Alessio Brugnoli's Blog, page 188
July 29, 2017
Il Colpo di Zurigo
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27 settembre 1915, ore 8 e 10 minuti: nel porto di Brindisi, all’improvviso esplode la santabarbara della corazzata Benedetto Brin, orgoglio della Marina Italiana. La nave affonda e nella tragedia muoiono 21 ufficiali e 433 i sottufficiali e i marinai, tra i quali l’ammiraglio Rubin de Cervin comandante della 3ª Divisione Navale della 2ª Squadra e il comandante della nave Fara Forni.
Benchè dopo un secolo è ormai acclarato come si tratti di una disgrazia, dovuto a un errore umano nella manutenzione delle cariche esplosive, all’epoca si pensa subito a un sabotaggo austriaco.
Sospetto che si rafforza il 2 agosto 1916 quando le fiamme distruggono nel porto di Tarantoun’altra corazzata, la Leonardo da Vinci, uccidendo 270 tra marinai e ufficiali e che diviene certezza, a seguito di una serie di inspiegabili tragedie: l’incendio al porto di Genova, il piroscafo Etruria saltato in aria a Livorno, l’hangar dei dirigibili in fiamme ad Ancona. E ancora: la distruzione della fabbrica di esplosivi a Cengio nel Savonese e del treno carico di munizioni a La Spezia e danneggiamento della centrale idroelettrica di Terni.
In Italia c’è una rete di spie, al soldo di Cecco Beppe, pronte a tradire la Patria, così ritiene l’opinione pubblica. Caso strano, per una volta i complottisti hanno ragione: queste paure sono confermate, quando i carabinieri arrestano un sabotatore che sta piazzando un esplosivo sotto la diga delle Marmore.
È un italiano, ha tradito per denaro, come confermerà una secondo attentatore fermato in tempo presso le centrali elettriche del Chiamonte e del Sempione. I due forniscono anche il «preziario»: 300000 lire per distruggere un sommergibile, 500000 un incrociatore, un milione una corazzata, cifre enormi per l’epoca, equivalenti a svariati milioni di euro.
Ma soprattutto, indicano nel consolato austriaco, a Zurigo la base operativa degli agenti segreti e nel diplomatico, il capitano di corvetta Rudolph Mayer, il loro capo. Urge intervenire, per bloccare questi sabotaggi.
Così, il governo affida al al capitano di corvetta Pompeo Aloisi, 42 anni, il compito di istruggere la rete di spie. E Pompeo lo fa con un’azione da romanzo, che farebbe impallidire James Bond e in altre paesi sarebbe celebrata da decine di film.
Per prima cosa, mette sotto stretta sorveglianza l’edificio, matura il piano per penetrare nell’edificio e arruola una squadra di specialisti.
Il primo, l’avvocato livornese Livio Brin, rifugiato a Zurigo, che offre appoggio logistico. Poi un agente segreto austriaco, il cui nome non sarà mai rivelato, che spiegherà dove trovare la cassaforte e fornirà i calchi per aprire le varie porte e che nel romanzo che sto scrivendo sarà il mio protagonista Enzo Camisasca.
Quindi uno specialista nel fare i doppioni, l’abilissimo fabbro Remigio Bronzin, un profugo triestino, irredentista. Poi due ingegneri triestini, Salvatore Bonnes e Ugo Cappelletti, e il marinaio Stenos Tanzini, di Lodi, a cui vien affidato il compito di guidare il commando.
Manca lo scassinatore, individuato in Natale Papini, anarchico, novello Robin Hood, che rapina le banche per finanziare la rivoluzione proletaria. Lo rintracciano in carcere a Livorno, dove era finito per avere svaligiato una banca di Viareggio. Gli fanno decidere tra recarsi a Zurigo e, in caso di successo del colpo, venire liberato e profumatamente ricompensato, oppure finire subito in prima linea. Scelta molto facile.
Aloisi decide di agire il 22 febbraio in pieno carnevale, la confusione può rendere più facile l’azione. Tanzini, Papini,Bronzin e Bini scivolano nelle strade piene di gente in festa,entrano nell’edificio, aprono 16 porte una dopo l’altra. Ma quando sembra fatta, ecco una diciassettesima, inattesa: l’agente doppiogiochista l’aveva sempre vista aperta e non pensava fosse stata chiusa.
La spia austriaca, però, non si perde d’animo e si procura anche quel calco, Bronzin fabbrica la chiave a tempo di record e il 24 il gruppo è pronto per il nuovo tentativo. Questa volta non sembra esserci ostacoli, i due guardiani sono assenti, il cane di guardia addormentato con il cloroformio e le porte si aprono una dopo l’altra.
Non resta che attaccare la cassaforte con la fiamma ossidrica, ma un ultimo imprevisto per poco non fa strage del commando: dal buco aperto nella parete d’acciaio esce un gas venefico. Se ne accorge Natale Papini che da ordine di aprire le finestre e di ripararsi la bocca con stracci bagnati.
Dopo quattro ore il forziere cede e rivela i suoi tesori: l’intera rete di spie e le operazioni in corso. Ma anche una grossa somma di denaro, 650 sterline d’oro e 875 mila franchi svizzeri, gioielli e una preziosa collezione di francobolli. Con il bottino vengono riempite tre valigie che Tanzini e Papini portano in stazione, mentre Bronzin si reca al consolato italiano ad avvisare Cappelletti e Bonnes che tutto è andato bene.
Poi Bonnes e Bronzin raggiungono Tanzini e Papini alla stazione e partono insieme per Berna, dove consegnano il materiale ad Aloisi. Il tempo di esaminare i documenti, poi in Italia polizia e carabinieri iniziano ad arrestare i sabotatori. In breve l’intera rete di spie austriache viene smantellata, facendo prendere alla guerra una piega in favore dell’Italia. «Meglio di una vittoria in battaglia» sarà il commento degli altri gradi delle nostre Forze Armate.
Pare però, che parecchie Case del Popolo, in Toscana, nei mesi successivi, siano state ristrutturate da un misterioso benefattore, con un donazioni in franchi svizzeri…
P.S. Negli ultimi anni, essendo stato appurato come gli affondamenti della Brin e della Da Vinci siano stati disgrazie, di fatto l’Evidenzbureau, il servizio segreto austroungarico che pagò profumatamente tali azioni, fu oggetto di un’italica truffa…
Mentre, tale azioni permise di dimostrare la responsabilità austriaca in merito alla deflagrazione del Black Tom, il maggiore deposito di esplosivi degli Stati Uniti, all’epoca neutrali, avvenuta nel New Jersey il 30 luglio 1916. Detonarono 2.000 tonnellate di esplosivo, ossia un sesto della bomba atomica di Hiroshima , e la stessa Statua della Libertà, dall’altra parte della baia di New York venne danneggiata … Una sorta di Undici Settembre, su cui è caduto l’oblio..
Esquilino, miniera inesauribile di tesori archeologici
Dal sito de “Il Tempo”
Santa Croce in Gerusalemme, ecco le Domus di Elena fra nuove scoperte e guide seralidi Fernando M. Magliaro
Il sottosuolo di Roma continua a regalare piccoli gioielli di un lontano passato mai così vivo: fra l’Esquilino e San Giovanni emergono nuove stanze di antiche domus dell’epoca dell’imperatore Costantino (quello del cristianesimo come religione ammessa nell’intero Impero) che sono state restaurate dopo un anno di lavori e che saranno presentate al pubblico con una serie di aperture speciali che dall’8 luglio si protrarranno fino al 1 settembre. Si tratta delle ville dei notabili della corte di Elena, la madre di Costantino, che nella zona dove oggi sorge la basilica di Santa Croce in Gerusalemme aveva stabilito la sua residenza, il Sessorium.
Scarse le informazioni biografiche su Elena: ignote sono le date di nascita (presumibilmente la metà del III secolo) e di morte (fra il 328…
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July 28, 2017
La Cappella Bessarione
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Anni fa, Silvia Ronchey, riprese e ampliò un’interpretazione del dipinto di Piero della Francesca la Flagellazione di Cristo, inizialmente formulata nel 1950 da Kenneth Clark, che legava l’opera al tentativo , capeggiato dal Vaticano, di salvare Costantinopoli dai turchi e contenere la loro espansione nei Balcani.
Ora se alcuni dettagli della sua interpretazione possono essere controversi, sono convinto che nelle linee generali, sia fondata.
Per prima cosa, nella rappresentazione della flagellazione vera e propria, il capo dei carnefici è vestito alla turchesca, a rappresentare il sultano, che è scalzo, in attesa di indossare i sandali purpurei del basileus.
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I lineamenti di Ponzio Pilato riprendono il ritratto che Pisanello fece del basileus Giovanni VIII Paleologo, che con la sua indecisione, permette che gli infedeli torturino uno delle città simbolo della Cristianità, Costantinopoli, richiamata dalla statuetta in bronzo dorato in cima alla colonna su cui è legato Cristo, che rappresenta il dio Heliòs.
Questo perché nel foro della Seconda Roma, vi è stato, sino al Seicento, una colonna con una statua di Costantino sotto forma di dio Heliòs, tra l’altro citata nel romanzo L’albero dei Giannizzeri.
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A titolo di curiosità, una delle prima rappresentazioni di tale colonna, intesa come però come simbolo del paganesimo, è all’Esquilino, dipinta da Masolino nella Cappella di Santa Caterina a San Clemente.
Ora, data la presenza di Giovanni Paleologo, è probabile il sultano rappresentato sia Murad II, che la flagellazione faccia riferimento al suo tentativo del 1422 di conquistare éCostantinopoli e Tessalonica e che i personaggio in primo piano si siano riuniti affinché tale evento non si ripeta.
E la questione fondamentale, su cui divergono i vari studiosi, è su chi siano questi tre personaggi: di uno, però, l’identità può essere affermata quasi con certezza. L’uomo con la barba, a sinistra, è forse il Cardinal Bessarione.
Un indizio è proprio nella sua cappella funebre a Santi Apostoli, basilica che all’epoca fungeva da sede del Patriarcato latino di Costantinopoli, che raccontato in altro post, replicava in a grandi linee l’impianto decorativo di quella di San Pietro in Vincula e San Michele a Santa Maria Maggiore.
Cappella, quella del Cardinal Bessarione, dedicata alla Madonna, ai Santi Michele, Giovanni Battista ed Eugenia fu affrescata da Antoniazzo, con l’aiuto del suo socio Melozzo da Forlì e di Lorenzo da Viterbo, dal 1464 al 1468.
Associazione tra artisti che può sembrare strana, ma che era assai comune nella Roma del Quattrocento, le cui botteghe, a differenza di quelle fiorentine, erano di dimensioni assai ridotte: per cui quando arrivano commesse di ampie dimensioni, da realizzare anche in tempi ristretti, bisognava in qualche modo organizzarsi.
Cappella dipinta in anni difficili per il Bessarione: con la morte di Pio II e di Tommaso Paleologo, con il fallimento della spedizione di Sigismondo Malatesta in Morea ed il sostanziale disinteresse di Paolo II alla questione orientale, costringono il cardinale a cercare nuove soluzioni per realizzare il suo sogno di ripristinare il dominio dei Paleologhi.
In quegli anni probabilmente rafforza il suo legame di amicizia con il cardinale Guillaume d’Estouteville, il ricchissimo rivale di Pio II nel conclave che portò alla sua elezione, che intendeva la lotta contro i turchi sia in chiave escatologica, la sconfitta dell’Anticristo per prepararsi al Giudizio Universale, sia come possibile tentativo di riprendere l’espansionismo francese nel Vicino Oriente.
La cappella è quindi un’omaggio a Eustouteville, richiamando la sua cappella a Santa Maria Maggiore, sia una sintesi del pensiero politico del Bessarione: pensiamo ai santi titolari, Giovanni, omaggio al suo primo , l’imperatore Giovanni VIII Paleologo, Michele, l’angelo guerriero e demiurgo che guida l’uomo verso la salvezza, invocato da sempre come protettore contro il male e specificatamente nella lotta contro i Turchi, ed Eugenia, protettrice di Eugenio IV, il Papa che lo nominò cardinale.
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Dalle descrizione antiche appare come la decorazione della cappella comprendesse dal basso verso l’alto le storie del Battista, perdute e che forse citavano gli affreschi distrutti di Pisanello a San Giovanni, due storie, conservate, dell’arcangelo Michele e la rappresentazione del Cristo trionfante circondato dalle nove schiere angeliche, in piena tradizione bizantina.
Particolare importanza hanno proprio le storie di Michele, che si ricollegano a quelle di Santa Maria Maggiore, rappresentazione della svolta politica del Bessarione.
A sinistra, è l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro presso la città di Siponto nel Gargano; a destra, il sogno di S. Auberto a Mont Saint Michel nel golfo di Saint Malo in Bretagna, sede di un altro importante santuario dedicato al Santo, di cui il cardinale Guillaume d’Estouteville era stato il abate e di cui aveva pagato i lavori di ristrutturazione.
In particolare in questo affresco, appare san Auberto, vescovo di Avranches, rappresentato benedicente in sontuosi paramenti sacri al centro di una processione di dignitari. Attendono la processione, raffigurati in primo piano , due prelati a capo scoperto e di spalle, vestiti con piviali d’oro arabescati e sullo destra, due gruppi salmodianti di sei frati francescani e cinque monaci basiliani orientali in abito nero.
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San Auberto è in realtà il ritratto di Luigi XI, re di Francia, che secondo le intenzioni di Bessarione e di Guillaume d’Estouteville avrebbe dovuto campeggiare la crociata.
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Tra i partecipanti alla processione si riconoscono Francesco Maria Della Rovere, futuro Sisto IV, identificato nella figura alle spalle del santo vescovo, vestita di rosso porpora ed il ritratto del nipote dello stesso, Giuliano Della Rovere, futuro Giulio II, in abiti viola.
Francesco Maria della Rovere, infatti era appena stato nominato ministro generale dei francescani ed impegnato in prima linea nella raccolta dei fondi per la liberazione di Costantinopoli. La figura con le mani giunte ed il copricapo rosso, che guarda gli spettatori, sarebbe l’autoritratto dello stesso Antoniazzo Romano, mentre quella in abito verde con un cero in mano, è il ritratto del suo socio Melozzo da Forlì. E nel seguito di San Auberto, uno dei partecipanti ha i lineamenti simili a quelli che Mino da Fiesole rappresentanel Ritratto del cardinale Guillaume d’Estoville.
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Ma la cosa più interessante è che uno dei monaci basiliani ordine religioso a cui apparteneva Bessarione, impegnato nella lettura, ha notevoli somiglianze con la figura della Flagellazione che la Ronchey identifica con il cardinale stesso.
July 27, 2017
The games that build playgrounds out of impossible physics
Games that ask you to piece together alien physics are a great way for people to grasp the head-twisting concept of higher dimensions
Sorgente: The games that build playgrounds out of impossible physics
E’ inutile prendersela con gli analfabeti funzionali
Analfabeta funzionale, che termine curioso, proprio come webete (coniato – pare – dal giornalista Enrico Mentana). Una volta, prima dell’avvento dei social e persino di internet, al mio paesello quelli così erano chiamati volgarmente e semplicisticamente scemi, con varianti lessicali dipendenti dagli strati sociali oppure dalla qualità della conversazione quali idioti, fessi, imbecilli, stupidi, stolti (questo è il termine che usavo quando parlavo con persone acculturate), cretini, per poi arrivare ai localismi quali mammallucchi, pampasciuni, cugghiuni, fave o grulli (usato nella mia permanenza in terra toscana). Oggi però imperversa una moda linguisticamente fatale, che s’insinua – attraverso il web – nei nostri linguaggi e, piano piano, senza farsi accorgere, ne modifica i lemmi, pur nell’immutabilità dei significati.
Ecco che, per esempio, lo storytelling non è altro che il racconto di storie, il selfie è l’autoscatto, lo stepchild adoption è l’adozione…
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Caccia al tesoro all’Esquilino ?
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Il prossimo ottobre alla GNAM, si terrà una mostra dedicata all’artista Konrad Mägi, il papà della pittura estone, artista visionario, i cui quadri sono delle esplosioni di colore.
Konrad, proprio per il suo talento, divenne un simbolo del nazionalismo estone e questo fu l’origine della sua sfortuna: nella Seconda Guerra Mondiale, prima i nazisti, poi i sovietici, considerando la sua arte degenerata, ordinarono la rimozione di ogni sua opera dai musei, la damnatio memoriae e la denigrazione della sua persona e delle sue opere, grazie a critici e artisti al soldo del regime, che si impegnarono a fondo nell’arte della calunnia.
In ogni caso, sino alla seconda metà degli anni ’50, l’esposizione pubblica e ogni approfondimento sull’arte di Konrad Mägi erano proibite. La messa al bando si stemperò alla fine degli anni ’50 e solo nel 1978, in occasione del Centenario della nascita dell’artista, venne completamente riabilitato.
Vabbè, direbbe Li er Barista, con tutta la solidarietà a questo tizio, che ci ricorda i danni che può combinare il Potere quando odia il Bello, ma a noi esquilini che ce frega ?
Il fatto che è sappiamo che Konrad, nella sua vita, ha dipinto circa 400 opere: nel suo catalogo ne sono presenti, però solo 200.
Il buon Li potrebbe ribattere con un
Me spiace, ma saranno in qualche soffitta de Tallin, mica ne lo sgabuzzino der bar mio...
Invece, non è proprio così… Tra il 1921 e il 1922, Mägi venne in Italia, per brevi ma artisticamente intensi soggiorni a Roma, Venezia e Capri. Luoghi da cui lui, uomo del Baltico, che essendo vissuto a Riga, posso testimoniare che non è bel posto in cui vivere, con il freddo e l’umidità che ti si porta via, venne affascinato.
La luce, la vitalità, il fascino dell’arte italiana sembravano avere la meglio sulla depressione esistenziale che corrode l’animo, tanto complesso e affascinante, degli abitanti di quelle terre. Mägi aveva raggiunto una serenità che si rifletteva nella sua pittura, per cui, si mise a dipingere come un dannato.
Si sospetta quindi che parte delle opere perdute siano in Italia: per cui, L’Ambasciata della Repubblica d’Estonia a Roma, per conto del Museo Estone d’Arte di Tallinn, ha lanciato un appello per provare a rintracciarle, dato che da quelle parti sono convinti che in qualche casa privata ci siano ancora suoi dipinti, magari ignorati e trascurati.
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Ora benché le testimonianze scritte, come le cartoline spedite a casa, danno l’indicazione che il buon Konrad abbia dimorato dalle parti di Prati, alcuni poligrafi estoni, basandosi su delle sue foto, che rappresentano il Mercato di Piazza Vittorio, l’Arco di San Vito e Sant’Eusebio, sospettano che abbia frequentato anche l’Esquilino…
Per cui, nell’ipotesi, che io reputo assai remota, che vi troviate per casa un Mägi, potetesegnalarne la presenza all’Ambasciata Estone a Roma, inviando anche una immagine sull’email embassy.rome@mfa.ee (tel. 06 844 075 10). Gli esperti del Museo di Tallinn studieranno l’immagine e la eventuale documentazione e, se ne riconosceranno la paternità al maestro, provvederanno, se necessario, ad assicurarne la conservazione.
Ora, dato che non credo siano previsti premi in denaro, dubito che Li er Barista e Cugino Tong si dedichino a questa caccia al tesoro… Però se ve li ritrovaste davanti l’uscio, con la scusa di volervi aiutare a a sistemare sgabuzzino, soffitta o cantina, potreste anche accoglierli con una bella bastonata in capo…
July 26, 2017
Diversità Elemento di Vita
Diversità Elemento di Vita: è il titolo che Mauro Sgarbi ha dato alla sua opera nel Nuovo Mercato Esquilino. Una presa d’atto di come l’identità del nostro rione non nasca dall’esclusione, dall’alzare barriere, ma da dialogo tra mondi, differenti solo in superficie.
Perchè un pesce può essere un’orata, per cui tanto l’Imam ha rotto le scatole, o un colorato abitante della barriera corallina, ma in fondo, sempre un pesce è, con le sue pinne, le squame e le branchie.
Così tutti noi, al di là delle nostre paturnie, bislacche abitudini e ancora più strane credenze, siamo umani, con la nostra follia e dignità. E come diceva Pascal
L’uomo non è che una canna, la più debole della natura ; ma è una canna pensante. Non c’è bisogno che tutto l’universo s’armi per schiacciarlo: un vapore, una goccia d’acqua basta ad ucciderlo. Ma anche se l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe ancora più nobile di chi lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità su di lui; l’universo invece non ne sa niente. Tutta la nostra dignità consiste dunque nel pensiero. E’ con questo che dobbiamo nobilitarci e non già con lo spazio e il tempo che potremmo riempire. Studiamoci dunque di pensare bene: questo è il principio della morale.
E il pensare bene, non significa rinchiudersi in eremo, per inseguire astratte elucubrazioni, ma si realizza nell’azione concreta, nel conoscere e riconoscere l’Altro, non come diverso, ma come parte della propria e fonte di crescita interiore.
Ciò che ha fanno fatto ieri Le Danze di Piazza Vittorio, accogliendo, confrontandosi e imparando dal gruppo Tierra Argentina, portavoce della musica e delle danze del loro paese.
Poi, come tradizione, a ballare e suonare davanti al Gatsby… Sempre parlando del murale, c’è sempre qualche solone che dice
“Non è arte, è illustrazione !”
Il che fa pensare, dopo anni e anni di Lowbrow, che sia ancora una concezione settaria dell’Arte, interpretata come una specie di condanna a cui deve sottoporsi l’intellettuale e l’uomo comune non può comprendere.
L’Arte è Gioco, irruzione della Bellezza nella Vita, intuizione assoluta, perché semplice e comprensibile a tutti… E così, nella Danza e nella Musica, noi ne celebriamo la sua forza anarchica, che sfugge a ogni prigione e costrizione del Potere e la sua universalità, il suo essere comune a ogni uomo.
Prima Edizione del Concorso Letterario di Racconti Brevi “Storie Esquiline”
STORIE ESQUILINE
CONCORSO LETTERARIO DI RACCONTI BREVI
1) Organizzatore: Orientalia Editrice, con sede presso Pagina 2, Via Cairoli, 63 – 00185 Roma;
2) Titolo del concorso: STORIE ESQUILINE – Raccolta di racconti brevi ambientati nello storico rione al centro di Roma.
3) Finalità: Raccontare una storia ambientata all’Esquilino, dove il rione sia presente con i suoi luoghi, le sue vie, i suoi abitanti, i suoi negozi, la sua bellezza e le sue problematicità.
4) Scadenza: 31 dicembre 2017.
5) Chi può partecipare: Il concorso è aperto a tutti i maggiori di anni 13 (compiuti entro il 31 dicembre 2017). La partecipazione al concorso è gratuita ed implica l’accettazione del presente regolamento.
6) Modalità di partecipazione: Ogni partecipante dovrà inviare – in un’unica email – un unico elaborato inedito, unitamente ai suoi dati personali (nome, cognome, recapito telefonico e indirizzo di posta elettronica)…
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July 25, 2017
Nuova serata con Le Danze di Piazza Vittorio
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Gli ambasciatori di Hans Holbein il Giovane, esposto alla National Gallery di Londra, fu dipinto nella primavera del 1533 per Jean de Dinterville, plenipotenziario del re di Francia Francesco I presso Enrico VIII Tudor, rappresentato accanto al suo amico e spia vaticana Georges de Selve.
Nel quadro sono implicitamente raffigurate tramite metafore legate agli oggetti dipinti alcune questioni legate alle missioni diplomatiche di Jean. Il liuto in primo piano, fuori del suo astuccio, gettato con trascuratezza sotto il tavolo, con una corda spezzata, è un simbolo facilmente riconoscibile di discordia.
Dietro la sua impugnatura, un libro di inni luterani. Ciò precisa come tale discordia sia quella presente tra chiesa cattolica e chiesa luterana, o meglio tra il papa e Anna Bolena, simpatizzante di Martin Lutero. Sotto l’innario, accanto al liuto, giace un gruppo di flauti, pronti a ricostituire l’armonia perduta, simboli del tentativo di mediazione. A sinistra, sullo stesso scaffale, un globo terrestre, la cui rappresentazione scrupolosa permette di identificarlo come quello del geografo Behaim, commissionato dai mercanti di Norimberga nel tentativo di aprire nuove rotte commerciali che dominava il commercio delle spezie, e un libro contabile tedesco di Peter Apian, tenuto aperto da una squadra.
I segni sul mappamondo proseguono il tema della discordia. Il globo è rovesciato rispetto a chi lo guarda, cosicchè i nomi appaiono sottosopra. Vi sono però delle eccezioni. Tutti i nomi in territorio europeo sono leggibili e rispetto all’originale sono stati aggiunti altri nomi importanti per la carriera diplomatica di de Dinterville, come ad esempio la sua città natale. Spiccano il Brasile e la linea di demarcazione del trattato delle Tordesillas. Il mappamondo è immagine visibile della lotta contemporanea tra le principali potenze europee per il possesso di territori commercialmente importantissimi. Il libro di aritmetica commerciale ne sottolinea le motivazioni economiche.
Sullo scaffale superiore della tavola, tra Dinterville e de Selve, è posato un globo celeste, una serie di strumenti scientifici e astronomici e un libro chiuso. Anche il globo può essere identificato. Fu realizzato nel 1532 da Schoner, l’uomo la cui opera innovativa nelle scienze applicate al commercio era destinata ad estendere ulteriormente il suo ruolo chiave di promotore della pubblicazione del De Rivolutionibus orbium coelestium, di Copernico. nel 1543. Oggetto che testimonia gli interessi scientifici dell’ambasciatore
Al centro visuale del quadro, fulcro della prospettiva, un insieme di strumenti e di apparecchi per padroneggiare l’osservazione celeste e ottenere una conoscenza esatta del tempo e del luogo. Il quadrante cilindrico è nella posizione dell’equinozio. Lo stesso vale per il globo celeste, nell’equinozio d’autunno, con lo scorpione in ascesa. La futura regina Elisabetta nacque il 7 settembre 1533, poco prima dell’equinozio. Sulla colonna più vicina al globo, Holbein ha dipinto le ombre in modo che la data che si vede sia il venerdì santo, 11 aprile 1533, data in cui fu incoronata Anna Bolena. Il crocefisso d’argento, quasi nascosto, ed il tappeto ottomano ricordano i poteri con cui si doveva fare i conti, Asburgo e Turchi.
Il dipinto di Holbein ha saputo cogliere in che modo l’ambasciatore francese avrebbe voluto essere ricordato dai posteri, ma celebra anche i progressi a cui ancora oggi attribuiamo grande valore. L’artista ha dedicato una cura infinita alle superfici di oggetti desiderabili, di gran valore economico e bellezza, ma anche capolavori di abilità tecnologica. Prestigio e potere sono rappresentati da questo insieme di beni preziosi e dagli abiti e dalla posa di personaggi ritratti, serenamente consapevoli della loro importanza. Eppure come serpenti nell’eden, più o meno nascosti appaiono teschi, ricordando il memento mori e la transitorietà del tutto.
Non c’è nulla di campanilistico in questo dipinto, che rappresenta due aristocratici francesi, eseguito in Inghilterra da un artista tedesco, zeppo di allusioni ai centri commerciali della Germania, dell’Italia e di Istanbul, a sviluppi intellettuali nati a Norimberga, Wittenberg e Londra e a complessi giochi diplomatici. Un immagine dell’Europa che sarà e in cui viviamo oggi: con le sue piccinerie, gli egoismi economici, i suoi contrasti artificiali tra culture e religioni.
Ma che suggerisce anche una possibile soluzione, per superare le barriere: i due uomini poggiano su un pavimento finemente intarsiato che ricalca con precisione analitica quello duecentesco dell’abbazia di Westminster, a Londra, in cui vi è un’iscrizione
spericus archetypum, globus hic monstrat macrocosmum
Che ricorda come l’Arte sia la base dell’Armonia tra Microcosmo e Macrocosmo, il linguaggio universale, in tutte le sue forme, dalla Pittura alla Musica, che permette di superare ogni artificiosa divisione
La strada che seguon Le Danze di Piazza Vittorio, lottando contro ci distrugge il bello e ci rende meno umani…
E questa sera, dalle sette in poi, prima nei Giardini di Piazza Vittorio, poi al Gatsby, ci sarà un nuovo capitolo di questa lunga e aspra battaglia…
July 24, 2017
Le Ninfe di Bracciano
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In questi giorni, si discute tanto della questione Lago Bracciano: ora non sono esperto del tema, ma è innegabile che le sue risorse idriche siano siano sovra utilizzate, a fronte di una ricaduta, su Roma, alquanto limitata. Poi, nel caso specifico dell’Esquilino la carenza d’acqua da ben prima che parlasse di siccità, Li er barista già smadonnava sul tema a gennaio, è assai probabile che tutta la questione sia un comodo alibi per l’Acea, per nascondere la sua incapacità a manutenere in maniera dignitosa le condotte idriche della città, a fronte dei 70 milioni annui di utili medi.
Per, questo sono al fianco alla battaglia che l’artista Moby Dick, aiutato da Giusy, sta combattendo, al fianco dell’amministrazione di Anguillara Sabazia, per difendere il lago: Marco, che appena finirà questa sorta di Idiocracy alla Matriciana che sta diventando la questione del Murale di Mauro Sgarbi, mi piacerebbe coinvolgere in qualche progetto di street art all’Esquilino, ha utilizzato il suo immenso talento visionario, centrato sull’armonia tra Uomo e Natura, per raccontare sui muri la strage che stiamo compiendo, con immensa superficialità, ai danni di uccelli, pesci e animali palustri.
Così, richiamando la pittura di John Everett Millais, ha realizzato sui muri di Anguillara una sorta di elegia preraffaellita
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La prima strofa è dipinta sulle pareti del centro anziani La Stazione, dove la Signora del Lago, circondata da pesci, versa una lacrima, in cui si intravede l’alga locale che sta scomparendo, “isoetes sabatina”, pensando a ciò che si è perduto.
La seconda sui muri dell’edificio Piroga, con la Dama di Shalott, che stanca della sua esistenza, destinata com’è a guardare il mondo solamente attraverso ombre e riflessi, osa sfidare la bellezza
La terza alla Scuola Scalo con due figure di donne verticali con intreccio di pesci che passano loro accanto a spirale, a girale di acanto, in una danza che richiama l’armonia del Creao.
La quarta, sui muri della Scuola di Via Verdi, in cui l’eterno femminino ritorna nel cuore della Grande Madre.
La quinta, a Anguillarese,in cui una donna si specchia nell’acqua, circondata da aironi, cigni e gabbiani, ricordando il dovere che abbiamo di non perdere mai la speranza.
Alessio Brugnoli's Blog

