Sandrone Dazieri's Blog, page 21
December 10, 2010
Il più deprimente dei film deprimenti
Ok, il breve post che segue contiene SPOILER, siete avvisati.
Al Noir in festival stasera ho visto il mio primo film della selezione ufficiale. Never Let Me Go. Sono uscito cercando una bombola d'ossigeno. Avete presente un film deprimente, ma proprio tanto? Ecco, se non avete visto questo, non sapete che cosa significhi davvero. La storia è questa (OCCHIO ALLO SPOILER). Un gruppo di cloni viene allevato per diventare donatore di organi. Li vediamo da bambini, poi da adolescenti, poi da giovanotti. Alla fine donano gli organi. Muoiono tutti. Fine del film. Cresciuti prima in un college inglese, poi in campagna, non hanno mai un gesto di ribellione, non provano mai a scappare, a uccidere il primo che passa. Neanche a ubriacarsi. Si amano, soffrono, muoiono. Ben recitato, ben diretto, basato sul romanzo del grande scrittore Kazuo Ishiguro, ma ragazzi... che peso. Insomma, se quando uscirà al cinema andrete a vederlo, poi non dite che non vi ho avvisati.
December 9, 2010
Noir in festival
Sono i vent'anni del Noir in Festival, vado a vedere che succede da quelle parti. Non ho impegni ufficiali, quindi curioserò in giro. Se passate, fatemi un fischio.
December 4, 2010
Black Metropolitan Noir Festival di Roma - SPOT
November 29, 2010
Un lontano pianeta
Quand'ero bambino fu uno dei film che contribuì a formare il mio immaginario, facendomi amare la fantascienza. Si intitolava Il pianeta proibito, e nel cast figurava Leslie Nielsen, che vedete nella foto sotto. Ho capito che era lui vedendo i necrologi oggi.
November 27, 2010
La Tv che verrà, forse.
Mentre tenevo un piccolo seminario sulla fiction, mi è capitato di spiegare alla variegata platea dei miei studenti il lato positivo dello scrivere per la televisione. Ho raccontato che devi mediare con una serie di figure professionali che vanno dal produttore ai responsabili della rete, e che devi sempre tenere presente i costi, ma ho detto anche che se scrivi qualcosa che non viene scartato dalla rete, stravolto dal regista, masticato male dall'attore e tagliato dal montatore, avrai la soddisfazione di condividere una tua immagine mentale, simultaneamente, con milioni di persone, scoprendo in tempo reale, attraverso i social media, come reagiscono. Come stare seduto in una platea immensa e ascoltare i bisbigli di chi ti siede accanto.
Mentre dicevo questa cosa (e qualcuno dalla classe mi faceva malignamente notare che c'è anche un altro vantaggio, ed è che qualcuno ti paga) mi sono reso conto, però, che stavo parlando di qualcosa destinato a sparire in tempi brevi: la visione di massa simultanea.
Non so quanti di voi conoscano la situazione della tv statunitense, per cui fingerò che ne siate completamente digiuni. Oltreoceano, gli ascolti medi di programma sono ridicoli, paragonati ai nostri. Lo potete vedere se volete al sito http://tvbythenumbers.zap2it.com per esempio. A parte lo sport, niente supera i dieci milioni, e la fiction più vista Blue Blood, non arriva ai nove, più o meno come House. Glee, che è considerato un grande successo, è sotto i sei milioni, The Walking Dead, che è una delle più viste sulle tv via cavo, supera di poco i quattro. Va tenuto presente che il target preso in considerazione per la tv in chiaro è quello che va dai 18 ai 49 anni (mentre nella tv via cavo si contano tutti, da quel che ho capito), ma anche così siamo bassini, considerando che la loro popolazione è circa cinque volte la nostra. Questo accade perché gli spettatori, di fronte a un'offerta di numerosi canali in chiaro e di molte tv via cavo in competizione tra loro, si sono suddivisi secondo i gusti e le inclinazioni.
E questo sta succedendo anche da noi.
Si è cominciato a vedere con il calo medio delle prime serate delle ammiraglie come Rai Uno e Canale 5 e con lo spostamento di una fetta dello share sul satellite. E con lo switch al digitale terrestre, e l'offerta che diventerà sempre più numerosa grazie ai canali tematici, gli spettatori si suddivideranno ulteriormente.
Non solo. Le serie e i programmi si possono scaricare, a pagamento (negli Usa) o via filesharing, e ogni giorno nasce un servizio per vedere quello che vuoi sull'Ipad, sul computer, su box da collegare al televisore, come le offerte di Fastweb o Alice da noi, o dei servizi forniti via Itunes store e fruibili con la Apple tv. Poi c'è Youtube. La tv, in parole povere sta diventando fluida, i contenuti non sono più legati al direttore di rete, a meno che la diretta non sia un elemento fondamentale, come nel caso del benemerito Vieniviaconme o di una finale di coppa. O di robe come il Grande Fratello, ovviamente.
Che cosa significa questo, per chi scrive fiction come a volte faccio io? È una cattiva notizia o una buona notizia?
Mi sento, al momento, di rispondere: entrambe le cose.
Perché cattiva notizia? Perché i soldi per finanziare le fiction arrivano dalla pubblicità, e la pubblicità vale quanto le persone che guardano quel determinato programma. Se sono pochi, vale poco. E se vale poco, alla rete non conviene produrre. Gli conviene comprare un telefilm sul mercato estero, o fare un reality. O una soap a camera fissa.
Perché buona notizia? Perché la frantumazione dell'audience obbligherà i cento canali nuovi che nasceranno a specializzarsi. Non solo fiction per famiglie, quindi, ma anche per giovani, meno giovani, per raffinati e rozzi, per colti e ignoranti. Non a caso la serie sugli zombie in Usa è nata su un canale via cavo, così come Dexter, 24 e The Shield, che nella tv in chiaro, e quindi "per famiglie" non sarebbero sopravvissuti.
Non solo, ma le televisioni italiane saranno costrette a raffrontarsi con il mercato estero, a vendere quello che fanno per coprire parte delle spese. E per fare questo, quello che proporranno dovrà essere competitivo con quanto viene da oltreoceano. Andranno studiati format nuovi, quindi, occorrerà sperimentare e rischiare. E chi, come me, aspetta da anni la possibilità di scrivere qualcosa come Buffy, forse avrà la possibilità di farlo.
November 24, 2010
Arte
Qualche tempo fa il mio amico Kix mi dice. "Mollo"
"In che senso molli?", gli dico io.
"Il lavoro."
Ora, dovete sapere che Kix era, ed è ancora perché le capacità non si perdono, uno scenografo "industriale" (il termine è mio). Curava, cioè, gli allestimenti di fiere e convention di aziende che valevano qualche miliardo.
"Sei scemo?" gli dico. "E' un lavoro ben pagato, mi pare."
"Chissenefrega dei soldi."
"E sei bravo."
"Non mi basta più. Ho urgenza di fare altro, e sto aspettando da troppo tempo."
"Vuoi fare il giro del mondo?"
"No, voglio diventare artista a tempo pieno".
Sapevo che lo era già, un artista. Quando aveva tempo lo vedevo trabattare in laboratorio, tracciare disegni che sicuramente non servivano a fare stand per espositori. Ma adesso la scelta era radicale. Tutto o niente. Coraggiosa o stupida, a seconda dei punti di vista.
"E le bollette come le paghi?" gli chiedo.
"Con le mie opere."
"E se non vendi un tubo?"
"E' un rischio che devo correre."
E mi racconta le sue idee, come vuole costruire le sue istallazioni. Mi fa vedere degli schizzi, dei progetti. Io non ci capisco niente. I suoi lavori mi piacciono istintivamente, ma la mia conoscenza dell'arte arriva tipo a Giotto che faceva i cerchi senza compasso e a Van Gogh che si è tagliato un orecchio. Per cui mi sono limitato a dirgli buona fortuna, e mi sono messo ad aspetare. Gli afflati artistici possono durare poco. Un giorno, un anno. Poi ti accorgi che la tua vecchia vita ti manca, che volevi solo sfuggire dallo stress quotidiano. Che il rischio economico non vale la candela. Oppure no. Oppure hai trovato la tua strada. Ma per scoprirlo devi andarci a fondo e pagarne tutti i prezzi. La risposta di Kix è qui sotto. Andate a dare un'occhiata e poi ditemi come vi sembra.
Io penso che abbia fatto la scelta giusta.
November 10, 2010
Un telefilm per famiglie e uno no
La definizione "telefilm per famiglie" credo evochi in tutti noi la stessa cosa: zuccherose cazzate piene di morale e di noia, con genitori amorevoli che ad ogni puntata spiegano ai figli una qualche verità sulla vita tipo: non fare sesso fuori dal matrimonio, non farti gli spinelli, fai attraversare le vecchiette, non copiare i compiti eccetera... Insomma, la versione animata dell'Angelo della Parrocchia o quella aggiornata di uno dei telefilm americani che si facevano negli anni settanta. Ai tempi erano TUTTI per famiglie, e hanno cominciato a diventare interessanti con la tv via cavo e l'allentamento delle regole morali. A volte, i telefilm per famiglie sono davvero così, soprattutto se girati in Italia, ma qualche volta un prodotto, grazi alla buona scrittura e agli attori si eleva sugli altri e allora diventa qualcosa di godibile anche se non si vota Formigoni. No Ordinary Family è, a mio avviso, uno di questi.
La storia è questa. La famiglia Powell, lui un disegnatore di identikit della polizia, fallito come poliziotto e fallito come artista, lei una scienziata in carriera, figlia di sedici anni piuttosto spigliata, figlio sui quattordici con problemi di apprendimento, è in crisi. Lei lavora troppo, lui è lamentoso, i figli sono figli di quell'età. Per cui il signor Powell, interpretato da Michael Chiklis, indimenticato e rimpianto protagonista di The Shield (lei invece era la moglie di Dexter fino alla quinta stagione), decide di fare un viaggetto di famiglia in Sudamerica con un aereo da turismo. L'aereo cade durante una tempesta e i quattro finiscono a bagno in un acqua stranemente fosforescente. Si salvano, ma acquistano dei superpoteri. Lui forzuto e salta tipo Neo in Matrix, lei fa tipo mille chilometri l'ora, la figlia telepatica, il figlio cervellone. Lui decide di combattere i cattivi, lei no. Questa in sintesi la storia, che mi rendo conto non è particolarmente originale, almeno per chi legge i fumetti. Ma il tocco magico, è il caso di dirlo, è dato da come questa storia viene raccontata: ti affezioni subito ai personaggi, che sono tutt'altro che eroici, le battute e le situazioni sono tutt'altro che scontate, le recitazione è sopra la media, soprattutto di Chiklis e i due figli. Insomma, un buon prodotto. Il pilot, a mio avviso, era un po' meglio del resto delle puntate, ma l'ho seguito con piacere fino alla terza. Certo, chi ama i sapori forti in una serie non si divertirà un gran che, a tutti gli altri, che magari sono un po' fumettosi, non posso che consigliarla (sino alla tre, poi non mi prendo responsabilità).
Chi invece vuole a tutti costi sesso, violenza e non sense, ha pane per i suoi denti con una serie inglese che mi è capitata da poco sotto gli occhi: PSYCHOVILLE. I protagonisti sono un clown senza una mano che spaventa i bambini ed è zozzissimo, un nano che faceva film porno, un collezionista lercio e cieco, una tizia che tratta un bambolotto come fosse suo figlio e gli fa bere sangue da un biberon, un serial killer deforme e ritardato che vive con la madre. Ho visto solo fino alla seconda puntata, ma la trama per ora non è che si sviluppi un gran ché: i suddetti sono ricattati da un tizio misterioso che ha mandato a tutti una lettera con scritto "So cosa hai fatto", e si capisce che gli accusa di aver ucciso una tizia in un manicomio dove tutti si sono trovati rinchiusi. Ma la trama è solo un pretesto per vedere i protagonisti in azione, ognuno nel proprio ambiente e senza contatti con gli altri, anche perché una buona fetta sono interpretati dagli stessi due attori: Reece Shearsmith e Steve Pemberton. Fa ridere? A volte, ma certo che è spiazzante. Come dicono sui forum weird and freaky. Ah, il nano è anche telecinetico...
November 6, 2010
Radici
Nel mio ultimo romanzo scrivevo
...È l'aroma che associo a Milano, a questa città che mi ha adottato e non riesco più ad amare. In trent'anni ho cambiato case a raffica, vivendole come ripostigli dove pigiare dentro la roba, scopare e spostarmi quando mi stancavo dei vicini o loro si stancavano di me. Viaggiavo leggero, con le cose importanti che stavano tutte in una valigia piccola. Adesso cercavo di piantare radici, con lo stesso spirito con il quale ci si prenota il loculo al cimitero.
Non ho mai avuto una casa in proprietà, e la stessa idea della casa mi era un po' aliena. Stavo dove dovevo stare, e mi muovevo quando mi dovevo muovere. Poi ero legato a tanti luoghi: Cremona, la mia città natale, Milano, dove sono invecchiato, Mosca, la città di mia moglie, Roma, dove spesso lavoro e ho ritrovato amici... Saltavo da un posto all'altro, senza fermarmi mai. Pensavo sempre che in caso di incendio o terremoto averi potuto saltare fuori dalla finestra con il computer sottobraccio e ricominciare altrove senza aver perso nulla se non i vestiti (mi immaginavo in mutande). Poi mi è successo qualcosa, mi è arrivata la voglia di avere un punto fermo, da qualche parte. Come dicevano gli Assalti Frontali, una casa che mi permettesse di andare in giro per il mondo (loro si riferivano a un centro sociale, a dire il vero). Due anni fa, perciò, ho cominciato a cercare. Prima a Milano, ma niente di quello che vedevo mi piaceva. Abituato a muovermi negli open space in affitto che mi fanno da studio/casa, l'idea di comprare un appartamento dove neanche i miei libri avrebbero mai potuto entrare mi metteva tristezza. E poi non mi piace l'idea stessa dell'appartamento, i vicini che camminano sopra, la musica da tenere bassa, l'odore degli altri che sale dalla tromba delle scale. Non che non abbia mai vissuto in appartamenti o simili, ma comprarli, pensare che sarebbe diventato definitivo... Ma per un open space avrei dovuto vendere come Faletti, e così non è. Mi sono poi chiesto che cosa mi servisse davvero. Ok lo spazio per muovermi e per lavorare. Ma anche la possibilità del silenzio, della solitudine. Messa così, la città non era adatta e la periferia poco attraente. Ho cominciato a guardare la campagna allargandomi a cerchio: prima l'Umbria, che ha il vantaggio di essere facilmente raggiungibile da Roma, poi la campagna tra Cremona e Piacenza, che è facilmente raggiungibile da Milano ed è parte della mia storia. Ho scartato entrambe le ipotesi: in Umbria ho visto begli spazi, ma brutte casa, almeno per il mio range di possibilità economiche. La campagna cremonese... lo ammetto, mi ha spaventato. E' il profondo nord, veramente leghista nell'animo. Gli extracomunitari tengono in piedi le campagne: mungono, raccolgono la verdura, zappano, trebbiano, ma sono considerati solo un male necessario, un attrezzo con le gambe, che ha doveri e zero diritti. Che non deve rompere i coglioni. Non tutti la pensano così, ma molti, troppi per i miei gusti e troppe sgradevoli discussioni ho fatto nelle mie perlustrazioni. Non cerco solo l'aria pura, cerco di liberarmi anche la mente. Perciò ho continuato a cercare e alla fine sono incappato nelle Marche, che non conoscevo, e non conosco ancora. Scomode da raggiungere, malservite con i treni, ma belle. Una sorta di Toscana povera. E gira che ti rigiri, accanto a un paesino medievale, ho trovato anche un casale abbastanza ben messo, con un po' di terra, che costa come un bilocale a Milano. E' lontano da tutto quel casale, e per comprare quello, significa che dovrò continuare ad avere uno studio a Milano dove passerò la maggior parte del mio tempo. Ma làggiù, tra gli alberi e le tracce del passaggio dei cinghiali, ci sarà una radice che mi lega al mondo, al tempo che scorre, alla terra.
Mi ci devo ancora abituare, che sto diventando vecchio.
November 5, 2010
Fever
Sapete come si dice: La fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo. Nel mio lavoro ci sono settimane facili e settimane difficili, pienissime di cose da fare. Questa era pienissima. Dovevo consegnare due lavori dei quali stavo finalmente arrivando alla fine, fare un viaggio di quattrocento chilometri per andare a fare un atto notarile, festeggiare il mio compleanno…. E invece, zac, mi sono preso l'influenza, che dicono non sia quella vera, ma solo un'influenza intermedia, un'infreddata preparatoria. Mal di testa, mal di ossa, febbriciattola, tosse, starnuti, rintronamento generale, incapacità di concentrarmi. Le consegne sono saltate, il compleanno l'ho festeggiato sul divano avvolto in una coperta, e quel che è peggio il viaggio di quattrocento chilometri devo farlo ugualmente, perché il notaio non posso disdirlo. Insomma, una settimana che poteva essere liberatoria, nel senso che mi liberava di non poche cose, è diventata un purgatorio che mi incasinerà anche quelle a venire. L'unica cosa buona della mia condizione attuale è che quando posso stare a letto faccio i miei splendidi sogni da febbre: colorati con un cartone animato dei Beatles, folli e immediati. Mi basta chiudere gli occhi per un istante che parto per un mondo più divertente e meno complicato di questo. Un giorno ve li racconterò.
October 29, 2010
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