Giovanni De Matteo's Blog: Holonomikon, page 39
May 28, 2014
Corpi spenti: input #6
Ancora un po’ di musica. Questa viene citata direttamente nel testo, dove fa da colonna sonora di un flashback. In Corpi spenti i flashback riportano l’azione in un punto intermedio tra il presente della sua stesura (2011) e il presente del romanzo (2061). In effetti, qui ci posizioniamo quasi a metà strada. Recuperare riferimenti culturali del nostro presente (una canzone di Cat Power di qualche anno fa) o considerati classici permanenti (un libro di Italo Calvino, per esempio) può tornare utile come espediente per dare un senso di continuità tra il nostro mondo e quello immaginario rappresentato nel romanzo.
Maybe Not di Chan Marshall, inoltre, è anche una sintesi perfetta della possibilità che è concessa a ciascuno di noi di trovare uno spazio di libertà nel mondo, eventualmente anche solo con la fantasia. Ed è anche una canzone sui compromessi e il senso di perdita (dell’innocenza, della salvezza, della speranza), che è un altro dei temi che attraversa Corpi spenti.
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May 27, 2014
Corpi spenti: input #5
I rapporti tra uffici contigui sono spesso conflittuali, anche nella polizia. Quindi bisognava trovare un modo per far capire come la Sezione Pi-Quadro venisse vista e considerata dalle altre divisioni al servizio della questura. In Corpi spenti compaiono l’Electronic Security Police (ESP) e la Divisione Crimini Violenti. Se la prima serve per dare un’idea del posizionamento della Pi-Quadro all’interno dei nuovi ranghi della Direzione Centrale Anti-Crimine, la Divisione Crimini Violenti (meglio conosciuta dai membri della squadra come “la Criminale”) svolge un ruolo di contrapposizione ancora più netto. In definitiva, è un po’ come se la Pi-Quadro si trovasse stretta nella morsa tra il nuovo che avanza e il vecchio che torna.
E se per l’idea di base di simili rapporti basta tutto sommato guardarci intorno tutti i giorni, trovare un avversario che oltre a essere antipatico risulti anche non banale è affare più delicato. Per fortuna ci viene in soccorso una serie come Life on Mars, dai molteplici piani di lettura e dagli ancor più numerosi spunti d’ispirazione.
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May 26, 2014
Corpi spenti: input #4
Come nel caso di Sezione π² le immagini oniriche dei necromanti devono molto all’estetica angosciosa e disturbante del grande Zdzisław Beksiński. Il suo è un cupo esistenzialismo impregnato di inquietudine. Potete perdervi nei suoi mondi oscuri in una delle diverse gallerie virtuali che presentano le sue opere straordinarie, dal sito ufficiale dedicato all’artista polacco a questa ricchissima collezione web. Qui di seguito riproduco alcuni scorci dalle terre dell’incubo, che mi sono stati di particolare aiuto in Corpi spenti.
Quando la nebbia si disperde, davanti a lui si delineano le sagome di manufatti familiari. Sono sedie – un numero imprecisato di sedie, nel bel mezzo di quella vuota vastità.
Su una di queste riposa un pensatore triste, avvolto in una mantella rossa. Il Viandante contempla gli arbusti rinsecchiti che spuntano dalla cenere e si aggrappano alle gambe della sedia. In alto, lo schiarirsi della bruma ha rivelato la profondità siderale di un cielo d’acciaio. Stanotte le conformazioni stellari sembrano disposte per evocare l’immagine di una gigantesca ameba scintillante, fluttuante nel vuoto.
Stelle come neuroni, riflessi come dendriti e sinapsi…
Per una frazione di secondo il Viandante viene folgorato dall’immagine del cielo e vede in essa una proiezione olografica dell’attività neurale del pensatore. Per un istante si chiede se tutto il mondo intorno a lui non si origini dalla mente dell’uomo immobile e silenzioso, come il prodotto di un sogno.
Se ne è parte, non può essere un frutto della sua immaginazione il Viandante stesso?
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May 25, 2014
Corpi spenti: input #3
Il tono, in storie come questa, è fondamentale alla riuscita finale. Un tono troppo distaccato mal si lega a un noir, mentre un tono troppo coinvolto rischia di sacrificare in favore del volume di rumore la densità d’informazione che invece si richiede a una storia di fantascienza. Per fortuna, la narrazione in terza persona aiuta a tenere il distacco necessario. In questo romanzo ho voluto sperimentare rispetto a Sezione π² una soluzione mimetica, cercando di valorizzare il punto di vista di una galleria di personaggi. Il tono, comunque, specie quando le cose vengono viste dagli occhi di Briganti, assume una connotazione disincantata, à la Hugues Pagan per intenderci.
Sulla scia di Pagan (l’Usine) e Derek Raymond (the Factory), inoltre, Guzza affibbia un nomignolo alla Sezione. Un modo, se me lo concedete, di operare una sorta di “smitizzazione”, che ben si sposa all’atmosfera di dismissione che pervade il romanzo.
Un brano da Quelli che restano (Tarif de group, 1993) di Pagan:
Non conoscevo la sua nostalgia, quella molla piccola e fragile, sorda e lancinante, che permette a tutti noi di restare in qualche modo in piedi, sempre che non abbia già dato tutto quello che poteva. Non è la morte che ci ripulisce le tasche, è la vita la grande borseggiatrice. La morte interviene solo per il conto finale, e dubito le rimanga molto da arraffare.
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May 24, 2014
Corpi spenti: input #2
Il ritmo del racconto è fondamentale, se non si vuol perdere per strada il lettore. Per fortuna, una storia poliziesca offre tutta una serie di pretesti per scongiurare il rischio. Pedinamenti, intercettazioni, trappole, inseguimenti, sono i ferri del mestiere.
In alcune sue scene, Corpi spenti deve molto a Il braccio violento della legge di William Friedkin, con un Gene Hackman che definire monumentale sarebbe fargli un torto. The French Connection è un film che ho visto e rivisto, mentre stavo per concludere il romanzo e mi serviva un valore aggiunto per connotare adeguatamente dei passaggi chiave. Non stupitevi, insomma, se quando lo leggerete, Guzza vi sembrerà aver mutuato per osmosi l’ossessione investigativa di Jimmy “Popeye” Doyle.
Spero comunque di aver appreso dal film anche un po’ di tecnica. Per esempio, ecco come si gira un pedinamento.
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May 23, 2014
Corpi spenti: input #1
Raymond Chandler continua ad aleggiare su queste pagine come un fantasma nelle stanze di un castello abbandonato. In particolare, questa volta ho dei debiti evidenti verso Addio mia amata (Farewell, My Lovely, 1940) nelle soluzioni relative alle location più “marittime”. A proposito, in Corpi spenti piove meno che in Sezione π², ma succede solo perché la storia si dispiega ad aprile invece che a novembre.
Molto più che nel precedente romanzo qui si dovrebbe sentire anche l’influsso di Dashiell Hammett. I manuali di scrittura in genere consigliano di ridurre al minimo i riassunti, quelle parti di raccordo tra una scena e l’altra che infrangono la sacra regola dello “show, don’t tell“. È sempre bene attenersi alle regole, se non si vuole incorrere in pesanti sanzioni. Ma Hammett era un maestro nel ricapitolare le indagini dei suoi investigatori (penso in particolare a La maledizione dei Dain e Un matrimonio d’amore) e ha molto da insegnare anche nella scrittura delle parti di raccordo. Che poi possono diventare un pretesto per sperimentare varianti della più classica presa diretta nelle scene più concitate.
E a mio parere funziona, quando le scene d’azione sono molte. A patto di non abusarne.
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Corpi spenti: input #0
In occasione dell’uscita di Sezione π² ero solito ribadire una mia convinzione, ovvero che nessun lavoro di fiction nasce astratto da un contesto di riferimento. Ultimamente sull’argomento mi sono ammorbidito un po’, persuadendomi che esista una strada per rendere meno stretti i lacci che vincolano un lavoro alla categoria dei suoi precursori. Ciò non toglie che Corpi spenti abbia visto la luce sotto una costellazione tracciata dall’intersezione di un certo periodo storico con un certo immaginario. Per questo ho voluto ripercorrere il cammino che ha condotto a questo risultato: se Corpi spenti è quello che è, lo deve a un certo numero di opere di riferimento.
Il ciclo di articoli che inauguriamo oggi nasce quindi per offrire un risarcimento morale ai lavori che hanno esercitato un’influenza determinante su questo romanzo. Ci concentreremo sugli input provenienti da libri, cinema, arte e musica. Partendo con una canzone.
Chi se non David Bowie? Stavolta con un pezzo tratto dal suo album più distopico, non a caso fortemente influenzato dal 1984 di George Orwell. Ascoltiamoci Diamond Dogs da un concerto del 2006 (il video è di qualità passabile, per la registrazione audio ci tocca adattarci):
In the year of the scavenger, the season of the bitch
Sashay on the boardwalk, scurry to the Ditch
Just another future song, lonely little kitsch
(There’s gonna be sorrow) try and wake up tomorrow…
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May 21, 2014
Corpi spenti: foto di gruppo
E infine ci sono i personaggi, nessuna storia può farne a meno. Questa, più di tutte le altre cose che ho scritto, è una storia di personaggi e di persone: è la storia delle loro storie, catturate nel cono d’ombra della Singolarità. Dall’interazione tra i personaggi possono nascere situazioni interessanti. Non amo particolarmente l’ossessione psicologica di gran parte del mainstream, ma la narrativa di genere è narrativa d’intreccio e il meccanismo drammatico può trarre linfa vitale proprio dalle relazioni tra i personaggi.
Quando ho cominciato a scrivere Corpi spenti ne avevo tre, “ereditati” dal precedente romanzo. Il protagonista, ovvero Vincenzo Briganti, tenente della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica (la Sezione Pi-Quadro, come la chiamano tutti), un necromante, un cyborg capace di scansionare i ricordi di una vittima per risalire alle circostanze della sua morte; il suo socio acquisito, Guzza, ovvero l’ispettore Corrado Virgili, inviso ai suoi superiori e per questo distaccato alla Sezione Pi-Quadro, un agente burbero e dai metodi molto poco convenzionali, ma malgrado – o proprio in virtù di – queste caratteristiche capace di instaurare con Briganti un fortunato benché bizzarro sodalizio professionale; il sostituto procuratore Grazia Conti, una donna in carriera, già tutta d’un pezzo prima che i fatti narrati in Sezione π² interferissero con la sua sfera privata.
Era un buon punto da cui partire. Intorno a loro non è stato difficile costruire una galleria di comprimari, attingendo ancora una volta dalle pagine del precursore: Sara, la ex-moglie di Briganti, emerge dall’abisso del passato proprio nell’epilogo di Sezione π² e non poteva restare fuori da questa partita, sarebbe stato uno spreco; Pasquale Nigro e Mario Terenzi, i due agenti che s’intravedevano in un paio di scene, suggerivano troppi aspetti interessanti da scoprire per poter essere dimenticati su quelle pagine; Sanseverino, già presentato come il depositario della Sezione, la sua memoria storica, non poteva essere lasciato da parte; Errico Chianese, il cronista più scomodo della città, una sorta di cavaliere solitario armato solo di penna e portatile, che racconta il sistema dalle pagine di Nova X-Press, il suo bollettino di controinformazione, doveva continuare a fotografare la città e il paese, le loro dinamiche, con il suo sguardo lucido e implacabile.
In più c’era una cosa che sentivo latitare nel primo romanzo: la Sezione Pi-Quadro, intesa come corpo di polizia; un corpo speciale, che malgrado le sue peculiarità era rimasto un po’ sullo sfondo del primo volume, dove Briganti, Di Cesare e Bevilacqua tendevano a prendersi tutta la scena. Ecco quindi come Corpi spenti si è delineato ai miei occhi come la storia della Pi-Quadro, o di ciò che ne resta dopo i fatti del novembre ‘59. Una storia vissuta attraverso i suoi componenti, i loro amici e i loro rivali. Con un’unica avvertenza: amici e rivali non sempre si ritrovano sul lato della barricata in cui ci aspetteremmo di trovarceli. Come in ogni buon noir che si rispetti.
Una storia comunque di transizione, ma grazie a questa consapevolezza del ruolo di ciascuna delle sue parti anche molto strutturata, che è stato bello costruire sulle spalle dei personaggi e vedere come, ciascuno per la parte che gli competeva, riuscivano a portare avanti la trama. Una storia destinata a prendere i personaggi un po’ più avanti sul loro cammino rispetto al punto in cui li avevamo lasciati, per accompagnarli ancora più lontano. Dove si troveranno ciascuno a un grado diverso, ma ancora una volta tutti inevitabilmente cambiati.
Da Napoli, fronte della Singolarità, per il momento è tutto. Ma non cambiate canale.
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May 20, 2014
Corpi spenti: studio d’ambiente e d’epoca
Una volta definita la prospettiva, la cosa più complessa da predisporre è stata l’ambientazione. È stato difficile per una duplice ragione, ma siccome la parte legata all’atmosfera è quella per cui mi sento meglio predisposto per natura (o per semplice pigrizia, in quanto incapace di sviluppare con altrettanta costanza e profondità tutti gli altri aspetti della costruzione di un romanzo) è stata anche la parte del lavoro che mi ha divertito di più. Per me l’ambiente rappresenta un prerequisito indispensabile per ogni storia. Non riesco a scrivere nemmeno una riga senza avere un’idea più che soddisfacente del mondo che la ha generata. Capita che le mie storie risultino sbilanciate anche per questo: troppo poca azione rispetto all’atmosfera, proprio per una istintiva esigenza di valorizzare il lavoro compiuto offrendo allo sfondo più inquadrature di quanto sia strettamente richiesto dalla trama. Spero comunque che questo non sia il caso di Corpi spenti.
Le due difficoltà cui accennavo in apertura sono queste: da un lato, la continuità con l’ambientazione di Sezione π² imponeva una tenuta della coerenza interna alla serie; dall’altro, sul versante completamente opposto, la natura stessa della Singolarità – che è il presupposto del mondo della Sezione Pi-Quadro – richiedeva un’evoluzione sensibile rispetto allo scenario tracciato nel primo romanzo. La Singolarità Tecnologica, come ricorderete, risulta dalla convergenza rivoluzionaria di settori di ricerca diversi (nanotecnologie, scienze della vita, intelligenza artificiale, cibernetica e computazione quantistica) che ha determinato un’impennata della curva del progresso, producendo esiti imprevedibili nella ricaduta dei loro effetti. La Singolarità ha contribuito a spostare gli anni dopo il 2049 (in cui teoricamente sarebbe «esplosa») molto più lontano da noi di dove li posizionerebbe il calendario. In definitiva, è una sorta di orizzonte degli eventi scientifico-culturale e il suo effetto collaterale è uno shock da futuro.
In un contesto post-Singolarità, anche pochi mesi equivalgono a diversi anni di progresso secondo il tasso di sviluppo a cui siamo abituati oggi. E siccome tra Sezione π² e Corpi spenti intercorrono diciotto mesi, era necessario mostrare che del tempo fosse trascorso, e che questo tempo corrispondesse a un lasso di tempo molto più lungo rispetto a diciotto mesi attuali. È quello che potremmo definire effetto inflazionario della Singolarità e chiunque scriva storie ambientate nel cono d’ombra dell’evento deve farci i conti (pensate ad Accelerando). Tutto sommato, le due spinte contrarie tra continuità e cambiamento tendono però anche a compensarsi reciprocamente, e se comunque l’ambientazione compie un bel salto in avanti rispetto al precedente romanzo, dall’altro le loro forze opposte tendono a frenarsi a vicenda e a produrre un nuovo punto di equilibrio che spero i lettori potranno trovare altrettanto – se non addirittura più – interessante di quello attorno al quale si sviluppava Sezione π².
Per non rovinare il gusto della scoperta ai lettori più esigenti, mi fermo qua. Prima di chiudere mi limito però a rispondere a un quesito, contenuto in un bel commento apparso nella pagina dedicata a Sezione π² su Anobii. La mini-recensione è di Paolo Giannuzzi:
Finalmente un noir fantascientifico che non si incarta (o almeno lo fa poco) in frasi edulcorate ad arte, prive di senso, atte spesso ad allungare il brodo. Un ottimo thriller/giallo, laddove la fantascienza è il pretesto per dare al protagonista il potere necessario per districare la matassa in maniera credibile. Tutto è costruito in maniera precisa, con poche concessioni al divagare, e con dei bei personaggi a cui si tende ad affezionarsi (Guzza è il classico esempio del personaggio che il protagonista prova a renderci antipatico al primo incontro, ma poi ci si lega inevitabilmente). Auspico il ritorno dei protagonisti, anche se il finale lascia intendere che la base su cui si fonda tutto (la possibilità di indagare nella mente dei defunti) sia destinata a svanire.
Ecco, innanzitutto vorrei dire che è particolarmente gratificante ricevere un commento simile a quattro anni dall’uscita del romanzo. Denota che il libro è invecchiato bene, malgrado tutto, e questo non può fare che piacere (anzi, a dirla tutta, è stata una bella iniezione di fiducia). Tornando al punto della questione, la tecnologia dell’upload mentale messa a punto in Estremo Oriente e annunciata nel finale del libro non esclude affatto una continuazione della Pi-Quadro. I necromanti sono diventati obsoleti, certo, per ammissione dello stesso Briganti. Ma non per le loro prerogative – dopotutto, il loro ruolo resta inalterato, sia che dei cadaveri si possano recuperare le coscienze sia che invece la loro coscienza resti condannata alla morte entropica – quanto piuttosto per i pretesti etici che la politica farebbe presto a strumentalizzare e piegare alle proprie necessità. Se un individuo può essere “resuscitato”, infatti, l’indagine psicografica può diventare un’interferenza nella sfera privata. E la Pi-Quadro si è già fatta numerosi nemici, tra i signori di Napoli. Nel 2061 qualcuno potrebbe volergliela far pagare.
Di Guzza e degli altri, invece, parleremo la prossima volta.
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May 19, 2014
Corpi spenti: questione di prospettiva
Quando mi sono messo al lavoro su Corpi spenti, avevo un’unica cosa ben chiara in mente: scrivere un seguito di Sezione π² che ne rappresentasse allo stesso tempo un approfondimento e una discontinuità. Avevo un’idea in mente per lo scenario, avevo un gruppo di protagonisti ereditati dal primo romanzo, con una buona alchimia già espressa in quella sede ma con una riserva di potenziale abbastanza cospicua ancora da esprimere. Quello che mi serviva, senza girarci intorno, era l’angolo giusto: la giusta prospettiva da cui inquadrare la scena e i soggetti che interagivano in essa.
Dopo una serie di pianificazioni, tentativi di implementazione, ripensamenti, ripianificazioni, altri tentativi, conseguenti ripensamenti e così via, mi sono convinto che quello di cui avevo bisogno era uno scarto rispetto a Sezione π². Avevo inquadrato uno scorcio del futuro, in quel romanzo, eppure c’erano ancora diversi particolari di cui s’intuiva l’importanza ma che restavano tuttavia poco distinti: meritavano per questo una messa a fuoco. Era come scrutare la fuga prospettica di una strada cercando di decodificare le caratteristiche del paesaggio urbano dalla posizione in cui mi trovavo. Non potevo pensare di ottenere il risultato che mi prefiggevo continuando a osservare l’angolo di Napoli post-Singolarità dallo stesso punto, standomene fermo sullo stesso marciapiede.
Per questo ho deciso di attraversare la strada.
Nella parallasse stellare si sfrutta la rivoluzione della Terra intorno al Sole per misurare la distanza di un corpo celeste esterno al sistema solare, magari distante anche centinaia di anni-luce. La tecnica richiede come requisito la conoscenza del raggio dell’orbita terrestre: osservando una stella a distanza di sei mesi, basta un calcolo di pura trigonometria per determinarne la distanza. Non è uno strumento facile da adoperare, richiede estrema accuratezza e le distanze stellari impongono la massima precisione degli strumenti, ma funziona. È scientifico.
Attraversando la strada, i dettagli di superficie che mi avevano colpito durante la precedente indagine di Briganti hanno subito delle variazioni. Uno slittamento, come mi piace pensare, che ha imposto un paradigm shift, un mutamento di paradigma.
Alcuni particolari si sono rivelati poco più che accessori, altri sono improvvisamente risaltati, altri ancora sono emersi dagli angoli ciechi e dai coni d’ombra che inesorabilmente viziavano la precedente angolazione. Non che quella fosse sbagliata, intendiamoci. Però era solo una delle tante possibili. Abbastanza buona da garantire una visuale interessante, ma sicuramente insufficiente per cogliere il panorama nella sua interezza. Non che m’illuda sull’esistenza di una prospettiva esauriente in tal senso, almeno non restando vincolati ai gradi di libertà del piano stradale. E proprio come in una grande città attraversare una strada trafficata espone a dei rischi, così ottenere questa nuova visuale ha comportato una certa difficoltà: mi sono dovuto adeguare a un ritmo diverso, con scatti in avanti e battute d’arresto per evitare di farmi investire. Ma il cambio di prospettiva è valso lo scarto che mi proponevo di perseguire.
A bocce ferme, con tutta la soddisfazione ricavata dalla nuova angolazione guadagnata, resta una lezione che mi tornerà certamente utile alla prossima prova: la prossima volta non basterà attraversare la strada. Per guadagnare una visuale utile mi toccherà intrufolarmi in qualche palazzo e infilarmi di straforo in un ascensore. Sfidando le strutture di sicurezza dell’edificio, forzando le serrature per arrivare fino in cima, resistendo alle vertigini per rispettare le aspettative che lascia presagire questa seconda avventura delle Cronache del Kipple.
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