapevano che si erano trasferiti, ma nessuno dove. «Ad Amsterdam» Mi disse un vecchio sdentato, ma suo fratello lo corresse «Guarda che sono andati a Timbuctù» e io non seppi proprio dove andare.
Fra l’altro, non avevo abbastanza soldi per andare ad Amsterdam, figuriamoci poi a Timbuctù. Non avevo mai viaggiato in vita mia, tranne che con la fantasia, ed ero un disastro ad organizzarmi. Non sapevo neanche prendere l’autobus, come avrei potuto cercare il mio amore in una città lontana ed enorme come Amsterdam? Quanto a Timbuctù, non sapevo neanche dove si trovasse, ma aveva un nome troppo africano per i miei gusti. In Africa non ci volevo andare: mia madre mi diceva sempre che c’erano la mosca tsé tsé, il beri beri, l’AIDS, la febbre del nilo e la fame dappertutto. Non riuscivo neanche ad immaginare la mia bellissima Anita circondata da cose tanto brutte. Oh, la mia povera Anita! Lei avrebbe dovuto essere circondata solo da fiori e coltri di seta, incorniciata da un cielo blu zaffiro, non buttata in mezzo alla povertà e alle malattie.
E poi non ero sicuro che si trovasse in uno di questi due posti, perché i vecchi fratelli erano dei burloni smemorati che pensavano che Dragonball fosse il nome di Goku.
Ah, lo sapevo che era colpa di Giovanni! Quell’uomo doveva aver saputo che sarei uscito con sua figlia quel giovedì sera, e per impedirglielo me l’aveva portata via.
Disperato, mi diedi all’alcolismo: bevevo due birre al giorno, il massimo che potevo permettermi con la mia paghetta, ma non mi ubriacavo mai abbastanza da dimenticarla, al massimo diventavo un po’ brillo e piangevo. Stai zitto Pinocchio, tu non sai com’è soffrire per amore! Tu sei un coso a cui nessuno vuole bene e che non vuole bene a nessuno.
Dopo un po’ smisi di bere, perché per comprare due birre al giorno non mi rimanevano abbastanza soldi per comprare un giornaletto alla settimana… un giornaletto che… avete capito, no? Quelli con le donne. Ora che Anita non c’era più, dovevo pur fare qualcosa.
Poi, piano piano, ricominciai a corteggiare altre donne vere. Sì, esatto, corteggiavo anche quelle sui giornaletti, almeno nella mia mente: senza corteggiamento non mi divertivo per niente. Una donna va amata, ma amata davvero.
Ricominciai ad uscire con mie coetanee ed ebbi altri baci, altri appuntamenti, altro. Ma una voce lontana nel retro del mio cervello cantava sempre il suo nome, Anita. E io cercavo sempre ragazze che avessero qualcosa di suo… niente mi eccitava più di scorgere un volto rotondo, o una carnagione abbronzata, o due splendidi occhi scuri, e mi innamoravo perdutamente anche di quelle che indossavano sciarpe e cappellini. Ah, eros che mi stregò! Eros che mi legò! Qualunque ragazza che le somigliasse anche solo da lontano, strizzando gli occhi, o che avesse una voce dolce anche solo la metà della sua mi mandava in tilt il cervello e… tutto il resto.
A scuola mi beccai una nota sul registro almeno un migliaio di volte perché continuavo ad incontrare altre donne nei bagni o nella sala dei bidelli e mi scordavo sempre di tornare in classe. I miei amici mi dicevano sempre che dovevo smetterla, che dovevo trovarne una che mi amasse davvero e stare con lei fuori dalla scuola, ma che potevo farci io? Le amavo tutte. Avevo bisogno di tutte, perché c’era quella con la voce simile a quella di Anita, ma volevo anche quella con i capelli di Anita e quell’altra che era sua cugina e quindi aveva un po’ del suo DNA e quell’altra che era freddolosa uguale, quell’altra che era timida e quella che era determinata, e tutte erano un po’ lei quindi dovevo stare con tutte loro.
Poi finalmente mi diplomai, dopo essere stato bocciato due volte. Fu quando andai a vedere il mio voto finale, affisso sulla bacheca all’entrata della scuola, che incontrai una donna molto speciale… la preside delle scuole medie che non vedevo da anni. La zia di Anita.
Non somigliava affatto a sua nipote, ma l’idea che potessero condividere un po’ di genetica mi eccitava comunque, anche se quella donna aveva cinquantacinque anni.
«Giannetta!» Mi salutò lei «Finalmente ti sei diplomato, briccone!»
«Chi la dura la vince» risposi, cercando di mostrarmi fiero
«Eh… pure mia nipote Anita è stata bocciata un paio di volte, ma alla fine ce l’ha fatta. Mi ma mandato il risultato due secondi fa, con un messaggio. Lo sai che avete dato gli orali lo stesso giorno?».
Fremetti dalla punta dei piedi alle punte dei capelli. Lo stesso giorno? E anche lei era stata bocciata due volte? Forse aveva pensato a me come io avevo pensato a lei, forse anche lei si era gettata sui ragazzi che mi somigliavano, forse mi desiderava ancora come io desideravo lei, e questo mi diede al contempo una fitta di gelosia lancinante e una cucchiaiata di splendente felicità dolcissima.
«Anita?» Boccheggiai, così, come un pesce che era stato buttato sul cemento «Dov’è lei? Non la vedo da… da...»
«Anita è a Caltaleone» rispose lei, con un sorriso, e mi parve che la luce le facesse da aureola intorno alla testa, per un gioco di luce dovuto alle nubi che correvano fuori.
Il mio angelo custode stava parlando attraverso di lei: ora sapevo dove si trovava Anita.
Cercai lavoro e lo trovai come cassiere, poi come magazziniere di farmacia, raccoglitore di olive, raccoglitore di arance, muratore, e mi spaccai la schiena di lavoro con furia. I miei genitori erano fieri di me, del mio duro lavoro.
«Chi la dura la vince, chi la dura la vince» Mi ripetevo, mentre tiravo le reti e raccoglievo le olive, mentre portavo a braccia cassette di venti chili. Lavorai per due anni.
Avevo bisogno di soldi, di tutti i soldi che potevo mettere da parte, per andare a Caltaleone, comprare una casa, vivere per sempre insieme alla mia Anita. I soldi per comprare una casa ancora non ce li ho, ma ne ho abbastanza da vivere per un po’ qui e aspetto di trovare Anita e poi di trovare lavoro. Mi manca poco, davvero poco. Mi mancava poco…
È per questo che sono qui a Caltaleone, perché cerco lei, l’amore della mia vita, l’eros che mi travolge e fa fremere.
Ma il fato mi è avverso: adesso che sono nella città di Anita, una calamità si abbattuta su tutti noi, il coronavirus, e trovarla è ora più difficile che mai, come se la mia amata fosse a migliaia di chilometri da me.
Attenderò con tutti voi qui, ma quando uscirò la troverò. E quando la troverò la… beh, avete capito, no?
Perché è l’eros che guida la mia vita, il motore delle mie gambe, delle mie braccia, della mia mente. E Anita è il mio eros.
+Indice +
Successivo (capitolo 9) >???
+ Anita, una storia di Eros Giannetta + Ah, l’amore. Perché è questo quello di cui volete sentire parlare, non è vero? L’amore e la morte sono le cose che intrigano la gente di più, quelle che vi incollano al divano quando guardate un film, che vi fanno portare le mani al petto, come madonnine sorprese, quando sentite le vostre amichette e i vostri amichetti che spettegolano, solo che la morte è deprimente, ma l’amore… l’amore è eccitante. E io vi ecciterò.
Come… che c’entra che c’è un bambino che ascolta? E se non vuole ascoltare si tappa le orecchie.
Tappati le orecchie, Pinocchio, che cavolo. O vai a giocare col gatto in giardino o da qualche altra parte. Ah, non vuoi? E va bene, io ti avevo avvertito, perché questa è una storia da grandi.
Che significa che non hai paura? Questa mica è una storia di paura. E ora stai zitto, che sennò gli altri non se la godono a sentire la voce di un marmocchio come te.
Dunque, dov’eravamo? Ah sì, l’amore.
Ne esistono di molti tipi, e uno di questo, il mio preferito, è ovviamente Eros. Sì, proprio come il mio nome. Questa parola è greca, anche se alcuni esperti suggeriscono un’origine pre-greca, e significa “desiderio”. Eros è un dio delle origini e muove il mondo degli umani e delle bestie. Eros è in me, Eros è in tutti voi, ed è colui che garantisce la sopravvivenza dei nostri popoli.
Che c’è, perché mi guardate così? Ascoltate. Ascoltate. Eros è la parte migliore di noi e le sue storie sono di una bellezza ossessiva, perciò io vi racconterò il modo in cui fa muovere il mondo.
Persino io sono qui per colpa sua e ora vi racconterò come è successo.
Nacqui in Calabria nel millenovecentonovantaquattro, da madre cassiera e padre fieramente muratore, terzogenito, con due sorelle più grandi di me. La Calabria sa essere una terra silenziosa, quando vuole, e io fui avvolto da un silenzio che non potete immaginare.
Mi lasciavano da solo con le mie sorelle, in campagna, e loro non mi parlavano mai. Rimanevo seduto sotto gli olivi, che dove vivo io sono enormi, con enormi tronchi nodosi che sembrano sculture e rami che si curvano sotto il peso di fronde abbondanti e di ancora più abbondanti olive scure. Non piangevo quasi mai e tutti erano contenti di me: ero come ipnotizzato dalla luce che penetrava attraverso le foglie, disegnando tutto a terra come delle figure di luce dorata. Io me ne stavo lì, con il fondo dei pantaloni ben piantato in nidi di erba verde o di vegetali secchi, a pensare a che cosa dovessi fare.
I miei genitori erano molto impegnati e quando finalmente la sera tornavamo tutti a casa, io dopo non aver fatto niente tutto il giorno e loro dopo aver lavorato, non ci parlavamo praticamente mai.
Fino ai quattro anni di età non dissi una sola parola, tanto che i miei iniziarono a pensare che fossi ritardato. In realtà capivo tutto quello che dicevano, sia loro sia le mie sorelle.
Sapevo che le mie sorelle si vedevano con i loro fidanzatini. Sapevo cos’erano dei fidanzatini. Sapevo cos’era un bacio e che cosa significava. A volte mi stufavo di guardare la luce e gli insetti che volteggiavano, e allora guardavo loro, le mie sorelle, che si nascondevano nei cespugli e credevano che non le vedessi.
Era un amore innocente, il loro, del tutto infantile: erano troppo piccole per fare sul serio, sia loro che i rispettivi fidanzatini, ma imitavano probabilmente quello che avevano visto in televisione o letto sui libri. E io iniziai a imitare loro.
Quando a tre anni mi mandarono alla scuola materna, incontrai una bambina. Non sapevo il suo nome, probabilmente perché non glielo chiesi mai, ma ricordo che aveva una faccina rotonda dalla pelle abbronzata e due grosse trecce nere come inchiostro. Decisi in cuor mio che sarebbe stata la mia fidanzatina e così la baciai.
Diedi il mio primo bacio prima di dire la mia prima parola, e fu un bacio rubato. Lei, però, mi sorrise. Eh sì, ero un gran baciatore anche da bambino.
I miei genitori furono chiamati a scuola perché, a quanto pare, ero diventato ossessivo e non facevo altro che baciare questa bambina. Di questo non mi ricordo, ma i miei lo raccontano sempre e… beh, sono gente semplice, che non mente. Deve essere vero.
Provarono a farmi desistere in ogni modo dal mio comportamento. Fui sgridato, fui picchiato, messo in castigo, privato delle cassette dei cartoni animati. Non avevo mai guardato quelle cassette, comunque, perché le mie sorelle mi portavano in campagna appena i miei genitori uscivano e quando rientravamo guardavamo sempre i film per grandi, quindi non fu una perdita, inoltre mi ero convinto che le famose sofferenze d’amore, quelle di cui parlavano nei film che vedevo la sera, fossero proprio queste: essere sgridato, picchiato e messo in castigo.
Alla fine mi ritirarono dalla scuola materna. A cinque anni finalmente iniziai a parlare e i miei genitori, che credevano fossi un po’ ritardato, tirarono un sospiro di sollievo: sembravo proprio apposto. E sembrava anche che, a loro dire, non fossi più ossessionato dalle bambine.
In realtà non ero “ossessionato dalle bambine”, no. Ero ossessionato dall’idea dell’amore. Mi ero fatto un’idea mia di cosa fosse questo amore e, devo dire, non mi ero sbagliato.
Frequentando le elementari scoprii altre sfumature dell’amore, diverse da quelle che conoscevo: l’amicizia, la fratellanza e… l’amore romantico. Imparai a scrivere poesie. Le leggevo alle maestre e loro mi sorridevano felici e mi spettinavano i capelli.
Non provavo il desiderio di baciare le maestre, ma sapevo che avrei fatto tutto per loro. Le corteggiavo come se avessi qualche chance, ed ero pronto ad eseguire i loro ordini: pulivo i cancellini, portavo loro le borse, fingevo di essere attento alla lezione quando invece fantasticavo su come avrebbe potuto essere farsi imboccare da loro di biscotti alla crema. Era un’amore romantico senza traccia di malizia e…
Oh, ma sta zitto Pinocchio! Che c’è di male ad essere il cocco delle maestre? A te piace essere trattato male, vero? Io mi beccavo i sorrisi e le carezze, scommetto che a te ti prendono tutto a calci in cu… ehm, a calci nel sedere. Non guardatemi tutti così! E no, non ero un secchione: avevo voti bassissimi. Che vi ridete? Voi eravate tanto più bravi a scuola?
Comunque, le maestre mi adoravano. Dicevano che ero tenero, che ero carino e pieno di immaginazione. Portavo mimose a tutte nel giorno delle donne, regalavo fiori e cioccolatini quando era il loro compleanno, mi mettevo in piedi sul banco e leggevo loro poesie che avevo trovato in biblioteca. Più avanti iniziai anche a scrivere poesie io stesso e fu lì che i miei voti in italiano si alzarono… a dire il vero l’italiano è l’unica materia in cui io sia mai stato davvero, ma davvero bravo. Leggevo le gesta dei cavalieri, uomini pieni d’ardore e forza, capaci di affrontare a muso duro la morte e i nemici più terrificanti, eppure così delicati e romantici con le dame che amavano. La loro forza, la loro virilità, il loro coraggio provenivano dall’amore. Non c’era nient’altro che valesse più dell’amore per me, perché per amore valeva la pena di fare tutto.
Alcuni miei compagnetti, bulli fatti e finiti, mi derisero perché scrivevo le poesie alle maestre. Mi scagliai contro di loro con la furia di un novello Orlando e sebbene fossero di più, ne presero un sacco e una sporta. Certo, anche io le presi, e mi fecero un occhio nero, ma che me ne importava? Erano sofferenze d’amore, potevo sopportare questo e altro. Io ero un cavaliere, loro gli infedeli che non avevano alcun amore nella vita. Uscii pesto da quella rissa, ma dritto in piedi e urlante, mentre loro si allontanavano gridandomi «Tu sei pazzo! Sei pazzo!».
Nessuno mi diede più fastidio perché scrivevo poesie. Alcuni ragazzini delle altre classi mi guardavano con ammirazione, anche. «È un eccentrico» Dicevano quelli di quinta «Sa quello che vuole». E io sapevo davvero quello che volevo: ed era l’amore.
Nel mio modo puro e infantile, credevo che tutte le maestre mi amassero, anzi vi dico di più, credevo che mi amassero più di quanto amavano i loro stessi mariti. Quando le incrociavo per strada, e magari loro stavano passeggiando con il loro consorte, loro mi venivano sempre incontro. Lasciavano il braccio, la mano, il fianco del marito per venire a parlare con me, per accarezzarmi la testa o darmi una pacca di incoraggiamento, per ridere delle mie battute, e questo mi faceva credere, nella mia ingenuità, che questo significava che preferivano me. Preferivano me, ah!
«Ma suo marito le scrive mai delle poesie?» Chiesi una volta alla mia professoressa di matematica. Ero già pronto, nel caso mi avesse detto di sì, a chiederle «Ma sono belle come le mie?».
Lei però non mi disse di sì, mi guardò invece con un sorrisetto. Le altre mi guardavano con un gran sorriso, ma lei no: un sorrisetto era il massimo che concedeva a chiunque, perciò ero comunque piuttosto soddisfatto.
«No» Mi disse «Non credo che mi abbia mai scritto una poesia. Però è muscoloso, con muscoli come quelli che bisogno ha di scrivere poesie?».
Tutta la mia baldanza scomparve all’improvviso. E così la mia professoressa di matematica preferiva suo marito perché aveva un fisico più definito del mio? In effetti suo marito, un bodybuilder di centodieci chili con i capelli a spazzola, era ammirato da parecchie persone, compreso me che avevo iniziato a figurarmelo come un cavaliere… beh, adesso era un nemico. Un cavaliere nemico. Ma io ero soltanto un bambino! Non avevo modo di diventare come lui, non avevo il testosterone. Mi disegnai una barba finta, mi appiccicai dell’ovatta sul petto, ma non erano muscoli, erano finti peli, e me li fecero pure togliere perché era pieno inverno e con la camicina aperta per mostrarli rischiavo di prendere una polmonite. Ero grato alle insegnanti perché volevano prendersi cura della mia salute, ma anche molto deluso perché non avevano notato i miei nuovi, seducenti peli di ovatta.
Finiscila di ridere, Pinocchio cretino. Scommetto che fai ca… volate molto peggiori di questa. Almeno questa era motivata dall’amore.
I miei genitori erano fieri di me: sono persone che credono che la cosa più importante, per un figlio maschio, sia sapersi difendere, e io avevo dimostrato di non provare alcun timore. Nessun bulletto poteva farmi del male. Mentre sono sicuro che a te, Pinocchio, te ne danno così tante ogni giorno che… ahi! Ma sei scemo, mi hai dato un calcio? Ma io ti strappo la testa figlio di… non mi guardi così, signor Lazzaretti! Lei si fa prendere a calci senza rispondere? E che cavolo significa che è solo un bambino? Sì, sì, mi calmo, mi siedo, stia tranquillo. Tenga a posto quelle manone!
Dove ero rimasto? Ah, sì, alla mia infanzia, alle mie prime risse, alle piccole e dolci stupidaggini che feci per amore. E alla mia prima, straziante gelosia.
Più i giorni passavano, più odiavo il marito della mia insegnante di matematica. Si chiama Giovanni ed era ben lontano dall’essere il marito perfetto: era egoista ed egocentrico, maschilista, il contrario di galante, e lo sapevo perché avevo iniziato a spiare la sua vita. Insomma, dicevo a mia madre che andavo a giocare con i miei compagni, ma invece mi appostavo nel giardino della casa della maestra e ascoltavo da sotto la finestra, a volte mi azzardavo anche a guardare dentro, tanto se mi avessero scoperto avrei potuto dire che stavo solo giocando nel loro giardino e che ero passato per salutare.
Giovanni non indossava quasi mai la maglia, lo faceva per mettere in mostra il suo torso che sembrava scalpellato da Michelangelo, e secondo il mio parere era questa l’unica cosa che aveva fatto innamorare la mia maestra di lui. Mentre lei spazzava il pavimento, stendeva i panni al balcone, passava il mocio, cucinava, andava a prendere la loro unica figlia a scuola, lui faceva sempre le stesse due cose: beveva birra analcolica di fronte alla tv oppure si allenava. Giovanni si allenava a casa e anche in palestra, occupato quando sua moglie era in casa e sempre assente per tutto il resto del tempo. Non lo lodi, signor Lazzaretti! C’è poco da lodare, quando non si ha nient’altro nella vita che questa dannata palestra. Non sapevo che lavoro facesse Giovanni, ma la mia mente di bimbo arrivò a credere, forse a torto, che fosse persino disoccupato e che la mia amata maestra dovesse mantenerlo oltre che tenere a posto la casa per lui.
Come avrete intuito, avevano una figlia, ma la bambina non giocava o parlava quasi mai con loro: tornava a casa, tutta imbacuccata fra sciarpe e cappellini anche se la giornata era calda, e correva a nascondersi nella sua camera. Erano una famiglia molto poco unita, ma c’era una particolare distanza fra i due coniugi.
Poi un giorno li vidi baciarsi. La mia maestra con Giovanni, che si baciavano, capite? Sapevo che era suo marito e mi si spezzò lo stesso il cuoricino in un migliaio di piccoli pezzettini, ma ero giovane e si sa che i giovani guariscono meglio degli adulti. Tuttavia, porto ancora le cicatrici… la mia maestra preferiva lui, un uomo senza romanticismo, che non la chiamava mai con un nome affettuoso, che non la portava mai a vedere un film, che non cucinava mai per lei, che non le dava neanche una sana pacchetta sul cu… ehm… didietro. Oh, stai zitto, Pinocchio! Che ne vuoi capire tu di come si deve trattare una donna?
Comunque, mi misi in testa di affrontare Giovanni, come un cavaliere, in singolar tenzone. Lo avrei sfidato e mi sarei preso la mia bella maestra bionda, anche se era solo bionda tinta. Ma se era tinta o naturale, a me che importava? Era la cosa più bella che avessi mai visto, e poiché era di qualcuno che non la meritava, io la avrei salvata e fatta mia. Il problema era che mentre io ero un bimbetto pelle e ossa incapace di fare una sola flessione, anche se avevo un fuoco di ferocia e passione nel cuore, lui era un bestione probabilmente in grado di ammazzarmi con un solo pugno. Per diventare forte come lui mi ci sarebbero voluti anni e nel frattempo avrei fatto soffrire la mia bella maestra e questo non potevo sopportarlo! Così rubai la spada arrugginita che mio nonno aveva sopra il caminetto e andai a sfidarlo lo stesso, pensando che se fossi morto sarebbe stato tanto peggio per me, ma almeno sarei morto d’amore.
Giovanni era come al solito sul divano, con la sua birra analcolica e calda in mano. Mi ricordo che era un pomeriggio di fine Marzo e gli uccelli cantavano a perdifiato, come se facessero una gara: quello era il mio inno di battaglia, la musica che mi batteva nel cuore.
«Ti sfido!» Gridai attraverso la finestra.
Lui prese una sorsata, mi guardò e chiese «Chi sei, moccioso?».
Non sapeva neanche chi fossi. Preso da una rabbia incontenibile, balzai dentro la finestra. Sì, non ero buono a fare neanche una flessione, ma le gambe le avevo buone: ero il miglior saltatore della classe, forse dell’intera scuola. Con la spada come una lancia in resta, mi slanciai verso Giovanni, che vista la punta della mia arma capì la mia pericolosità e con insospettabile agilità si nascose dietro il divano. La mia spada rimase infilzata nel bracciolo e mi accorsi con orrore che avrei dovuto perdere un paio di secondi di tempo per liberarla, ma quei due secondi erano troppi e fui acciuffato per il colletto e sollevato come un gatto.
Ridi, ridi Pinocchio! Vorrei vedere te con una spada!
«Razza di deficiente!» Disse Giovanni «Potevi ammazzarmi!»
«È quello che voglio» replicai, guardandolo dritto negli occhi, già che da quell’altezza potevo
«Sei un piccolo idiota. Chi sono i tuoi genitori?».
Non glielo dissi, ero muto come una tomba e determinato a non fargli capire chi fossi. Non lo sapeva e io non volevo dargli nessun appiglio. Mi sgridò duramente, mi mise seduto, mi fece una ramanzina lunghissima sulla responsabilità e sugli oggetti pericolosi. Ogni secondo in cui parlava, il mio odio verso di lui cresceva e si acuiva, sempre più acido nel mio petto, e desideravo prendere la spada, infilzata ancora lì, a nemmeno trenta centimetri da me, e conficcarla nel suo misero e arido cuore che avrebbe dovuto essere colmo d’amore, e che invece era solo un muscolo ben lustrato ed allenato come tutti gli altri che si portava addosso.
Però, poi, arrivo la mia maestra. Ero così assorbito nei miei pensieri d’odio da aver dimenticato tutto il mondo intorno a me, tranne il volto di quell’uomo che disprezzavo, ma quando la donna che amavo entrò nel mio campo visivo, l’acido che si era aggregato intorno al mio cuore si sciolse e scivolò via.
«Che cosa è successo?» Chiese lei, occhieggiando alla spada e subito dopo a suo marito.
Giovanni mi indicò con aria esasperata e iniziò a spiegarle quello che era successo.
«Perché lo hai fatto?» Mi domandò la maestra.
Mi sentii fremere e scattai in piedi, gridando che la amavo e non potevo semplicemente guardare quando lei veniva trattata così dal suo uomo.
«Così come?» Ringhiò Giovanni, afferrandomi per il bavero «Che ne sai tu, moccioso?»
«Lascialo stare!» gridò la maestra «È solo un bambino!»
«Un bambino che voleva ammazzarmi. I suoi genitori non lo hanno educato e la scuola neanche, a quanto pare. Se nessuno di voi è capace di impartire una lezione a questo moccioso, lo farò io».
Gli tirai un calcio all’inguine con tutta la forza che avevo e voi lo sapete già, no? Avevo delle gambe piuttosto forti. Giovanni fece un verso strozzato, come se gli fosse andato di traverso un fagiolo, e mi lasciò andare per afferrarsi le pa… l’inguine. Non guardatemi così, non credo che Pinocchio si scandalizzerebbe per così poco!
Comunque, scappai e non fui inseguito, anche se sentii la voce della donna che amavo chiamarmi da lontano, con ansia. Ora lo sapevo, perché quella donna non sorrideva mai come le altre maestre: cosa aveva da sorridere, vivendo con un uomo così? Cosa aveva da sorridere, quando aveva paura di lui?
I miei genitori non vennero a sapere quello che avevo fatto a casa della maestra. Non so perché Giovanni decise di non dirlo, o se magari la maestra mi aveva protetto nascondendo il mio nome, ma i miei non vennero a sapere come era scomparsa la spada del nonno. E il nonno era smemorato, perciò neanche lo sapeva di avere avuto un’arma appesa sopra il caminetto.
Dopo quel primo tentativo, decisi di aspettare e crescere, di diventare forte abbastanza da sconfiggere Giovanni prima di salvare la mia bella maestra. Dovettero passare anni. In terza media ero alto quasi un metro e settanta ed ero robusto abbastanza da poterlo sfidare senza perdere di sicuro, ma insieme al mio corpo era cresciuta anche la mia mente e ora mi chiedevo se fosse davvero il caso di picchiare un uomo e rischiare di finire in prigione. La mia povera mamma sarebbe di certo stata molto dispiaciuta se suo figlio si fosse fatto mettere in gabbia, così ero molto indeciso sul picchiare Giovanni oppure no.
Nel frattempo Giovanni aveva anche perso un po’ di massa, perciò l’idea di combatterlo era sempre più allettante… quell’uomo stava invecchiando, io stavo crescendo. La mia ex-maestra di matematica invece era più bella ogni giorno che passava, ma anche più acida e non sorrideva quasi più. Ogni tanto passavo a salutarla e lo vedevo nei suoi occhi che lei era triste.
Un giorno, però, fu lei a passare a scuola da me. Lei era una maestra delle elementari, perciò pensai che l’unico motivo per cui fosse alle medie era che fosse venuta a dirmi qualcosa di importante. Forse, ora che ero cresciuto un po’ lei si sentiva attratta da me ed era pronta a lasciare suo marito?
Scoprii che non era venuta per me, ma per prendere sua figlia, quella sempre imbacuccata in sciarpe e cappellini. Per spezzare una lancia in favore della ragazza imbacuccata, quel giorno faceva abbastanza freddo e c’era un gran vento… un vento così forte che le fece volare il berretto in una pozzanghera.
«Oh no!» Gridò la ragazzina e la sua voce fu come balsamo sulle cicatrici del mio cuore.
Vidi il suo volto, o almeno una parte di esso, ed ebbi una specie di fulmine, un ricordo ancestrale di quando ero molto piccino. Un volto rotondo, olivastro, perfetto. Un paio di occhi come carboni ardenti che scavavano nel mio cuore.
Avevo già visto quella faccia, in un tempo che parve alternativo e lontanissimo: lei era la bambina a cui avevo dato il mio primo bacio. Era la figlia della maestra che avevo amato per tutto il periodo delle elementari e, scoprii più tardi, era anche la nipote della preside che amavo alle scuole medie. Era un distillato di amore.
Quella notte, solo ripensando a lei mi prese una gran fiamma nel cuore e una stretta ai muscoli che corse giù fino a… giù. Corse fino a giù. Non mi guardi così, signor Lazzaretti: io la amavo. Iniziai a pensare a lei ogni volta che… avete capito, no?
Non guardavo neanche più il porno. Che c’è, si può dire porno, no? Non è una parolaccia.
Le scrissi una poesia, la firmai e gliela feci trovare sotto il banco. Io ero nella sezione A, lei nella sezione B: mi bastò chiedere come si chiamasse a una delle sue amiche per venire a conoscenza del nome più bello del mondo, Anita.
Due giorni dopo, Anita venne da me. Aveva un’aria timida, ma quando parlò era risoluta.
«Non ti conosco» Mi disse «Perché mi hai scritto quella poesia?»
«Perché la tua voce è miele e balsamo» le risposi incantato «Perché la tua pelle mi parla delle dune di deserti lontani e del profumo delle liquirizie che crescono nelle nostre fiumare. Ti ho vista senza cappello e il mio cuore è saltato in alto come un atleta olimpico: così in alto che ha afferrato una stella, e quando è tornato giù nel mio petto sentivo la luce irradiarmi da dentro»
«Davvero pensi questo?» chiese lei, arrossendo e indietreggiando un poco.
E il suo rossore era delizioso, come lo schiudersi dei primi fiori di geranio su un balcone sudtirolese che per tutto l’inverno era stato cosparso di neve. Il suo rossore era il mio eros e la mia ossessione.
«Vuoi uscire con me? Ti dimostrerò chi sono. Sarò all’altezza» Le dissi.
Lei si guardò intorno. Forse pensava che fossi pazzo e forse lo ero. A quattordici anni gli ormoni iniziano a batterti alla testa e io sapevo già cos’era l’amore, anche se i miei sentimenti non erano mai stati ricambiati appieno.
«Sì» Disse lei «Ti va giovedì? Andiamo a mangiarci una pizza»
«Certo» risposi, poi mi chinai a baciarle una mano e rientrai in classe perché il professore di disegno tecnico stava strillando il mio nome a ripetizione insieme a minacce che non ripeterò perché c’è un bambino che ascolta.
Giovedì, però, io non potei uscire con lei: una delle sue compagne venne da me e mi disse che si era trasferita. Si era… trasferita, capite?
«Dove?» Chiesi
«Non lo so» rispose.
Nessuno sembrava sapere dove fosse andata. La mia maestra e sua figlia, le donne che avevo amato di più al mondo, erano entrambe sparite dalla faccia della terra senza lasciare traccia. Indagai senza sosta, chiesi a tutti nel paese, conosciuti e sconosciuti, e tutti sapevano che si erano trasferiti, ma nessuno dove. «Ad Amsterdam» Mi disse un vecchio sdentato, ma suo fratello lo corresse «Guarda che sono andati a Timbuctù» e io non seppi proprio dove andare.
Fra l’altro, non avevo abbastanza soldi per andare ad Amsterdam, figuriamoci poi a Timbuctù. Non avevo mai viaggiato in vita mia, tranne che con la fantasia, ed ero un disastro ad organizzarmi. Non sapevo neanche prendere l’autobus, come avrei potuto cercare il mio amore in una città lontana ed enorme come Amsterdam? Quanto a Timbuctù, non sapevo neanche dove si trovasse, ma aveva un nome troppo africano per i miei gusti. In Africa non ci volevo andare: mia madre mi diceva sempre che c’erano la mosca tsé tsé, il beri beri, l’AIDS, la febbre del nilo e la fame dappertutto. Non riuscivo neanche ad immaginare la mia bellissima Anita circondata da cose tanto brutte. Oh, la mia povera Anita! Lei avrebbe dovuto essere circondata solo da fiori e coltri di seta, incorniciata da un cielo blu zaffiro, non buttata in mezzo alla povertà e alle malattie.
E poi non ero sicuro che si trovasse in uno di questi due posti, perché i vecchi fratelli erano dei burloni smemorati che pensavano che Dragonball fosse il nome di Goku.
Ah, lo sapevo che era colpa di Giovanni! Quell’uomo doveva aver saputo che sarei uscito con sua figlia quel giovedì sera, e per impedirglielo me l’aveva portata via.
Disperato, mi diedi all’alcolismo: bevevo due birre al giorno, il massimo che potevo permettermi con la mia paghetta, ma non mi ubriacavo mai abbastanza da dimenticarla, al massimo diventavo un po’ brillo e piangevo. Stai zitto Pinocchio, tu non sai com’è soffrire per amore! Tu sei un coso a cui nessuno vuole bene e che non vuole bene a nessuno.
Dopo un po’ smisi di bere, perché per comprare due birre al giorno non mi rimanevano abbastanza soldi per comprare un giornaletto alla settimana… un giornaletto che… avete capito, no? Quelli con le donne. Ora che Anita non c’era più, dovevo pur fare qualcosa.
Poi, piano piano, ricominciai a corteggiare altre donne vere. Sì, esatto, corteggiavo anche quelle sui giornaletti, almeno nella mia mente: senza corteggiamento non mi divertivo per niente. Una donna va amata, ma amata davvero.
Ricominciai ad uscire con mie coetanee ed ebbi altri baci, altri appuntamenti, altro. Ma una voce lontana nel retro del mio cervello cantava sempre il suo nome, Anita. E io cercavo sempre ragazze che avessero qualcosa di suo… niente mi eccitava più di scorgere un volto rotondo, o una carnagione abbronzata, o due splendidi occhi scuri, e mi innamoravo perdutamente anche di quelle che indossavano sciarpe e cappellini. Ah, eros che mi stregò! Eros che mi legò! Qualunque ragazza che le somigliasse anche solo da lontano, strizzando gli occhi, o che avesse una voce dolce anche solo la metà della sua mi mandava in tilt il cervello e… tutto il resto.
A scuola mi beccai una nota sul registro almeno un migliaio di volte perché continuavo ad incontrare altre donne nei bagni o nella sala dei bidelli e mi scordavo sempre di tornare in classe. I miei amici mi dicevano sempre che dovevo smetterla, che dovevo trovarne una che mi amasse davvero e stare con lei fuori dalla scuola, ma che potevo farci io? Le amavo tutte. Avevo bisogno di tutte, perché c’era quella con la voce simile a quella di Anita, ma volevo anche quella con i capelli di Anita e quell’altra che era sua cugina e quindi aveva un po’ del suo DNA e quell’altra che era freddolosa uguale, quell’altra che era timida e quella che era determinata, e tutte erano un po’ lei quindi dovevo stare con tutte loro.
Poi finalmente mi diplomai, dopo essere stato bocciato due volte. Fu quando andai a vedere il mio voto finale, affisso sulla bacheca all’entrata della scuola, che incontrai una donna molto speciale… la preside delle scuole medie che non vedevo da anni. La zia di Anita.
Non somigliava affatto a sua nipote, ma l’idea che potessero condividere un po’ di genetica mi eccitava comunque, anche se quella donna aveva cinquantacinque anni.
«Giannetta!» Mi salutò lei «Finalmente ti sei diplomato, briccone!»
«Chi la dura la vince» risposi, cercando di mostrarmi fiero
«Eh… pure mia nipote Anita è stata bocciata un paio di volte, ma alla fine ce l’ha fatta. Mi ma mandato il risultato due secondi fa, con un messaggio. Lo sai che avete dato gli orali lo stesso giorno?».
Fremetti dalla punta dei piedi alle punte dei capelli. Lo stesso giorno? E anche lei era stata bocciata due volte? Forse aveva pensato a me come io avevo pensato a lei, forse anche lei si era gettata sui ragazzi che mi somigliavano, forse mi desiderava ancora come io desideravo lei, e questo mi diede al contempo una fitta di gelosia lancinante e una cucchiaiata di splendente felicità dolcissima.
«Anita?» Boccheggiai, così, come un pesce che era stato buttato sul cemento «Dov’è lei? Non la vedo da… da...»
«Anita è a Caltaleone» rispose lei, con un sorriso, e mi parve che la luce le facesse da aureola intorno alla testa, per un gioco di luce dovuto alle nubi che correvano fuori.
Il mio angelo custode stava parlando attraverso di lei: ora sapevo dove si trovava Anita.
Cercai lavoro e lo trovai come cassiere, poi come magazziniere di farmacia, raccoglitore di olive, raccoglitore di arance, muratore, e mi spaccai la schiena di lavoro con furia. I miei genitori erano fieri di me, del mio duro lavoro.
«Chi la dura la vince, chi la dura la vince» Mi ripetevo, mentre tiravo le reti e raccoglievo le olive, mentre portavo a braccia cassette di venti chili. Lavorai per due anni.
Avevo bisogno di soldi, di tutti i soldi che potevo mettere da parte, per andare a Caltaleone, comprare una casa, vivere per sempre insieme alla mia Anita. I soldi per comprare una casa ancora non ce li ho, ma ne ho abbastanza da vivere per un po’ qui e aspetto di trovare Anita e poi di trovare lavoro. Mi manca poco, davvero poco. Mi mancava poco…
È per questo che sono qui a Caltaleone, perché cerco lei, l’amore della mia vita, l’eros che mi travolge e fa fremere.
Ma il fato mi è avverso: adesso che sono nella città di Anita, una calamità si abbattuta su tutti noi, il coronavirus, e trovarla è ora più difficile che mai, come se la mia amata fosse a migliaia di chilometri da me.
Attenderò con tutti voi qui, ma quando uscirò la troverò. E quando la troverò la… beh, avete capito, no?
Perché è l’eros che guida la mia vita, il motore delle mie gambe, delle mie braccia, della mia mente. E Anita è il mio eros.
+Indice +
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Published on March 17, 2020 02:47
March 13, 2020
Un boccaccio di Amuchina - 7. Sei un mago, Deku!
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+ Sei un mago, Deku!, una storia di Emilia Appestati +
Ehm, ehm. D’accordo, allora io...
È consentito usare personaggi non originali purché la storia lo sia? Ah, sì? Perfetto, inizio subito allora!
Rating: storia per tutti.
Avvisi: la scrittrice ha deciso di non usare avvisi particolari.
Fandom: Boku No Hero Academia - My Hero Academia (anime), Harry Potter di J. K. Rowling.
Lingua: italiano.
Sei un mago, Deku! Di EmiliaAppescati97 Sommario: nel mondo di Izuku Midoriya tutti quanti sembrano aver trovato il proprio Quirk unico, tranne lui. Ma lui è davvero un Quirkless, un ragazzo senza poteri?
Una scoperta sconvolgente cambierà per sempre la vita di Midoriya e di tutte le persone attorno a lui, facendo conoscere al giovane un mondo nascosto di cui nessuno sospettava l’esistenza, che vive nell’ombra proprio accanto a quello di heroes, villains e vigilantes!
Note: sarà una one-shot, però era uno di quei prompt che volevo raccontare assolutamente da tanto tempo! Spero tanto che il risultato non sia troppo frettoloso a leggersi. Dato che nessuno mi ha fatto da beta, considerate tutti gli errori grammaticali o di concetto che seguiranno colpa mia, scusate, non ho potuto rileggere! O riascoltare, insomma, in questo caso. Asterisco risata asterisco. Sì, lo so benissimo che sto dicendo tutto ad alta voce, ma come altro volete che imposti la storia? Metti caso che avessi dovuto mettere dei trigger warning?
Divertitevi, e vi prego di commentare! Accetto anche le critiche costruttive, ma per favore, non siate maleducati. Oh, e nessuno dei personaggi in questa storia mi appartiene, e se i concetti non sono miei sono pesantemente influenzati da altri, quelli dei rispettivi creatori: J. K. Rowling e Kohei Horikoshi.
Sì, sì, ho finito.
Izuku sapeva che a questo mondo non si nasce tutti uguali, ed era una verità che aveva appreso a quattro anni. Fu una delusione amara capirlo, ma nella sua vita sarebbero arrivate tante di quelle meraviglie – anche se Izuku non lo sapeva ancora – che presto una delusione del genere gli sarebbe parsa non essere mai esistita!
Ma procediamo con ordine.
Izuku era un bambino nato in Giappone, in un mondo in cui tutti quanti gli umani sembravano avere dei superpoteri di tanti tipi, tutti gli uni diversi dagli altri: chi sapeva illuminarsi e luccicare, chi era in grado di attirare a sé piccoli oggetti, come la mamma di Izuku, o chi nasceva con una faccia che non somigliava neanche lontanamente a quella di un essere umano, però almeno sapeva parlare con gli uccelli; insomma ce n’era davvero per tutti i gusti. Quantomeno, tutti tranne i suoi. Persino il suo vicino, un bambino della sua età che lui chiamava Kacchan, aveva appena scoperto il suo potere: quello di secernere dalle mani un sudore speciale che funzionava come nitroglicerina.
Kacchan poteva quindi fare delle esplosioni fighissime, mentre Izuku non poteva fare un bel niente.
Così il bambino passava le mattine, i pomeriggi e le sere a guardare al computer sempre lo stesso video di un supereroe che invece poteva fare un bel tutto: All Might, un giapponese muscolosissimo alto una cosa come due metri e venti che amava l’America e i cui poteri speciali lo rendevano incredibile ed in grado di salvare centinaia di persone senza neanche stancarsi, sorridendo sempre. Izuku aveva reso ricco il canale che aveva caricato il video del debutto solo con le sue visualizzazioni, e rischiato la salute dei suoi occhioni, perché amava vedere le gesta di questo supereroe che era diventato il suo modello di vita.
Da grande voleva diventare un eroe, per essere proprio come All Might!
Però il suo potere speciale, il suo Quirk, come venivano chiamati i poteri speciali da tutti, continuava a non manifestarsi. Alla sua età tutti i bambini della sua classe ne avevano uno, tutti tranne Izuku, così sua madre lo portò a fare una visita da un medico specializzato… e fu lì che Izuku Midoriya sentì il verdetto che lo avrebbe segnato a vita.
«Nisba» disse il medico «Ha un pezzetto di dito in più nel mignolo del piede, come gli umani primitivi, quindi non ha un Quirk. Oppure il suo Quirk è avere un pezzettino di dito in più. Comunque non è una cosa tanto utile per fare il supereroe».
Sembrava che non avrebbe mai realizzato il suo sogno, dopotutto, e le persone intorno a quel bambino sfortunato si rassegnarono al fatto che non ce l’avrebbe mai fatta e che, alla fine, avrebbe dovuto rinunciare al suo sogno infantile per trovarsi una carriera più adeguata a lui.
Era ingiusto forse, crudele, chiedere ad un bambino di rendersene conto, ma che altra scelta c’era?
A sorpresa, però fu lui a non arrendersi.
Ogni eroe aveva un Quirk diverso, si disse, quindi non doveva essere il Quirk a fare di un vero eroe ciò che era. Cos’era che li accomunava, quindi? Il loro spirito indomito, il loro coraggio, la voglia di salvare le persone a costo del proprio sacrificio. Izuku sapeva di avere tutte queste cose in sé: dal suo punto di vista, la salita si era fatta più difficile, ma questo non voleva affatto dire che fosse finita.
Col passare degli anni, il distacco tra Izuku e il resto dei suoi compagni di classe divenne sempre più netto. Sua madre lo amava e lui teneva altrettanto a lei, ma il modo in cui lei guardava con pietà il suo sogno lo feriva, anche se lui lo teneva per sé. I compagni ridevano del suo sogno e Kacchan e la sua banda, che una volta gli erano amici, adesso avevano preso nota del suo carattere timido ed insicuro e della sua assenza di Quirk e non facevano altro che tormentarlo.
In effetti, fu proprio durante un confronto con Kacchan e i suoi che gli accadde la prima di una lunga serie di cose bizzarre.
Un attimo prima stava correndo via, cercando di evitare le botte che si sarebbe inevitabilmente preso per aver difeso un altro studente più giovane dal trio di bulletti, e un momento dopo si trovava sul tetto di una casa. Il cambio di scenario fu così repentino che il ragazzo rimase per un paio di secondi immobile a battere le palpebre, paralizzato come un cerbiatto dai fari di un auto.
Il suo cervello iniziò a girare a mille, cercando di capire come fosse potuto succedere. Dapprima si chiese se non fosse stato sbalzato via da una delle esplosioni di Kacchan, ma non sentiva male da nessuna parte e si sentiva in una posizione abbastanza stabile. A giudicare dal fatto che era ancora tarda sera e il sole non aveva smesso di tramontare, non poteva essere passato molto tempo dal “prima” al “dopo”.
«Deku! Dove sei, nerd sfigato?». Era la voce di Kacchan, così arrabbiato da farlo istintivamente rannicchiare per minimizzare il bersaglio, anche se era piuttosto sicuro che si trovasse qualche metro più giù. “Deku” era il nomignolo che lui aveva affibbiato ad Izuku, una parola che significava “manichino, buono a nulla”.
Proprio un bel modo di iniziare il suo compleanno, passare tutta la notte sul tetto di una casa che non era neanche la sua, pensò Izuku. A mezzanotte, all’arrivo del quindici luglio, il ragazzo avrebbe compiuto undici anni... ma non era sicuro che avrebbe fatto tutta questa gran differenza contro Kacchan e i suoi. L’idea di affrontarli gli faceva una paura cane, ma cosa doveva fare, lasciare che picchiassero quell’altro ragazzo?
Col cuore in gola, si sporse un poco oltre il bordo del tetto per valutare la situazione.
Era senza dubbio ancora nella strada in cui stava correndo prima, le case e i vicoli erano gli stessi anche se visti da una prospettiva diversa. Da lassù poteva vedere i capelli biondi ed ispidi del suo vicino, che faceva scoppiettare allegramente il sudore che aveva sulle mani per creare piccole esplosioni minacciose. I suoi scagnozzi, Kurab e Goiru, gli stavano dietro con dei sorrisetti malevoli, mentre i tre lo cercavano, chiamandolo come se si aspettassero davvero che sarebbe spuntato fuori da sé. Un gatto guardava una mappa all’angolo della strada sotto la luce di un lampione – un’altra cosa forse un po’ strana – e lui non aveva idea di come scendere senza disturbare i vicini o senza farsi prendere dai bulletti.
«Non si trova» Sentì dire a Kurab
«Nerd idiota. Mi fa infuriare!» disse Kacchan
«E quando mai» fece Goiru, e si prese un colpo in testa dal biondino, così non aggiunse altro.
«Torniamo a casa» Ordinò Kacchan «Si è fatto tardi. La prossima volta che lo prendo gliene darò il doppio». E con questa promessa tutt’altro che rassicurante, il gruppetto si dileguò.
Almeno uno dei problemi si era risolto, si disse Izuku.
Però era ancora sul tetto.
Si guardò attorno, e si rese conto che, anche se fosse riuscito a raggiungere una delle finestre, le avrebbe trovate chiuse. Izuku non era un tipo particolarmente atletico, e a cadere da quell’altezza si rischiava grosso.
Si fece prendere dal panico per una decina di minuti, cercò di elaborare una strategia per un quarto d’ora borbottando tra sé e sé come un moscone, ma tra tutti i mirabolanti – forse anche troppo – piani che aveva escogitato, si era bloccato e non sapeva cosa decidere: se fare rumore e chiedere agli abitanti della casa di aiutarlo – senza sapergli spiegare tra le altre cose come fosse finito sul loro tetto – o rimanere a dormire fino al mattino successivo sul tetto, rischiando di morire assiderato e di far preoccupare la mamma, ma evitando l’imbarazzo di chiedere aiuto agli abitanti della casa.
In quel momento, accadde un’altra cosa che mai e poi mai Midoriya Izuku si sarebbe mai aspettato.
Udì una voce che rideva, ma non una voce qualunque: la conosceva bene quanto quella di sua madre, più della propria, e da un video a cui aveva dato da solo migliaia di visualizzazioni.
«AH AH AH! Non devi preoccuparti, giovane! Perché ora… ci sono io!».
Fu un altro “prima” e “dopo”, proprio come quando si era ritrovato improvvisamente sul tetto, ma per ragioni completamente diverse. Un attimo prima si era voltato – con aria un po’ ebete, andava ammesso – per capire da dove venisse la voce e se fosse davvero la sua, e un attimo dopo era tra le braccia di All Might, e stava atterrando al sicuro fino a terra.
Non era facilissimo capire quale fosse il Quirk di All Might, sembrava semplicemente avere una forza e una resistenza impareggiabili tra gli altri heroes: questo gli dava la possibilità di fare cose straordinarie come sferrare colpi di potenza inaudita, correre ad agilità incredibile e, talvolta, spiccare salti anti-gravità e riscendere come se niente fosse, come aveva fatto in quel caso per salvare quel ragazzino lentigginoso dal tetto.
«È tardi, i tuoi genitori saranno preoccupati. Meno male che c’ero io, e passavo di qui!» Gli disse, con un sorriso rassicurante. Il suo volto non era di per sé rassicurante: aveva sicuramente un aspetto energico, ma la mascella quadrata e le ombre profonde che i suoi tratti spigolosi gettavano sul suo viso avrebbero dato un’aria poco affidabile al suo sorriso… se non fosse stato All Might, naturalmente.
«Come sei finito lassù?» Gli chiese ancora, insistendo un poco per una risposta perché iniziava a preoccuparsi del fatto che il bambino lo fissava in silenzio e basta.
«Non ne sono sicuro» avrebbe voluto dirgli Izuku, e anche «Sono un tuo grande fan, è un piacere incontrarti! Da grande voglio diventare un hero come te, mi fai un autografo?», ma quello che disse in realtà fu:
«I-i-i-ah».
«AH AH AH» Rise l’eroe per rassicurarlo, ma in verità era un po’ una risata nervosa «Giovanotto, va tutto bene ora, ci sono io. Ora sei in salvo. Non dirmi che… volevi rimanere lassù?».
Finalmente Izuku riuscì a rispondere smettendo di palpare assente un bicipite di All Might, rivestito di un meraviglioso costume in stile Silver Age, ma si limitò a scuotere la testa.
«Bene! Allora, ce la fai a camminare da solo? Così, da bravo. Ora, come ti chiami?».
Il ragazzino rispose balbettando il proprio nome, imbarazzato ed emozionato quasi al punto da paralizzarsi. Non poteva crederci! All Might! Il vero All Might in carne, ossa, unghie, capelli, sangue, e tessuti organici di vario tipo! Davvero era appena stato salvato da lui?
«Izuku, eh? È un bel nome, giovanotto. Vedo che sei un po’ confuso, quindi sarai più sicuro se ti riaccompagnerò io fino a casa. Ma guidami tu, mi raccomando! AH AH AH!».
Il ragazzino gli prese una mano con occhi adoranti e lacrimosi.
«C-certo! Conta pure su di me! I-io volevo dirti che...» Iniziò il ragazzino, ma una volta che si era sbloccato, il resto dei suoi pensieri si riversarono fuori dalla sua bocca come un fiume in piena.
Fecero gran parte del tragitto con Izuku che parlava a vanvera e non stop di ogni sorta di cose, da come avesse visto tutti i video visibili del suo eroe, di come sapesse su di lui dettagli di battaglie passate – che neanche All Might si ricordava più in effetti –, della grande ispirazione che era stato per lui nonostante fosse un bambino senza Quirk, di come questo lo avesse isolato e di come poco prima fosse stato inseguito proprio dalla banda che più gli dava il tormento a causa di questo, e di come si fosse trovato improvvisamente in un posto diverso senza rendersene conto.
«T-tu pensi che io… potrei essere un hero?» Concluse Izuku.
Era l’ultima cosa che poteva chiedergli, perché erano appena arrivati di fronte a casa sua e sua madre Inko li aveva avvistati dalla finestra. Se la conosceva – e la conosceva abbastanza bene –, si stava precipitando giù dalle scale ora per venirgli incontro.
All Might sembrò prendersi un momento per rispondergli seriamente, e un’ondata di gratitudine invase il petto del ragazzino, per poi raggelarsi alla prima frase del suo eroe.
«Normalmente ti direi di rinunciare. Un hero non può fare il proprio lavoro indifeso, sarebbe pericoloso non solo per i suoi compagni, ma anche per sé stesso. Ma!» e alzò un indice, poggiandogli una mano sulla spalla «Il tuo caso potrebbe essere particolare. Dopotutto, se nelle nuove generazioni possono esserci delle mutazioni che fanno sì che possano esistere dei Quirkless, il tuo potere potrebbe anche starsi manifestando molto tardi, giovane Midoriya. Stasera è successo qualcosa di strano, no?».
Izuku non avrebbe mai dimenticato quel momento. All Might era stato il primo a dargli speranza da quel momento in cui gli avevano rivelato che era un modello datato di essere umano, e gliela aveva data accucciandosi per guardarlo negli occhi, e sorridendo come se ci credesse con tutto sé stesso.
«Ti rivelerò un segreto. Anche se adesso è la norma che i Quirk si mostrino a quattro anni, nella mia generazione non era ancora così. Molti non li sviluppavano neanche, i loro Quirk, e tra i miei coetanei c’era chi nasceva con il Quirk già pronto e dei late bloomers. Io… alla tua età, io non avevo questo Quirk. Ma questo è un segreto che ti affido, mi raccomando».
Izuku annuì freneticamente, promettendo di tenere il segreto, ma la testa gli andava a mille. All Might aveva ricevuto il suo Quirk in ritardo? Possibile che anche lui allora…?
«Potresti rimanere un ragazzo Quirkless, e non dovresti vergognartene, ma in quel caso sarebbe meglio se tu considerassi carriere altrettanto nobili, ma più adatte, come il poliziotto. Se tu dovessi essere un late bloomer come me, però, sono sicuro che ci rivedremo giovane Midoriya. Comunque andranno le cose, ricordati che quando hai paura, quando ti senti stanco e i tuoi obiettivi ti sembrano ancora troppo lontani… è allora che devi ricordarti di sorridere!». Lo dimostrò indicandosi il volto sorridente, e, con gli occhi offuscati di lacrime d’emozione, Izuku lo imitò d’istinto.
La signora Midoriya arrivò di corsa, e riabbracciò il figlio, ringraziando profusamente l’hero e versando anche qualche lacrima perché, in fondo, era pur sempre la madre di Izuku.
All Might salutò e se ne andò, il mantello svolazzante alle sue spalle, glorioso. Più tardi scoprirono che gli aveva autografato la maglietta in qualche modo, cosa che provocò un’altra valanga di lacrime e reazioni da super fanboy da parte del fanciullo.
Ma, soprattutto, Izuku non smise di pensare a quello che gli aveva detto, nei giorni seguenti.
Poteva davvero avere un Quirk nascosto? E cosa avrebbe potuto essere? Ogni cosa inusuale che avesse a che fare con lui era potenzialmente un indizio.
I suoi capelli erano sempre stati indomabili, e non ne volevano sapere né di essere tagliati né di essere pettinati, per quanto sua madre avesse tentato innumerevoli volte di dare una regola a quel suo aspetto trasandato. Apparentemente non aveva un Quirk, mentre tutti quanti nella sua famiglia ne avevano uno. A volte degli oggetti che sembravano scomparsi riapparivano come per magia accanto a lui, e di recente si era smaterializzato ed era comparso da un’altra parte.
Ma in un mondo in cui la stranezza era l’ordinario, come faceva a capire se tutte quelle cose – e molte altre – erano davvero fuori dall’ordinario? Era possibile che lui, Izuku Midoriya, bambino Quirkless, fosse davvero qualcosa di speciale?
Da allora, si mise attivamente a concentrarsi per capire quale fosse il suo potere, infuse la sua forza di volontà in ogni azione, attinse a piene mani ai suoi sentimenti. A furia di provare e riprovare, incaponirsi nonostante gli errori e i fallimenti, scoprì qual era il suo vero potenziale.
E scoppiò il caos.
I suoi capelli divennero lunghissimi, e se venivano ritagliato ricrescevano nel giro di una mezz’ora alla lunghezza precedente; faceva sbocciare i fiori a comando, spostava le cose col pensiero, e durante un confronto il bulletto Kurab si gonfiò come un dirigibile e volò lontano da lui – per fortuna Goiru aveva come Quirk quello di avere sin dalla nascita un paio di ali funzionali che gli spuntavano dalla schiena, così poté andare a recuperarlo – lasciando Kacchan del tutto sbigottito e furioso.
Quando il ragazzino cercò di attaccarlo, Izuku si gonfiò e volò via a sua volta.
Da ragazzino che non aveva nessun Quirk, sembrava che ne avesse sviluppati a centinaia nel giro di una settimana! In particolare, era la disperazione dei grandi nella sua vita perché, come un gatto, continuava a comparire sui tetti e poi non riusciva a scendere per l’ansia.
Tempo nove giorni, All Might mantenne la promessa e incontrò di nuovo il giovanotto.
Bussò alla residenza Midoriya, e quando Inko, sfinita dall’ennesimo recupero del figlio undicenne dal tetto, gli aprì la porta, madre e figlio si ritrovarono senza parole.
«Giovane Midoriya» Gli disse «Tu sei un mago».
Il mondo di Izuku fu messo di nuovo sottosopra dalle rivelazioni che quella visita comportò.
All Might gli spiegò molte cose, una volta che fu invitato dentro da Inko a prendere un tè e parlarne con calma: il mondo non era quello che pensavano! La società dei superuomini, in realtà viveva tutti i giorni schiena a schiena con un’altra società, ancora più antica… quella dei maghi!
Questa società era rimasta segreta dai tempi in cui i superumani ancora neppure esistevano, e anche adesso che tutti erano speciali sembravano non essere interessate ad uscire allo scoperto. Ecco perché in molti avevano fatto pressioni perché Izuku fosse contattato al più presto, dato che il suo modo sconsiderato di esplorare i propri poteri stava esponendo l’esistenza della magia a tutti, ma proprio tutti, rompendo qualcosa che si chiamava Statuto di Segretezza.
All Might aveva potuto contattarlo perché si stava accingendo a fare l’insegnate di Babbanologia – una materia che studiava le persone normali, anche se aveva tenuto un nome antiquato dei tempi in cui gli umani non avevano quirk – in una vicina scuola di magia, sebbene lui non fosse un mago vero e proprio. Però i suoi poteri straordinari e l’essere il simbolo della pace gli consentivano dei privilegi anche tra il popolo magico.
I maghi erano persone dotate di un Quirk speciale, la magia, che consentiva di fare tutta una serie di cose mirabolanti, come Izuku aveva provato sulla propria pelle, ma che poteva diventare molto pericoloso se non veniva disciplinato.
Per questo esistevano delle scuole in cui i giovani maghi potevano essere educati ed addestrati ad usare il proprio Quirk, che poteva comparire anche molto più tardi come era successo a Izuku, in modo da essere guidati da persone più esperienti e non far del male a nessuno.
La migliore tra tutte le scuole era considerata Hogwarts, una scuola che si trovava al di là del mare, nella lontana Gran Bretagna. Da lì erano usciti molti maghi famosi, come Merlino e Voldemort, ma Inko si oppose appena sentì dell’idea di spedire suo figlio così lontano.
«Non ci sarebbe qualcosa di più vicino?»
«Beh» disse All Might «Ci sarebbe una scuola giapponese qui vicino, poco lontano dai territori dello Yuei, la scuola per heroes… è fortemente ispirata a quella britannica, dato che sembra essere un sistema efficace per crescere dei pulcini di mago»
«E come si chiama?»
«Chogborts».
E fu così che Midoriya si preparò per andare a Chogborts.
La scuola sarebbe iniziata solo a settembre, perciò passò i mesi successivi a non usare più i propri poteri magici così scelleratamente, ma convinse tutti che il suo Quirk fosse il teletrasporto, dato che le sue gesta sopra le case erano diventate un po’ troppo popolari tra i suoi conoscenti per insabbiare il tutto. E così i mesi passarono…
Chogborts si raggiungeva in un treno, che però era un treno magico e non ti lasciava godere il viaggio perché andava davvero troppo veloce.
Il giorno della partenza, Izuku abbracciò la sua mamma in lacrime e le promise di comportarsi bene e di non apparire sul tetto del treno in corsa. Era spaventato da questa nuova avventura, ma anche fiducioso ed estremamente eccitato alla prospettiva di andare ad una scuola di maghi vera! Da grande aveva sempre voluto entrare allo Yuei, l’istituto per heroes più prestigios del Paese, ma… a Chogborts insegnava All Might. E poi ora era un mago.
Sul treno si sedette accanto ad una bambina dalle guance rosse, di nome Ochaco, che continuava a levitare per tutto lo scompartimento e a chiacchierare con lui come se niente fosse.
Izuku era un ragazzino molto introverso, ma la compagna di Ochaco gli piaceva: era sincera, forse un po’ troppo, ma gentile e carismatica. Il treno partì all’improvviso, spiaccicando Ochaco contro la parete, e poi si fermò di botto.
Zooom!
Erano arrivati. E tutti i bambini giù a vomitare.
Presto fu chiaro che non era l’unico problema di una scuola che non aveva una propria identità ma cercava di copiare, a modo suo, una lontana scuola illustre della Gran Bretagna.
Il castello di Chogborts era enorme, maestoso a vedersi nel coprire un’enorme areale con la sua austera mole, ma non sembrava che i materiali di cui fosse costruito fossero di primissima qualità. La sua particolare architettura faceva sì che sembrasse progettato lanciando dei Lego su una duna di sabbia, e che si tenesse su per sputo e magia... cosa che, forse, non era troppo lontana dalla realtà.
Per arrivare al castello bisognava pagaiare in un lago gelido abitato dal Kraken, che si divertiva apposta a cercare di rovesciare i barchini di noce (il guscio, non il tronco dell’albero) e a cui All Might doveva dare sberle ai tentacoli per farlo desistere. Per fortuna, l’eroe del cuore di Izuku era con loro e sorridendo ed incoraggiandoli, li difese fino a portarli all’altra sponda del lago, fino al ponte levatoio abbassato del grande castello di Chogborts.
«Benvenuti!» Esclamò «AH AH AH!». Rideva, ma sembrava un pochino in sofferenza ad un occhio esperto.
Dopo gli eventi traumatici dell’arrivo, ai bambini fu consentito di mangiare a sazietà e riposare con una coperta termica sulle spalle per un po’ – almeno il cibo era buonissimo – prima di proseguire con la cerimonia di Smistamento. Apparentemente anche questa era una cosa che avevano copiato dalla scuola bretone, ma per non andarci giù troppo pesante, avevano cambiato un pochetto i nomi.
A quanto pareva i giovani maghi venivano separati a seconda della loro indole, e di loro veniva incoraggiato solo un tratto caratteriale alla volta. Le Case erano quattro, una per ognuna di queste virtù da incoraggiare: c’era Leongiallo per i coraggiosi, Bisciasmeraldo per gli ambiziosi, Procione per i leali e Cornacchionice per gli arguti.
Izuku continuava a guardarsi intorno e ad analizzare tutto a bassa voce, ronzando come un moscone e disturbando chiunque gli fosse vicino, ma gli interni di Chogborts – che non combaciavano alla forma che si vedeva all’esterno del castello, ed erano in stile europeo medievale – e il sistema di Smistamento gli parvero così singolari che non ebbe tempo né di prepararsi ad essere chiamato per essere Smistato, né di dare un’occhiata agli insegnanti, che erano seduti allineati ad un lungo tavolo in fondo alla sala, prima che chiamassero il suo nome.
«Midoriya Izuku!».
Incoraggiato da un sorriso di All Might, il giovane si fece avanti.
Il metodo di Smistamento consisteva nel mettersi in testa un artefatto magico, detto Copricapo Cianciante, che poteva leggere tutti i pensieri nella mente dei bambini e decidere in quale Casa sarebbero andata. Che un cappello con la faccia gli leggesse i pensieri mise non poca ansia nel cuore del giovane Midoriya, che andò a sedersi sullo sgabello a tre piedi apposito tremando un po’.
E poi quel coso gli venne calcato in testa.
«Vedo grande ambizione e lealtà nel tuo cuore, ma non manchi certo né di intelletto né di coraggio, anzi. Possiedi qualità che ti renderebbero un membro bene accetto di qualunque Casa...» sussurrò il Copricapo Cianciante, borbottando. Midoriya non era sicuro di cosa pensare di un cappello che parlava, così si mise a pensare fortissimo a cose che non c’entravano niente. «Ma io ti posso mettere in una sola» Proseguì il Copricapo «In quale ti metto? Vuoi coltivare la tua ambizione, misurandoti con persone che puntano a diventare i numeri uno, proprio come te? Vuoi entrare a Bisciasmeraldo?>.
“No, non a Bisciasmeraldo” Pensò lui, e subito quello gli lesse i pensieri e lo mise a disagio.
«Ah, Bisciasmeraldo no. Bene bene. E che mi dici di Cornacchionice?»
“Potrei sapere in che Casa è andato All Might? Voglio andare nella casa di All Might”
«Ah, è così. Neanche Cornacchionice ti piace, bambino ingrato. All Might non è andato in nessuna Casa, ma sei fortunato, perché sarà il responsabile di una delle vostre Case, quella dei maghetti coraggiosi. Ma sei sicuro sicuro? Perché a me sembri tantissimo un Cornacchionice».
Ma dal cervello di Izuku uscì una tale sfilza di ragionamenti uno appresso all’altro che il Copricapo decise che non valeva la pena leggerli tutti, ed esclamò «Leongiallo!».
Izuku era raggiante, felicissimo di essere finito sotto la giurisdizione del suo eroe favorito! Quanta strada aveva fatto in pochi mesi!
Proprio quando si andava a sedere tutto felice al tavolo con i colori rosso e oro, dette finalmente una bella occhiata al tavolo degli insegnanti, che sembravano tutti loschi figuri.
«Il preside Arubus sta per fare il suo discorso» Gli disse un ragazzo a fianco a lui, alto quanto un soldo di cacio. Il suo nome era Mineta, ma lo chiamavano anche “Minus” perché somigliava al suo nome e si riferiva a quanto fosse piccino e in realtà andava a Bisciasmeraldo, ma si era intrufolato al tavolo dei Leongiallo solo perché voleva stare vicino ad una ragazza carina.
Il preside si mise su una pedana, osservando i suoi studenti con aria seria ed intelligente.
Aveva i capelli mossi e una barba lunghissima, infilata nella cintura della veste da mago, le lentiggini e grandi occhi verdi solenni.
«Izuku» Disse, rivolgendosi proprio a lui «Io sono tuo padre».
E tutto quello che era successo fino a quel momento, era stato solo un emozionante preludio a quello che sarebbe seguito: la storia di come Izuku Midoriya avrebbe raggiunto la vetta…
Perché un giorno, sarebbe diventato il number one wizard di tutto il Giappone.
The end!
Note finali: e questo era solo per giocare un po’ con quel prompt che avevo in mente. Per ora è solo una one-shot, però tante idee continuavano a venirmi in mente mano a mano che scrivevo la storia e potrei decidere di esplorarle in un eventuale proseguo se vi interessasse un seguito!
Potrei anche decidere di renderlo un crossover ancora più ambizioso, in effetti…
Che ne dite? Siete interessati ad un multi-capitolo? Fatemelo sapere nei commenti, lasciate una stellina e grazie per aver letto – ehm, ascoltato – la mia storia!
+Indice +
Successivo (capitolo 8) >??? p { margin-bottom: 0.25cm; line-height: 115% }
+ Sei un mago, Deku!, una storia di Emilia Appestati +
Ehm, ehm. D’accordo, allora io...
È consentito usare personaggi non originali purché la storia lo sia? Ah, sì? Perfetto, inizio subito allora!
Rating: storia per tutti.
Avvisi: la scrittrice ha deciso di non usare avvisi particolari.
Fandom: Boku No Hero Academia - My Hero Academia (anime), Harry Potter di J. K. Rowling.
Lingua: italiano.
Sei un mago, Deku! Di EmiliaAppescati97 Sommario: nel mondo di Izuku Midoriya tutti quanti sembrano aver trovato il proprio Quirk unico, tranne lui. Ma lui è davvero un Quirkless, un ragazzo senza poteri?
Una scoperta sconvolgente cambierà per sempre la vita di Midoriya e di tutte le persone attorno a lui, facendo conoscere al giovane un mondo nascosto di cui nessuno sospettava l’esistenza, che vive nell’ombra proprio accanto a quello di heroes, villains e vigilantes!
Note: sarà una one-shot, però era uno di quei prompt che volevo raccontare assolutamente da tanto tempo! Spero tanto che il risultato non sia troppo frettoloso a leggersi. Dato che nessuno mi ha fatto da beta, considerate tutti gli errori grammaticali o di concetto che seguiranno colpa mia, scusate, non ho potuto rileggere! O riascoltare, insomma, in questo caso. Asterisco risata asterisco. Sì, lo so benissimo che sto dicendo tutto ad alta voce, ma come altro volete che imposti la storia? Metti caso che avessi dovuto mettere dei trigger warning?
Divertitevi, e vi prego di commentare! Accetto anche le critiche costruttive, ma per favore, non siate maleducati. Oh, e nessuno dei personaggi in questa storia mi appartiene, e se i concetti non sono miei sono pesantemente influenzati da altri, quelli dei rispettivi creatori: J. K. Rowling e Kohei Horikoshi.
Sì, sì, ho finito.
Izuku sapeva che a questo mondo non si nasce tutti uguali, ed era una verità che aveva appreso a quattro anni. Fu una delusione amara capirlo, ma nella sua vita sarebbero arrivate tante di quelle meraviglie – anche se Izuku non lo sapeva ancora – che presto una delusione del genere gli sarebbe parsa non essere mai esistita!
Ma procediamo con ordine.
Izuku era un bambino nato in Giappone, in un mondo in cui tutti quanti gli umani sembravano avere dei superpoteri di tanti tipi, tutti gli uni diversi dagli altri: chi sapeva illuminarsi e luccicare, chi era in grado di attirare a sé piccoli oggetti, come la mamma di Izuku, o chi nasceva con una faccia che non somigliava neanche lontanamente a quella di un essere umano, però almeno sapeva parlare con gli uccelli; insomma ce n’era davvero per tutti i gusti. Quantomeno, tutti tranne i suoi. Persino il suo vicino, un bambino della sua età che lui chiamava Kacchan, aveva appena scoperto il suo potere: quello di secernere dalle mani un sudore speciale che funzionava come nitroglicerina.
Kacchan poteva quindi fare delle esplosioni fighissime, mentre Izuku non poteva fare un bel niente.
Così il bambino passava le mattine, i pomeriggi e le sere a guardare al computer sempre lo stesso video di un supereroe che invece poteva fare un bel tutto: All Might, un giapponese muscolosissimo alto una cosa come due metri e venti che amava l’America e i cui poteri speciali lo rendevano incredibile ed in grado di salvare centinaia di persone senza neanche stancarsi, sorridendo sempre. Izuku aveva reso ricco il canale che aveva caricato il video del debutto solo con le sue visualizzazioni, e rischiato la salute dei suoi occhioni, perché amava vedere le gesta di questo supereroe che era diventato il suo modello di vita.
Da grande voleva diventare un eroe, per essere proprio come All Might!
Però il suo potere speciale, il suo Quirk, come venivano chiamati i poteri speciali da tutti, continuava a non manifestarsi. Alla sua età tutti i bambini della sua classe ne avevano uno, tutti tranne Izuku, così sua madre lo portò a fare una visita da un medico specializzato… e fu lì che Izuku Midoriya sentì il verdetto che lo avrebbe segnato a vita.
«Nisba» disse il medico «Ha un pezzetto di dito in più nel mignolo del piede, come gli umani primitivi, quindi non ha un Quirk. Oppure il suo Quirk è avere un pezzettino di dito in più. Comunque non è una cosa tanto utile per fare il supereroe».
Sembrava che non avrebbe mai realizzato il suo sogno, dopotutto, e le persone intorno a quel bambino sfortunato si rassegnarono al fatto che non ce l’avrebbe mai fatta e che, alla fine, avrebbe dovuto rinunciare al suo sogno infantile per trovarsi una carriera più adeguata a lui.
Era ingiusto forse, crudele, chiedere ad un bambino di rendersene conto, ma che altra scelta c’era?
A sorpresa, però fu lui a non arrendersi.
Ogni eroe aveva un Quirk diverso, si disse, quindi non doveva essere il Quirk a fare di un vero eroe ciò che era. Cos’era che li accomunava, quindi? Il loro spirito indomito, il loro coraggio, la voglia di salvare le persone a costo del proprio sacrificio. Izuku sapeva di avere tutte queste cose in sé: dal suo punto di vista, la salita si era fatta più difficile, ma questo non voleva affatto dire che fosse finita.
Col passare degli anni, il distacco tra Izuku e il resto dei suoi compagni di classe divenne sempre più netto. Sua madre lo amava e lui teneva altrettanto a lei, ma il modo in cui lei guardava con pietà il suo sogno lo feriva, anche se lui lo teneva per sé. I compagni ridevano del suo sogno e Kacchan e la sua banda, che una volta gli erano amici, adesso avevano preso nota del suo carattere timido ed insicuro e della sua assenza di Quirk e non facevano altro che tormentarlo.
In effetti, fu proprio durante un confronto con Kacchan e i suoi che gli accadde la prima di una lunga serie di cose bizzarre.
Un attimo prima stava correndo via, cercando di evitare le botte che si sarebbe inevitabilmente preso per aver difeso un altro studente più giovane dal trio di bulletti, e un momento dopo si trovava sul tetto di una casa. Il cambio di scenario fu così repentino che il ragazzo rimase per un paio di secondi immobile a battere le palpebre, paralizzato come un cerbiatto dai fari di un auto.
Il suo cervello iniziò a girare a mille, cercando di capire come fosse potuto succedere. Dapprima si chiese se non fosse stato sbalzato via da una delle esplosioni di Kacchan, ma non sentiva male da nessuna parte e si sentiva in una posizione abbastanza stabile. A giudicare dal fatto che era ancora tarda sera e il sole non aveva smesso di tramontare, non poteva essere passato molto tempo dal “prima” al “dopo”.
«Deku! Dove sei, nerd sfigato?». Era la voce di Kacchan, così arrabbiato da farlo istintivamente rannicchiare per minimizzare il bersaglio, anche se era piuttosto sicuro che si trovasse qualche metro più giù. “Deku” era il nomignolo che lui aveva affibbiato ad Izuku, una parola che significava “manichino, buono a nulla”.
Proprio un bel modo di iniziare il suo compleanno, passare tutta la notte sul tetto di una casa che non era neanche la sua, pensò Izuku. A mezzanotte, all’arrivo del quindici luglio, il ragazzo avrebbe compiuto undici anni... ma non era sicuro che avrebbe fatto tutta questa gran differenza contro Kacchan e i suoi. L’idea di affrontarli gli faceva una paura cane, ma cosa doveva fare, lasciare che picchiassero quell’altro ragazzo?
Col cuore in gola, si sporse un poco oltre il bordo del tetto per valutare la situazione.
Era senza dubbio ancora nella strada in cui stava correndo prima, le case e i vicoli erano gli stessi anche se visti da una prospettiva diversa. Da lassù poteva vedere i capelli biondi ed ispidi del suo vicino, che faceva scoppiettare allegramente il sudore che aveva sulle mani per creare piccole esplosioni minacciose. I suoi scagnozzi, Kurab e Goiru, gli stavano dietro con dei sorrisetti malevoli, mentre i tre lo cercavano, chiamandolo come se si aspettassero davvero che sarebbe spuntato fuori da sé. Un gatto guardava una mappa all’angolo della strada sotto la luce di un lampione – un’altra cosa forse un po’ strana – e lui non aveva idea di come scendere senza disturbare i vicini o senza farsi prendere dai bulletti.
«Non si trova» Sentì dire a Kurab
«Nerd idiota. Mi fa infuriare!» disse Kacchan
«E quando mai» fece Goiru, e si prese un colpo in testa dal biondino, così non aggiunse altro.
«Torniamo a casa» Ordinò Kacchan «Si è fatto tardi. La prossima volta che lo prendo gliene darò il doppio». E con questa promessa tutt’altro che rassicurante, il gruppetto si dileguò.
Almeno uno dei problemi si era risolto, si disse Izuku.
Però era ancora sul tetto.
Si guardò attorno, e si rese conto che, anche se fosse riuscito a raggiungere una delle finestre, le avrebbe trovate chiuse. Izuku non era un tipo particolarmente atletico, e a cadere da quell’altezza si rischiava grosso.
Si fece prendere dal panico per una decina di minuti, cercò di elaborare una strategia per un quarto d’ora borbottando tra sé e sé come un moscone, ma tra tutti i mirabolanti – forse anche troppo – piani che aveva escogitato, si era bloccato e non sapeva cosa decidere: se fare rumore e chiedere agli abitanti della casa di aiutarlo – senza sapergli spiegare tra le altre cose come fosse finito sul loro tetto – o rimanere a dormire fino al mattino successivo sul tetto, rischiando di morire assiderato e di far preoccupare la mamma, ma evitando l’imbarazzo di chiedere aiuto agli abitanti della casa.
In quel momento, accadde un’altra cosa che mai e poi mai Midoriya Izuku si sarebbe mai aspettato.
Udì una voce che rideva, ma non una voce qualunque: la conosceva bene quanto quella di sua madre, più della propria, e da un video a cui aveva dato da solo migliaia di visualizzazioni.
«AH AH AH! Non devi preoccuparti, giovane! Perché ora… ci sono io!».
Fu un altro “prima” e “dopo”, proprio come quando si era ritrovato improvvisamente sul tetto, ma per ragioni completamente diverse. Un attimo prima si era voltato – con aria un po’ ebete, andava ammesso – per capire da dove venisse la voce e se fosse davvero la sua, e un attimo dopo era tra le braccia di All Might, e stava atterrando al sicuro fino a terra.
Non era facilissimo capire quale fosse il Quirk di All Might, sembrava semplicemente avere una forza e una resistenza impareggiabili tra gli altri heroes: questo gli dava la possibilità di fare cose straordinarie come sferrare colpi di potenza inaudita, correre ad agilità incredibile e, talvolta, spiccare salti anti-gravità e riscendere come se niente fosse, come aveva fatto in quel caso per salvare quel ragazzino lentigginoso dal tetto.
«È tardi, i tuoi genitori saranno preoccupati. Meno male che c’ero io, e passavo di qui!» Gli disse, con un sorriso rassicurante. Il suo volto non era di per sé rassicurante: aveva sicuramente un aspetto energico, ma la mascella quadrata e le ombre profonde che i suoi tratti spigolosi gettavano sul suo viso avrebbero dato un’aria poco affidabile al suo sorriso… se non fosse stato All Might, naturalmente.
«Come sei finito lassù?» Gli chiese ancora, insistendo un poco per una risposta perché iniziava a preoccuparsi del fatto che il bambino lo fissava in silenzio e basta.
«Non ne sono sicuro» avrebbe voluto dirgli Izuku, e anche «Sono un tuo grande fan, è un piacere incontrarti! Da grande voglio diventare un hero come te, mi fai un autografo?», ma quello che disse in realtà fu:
«I-i-i-ah».
«AH AH AH» Rise l’eroe per rassicurarlo, ma in verità era un po’ una risata nervosa «Giovanotto, va tutto bene ora, ci sono io. Ora sei in salvo. Non dirmi che… volevi rimanere lassù?».
Finalmente Izuku riuscì a rispondere smettendo di palpare assente un bicipite di All Might, rivestito di un meraviglioso costume in stile Silver Age, ma si limitò a scuotere la testa.
«Bene! Allora, ce la fai a camminare da solo? Così, da bravo. Ora, come ti chiami?».
Il ragazzino rispose balbettando il proprio nome, imbarazzato ed emozionato quasi al punto da paralizzarsi. Non poteva crederci! All Might! Il vero All Might in carne, ossa, unghie, capelli, sangue, e tessuti organici di vario tipo! Davvero era appena stato salvato da lui?
«Izuku, eh? È un bel nome, giovanotto. Vedo che sei un po’ confuso, quindi sarai più sicuro se ti riaccompagnerò io fino a casa. Ma guidami tu, mi raccomando! AH AH AH!».
Il ragazzino gli prese una mano con occhi adoranti e lacrimosi.
«C-certo! Conta pure su di me! I-io volevo dirti che...» Iniziò il ragazzino, ma una volta che si era sbloccato, il resto dei suoi pensieri si riversarono fuori dalla sua bocca come un fiume in piena.
Fecero gran parte del tragitto con Izuku che parlava a vanvera e non stop di ogni sorta di cose, da come avesse visto tutti i video visibili del suo eroe, di come sapesse su di lui dettagli di battaglie passate – che neanche All Might si ricordava più in effetti –, della grande ispirazione che era stato per lui nonostante fosse un bambino senza Quirk, di come questo lo avesse isolato e di come poco prima fosse stato inseguito proprio dalla banda che più gli dava il tormento a causa di questo, e di come si fosse trovato improvvisamente in un posto diverso senza rendersene conto.
«T-tu pensi che io… potrei essere un hero?» Concluse Izuku.
Era l’ultima cosa che poteva chiedergli, perché erano appena arrivati di fronte a casa sua e sua madre Inko li aveva avvistati dalla finestra. Se la conosceva – e la conosceva abbastanza bene –, si stava precipitando giù dalle scale ora per venirgli incontro.
All Might sembrò prendersi un momento per rispondergli seriamente, e un’ondata di gratitudine invase il petto del ragazzino, per poi raggelarsi alla prima frase del suo eroe.
«Normalmente ti direi di rinunciare. Un hero non può fare il proprio lavoro indifeso, sarebbe pericoloso non solo per i suoi compagni, ma anche per sé stesso. Ma!» e alzò un indice, poggiandogli una mano sulla spalla «Il tuo caso potrebbe essere particolare. Dopotutto, se nelle nuove generazioni possono esserci delle mutazioni che fanno sì che possano esistere dei Quirkless, il tuo potere potrebbe anche starsi manifestando molto tardi, giovane Midoriya. Stasera è successo qualcosa di strano, no?».
Izuku non avrebbe mai dimenticato quel momento. All Might era stato il primo a dargli speranza da quel momento in cui gli avevano rivelato che era un modello datato di essere umano, e gliela aveva data accucciandosi per guardarlo negli occhi, e sorridendo come se ci credesse con tutto sé stesso.
«Ti rivelerò un segreto. Anche se adesso è la norma che i Quirk si mostrino a quattro anni, nella mia generazione non era ancora così. Molti non li sviluppavano neanche, i loro Quirk, e tra i miei coetanei c’era chi nasceva con il Quirk già pronto e dei late bloomers. Io… alla tua età, io non avevo questo Quirk. Ma questo è un segreto che ti affido, mi raccomando».
Izuku annuì freneticamente, promettendo di tenere il segreto, ma la testa gli andava a mille. All Might aveva ricevuto il suo Quirk in ritardo? Possibile che anche lui allora…?
«Potresti rimanere un ragazzo Quirkless, e non dovresti vergognartene, ma in quel caso sarebbe meglio se tu considerassi carriere altrettanto nobili, ma più adatte, come il poliziotto. Se tu dovessi essere un late bloomer come me, però, sono sicuro che ci rivedremo giovane Midoriya. Comunque andranno le cose, ricordati che quando hai paura, quando ti senti stanco e i tuoi obiettivi ti sembrano ancora troppo lontani… è allora che devi ricordarti di sorridere!». Lo dimostrò indicandosi il volto sorridente, e, con gli occhi offuscati di lacrime d’emozione, Izuku lo imitò d’istinto.
La signora Midoriya arrivò di corsa, e riabbracciò il figlio, ringraziando profusamente l’hero e versando anche qualche lacrima perché, in fondo, era pur sempre la madre di Izuku.
All Might salutò e se ne andò, il mantello svolazzante alle sue spalle, glorioso. Più tardi scoprirono che gli aveva autografato la maglietta in qualche modo, cosa che provocò un’altra valanga di lacrime e reazioni da super fanboy da parte del fanciullo.
Ma, soprattutto, Izuku non smise di pensare a quello che gli aveva detto, nei giorni seguenti.
Poteva davvero avere un Quirk nascosto? E cosa avrebbe potuto essere? Ogni cosa inusuale che avesse a che fare con lui era potenzialmente un indizio.
I suoi capelli erano sempre stati indomabili, e non ne volevano sapere né di essere tagliati né di essere pettinati, per quanto sua madre avesse tentato innumerevoli volte di dare una regola a quel suo aspetto trasandato. Apparentemente non aveva un Quirk, mentre tutti quanti nella sua famiglia ne avevano uno. A volte degli oggetti che sembravano scomparsi riapparivano come per magia accanto a lui, e di recente si era smaterializzato ed era comparso da un’altra parte.
Ma in un mondo in cui la stranezza era l’ordinario, come faceva a capire se tutte quelle cose – e molte altre – erano davvero fuori dall’ordinario? Era possibile che lui, Izuku Midoriya, bambino Quirkless, fosse davvero qualcosa di speciale?
Da allora, si mise attivamente a concentrarsi per capire quale fosse il suo potere, infuse la sua forza di volontà in ogni azione, attinse a piene mani ai suoi sentimenti. A furia di provare e riprovare, incaponirsi nonostante gli errori e i fallimenti, scoprì qual era il suo vero potenziale.
E scoppiò il caos.
I suoi capelli divennero lunghissimi, e se venivano ritagliato ricrescevano nel giro di una mezz’ora alla lunghezza precedente; faceva sbocciare i fiori a comando, spostava le cose col pensiero, e durante un confronto il bulletto Kurab si gonfiò come un dirigibile e volò lontano da lui – per fortuna Goiru aveva come Quirk quello di avere sin dalla nascita un paio di ali funzionali che gli spuntavano dalla schiena, così poté andare a recuperarlo – lasciando Kacchan del tutto sbigottito e furioso.
Quando il ragazzino cercò di attaccarlo, Izuku si gonfiò e volò via a sua volta.
Da ragazzino che non aveva nessun Quirk, sembrava che ne avesse sviluppati a centinaia nel giro di una settimana! In particolare, era la disperazione dei grandi nella sua vita perché, come un gatto, continuava a comparire sui tetti e poi non riusciva a scendere per l’ansia.
Tempo nove giorni, All Might mantenne la promessa e incontrò di nuovo il giovanotto.
Bussò alla residenza Midoriya, e quando Inko, sfinita dall’ennesimo recupero del figlio undicenne dal tetto, gli aprì la porta, madre e figlio si ritrovarono senza parole.
«Giovane Midoriya» Gli disse «Tu sei un mago».
Il mondo di Izuku fu messo di nuovo sottosopra dalle rivelazioni che quella visita comportò.
All Might gli spiegò molte cose, una volta che fu invitato dentro da Inko a prendere un tè e parlarne con calma: il mondo non era quello che pensavano! La società dei superuomini, in realtà viveva tutti i giorni schiena a schiena con un’altra società, ancora più antica… quella dei maghi!
Questa società era rimasta segreta dai tempi in cui i superumani ancora neppure esistevano, e anche adesso che tutti erano speciali sembravano non essere interessate ad uscire allo scoperto. Ecco perché in molti avevano fatto pressioni perché Izuku fosse contattato al più presto, dato che il suo modo sconsiderato di esplorare i propri poteri stava esponendo l’esistenza della magia a tutti, ma proprio tutti, rompendo qualcosa che si chiamava Statuto di Segretezza.
All Might aveva potuto contattarlo perché si stava accingendo a fare l’insegnate di Babbanologia – una materia che studiava le persone normali, anche se aveva tenuto un nome antiquato dei tempi in cui gli umani non avevano quirk – in una vicina scuola di magia, sebbene lui non fosse un mago vero e proprio. Però i suoi poteri straordinari e l’essere il simbolo della pace gli consentivano dei privilegi anche tra il popolo magico.
I maghi erano persone dotate di un Quirk speciale, la magia, che consentiva di fare tutta una serie di cose mirabolanti, come Izuku aveva provato sulla propria pelle, ma che poteva diventare molto pericoloso se non veniva disciplinato.
Per questo esistevano delle scuole in cui i giovani maghi potevano essere educati ed addestrati ad usare il proprio Quirk, che poteva comparire anche molto più tardi come era successo a Izuku, in modo da essere guidati da persone più esperienti e non far del male a nessuno.
La migliore tra tutte le scuole era considerata Hogwarts, una scuola che si trovava al di là del mare, nella lontana Gran Bretagna. Da lì erano usciti molti maghi famosi, come Merlino e Voldemort, ma Inko si oppose appena sentì dell’idea di spedire suo figlio così lontano.
«Non ci sarebbe qualcosa di più vicino?»
«Beh» disse All Might «Ci sarebbe una scuola giapponese qui vicino, poco lontano dai territori dello Yuei, la scuola per heroes… è fortemente ispirata a quella britannica, dato che sembra essere un sistema efficace per crescere dei pulcini di mago»
«E come si chiama?»
«Chogborts».
E fu così che Midoriya si preparò per andare a Chogborts.
La scuola sarebbe iniziata solo a settembre, perciò passò i mesi successivi a non usare più i propri poteri magici così scelleratamente, ma convinse tutti che il suo Quirk fosse il teletrasporto, dato che le sue gesta sopra le case erano diventate un po’ troppo popolari tra i suoi conoscenti per insabbiare il tutto. E così i mesi passarono…
Chogborts si raggiungeva in un treno, che però era un treno magico e non ti lasciava godere il viaggio perché andava davvero troppo veloce.
Il giorno della partenza, Izuku abbracciò la sua mamma in lacrime e le promise di comportarsi bene e di non apparire sul tetto del treno in corsa. Era spaventato da questa nuova avventura, ma anche fiducioso ed estremamente eccitato alla prospettiva di andare ad una scuola di maghi vera! Da grande aveva sempre voluto entrare allo Yuei, l’istituto per heroes più prestigios del Paese, ma… a Chogborts insegnava All Might. E poi ora era un mago.
Sul treno si sedette accanto ad una bambina dalle guance rosse, di nome Ochaco, che continuava a levitare per tutto lo scompartimento e a chiacchierare con lui come se niente fosse.
Izuku era un ragazzino molto introverso, ma la compagna di Ochaco gli piaceva: era sincera, forse un po’ troppo, ma gentile e carismatica. Il treno partì all’improvviso, spiaccicando Ochaco contro la parete, e poi si fermò di botto.
Zooom!
Erano arrivati. E tutti i bambini giù a vomitare.
Presto fu chiaro che non era l’unico problema di una scuola che non aveva una propria identità ma cercava di copiare, a modo suo, una lontana scuola illustre della Gran Bretagna.
Il castello di Chogborts era enorme, maestoso a vedersi nel coprire un’enorme areale con la sua austera mole, ma non sembrava che i materiali di cui fosse costruito fossero di primissima qualità. La sua particolare architettura faceva sì che sembrasse progettato lanciando dei Lego su una duna di sabbia, e che si tenesse su per sputo e magia... cosa che, forse, non era troppo lontana dalla realtà.
Per arrivare al castello bisognava pagaiare in un lago gelido abitato dal Kraken, che si divertiva apposta a cercare di rovesciare i barchini di noce (il guscio, non il tronco dell’albero) e a cui All Might doveva dare sberle ai tentacoli per farlo desistere. Per fortuna, l’eroe del cuore di Izuku era con loro e sorridendo ed incoraggiandoli, li difese fino a portarli all’altra sponda del lago, fino al ponte levatoio abbassato del grande castello di Chogborts.
«Benvenuti!» Esclamò «AH AH AH!». Rideva, ma sembrava un pochino in sofferenza ad un occhio esperto.
Dopo gli eventi traumatici dell’arrivo, ai bambini fu consentito di mangiare a sazietà e riposare con una coperta termica sulle spalle per un po’ – almeno il cibo era buonissimo – prima di proseguire con la cerimonia di Smistamento. Apparentemente anche questa era una cosa che avevano copiato dalla scuola bretone, ma per non andarci giù troppo pesante, avevano cambiato un pochetto i nomi.
A quanto pareva i giovani maghi venivano separati a seconda della loro indole, e di loro veniva incoraggiato solo un tratto caratteriale alla volta. Le Case erano quattro, una per ognuna di queste virtù da incoraggiare: c’era Leongiallo per i coraggiosi, Bisciasmeraldo per gli ambiziosi, Procione per i leali e Cornacchionice per gli arguti.
Izuku continuava a guardarsi intorno e ad analizzare tutto a bassa voce, ronzando come un moscone e disturbando chiunque gli fosse vicino, ma gli interni di Chogborts – che non combaciavano alla forma che si vedeva all’esterno del castello, ed erano in stile europeo medievale – e il sistema di Smistamento gli parvero così singolari che non ebbe tempo né di prepararsi ad essere chiamato per essere Smistato, né di dare un’occhiata agli insegnanti, che erano seduti allineati ad un lungo tavolo in fondo alla sala, prima che chiamassero il suo nome.
«Midoriya Izuku!».
Incoraggiato da un sorriso di All Might, il giovane si fece avanti.
Il metodo di Smistamento consisteva nel mettersi in testa un artefatto magico, detto Copricapo Cianciante, che poteva leggere tutti i pensieri nella mente dei bambini e decidere in quale Casa sarebbero andata. Che un cappello con la faccia gli leggesse i pensieri mise non poca ansia nel cuore del giovane Midoriya, che andò a sedersi sullo sgabello a tre piedi apposito tremando un po’.
E poi quel coso gli venne calcato in testa.
«Vedo grande ambizione e lealtà nel tuo cuore, ma non manchi certo né di intelletto né di coraggio, anzi. Possiedi qualità che ti renderebbero un membro bene accetto di qualunque Casa...» sussurrò il Copricapo Cianciante, borbottando. Midoriya non era sicuro di cosa pensare di un cappello che parlava, così si mise a pensare fortissimo a cose che non c’entravano niente. «Ma io ti posso mettere in una sola» Proseguì il Copricapo «In quale ti metto? Vuoi coltivare la tua ambizione, misurandoti con persone che puntano a diventare i numeri uno, proprio come te? Vuoi entrare a Bisciasmeraldo?>.
“No, non a Bisciasmeraldo” Pensò lui, e subito quello gli lesse i pensieri e lo mise a disagio.
«Ah, Bisciasmeraldo no. Bene bene. E che mi dici di Cornacchionice?»
“Potrei sapere in che Casa è andato All Might? Voglio andare nella casa di All Might”
«Ah, è così. Neanche Cornacchionice ti piace, bambino ingrato. All Might non è andato in nessuna Casa, ma sei fortunato, perché sarà il responsabile di una delle vostre Case, quella dei maghetti coraggiosi. Ma sei sicuro sicuro? Perché a me sembri tantissimo un Cornacchionice».
Ma dal cervello di Izuku uscì una tale sfilza di ragionamenti uno appresso all’altro che il Copricapo decise che non valeva la pena leggerli tutti, ed esclamò «Leongiallo!».
Izuku era raggiante, felicissimo di essere finito sotto la giurisdizione del suo eroe favorito! Quanta strada aveva fatto in pochi mesi!
Proprio quando si andava a sedere tutto felice al tavolo con i colori rosso e oro, dette finalmente una bella occhiata al tavolo degli insegnanti, che sembravano tutti loschi figuri.
«Il preside Arubus sta per fare il suo discorso» Gli disse un ragazzo a fianco a lui, alto quanto un soldo di cacio. Il suo nome era Mineta, ma lo chiamavano anche “Minus” perché somigliava al suo nome e si riferiva a quanto fosse piccino e in realtà andava a Bisciasmeraldo, ma si era intrufolato al tavolo dei Leongiallo solo perché voleva stare vicino ad una ragazza carina.
Il preside si mise su una pedana, osservando i suoi studenti con aria seria ed intelligente.
Aveva i capelli mossi e una barba lunghissima, infilata nella cintura della veste da mago, le lentiggini e grandi occhi verdi solenni.
«Izuku» Disse, rivolgendosi proprio a lui «Io sono tuo padre».
E tutto quello che era successo fino a quel momento, era stato solo un emozionante preludio a quello che sarebbe seguito: la storia di come Izuku Midoriya avrebbe raggiunto la vetta…
Perché un giorno, sarebbe diventato il number one wizard di tutto il Giappone.
The end!
Note finali: e questo era solo per giocare un po’ con quel prompt che avevo in mente. Per ora è solo una one-shot, però tante idee continuavano a venirmi in mente mano a mano che scrivevo la storia e potrei decidere di esplorarle in un eventuale proseguo se vi interessasse un seguito!
Potrei anche decidere di renderlo un crossover ancora più ambizioso, in effetti…
Che ne dite? Siete interessati ad un multi-capitolo? Fatemelo sapere nei commenti, lasciate una stellina e grazie per aver letto – ehm, ascoltato – la mia storia!
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Published on March 13, 2020 01:43


