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Radici

Nel mio ultimo romanzo scrivevo


...È l'aroma che associo a Milano, a questa città che mi ha adottato e non riesco più ad amare. In trent'anni ho cambiato case a raffica, vivendole come ripostigli dove pigiare dentro la roba, scopare e spostarmi quando mi stancavo dei vicini o loro si stancavano di me. Viaggiavo leggero, con le cose importanti che stavano tutte in una valigia piccola. Adesso cercavo di piantare radici, con lo stesso spirito con il quale ci si prenota il loculo al cimitero.


Non ho mai avuto una casa in proprietà, e la stessa idea della casa mi era un po' aliena. Stavo dove dovevo stare, e mi muovevo quando mi dovevo muovere. Poi ero legato a tanti luoghi: Cremona, la mia città natale, Milano, dove sono invecchiato, Mosca, la città di mia moglie, Roma, dove spesso lavoro e ho ritrovato amici... Saltavo da un posto all'altro, senza fermarmi mai. Pensavo sempre che in caso di incendio o terremoto averi potuto saltare fuori dalla finestra con il computer sottobraccio e ricominciare altrove senza aver perso nulla se non i vestiti (mi immaginavo in mutande). Poi mi è successo qualcosa, mi è arrivata la voglia di avere un punto fermo, da qualche parte. Come dicevano gli Assalti Frontali, una casa che mi permettesse di andare in giro per il mondo (loro si riferivano a un centro sociale, a dire il vero). Due anni fa, perciò, ho cominciato a cercare. Prima a Milano, ma niente di quello che vedevo mi piaceva. Abituato a muovermi negli open space in affitto che mi fanno da studio/casa, l'idea di comprare un appartamento dove neanche i miei libri avrebbero mai potuto entrare mi metteva tristezza. E poi non mi piace l'idea stessa dell'appartamento, i vicini che camminano sopra, la musica da tenere bassa, l'odore degli altri che sale dalla tromba delle scale. Non che non abbia mai vissuto in appartamenti o simili, ma comprarli, pensare che sarebbe diventato definitivo... Ma per un open space avrei dovuto vendere come Faletti, e così non è.  Mi sono poi chiesto che cosa mi servisse davvero. Ok lo spazio per muovermi e per lavorare. Ma anche la possibilità del silenzio, della solitudine. Messa così, la città non era adatta e la periferia  poco attraente. Ho cominciato a guardare la campagna allargandomi a cerchio: prima l'Umbria, che ha il vantaggio di essere facilmente raggiungibile da Roma, poi la campagna tra Cremona e Piacenza, che è facilmente raggiungibile da Milano ed è parte della mia storia. Ho scartato entrambe le ipotesi: in Umbria ho visto begli spazi, ma brutte casa, almeno per il mio range di possibilità economiche. La campagna cremonese... lo ammetto, mi ha spaventato. E' il profondo nord, veramente leghista nell'animo. Gli extracomunitari tengono in piedi le campagne: mungono, raccolgono la verdura, zappano, trebbiano, ma sono considerati solo un male necessario, un attrezzo con le gambe, che ha doveri e zero diritti. Che non deve rompere i coglioni. Non tutti la pensano così, ma molti, troppi per i miei gusti e troppe sgradevoli discussioni ho fatto nelle mie perlustrazioni.  Non cerco solo l'aria pura, cerco di liberarmi anche la mente. Perciò ho continuato a cercare e alla fine sono incappato nelle Marche, che non conoscevo, e non conosco ancora. Scomode da raggiungere, malservite con i treni, ma belle. Una sorta di Toscana povera. E gira che ti rigiri, accanto a un paesino medievale, ho trovato anche un casale abbastanza ben messo, con un po' di terra, che costa come un bilocale a Milano. E' lontano da tutto quel casale, e per comprare quello, significa che dovrò continuare ad avere uno studio a Milano dove passerò la maggior parte del mio tempo. Ma làggiù, tra gli alberi e le tracce del passaggio dei cinghiali, ci sarà una radice che mi lega al mondo, al tempo che scorre, alla terra.


Mi ci devo ancora abituare, che sto diventando vecchio.

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Published on November 06, 2010 02:40
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Sandrone Dazieri
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