Fabrizio Ulivieri's Blog, page 45
November 12, 2023
The day is running out

the day is running out
the light has run out
outside rains
outside is cold
outside is dark
outside is what?
what am I waiting for?
November 5, 2023
Esplosioni selvagge di sesso

- Luca Mattei?
- Lei chi è?
- Non importa...
- Non importa?
- Sì. Voglio solo sapere se Lei è Luca Mattei.
- Se lei mi dice chi è, io le dico se io sono io, Luca Mattei. Che Le pare?
- Lei ha scritto "Sesso, porche e quantum mechanics"?
- Sì, forse l'ho scritto io.- Allora Lei è Luca Mattei.- Va bene sono io. E allora? Lei chi è? Che vuole?
- Conosce mia moglie?- Ma lei è pazzo o cosa? Come posso conoscere sua moglie se nemmeno so chi sia Lei?- Beh io sono geloso di Lei...- Di me? E perché? Che Le ho fatto perché Lei sia geloso di me?- Mia moglie è impazzita...- Oh...mi dispiace...ma io che c'entro?- Lei c'entra, eccome.- Io? Senta, questo dialogo mi sembra un pezzo degno del teatro dell'assurdo...anche Lei mi sembra assurdo. Io non La seguo...mi dispiace...- Mia moiglie è impazzita dopo che ha letto il suo libro...- Quale? "Sesso, porche e quantum mechanics"?
- Si.- Com'è possibile? - E' possibile...
Luca guardò meglio l'uomo che aveva di fronte. Era sui quantadue, quarantaquattro anni. Un bell'uomo. Capelli neri. Naso leggermente piegato come quello di chi fa boxe. Occhi neri, pungenti. Mento squadrato. Robusto. Non molto alto. Per un attimo pensò che potesse alzare le mani su di lui. Ma l'uomo tenne lo sguardo basso come se si sentisse in imbarazzo davanti a Luca e aveva un'aria davvero tribolata e infelice.
- Senta, per cortesia...potrebbe spiegarsi meglio? Lei mi ferma per strada. Non dico che mi assale verbalmente ma si pressenta in modo alquanto bizzarro...mi viene fuori con questa storia di Sua moglie che è impazzita a causa di un mio libro...- Si, ha ragione. E' una storia abbastanza bizzarra. E forse ci saranno altri come me...- Altri come Lei? - Sì.- Ovvero?- Che la fermeranno per strada arrabbiati o gelosi...come me.- E perché? - Per la mia stessa ragione.- Per la Sua stessa ragione?- Sì.- E quale sarebbe la "Sua stessa ragione"?- Che ne dice se ci sediamo lì. Le offro un caffè. E' il bar Blanco. Lo conosce?- Dovrei? - Credo di sì. Tutta la movida di Milano va lì. Ma lei dove vive scusi? - In piazza della Scala?- In piazza della Scala?- Sì.- Ohhh...- Che è? Non Le piace?- No, no...la invidio.- Ancora?- Allora, accetta un caffè?- Un cappuccino, magari. Se per Lei va bene?- Ci mancherebbe.
Quando entrano, il Bar Blanco è semivuoto. Un paio di signori anziani e un ragazzo seduti ai tavoli.
- Ci sediamo qui? Le va bene?- Perfetto.- Per favore un caffè e un cappuccino...- Subito - risponde da dietro il banco la voce del barman.- Vede, Luca, ogni donna è destinata ad avere uno scoppio di... . . sensualità selvaggia prima o poi. Fa parte della loro natura.- Dice? (la frase lo incuriosì - subito pensò a Carlotta e di nuovo quel dolore di piacere lancinante fra le gambe, come da piccolo).- Così è stato per mia moglie. Forse una reazione allo stress. Due anni di restrizioni, di limitazioni hanno impoverito tutte le nostre capacità anche le fantasie sessuali...o frose le hanno aumentate...- Non saprei...- Il suo romanzo in mia moglie ha trovato un perfetto recipiente.- Dice?- Si. Da dopo che lo ha letto il suo appetito sessuale è divenuto selvaggio.- Selvaggio?- Selvaggio.- Selvaggio...oddio...- Talmente selvaggio che a mia insaputa si è messa a fare la prostitua, in case di appuntamento clandestine di Milano, come la protagonista del Suo romanzo...- Dio mio! Come...Rugile?- Sì. mi sembra. Io non l'ho letto tutto il romanzo. Ho provato ma alla fine ero così geloso che ho dovuto smettere di leggerlo...- Ma Lei è ossessionato dalla gelosia...- Prego signori...caffè e cappuccino - si intromise il ragazzo che serviva ai tavoli.- Grazie - risposero entrambi.- Ho una domanda, Luca. Posso farglierla?- Lei la faccia. Se posso rispondo.- Ma questa Rugile e tutte le altre donne del romanzo, in particolare la giapponese...sono vere? Sono reali? Esistite? O frutto della sua fantasia?- Domanda difficile. Non saprei come risponderLe se non con il dire che non esiste romanzo che non parta da dati personali. Anche la filosofia. Crede che Kant avrebbe ideato l'apriori se tutta la sua vita non avesse abitato a Königsberg senza mai uscirne? Aveva bisogno di avere uno strumento che gli permettesse di conoscere anche quello che non riusciva a conoscere attraverso l'esperienza...O Heidegger avrebbe scritto quello che ha scritto se non fosse stato influenzato dalla ideologia nazista? L'"essere gettato", il "Dasein", "L'essere per la morte" ci parlano di un individuo che vive in un mondo che è solo una struttura, senza umanità...- Dunque sono esistite?- Le ho già risposto.
Luca, cominciò a guardare meglio la persona che aveva di fronte.
- Ma io e Lei ci conosciamo? Ci siamo già incontrati prima?- No, non credo.- E allora, come ha fatto a trovarmi? A sapere che io ero io?- Ho cercato delle Sue foto in internet...ero curioso dimsapere che aspetto aveva.. Per caso stamattina passavo per piazzale Lavater e quando L'ho vista, quasi non ci credevo, L'ho riconosciuta e L'ho fermata...è stata una cosa istintiva. Più forte di me. Non ho potuto farne a meno...- Ma non potremmo darci del "Tu"...- Certo, Luca. volentieri.- Ma come ti chiami?- Francesco.- Francesco...Francesco...ma io ti ho gia visto da qualche parte. Francesco... Francesco Marinelli?- Sì, sono io. Come...- Ecco dove ti ho visto! Canti nel coro della Scala. E una volta che si è ammalato il tenore all'ultimo minuto tu lo hai sostiutito.- Sì. Ma come...- Tutti i giornali mi ricordo ne parlarono. Eravamo quasi alla fine della pandemia. Il tenore si era ammalato di Covid...giusto? - Giusto...- Tu lo hai sostituito ed è stato un trionfo. Il pubblico era in piedi e chiedeva il bis alla fine.- Sì, è vero. Per me è stato incredibile. Sapevo di avere le qualità ma non avrei mai creduto...- Davvero mi fa piacere conoscerti Francesco...mi dispiace per tua moglie...ma ora capisco tutto...sì mi ricordo quando uscì il libro...mi ricordo tante donne ebbero reazioni simili...esplosioni selvagge di sesso...selvagge...alcune parevano uscite di senno...mi sembrò...hai detto bene "esplosioni selvagge di sesso",,,
October 31, 2023
Segnali di primavera

Da "Il piacere di sentirsi cane" libro in fase di scittura.
Non sempre era stato facile con Carlotta.
Ora era un’altra donna, quasi. Ma i primi anni della loro relazione ricordava bene come erano stati travagliati, dai suoi continui tradimenti.
E tutto si legava a quel suo piacere di essere cane.
Lei lo tradiva e lui amava essere tradito, umiliato. Provava un piacere infinito. E si sentiva, finalmente, al centro della vita, al centro di quel mondo a cui aspirava fin dalla creazione del suo essere.
Aveva vissuto in quel sogno, “in quel mondo” per chiamarlo nel modo che gli competeva, per tutta la vita. E ora, solo ora, si era svegliato e lo aveva vinto. E più strano ancora lo aveva vinto insieme a Carlotta, che tanto dolore e piacere gli aveva procurato.
Ma a quale mondo doveva credere? A quello in cui aveva finora vissuto? O quello in cui era ora pervenuto dopo aver seguito quello a cui aveva creduto?
Erano in verità diversi? O erano il medesimo?
Carlotta era stata ossessionata dall’idea di essere puttana. La eccitava sentirsi carne. Un pezzo di carne con cui provare piacere. L’idea di sottomissione, come prostituta. Essere usata, sottomessa, pagata. Usata e poi dismessa.
Una notte in particolare, ricordava Luca, lo aveva fatto soffrire.
Non tornò. Era uscita per andare al cinema con Stefania, un’amica dell’ufficio export di un cliente per cui lavorava.
Rientrò la mattina presto verso le sette.
Luca non aveva dormito tutta la notte. Era su una poltrona con una tazza di caffè in mano quando lei rientrò. Lui, sconvolto.
- Dove sei stata tutta la notte? Ti ho chiamato, tante volte, avevi il telefono spento. Dove sei stata? Mi hai fatto soffrire.
- Sono stata al cinema con Stefania.
- Tutta la notte?
- No.
- E allora?
- Dopo il cinema siamo andate in un bar a bere qualcosa. Ho conosciuto uno...
- Naturalmente...
- Sì. Mi ha portato a casa sua. Ho passato la notte a casa sua.
- E’ normale per te, questo?
- Luca, io te l’ho detto prima di sposarci, che io sono così. Io se vedo uno che mi piace ci devo andare a letto, è più forte di me.
- E io? A me non pensi?
- Ma lo sai, che io amo solo te. Tu sei un’altra cosa. Con quelli è solo carne. Nulla di più. E poi anche a te piaceva. Ti eccitava...ora no?
- Si, ma quando so dove sei. Non quando sparisci che non so nulla e mi preoccupo.
- Mi dispiace. E’ stata una cosa improvvisa, non ho avuto tempo di avvertirti...
Com’era cambiata Carlotta da allora.
Quanta strada aveva percorso per arrivare dove ora era arrivata.
Quella notte fu simile all’ultima notte. Molto simile. L’ultima notte che...che tutto era cambiato. Che aveva dormito con il turco. Che tutto era giunto fin dove doveva giungere, partendo da una lunga via preveniente ciò che sarebbe poi venuto. Ed era venuto. Alla fine. La via li aveva menati, venendo da un prima che loro fossero, a dove ora si trovavano. E la via continuava. Era prima ed era dopo. Infinita. Loro ne avevano percorso solo un tratto.
Avevano entrambi seguito l’istinto della vita lungo quella via. La loro vita. Nel seguirlo avevano pensato di conoscere la vita. L’avevano fiutata, respirata. O almeno avevano creduto.
La vita non chiede. Ti prende.
E loro si erano lasciati prendere. Si erano in essa riconosciuti. O almeno avevano creduto. Ogni volta.
E ora anche.
E’ un istinto. E qualcosa che ti chiama e ogni giorno è diversa quella voce che ti chiama, eppure credi sempre sia la stessa, perché viene da dentro. Da dentro te.
E se quella voce non ci fosse, se quella voce mancasse, sarebbe l’assurdo. Niente avrebbe senso. Satebbe il Nulla. Assoluto.
Lui e Carlotta avrebbero potuto cadere in quel Nulla, ma l’istinto, il rendersi disponibili all’istinto, li aveva portati nella direzione in cui erano ora situati.
- Portami qualcosa da bere, Luca.
Il suo tono fu anche forte. Ma stavolta Luca non provò niente. Non ci fu quell’acuto lancinante piacere doloroso che lo infiammava.
Niente. Era guarito.
- Che vuoi bere, Carlotta?
- Un whisky? Abbiamo whisky?
- No, forse del cognac.
- Bene portami del cognac. E preparami qualcosa da mangiare. Ho fame.
- Che vorresti mangiare, Carlotta?
- Un piatto di pasta, come fai tu. Sei bravo a fare la pasta, tu. Decidi tu.
Stava seduta e lo osservava, come si osserva una statua. E Luca si sentì una statua, in cui viveva in attesa del mondo che girava attorno a lui, che lui osservava e rimaneva ai margini di quello e lo osservava.
- La primavera si avvicina – disse Carlotta, mentre lui le porgeva il cognac, lei seduta sulla poltrona con le gambe accavallate.
- Vero – rispose Luca che stava in piedi davanti a lei, E guardò fuori dalla finestra.
- Tempo di cambiare il guardaroba...quando ero bambina...a primavera...andavamo al lago di Como...tutta la mia famiglia...mio padre, mia madre ed io...eravamo felici...mi pare...allora. Era bello. Erano belle giornate...allora... – parlava a strattoni, Carlotta. Distratta. Sorseggiava il cognac, pareva fissare il bicchiere, ma inveve fissava un passato, che non c’era più.
October 22, 2023
Una notte di fantasmi e ossessioni (da "Il piacere di sentirsi cane")

Il sonno è cosa che chiede rispetto. Pensò Luca mentre guardava Carlotta che dormiva, travolta dalla stanchezza di quella notte che mai sembrava finire.
Dormiva dolce. Come bambina. Aveva una mano poggiata sulla guancia.
Nel rispetto che lui proiettava su di lei, lei dormiva come una regina.
Davanti a quella bellezza che dormiva, intese come il mondo suo fosse sempre più lei. Il mondo quello vero. L’altro, quello che era fuori da quell’appartamento, diveniva giorno dopo giorno orribile. Cattivo. E Luca era giunto al punto che non sopportava la cattiveria. Era divenuto allergico alla cattiveria e all’egoismo. L’Italia si era mutata in un paese di cattivi, di persone senza anima. Di grande egoismo.
Italia brava gente? Sorrise. Forse una volta. O forse mai. Forse era un autoconvincimento con cui gli italiani avevano sempre nascosto il loro immenso egoismo.
Era divenuto un popolo senza sostanza. Vuoto. Sembrava che gliel’avessero succhiata via.
Era ormai tutto e solo apparenza quello che la gente mostrava. Dentro non era rimasto niente.
Il vuoto completo. Un’assenza totale, dal senso vero della vita.
Avrebbe voluto illudersi. Ingannarsi. Continuare a immaginare che la gente là, fuori da quell’appartamento, fosse ancora la gente che aveva conosciuto e aveva stimato. Ma ora quelli a cui si riferiva, quelli che erano stati la direzione della sua vita, non erano più lì a testimoniare la loro presenza.
E vivevano, tuttavia, ma vivevano come ricordi, ossessioni, ombre, approssimazioni di quello che lui era stato e ora era divenuto. E per vivere chiedevano, chiedevano a lui energia, per essere tenuti in vita. Non erano neutri. Erano quasi vampiri. Vivevano perché si nutrivano di lui.
Come liberarsene? Ma davvero avrebbe potuto liberarsene? E soprattutto, voleva liberarsene?
Forse sì, un giorno, quando anche lui sarebbe divenuto come loro. Un’approssimazione. Anche lui sarebbe rimasto, nutrendosi di energia, dell’energia di chi lo teneva in vita. Allora forse anche lui sarebbe divenuto come loro, sarebbe passato dalla loro parte. E sì, allora, solo allora, veramente sarebbe stato libero.
Lui e Carlotta ora mangiavano poco. Il cibo era divenuta la parte più inessenziale della loro vita.
Controllavano così meglio quelle forme intelligibili che per approssimazione si nutrivano della loro energia. Li privavano di ciò che più avevano bisogno: corpi sazi, gonfi, ripieni, su cui meglio aderire. Meglio esercitare la loro influenza.
E sorprendentemente il corpo diveniva più leggero, di entrambi, perché ogni eccesso, quell’eccesso che attira quelle forme che mai muoiono, eterne, e incapaci di andarsene, nel digiuno si allenta, e più male vi aderiscono per approssimazione quelle forme alla nostra anima, alla nostra pelle. Gli viene a mancare ciò che le tiene in vita. Il sostentamento dell’eccesso.
E lui e Carlotta si sentivano sollevati, sollevati dagli incubi, dall’ossessione di averle sempre addosso. Gli davano un po’ di abento.
In un certo senso erano felici. Felici di avere un corpo leggero, un’anima più pulita, priva delle loro incrostazioni. Delle cancrene per cui aderivano.
Nel tempo aveva convinto Carlotta al digiuno. Perché conosceva la gioia a cui un digiuno prolungato porta, conosceva il senso di liberazione e di libertà che ti apre innanzi.
In verità, aveva un solo obiettivo: lasciare Carlotta felice quando lui non ci sarebbe stato. E non avrebbe voluto poi tormentarla. Non avrebbe voluto starle vicino dopo, e debilitarla con il ricordo di lui. Oh sì debilitano quei ricordi. Quanto dolore energia tempo e sofferenza procurava a lui il ricordo dei suoi genitori, che mai lo avevano lasciato dopo la morte.
Li amava, troppo, e quel troppo amore li univa anche dopo, non si interrompeva perché loro non se ne andavano ma stavano lì, anche ora in quella camera al buio con lui, mentre lui teneva la mano di Carlotta e la guardava.
- Vedete mamma e babbo com’è bella Carlotta? Peccato che non abbiate avuto il tempo di conoscerla...vi sarebbe piaciuta...lo vedi mamma...ho trovato la donna che mi ama finalmente. Che ha cura di me...ti preoccupavi tanto. E tu babbo sarai contento immagino che Carlotta ha voluto prendere il cognome della nostra famiglia? Oh sì lo so, che sei contento. Lo so, a te questa cosa avrebbe fatto immenso piacere. Lo so...
October 17, 2023
Porphyry's Fourth Sententia gives more depth to Strindberg's obsessions

When I watch August Strindberg's plays, I recognize and identify his obsessions and demons in the same way Porphyry describes the presence of the Intelligibles in his Sententiae. Here is the Fourth Sententia, which drops and enlarges the vision about the way these obsessions and demons stick to the mind:
ὰ καθ᾽ αὑτὰ ἀσώματα, οὐ τοπικῶς παρόντα τοῖς σώμασι, πάρεστιν αὐτοῖς ὅταν βούληται, πρὸς αὐτὰ ῥέψαντα ἡ πέφυκε ῥέπειν: καὶ τοπικῶς αὐτοῖς οὐ παρόντα, τῇ σχέσει πάρεστιν αὐτοῖς.
Incorporea per se, quae non adsunt corporibus praesentia locali, adsunt eis quandocunque volunt; vergendo ad illa, quatenus scilicet naturae instinctu vergunt: sed cum locali praesentia eis non adsunt, adsunt tamen habitudine seu affectu (translated by Marsilio Ficino)
Things essentially incorporeal, are not present with bodies, by hypostasis and essence; for they are not mingled with bodies. But they impart a certain power which is proximate to bodies, through verging towards them. For tendency constitutes a certain secondary power proximate to bodies (translated by Thomas Taylor)
October 14, 2023
Silvia - un incontro per caso sulla scena della vita

L'avevo sognato quell'incontro. Nello stesso modo che avvenne.
Avevo sognato che camminavo un giorno e una ragazza che somigliava a lei, a Silvia, mia figlia, passava camminando. Quel giorno.
Silvia, Silvia! - io la chiamai, nella luce di quel giorno. Ma lei non mi sentiva. E allora la chiamai più forte: Silvia!!Finalmente, lei, si girò. Si girò e guardò infine.
E poi mi ero svegliato.
Ma fu così che avvenne, nello stesso esatto modo. Un anno dopo, quasi.
In piena estate, in un caldo che mi schiacciava a terra, cercavo un bar, dove potessi bere un caffè. Se bevevo un caffè mi sarei ripreso. Altrimenti non so, poteva essere che sarei mancato. Svenuto. Caduto per terra.Ma sono difficile nello scegliere i bar. Non posso entrare in ogni bar. E mentre giravo per Empoli alla ricerca del bar che mi piacesse, la vidi.
Che strano ritornare nella stessa città dove sei praticamente cresciuto e vissuto, dopo tanti anni. Dopo gli anni soprattutto che hanno sconvolto il mondo in modo meschino, che hanno capovolto ciò che è bene in ciò che è male e ciò che è male in bene.
E' come finire in un mondo parallelo in cui sbuchi improvviso e ti ritrovi in un universo simile in tutto, ma sai che non è lo stesso, perché senti che quel mondo che vedi, per come si dà, non è lo stesso modo in cui si dava prima. E benché paia una sensazione è però una certezza.Sei tu, ma tu che ti esprimi in un' altra lingua, diversa da quella di prima.
Ed eccola Silvia, esce da un negozio con una borsa di carta in mano. Forse ha comprato una maglietta per sé.
La vedo, è lei, reale, e tuttavia ho con me questo sentimento ancora, di venire da un mondo parallelo a questo in tutto simile, ma non lo stesso di quello in cui vivevo prima.
Eccomi dire come nel sogno; Silvia, Silvia! E come nel sogno lei non mi sente e va avanti. E alllora urlo ancora più forte: Silvia!!
Si volta e guarda (come nel sogno).
Silvia! - allora ripeto.
Mi vede finalmente. Lei non sorride e nemmeno sembra sorpresa. Semmai imbarazzata. Sono cinque anni che non la vedo.
Mi avvicino, la abbraccio, sento la sua pelle i suoi capelli dopo tanti anni. Sento il caldo del suo corpo. Vedo le sue braccia magre, e capisco che ha sofferto. E capisco come mi è mancata e come le voglio bene.Respiro, respiro il mio amore per mia figlia. Finalmente.
Silvia - mia bambina... E la stringo forte al petto.
Lei ha le labbra serrate. Lo vedo che ha patito. E io so che sono una gran parte della sua sofferenza.
Ho scelto di lasciare l'Ialia e lei l'ho sacrificata. Ho sacrificato soprattutto la sua fiducia in me.
Ma che potevo fare? Non avevo scelta. O scegliere la vita o scegliere un sacrificio inutile. In questo paese sarei finito alla deriva. Ora lo so con certezza. Ora so con certezza che a causa della pandemia sarei caduto nelle sue trame e avrei perso il lavoro, e ora sarei stato senza lavoro senza casa senza soldi...come avrei vissuto?E invece ho superato gli orditi di questa ennesima prova e fuori dal mondo in cui ero vissuto mi sono rifatto una vita, perché mi sono dovuto inventare una vita, che non avevo, che avevo lasciato nel mondo da cui venivo.E me ne sono inventata una completamente nuova.
- Come stai, Silvia? Mia piccolina... - le dissi accarezzandole i capelli mentre la stringevo a me.
- Beh si cerca di andare avanti... - mi rispose un po' contratta, quasi timorosa, ma non fredda. Conoscevo Silvia. La conoscevo fin dai primi giorni della sua venuta. Benedetto il giorno, e l'ora che è nata, e Dio sa che mi bastava ora guardarla un attimo per sentirla, per capirla fino in fondo. L'avevo tenuta in braccio, l'avevo coccolata fino dai primi minuti che venne alla luce e fino a sedici anni era stato il mio alter ego inseparabile, poi piano piano i nostri disegni ci avevano allontanato dallo spazio comune della nostra comune commedia.
- I bambini?
- Crescono...
Quegli anni erano stati come un gorgo, che si era aperto tra noi inatteso senz’alcun sospetto, e ci aveva afferrati e travolti in un attimo,e per cinque lunghi anni ci aveva tenuti dentro il suo abisso. E ora lì fra le mie braccia quel gorgo si richiudeva, con fatica, ma si chiudeva.Le parole però salivano con difficoltà dalla voragine in cui eravamo precipitati. Dovevano percorrere una strada lunga per riandare lungo il budello infinito che le separava dalla superficie.
Non le chiesi se anche lei voleva un caffè o qualcos'altro. Vedevo come pativano le parole fra noi.C'erano tra noi troppi spettri, troppe ombre ancora che impedivano ai nomi ai suoni dei lemmi di salire liberi.
La libertà. Che bella parola. Ma chi davvero conosce la libertà?Nemmeno noi due in quel momento eravamo liberi di essere ciò che avremmo voluto essere.Quasi mai si è quello che si vorrebbe essere, ma sempre si è qualcosa di diverso da quell'istinto che portiamo dentro e soffochiamo per essere qualcos'altro, infine.E ora mi ricordo quando eravamo liberi, liberi insieme. Erano quei giorni di estate bella come oggi. Ingenui entrambi della vita, che credevamo un giorno sarebbe il risultato delle promesse che pareva ci avesse fatto.
Vivevamo di ingenuità e di poesia. La poesia non è solo quella scritta su un foglio di carta. E' anche la vita, certi momenti della vita si fanno poesia. Come quelle ore cha passavamo in bicicletta sotto il sole, felici di essere vivi in quel tripudio di luce che benediva di ebbra bellezza le nostre pedalate e i dialoghi infiniti fra me e lei.
Perché questa barriera fra noi Silvia, ora? Perché non siamo come allora, una sola ed unica cosa?Perché questa parete che ha interrotto la nostra transustanziazione? Il nostro farsi corpo nel corpo dell'altro.Ma non vi era risposta. Non poteva esservi.Troppo dolore gli anni avevano gettato. Troppi dubbi e troppa diffidenza ora caricavano i nostri sguardi, le nostre parole.E quel peso aveva un nome: coscienza.In quell'incontro l'anima ci univa ma la coscienza ci separava.Gli idoli e le ombre di questo secolo vivono e nutrono la coscienza. L'anima invece sta in alto, guarda oltre l'orizzone della propria coscienza. Sta nella luce di una città che non è questa, o quella, o tutte le altre in cui agiamo e realizziamo i drammi del nostro esistere, e di cui viviamo come se i drammi fossero veri e reali, e lo sono infatti perché siamo persi in essi e siamo le loro voci, siamo i personaggi che i drammi ci chiedono di essere. Recitiamo a soggetto i nostri drammi.
Che recitavamo, Silvia, quel giorno che per caso vorrei dire, se il caso esistesse, ci siamo incontrati nella città dove i comuni atti della nostra vita ci avevano concesso lo stesso spazio, insieme, sullo stesso palcoscenisco, finché io, attore principale, non avevo abbandonato la scena, impaurito dal peso del ruolo e avevo lasciato il teatro della nostra vita comune - e ti avevo abbandonata lasciandoti sola sul palcoscenisco, muta, sotto le luci impietose dei riflettori che mostravano ogni piega e ogni ruga della tua coscienza impaurita?
October 8, 2023
The damned mass

The mass exists and is shapeless and is damned until the individual distinguishes himself from the mass and emerges from it (universa ista massa merito damnata est – Sant'Agostino epistula 194). It is useless to sanctify the mass as if it is a custodian of who-knows-what- morality of perfection. The mass is made up of individuals. The individuals are faced with choices. Based on their choices they can obtain the path to truth and salvation or condemn themselves to live indistinctly among the dark matter of the mass. In the im-becill-ity of the mass. That is, they walk in the saeculum without (in-) the support (baculum) of the light of truth, of the grace that leads to the truth.
September 25, 2023
TV is Satan's machine - Arvydas Šliogeris

An important Lithuanian philosopher, Arvydas Šliogeris (1944 - 2019) who is defined as the Kant of Lithuania, developed an analysis of the TV screen which today, in a post “pandemic” era, is more relevant than ever.
According to Šliogeris, the TV screen is the most dangerous enemy of mankind. The reason is that it can detach a person from the real world and lure him into a realm of illusions and hallucinations. In today's world, the screen is the most precious gift that we have. It is so powerful that it can pump ideologies into our minds without us even realizing it. It has been observed that there are no more ideologies in the world, as they are all being propagated through the Screen.
It is more powerful than all religions and all traditional ideologies combined together. The screen is a place of global deception, terror and obscenity. He is convinced that the Screen is the most reliable and effective suicide instrument for mankind. We must run away from him (i.e. turn it off).
In Šliogeris' opinion TV Screen is Satan's machine. The anthropological catastrophe we are experiencing and that is already happening is primarily the result of the Screen and his primary aim is the destruction of the human soul.
September 17, 2023
L' "abiura della trilogia della vita" di Pasolini non fece altro che confermare la grande malattia del popolo italiano

In questa riflessione sul popolo italiano parlo dell'Italia, ma non per farne un termine di confronto con altre nazioni. Per dire questo è peggio o meglio dell'altro. Parlo dell'Italia sic et simpliceter senza voler fare paragoni.Parlo dell'Italia perché grande è il dolore nel vedere il paese dove sono nato ridotto ormai a un cumulo di macerie morali, sociali culturali e politiche e soprattutto accettare passivamente e supinamente la sostituzione etnica che gli stanno imponendo senza accennare la minima reazione,ma solo pensando nell'ottica del "particulare" di guicciardiniana memoria ognuno a salvare la propria pelle.
La desolazione culturale, politica e il completo disinteresse che la classe politica italiana (nella quasi sua completa interezza) manifesta nei confronti del proprio paese, non nasce dalla classe politica.
Chi accusa la classe politica fa come l'asino che dà di cornuto al bue.
Non vede e non capisce che la classe politica nasce da un humus, che è quello rappresentato dal corpus sociale, ovvero ciò che viene chiamato "il popolo". La classe politica non altro rispecchia che lo stesso livello da cui proviene. Stop. Non ci sono altre versioni o attenuazioni.
Questo è il problema. L'Italia è un popolo malato: malato della cultura dell' egoismo, di ricerca del proprio tornaconto personale, del male di coltivare e pensare unicamente al proprio orticello, di cui il Guicciardini fu grande teorizzatore. Un popolo che ha avuto la fortuna di nascere in un posto bellissimo, dove si trova la maggior parte dei tesori architettonici ed artistici del mondo, dove il clima è di livello eccezionale (si deve vivere in un paese dove non si vede mai il sole per capire come sia importante godere della luce del sole ogni giorno), dove il cibo e la moda sono, grazie a una cultura secolare tramandatasi, di alta qualità e raffinatezza come non lo è nella stragrande maggioranza dei paesi del mondo.
Ma siccome questo gli italiani lo hanno da sempre avuto non vi hanno mai dato il valore che meriterebbe. Ne è derivato un popolo viziato, accidioso, ricco fino all'eccesso senza rendersene conto. Pur non essendo una nazione indipendente, ma una colonia, ha tuttavia avuto la fortuna di essere locata al centro del mediterraneo e chi la comandava dopo la seconda guerra mondiale (e non era la Democrazia Cristiana) ha fatto crescere la sua economia a livello mondiale (e gli italiani provinciali ed incapaci hanno pensato che fosse merito loro) perché allora si aveva bisogno di un' Italia forte, negli anni della Guerra Fredda.Ma dopo la caduta dell'Unione sovietica chi l'aveva fatta diventare la IV potenza mondiale, a partire dal '92, ha provveduto anche a distruggerla, l'Italia.
Pasolini ipse, che pure aveva cercato di distinguere fra il popolo e la borghesia, e aveva santificato il proletario delle borgate e la civiltà contadina, i loro corpi, i loro sessi, le loro carie, la loro bruttura, le loro deformazioni, i loro peccati e crimini, in nome di valori che aveva cercato di individuare attraverso la sua opera poetica e cinematografica, e letteraria, nel 1975 con "L'abiura della trilogia della vita" ( QUI ) si rese conto di essersi completamente sbagliato, ed espresse un giudizio severo, totale, assoluto nei confronti del mondo che lui aveva amato: il popolo delle borgate romane, che aveva elevato a simbolo del sottoproletariato italiano e mondiale e lo aveva santificato.
"Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto diventare ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente: quindi anche il loro modo di essere di allora è, dal presente, svalutato. I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano – che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli, e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo – se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano: erano quindi degli imbecilli costretti a essere adorabili, degli squallidi criminali costretti a essere dei simpatici malandrini, dei vili inetti costretti a essere santamente innocenti, ecc. ecc. Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine"
Alla fine anche Pasolini si rese conto di che materiale era fatto quel popolo che lui aveva sacralizzato, benedetto. Era fatto dello stesso materiale di cui era fatta l'altra parte che lui aveva detestato: la borghesia.
Ma già in un'intervista del 1967 aveva compreso che male arnese fosse il popolo italiano: “Sono appena tornato dal Marocco, dove ho girato il mio ultimo film, e al ritorno sono stato tentato di mollare tutto, abbandonare il film, abbandonare la mia vita precedente e tornare a vivere in Marocco. E non perché amo il Marocco, ma perché il mio arrivo in Italia è stato così terribile, così sconvolgente, insopportabile. Non c’è segno di speranza, nessuna luce, niente. Era come arrivare in un manicomio di veri matti; cioè, calmi pazzi. Ho passato dieci giorni di terrore; era come se non potessi più vivere in Italia. Per quei dieci giorni ho pensato di lasciare l’Italia. E la cosa peggiore è che gli italiani non si accorgono di nulla.”
Seeing Luchino Visconti's "Gruppo di famiglia in un interno" many years later

Lately, I had the opportunity to watch again Luchino Visconti's movie "Gruppo di famiglia in un interno" which I had seen many years ago. Upon re-watching the movie, I found it to be still relevant and interesting, especially for individuals who enjoy thought-provoking cinema. The movie has a modern structure and well-crafted dialogues, making it a timeless classic. However, the use of obscene language in the movie is dated and not as impactful as in our contemporary times. The theme of "scandal", the central theme of the movie, revolving around the character of Konrad (played by Helmut Berger), a gigolo and a double agent who is both a criminal and an informer, is also somewhat dated. I believe that the level of evil and crime in today's world was not even imaginable during Visconti's time.
The movie features great performances by Silvana Mangano and Burt Lancaster (stratospheric), with the young (at that time) Claudia Marsani and Stefano Patrizi also delivering good performances. It was surprising to see an accomplished actor like Romolo Valli relegated to a small and insignificant role in the movie.
I would definitely recommend this movie to anyone who enjoys sophisticated and intelligent movies.
HERE is the link to the movie (YouTube)