Alessio Brugnoli's Blog, page 152
April 22, 2018
Presentando Cinarriamo
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Davanti al letto un raggio di luna
C’è brina sulla terra
Alzo la testa verso la splendente luna
Chino il capo pensando alla mia terra lontana
Da ragazzo mi capitò tra le mani una biografia di Li Bai (all’epoca si usava ancora la forma Li Po, usata dal buon Ezra Pound) e rimasi affascinato dalla figura di questo grande poeta taoista, ribelle, ubriacone, nemico delle convenzioni sociali, tanto da rifiutarsi di partecipare agli esami imperiali di ispirazione confuciana che avrebbero potuto garantirgli una posizione nella burocrazia statale dell’epoca, il famoso posto fisso, e da farsi cacciare a pedate dalla corte dall’imperatore dei Tang Xuanzong, trascorrendo la vita in avventurosi vagabondaggi.
Mi affascina tanto la sua fine: Li Bai, dopo aver bevuto abbondantemente, salì in barca per una gita sul Fiume Azzurro. Era una sera di luna piena e l’astro si rifletteva sulla superficie delle onde. Il poeta, completamente ubriaco, credette che la luna fosse finita nel fiume, si sporse dalla barca per afferrarla, cadde in acqua e annegò.
Me lo immagino così, sul barca, pronto ad afferrare il raggio di luna, cantando una delle sue poesie…
Da una brocca di vino, in mezzo ai fiori,
solo, mi verso da bere,
senza un amico accanto.
Levando la coppa, invito la pallida luna.
Ora siamo in due e,
con la mia ombra,
addirittura in tre.
La luna – è vero – non osa bere.
L’ombra, poi, si limita a seguirmi macchinalmente.
Ma, almeno per un poco ho trovato dei compagni:
la luna, l’ombra,
disposti a fare allegria,
per arrivare alla primavera.
Mi metto a cantare,
e la luna tenta in modo maldestro
qualche passo di danza.
Mi metto a ballare,
e l’ombra si agita scompostamente.
Finché sono stato lucido,
direi che ci siam fatti buona compagnia.
Ma poi ho preso una bella sbronza,
e ciascuno se n´è andato per conto suo.
Ormai legati per sempre,
senza passioni,
ci diamo appuntamento, lontano,
sul fiume delle nuvole.
Una scena che prima o poi farò rappresentare in un murale all’Esquilino… Fu una grande sorpresa, quando scoprii come Li Bai fosse in realtà un Han di seconda o terza generazione, essendo forse la sua famiglia di origine turca.
Il che ne aumenta ulteriormente il fascino, rendendolo un ponte tra mondi differenti, capace di reinterpretare e narrare un’altra cultura, in funzione non solo del suo vissuto, ma di una diversa visione del mondo.
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Riscrittura che è alla base del concorso per racconti brevi Cinarriamo, organizzato da Orientalia editrice e da AssoCina, dedicato, scopiazzo senza ritegno,dedicato alle nuove generazioni sino-italiane, nate o cresciute in Italia. L’obiettivo del concorso è quello di dare voce alla narrazione dell’elaborazione identitaria dei sino-italiani nati o cresciuti in Italia attraverso racconti di storie reali o di fantasia. Il concorso è aperto a tutti i sino-italiani nati o cresciuti in Italia che abbiano compiuto 15 anni al
31/12/2017.
La data di consegna sarà il 31 agosto 2018 e i migliori racconti saranno pubblicati in un’antologia…
Concorso che è stato presentato questo pomeriggio da nel Palazzo del Freddo e sia con le parole, sia con il concreto culinario, con un gusto sperimentale di gelato, basato su un dolce tradizionale cinese, elaborato da Andrea Fassi e Sonia Zhou (tra l’altro, se vi fidate del mio gusto onnivoro, molto buono)
Presentazione che è specchio del fascino del nostro Rione, che, con tutti i suoi ormai tradizionali problemi, nasce dalla polifonia di voci e storie differenti, le quali, ogni volta, generano una nuova armonia (comunque, per i brontoloni di professione… Durante la presentazione ho beccato due mie zii che non capitavano nel Rione da tempo immemorabile, che si stupivano di quanto fosse migliorato rispetto agli anni Ottanta)
Per terminare il mio sproloquio, un’altra delle poesia di Li Bai, che mi hanno fatto compagnia nei tanti esili della mia vita..
All’alba lasciai la bianca città del Re con bagliori nelle nuvole,
Il viaggio di diecimila miglia per Jiang Ling, compiuto in un solo giorno,
Su entrambe le sponde le grida dei gibboni è senza pausa,
Mentre la mia leggera barca sfiora migliaia di dirupi.
P.S. mi è appena arrivato un messaggio da Li er barista, intenzionato a partecipare al concorso con un racconto in cui un ultras cinese della Roma si ritrova nella versione esquilina di Grosso Guaio a Chinatown, con l’alter ego letterario del sottoscritto a svolgere il ruolo di Kurt Russell
Trascurando il fatto che non oso immaginare il risultato, è l’occasione, nei prossimi mesi di rifarmi dei preziosi consigli letterari che mi ha sempre propinato specialmente nelle serate buie e tempestose, quando i fulmini lampeggiano, i tuoni rimbombano e la pioggia viene giù in gocce pesanti come piombo.
Consigli del tipo
Mettice du’ marziani, che quelli piacciono sempre
O
April 21, 2018
Il fantastico mondo dei BlockChain
Quello dei bitcoin e delle altre criptovalute è ormai un argomento noto al grande pubblico: un poco meno conosciuta è la tecnolgocia che ne permette tutto questo, il blockchain, che vuoi o non vuoi, ha al punto di vista teorico, una trentina d’anni sul groppone.
La sua realizzazione pratica è di fatto uno degli effetti collaterali dell’avvicinarsi della singolarità tecnologica. Per chi non lo sapesse, ridotto all’osso, il blockchain è un database che, anziché risiedere su un unico server, è strutturato in blocchi distribuiti su diversi nodi di una rete.
Le informazioni che vi sono inserite, invece di risiedere in un unico contenitore, si replicano in tempo reale in tutti i nodi della rete, che ne possono in qualsiasi momento verificarne la validità.
In più, a valle della validazione, le informazioni non possono essere più modificate. Nella blockchain è consentito solo aggiungere informazioni, e non alterare quelle già presenti, il che ne garantisce la massima trasparenza.
Ma come avviene, nel concreto, tutto ciò ? Il primo step, consiste nella definizione di una transazione, con cui due controparti distinte si scambiano informazioni, opportunamente codificate. Il passo successivo, è la trasmissione della transazione alla rete peer to peer su cui è implementato il database distribuito; tutti i nodi di tale rete sono dotati di un’opportuna procedura per verificarne la validità
Quando la rete raggiunge un consenso, la transazione viene aggregate alle altre verificate di recente, creando un blocco, che viene identificato da tre parametri: l’hashing derivato dai dati che contiene, l’impronta digitale del blocco che lo precede e un numero casuale, detto nonce.
A seguito di ciò, alcuni nodi speciali, i famigerati miner, entrano in competizione tra loro per il diritto di aggiungere il nuovo blocco alla blockchain, eseguendo una serie di operazioni matematiche su di esso, in modo da ottenere una soluzione che soddisfi una certa regola stabilita dalla rete.
Il primo nodo che trova questa soluzione, oltre a validare il blocco, ottiene una sorta di premio (nel caso delle criptovalute, ad esempio, un loro gruzzoletto variabile nel tempo… Ad esempio, nel caso dei bitcoin ogni risoluzione di un blocco era premiata con 50 di questi; oggi, il valore del premio è pari a 12.5 bitcoin. Intorno al 2140 il premio si azzererà). Fatto questo, il blocco convalidato è aggiunto al blockchain con un’impronta digitale che contiene anche quelle dei blocchi che la procedono.
Ciò rende il blockchain sempre più sicuro all’aumento del numero di blocchi, perché ogni piccola modifica del contenuto informativo, non altererebbe l’impronta digitale del blocco modificato, ma anche di quelle successivi, permettendo l’immediata identificazione della frode.
Essendo così legata allo scambio di informazioni e alla loro validazione, il blockchain ha una possibile campo di applicazione molto più ampio di quello delle criptovalute
Faccio alcuni esempi di alcune applicazioni già esistenti: nell’ambito delle istituzioni finanziarie, con Ripple sono controllate le transazioni interbancaria, il che ha avuto l’ottimo effetto collaterale di rendere un poco meno creativa la finanza degli istituti di credito teutonici
Negli USA diversi Stati usano meccanismi di blockchain per garantire la validità dei certificati amministrativi e dei documenti legali. Wepower permette l’acquisto e la vendita diretta tra privati di fonti di energia rinnovabili.
Mycelia permette ai musicisti di essere pagati direttamente dai loro fans senza dover rinunciare a una parte consistente delle loro entrate per gli intermediari, come ad esempio iTunes garantendo, al contempo, con la tracciabilità dei metadati associati alle opere creative, il rispetto della proprietà intellettuale… Lo stesso meccanismo, ad esempio, potrebbe essere esteso alle fotografie o ai quadri
La londinese Everledger usa un suo blockchain, come anagrafe distribuito dei diamanti commercializzati nel mercato delle pietre preziose. Una soluzione analoga, per risolvere tutte le diatribe sul diritto di seguito, potrebbe essere utilizzata nel mercato dell’arte, il che faciliterebbe anche l’identificazione delle opere rubate e dei falsi.
Civil, per combattere le fake news, ha invece messo su una piattaforma per il giornalismo inalterabile, senza pubblicità, sostenuto da una rete distribuita di lettori.
Interessanti sono le applicazioni in ambito assicurativo, le cui società hanno tutto da guadagnare nell’avere una base dati di transazioni sicure e decentralizzate, per prevenire le frodi, per gestire al meglio il rischio e avere informazioni certe sui propri clienti, da dare in pasto agli engine Big Data
I blockchain possono facilitare la tracciabilità della filiera agroalimentare, la gestione della produzione e della logistica in ambito manifatturieri o facilitare la comunicazione tra i sensori IoT connessi, oltre a rendere lo scambio di dati più sicuro e veloce.
Più futuribili le applicazioni in altri campi: possono, con sommo scorno dei grillini, costretti finalmente alla trasparenza, rendere verificabile e credibile il voto digitale e tracciabile qualsiasi modifica ai programmi elettorali messi on line.
Un blockchian potrebbe essere utilizzato per certificare con trasparenza e sicurezza transazioni di compravendita immobiliare, permettendoci di mandare in pensione la lobby dei notai. Potrebbe semplificare e automatizzare le procedure di car sharing, eliminando intermediari come Uber (e provocando numerosi coccoloni ai tassisti)
Aumenterebbe la tutela dei dati personali di ogni genere e risma e al contempo, collegando tra loro migliaia di dispositivi personali in una rete P2P e con una blockchain con cui pagare chi mette a disposizione la potenza computazionale, si potrebbero realizzare grid computing decentralizzato.
Analogo modello, potrebbe essere utilizzato dai cloud broker, per permettere ai loro clienti di rivendere a terze parti le VM su public cloud non utilizzate a pieno, per massimizzarne i consumi e al contempo, ribaltare su terzi parte dei canoni dovuti al provider.
Insomma, il limite è solo nella nostra creatività…
April 20, 2018
Il cielo e il mare
E’ sempre un piacere, passeggiare per Ostia: perchè è un viaggio nell’architettura della prima metà del Novecento.
Si va dalle linee austere e severe della chiesa di Regina Pacis al decò vivace ed esuberante del Palazzo del Governatorato o al razionalismo elegante del Palazzo delle Poste di Angiolo Mazzoni, lo stesso architetto che ideò la Stazione Termini.
Mazzoni, coerente o ostinato nella sua adesione al fascismo, a seconda di come la si pensi è stato fin troppo spernacchiato e sottovalutato e le sue opere distrutte o tradite: eppure riescono ancora dopo decenni nell’impresa di coniugare bellezza e funzionalità.
Uno sguardo alla fontana delle Sirene di Martinuzzi,in rame sbalzato, con due sirene a due code che sorreggono sopra il capo due calici d’acqua, dal rivestimento della vasca in mattoni di vetro azzurro di Murano, novità assoluta nell’utilizzo di tale materiale nell’edilizia, per poi giungere a piazza Anco Marzio, con la contrapposizione del Decò dei villini Rosini e il sogno futurista del Palazzo del Pappagallo di Mario Marchi, animato dal contrasto tra le grandi finestre gialle a forma semi ottagonale e i rossi balconi tubolari in ferro.
Due piani più sotto, invece, spiccano imponenti, i verdi balconi in muratura. A forma di triangolo, con la punta che si erge verso l’esterno, i balconi lasciano poi spazio più sotto a pareti con grandi rombi sui cui spuntano finestrelle ottagonali. E a dare un ulteriore tocco di vivacità e colore i vasi rigogliosi di fiori e le tende da sole rigate
O alle prime opere di Luigi Moretti, uno dei più grandi architetti del Novecento Italiano, nato e vissuto all’Esquilino, in via Napoleone III, dove nessuna targa lo ricorda o ai villini, dalla linea pulita ed essenziale, di Adalberto Libera, singolari esempi dell’ espressione razionalista a Roma.
Per poi ammirare il mare dal pontile, pensando che in fondo, non vi è nulla di nuovo sotto il sole. Minucio Felice, l’avvocato ed apologeta cristiano, autore dell’Octavius, un dialogo elegant tra il pagano Cecilio Natale e il cristiano Ottavio Ianuario, un avvocato provinciale, ambientato proprio nel lido di Ostia, così descrive la sua passeggiata sul lungomare, attrezzato in età flavia e lastricato dai Severi
Mentre Ottavio parlava in tal modo, avevamo già attraversata tutta la città ed eravamo giunti alla spiaggia aperta. lvi l’onda dolcemente si infrangeva sull’estremità della sabbia e sembrava la spianasse per farne un luogo di passeggio, e il mare, che è sempre in moto anche quando tacciono i venti, invadeva la terra; ma non già con onde bianche e spumeggianti, bensì lievemente increspantisi ed accavallantisi, che ci riempivan di diletto. Il mare arrivava fino all’orlo stesso della spiaggia a lambire i nostri piedi e ora inviava i flutti a scherzare davanti ai nostri passi, ora ripiegandosi e ritraendosi, riassorbiva le onde entro il proprio seno
E così procedendo a poco a poco tranquillamente, costeggiavamo la dolce curva del lido e alleviavamo il cammino discorrendo. Questi discorsi erano il racconto di Ottavio che parlava della navigazione. Ma quando terminammo un tratto di cammino proporzionale al nostro discorrere, ripercorrendo di nuovo la stessa via la facevamo in senso inverso. E quando giungemmo a quel luogo, dove alcune piccole imbarcazioni tirate a riva giacevano sollevate al di sopra del terriccio da travi di quercia infilate sotto, vediamo dei fanciulli che facevano a gara impegnandosi in lanci di cocci nel mare.
Questo gioco consiste nel raccogliere dalla spiaggia un coccio levigato dallo sbattere delle onde e, dopo averlo afferrato di piatto con le dita, lanciarlo facendolo ruotare, disteso e radente il più possibile sulle onde, in modo che l’oggetto lanciato o sfiori la superficie del mare o nuoti via, mentre scivola con dolce slancio; oppure balzi via, sbuchi, spuntando la cresta dei flutti, mentre si innalza con salti ripetuti. Si riteneva vincitoretra i fanciulli, quello il cui coccio arrivava più lontano e saltava via più volte
In fondo, nulla è cambiato…
April 19, 2018
La moltiplicazione degli enti inutili
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Anni fa, quando mi dedicavo a un altro lavoro, dopo avere vinto una gara per un importante cliente privato, mi toccò seguire la realizzazione del progetto, cosa che mise a dura prova la mia salute mentale; il tutto perché, tra il sottoscritto, che aveva ideato la soluzione, e gli operativi che dovevano implementarla, vi era una complessa e contorta catena trasmissiva, costituita da manager di ogni genere e risma, la cui ignoranza tecnico funzionale andava di pari passo alla roboanza dei loro titoli.
Risultato: riunioni su riunioni, totalmente inutili, scontri senza fine tra uffici e funzioni in teoria differenti, ma che in pratica erano l’uno copia dell’altro, entropia dovuta a errori di comunicazione, ritardi su ritardi.
Alla fine, disperato, presi armi e bagagli, mi trasferii nel loro Data Center, dove mi interfacciai direttamente con le strutture tecniche: in una settimana, facemmo quello che non si era fatto in sei mesi, rispettando la scadenza.
Immagino che parecchi altri abbiano passato esperienze simili: perché, come dice bene David Graeber, l’essenza della società post capitalista è nella moltiplicazione dei ruoli inutili, dai nomi altisonanti, ma che servono a poco o a nulla, non avendo né potere decisionale, né capacità operativa, e che generano una catena di operazioni, di cui, dall’esterno, si fa fatica a vederne l’utilità.
Ruoli, in cui, come direbbe il buon vecchio Karl Marx, domina l’alienazione: le funzioni sono così parcellizzate e svuotate di senso che il lavoratore ha immense difficoltà a capire il suo ruolo nel processo produttivo, sentendolo come qualcosa di estraneo.
Questo perché tale moltiplicazione non riguarda più la struttura, ma la sovrastruttura: come le volute nelle facciate barocche, tutti questi ruoli e funzioni non reggono in piedi un edificio, ma hanno un ruolo decorativo.
Più persone sono associate al controllo e all’esecuzione di una procedura, più la riteniamo importante, autorevole e degna di essere seguita: al contempo, come nel comitatus degli antichi capi barbari, in un’azienda il prestigio di un manager non è legato solo ai suoi risultati o alle sue idea, ma anche al numero di tizi che gli gravitano attorno.
Dal punto di vista marxista, è un paradosso: le aziende, in una società postcapitalista, invece di impiegare le risorse per incrementare il plusvalore, le condannano all’improduttività; né la crisi economica, né l’automazione potranno mai averla vinta sulla vanità umana e delle sua capacità di iconizzare il Potere.
April 18, 2018
L’Emirato di Puglia
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Molti hanno sentito parlare di Balarm la magnifica, ma l’emirato di Ṣiqilliyya non fu l’unico stato islamico dell’Italia medievale: altrettanto affascinante, benché più breve, fu la storia dello stato islamico che nacque nelle terre di Puglia.
Il tutto ebbe origine intorno al 830 d.C. quando un gruppo di 300 soldati musulmani, guidati da un Ṣāḥib, una sorta di capitano di ventura, titolo che il diplomatico e storico veneziano Giovanni Diacono nelle sue cronache trasforma in una sorta di nome proprio Saba saracenorum princeps, si stabilì a Taranto, nella speranza di arricchirsi grazie alle strane e contorte vicende politiche e militari del Sud Italia dell’epoca, diviso tra città indipendenti, principati longobardi e themata bizantini, mettendosi al soldo del
migliore offerente
Dato che il loro scopo non era né la conquista, né il saccheggio, la vita a Taranto cambiò ben poco: la città continuò a governarsi da sé e anzi ne trasse un gran beneficio. I nuovi arrivati portarono una boccata d’ossigeno all’asfittica economia locale e in più, con la loro fama, tennero lontani i petulanti ed esosi esattori fiscali bizantini.
Per circa una quindicina d’anni, i signori della guerra tarantini si districarono alla meno peggio tra intrighi, battaglie senza senso, datori di lavoro tanto infidi quanto ricchi d’oro; le cose cambiarono intorno al 845 quando gli aglabiti, nel tentativo di convincere i riottosi bizantini ad arrendersi in Sicilia e di liberarsi delle teste calde, scaricandoli sugli infedeli, organizzarono una spedizione in Puglia, guidata dal berbero Khalfun.
Al suo arrivo, i tarantini, sospettando che i nuovi arrivati fossere di ben altra pasta rispetto ai loro ospiti, si proclamarono devoti sudditi del capitano di ventura Abū Jaʿfar, il quale per non avere problemi rese omaggio a Khalfun, il quale ovviamente non potè conquistare o saccheggiare territori in teoria già di possesso aglabita
Abū Jaʿfar, tra l’altro a tutto pensava, tranne che a governare Taranto: era infatti impegnato a voltare gabbana ogni due per tre nella guerra civile longobarda che contrapponeva Siconolfo di Salerno a Radelchi di Benevento
Al servizio di quest’ultimo, dato che tardava nei pagamenti, accampando le scuse più fantasiose, Abū Jaʿfar aveva preso armi, soldati e bagagli ed era passato al servizio di Siconolfo, il quale, per pagare il mercenario, fece spogliare di tutte le sue ricchezze la Chiesa della Madonna in Salerno.
Ma tale accordo durò da Natale a Santo Stefano: Siconolfo, che come linguaccia non aveva nulla da invidiare al sottoscritto, prese in giro pesantemente Abū Jaʿfar per la sua altezza. Il musulmano, alquanto suscettibile, se la legò al dito e rotto il patto col salernitano, si accordò nuovamente con Radelchi, invadendo per suo conto le terre salernitane, devastando e uccidendone le popolazioni. Ormai la guerra
tra i due rivali longobardi appariva più una gara ad accaparrarsi ricchezze, che una guerra spesa a contendersi il regno del sud Italia.
Però, giunse per Radelchi il momento di dover saldare l’onorario, ma il longobardo, piuttosto che aprire i cordoni della borsa, decise di uccidere Abū Jaʿfar, il quale, secondo il Chronicon Salernitanum, prima di morire riuscì a sputare in volto al traditore.
Dato che il diavolo fa le pentole e non i coperchi, Radelchi non tenne conto di Abu Maʿshar, cugino e luogotenente di Abū Jaʿfar, che, con le sue truppe, occupò Benevento, tenendola in una sorta di sequestro giudiziario sino a quando l’infido longobardo non avesse pagato il dovuto.
Ma Radelchi non si perse d’animo e cercò di convincere Khalfun, sempre più perplesso delle vicende locali, a marciare a sua volta su Benevento, per cacciare Abu Maʿshar. Secondo la Historia Langobardorum Beneventanorum di Erchemperto, le trattative furono tenute nei pressi di Bari, dal gastaldo locale Pandone.
Khalfun, avendo sostato in un sito posto sotto le mura di Bari, in vicinanza del mare e, vinto dalla bellezza del luogo, era stato preso dal desiderio di impadronirsene, ma le sue truppe erano intimorite dalla possenti mura cittadine. Per cui, il berbero ideò un trucco: le sue truppe penetrano nella città di notte, sfruttando i cunicoli delle fogne ed ebbero presto ragione degli ignari abitanti, sorpresi nel sonno, malgrado le preghiere loro rivolte dal vescovo Giovanni, il quale riuscì solo ad ottenere la promessa che i
baresi potessero continuare a praticare la fede cristiana.
Presa Bari, il problema era cosa farne: Khalfun, da fedele suddito aglabita, voleva donarla al suo emiro, i suoi soldati invece, volevano fondare un nuovo stato: così il berbero fu ucciso in una congiura, nel 853 e fu sostituito da Al Mufarrag ibn Sallam, il capo della fazione indipendentista.
Mufarrag, oltre a intraprendere la costruzione della moschea cittadina, forse sul sito dell’attuale cattedrale , essendo uomo saggio e prudente, il quale si pose subito il problema della investitura ufficiale ed il riconoscimento legale della sua funzione di Wali (“Governatore”) del distretto barese, ampliato frattanto, secondo la testimonianza dello storico arabo al Baladhuri, fino a comprendere ben ventiquattro “castelli”
o borghi fortificati. Non volendo dunque essere considerato un usurpatore (mutaghal-libun), dal punto di vista politico e religioso (di professione hanafita, come i califfi di Baghdad), Muffarag inviò una lettera al Diwan al barid, il “Direttore dell’Ufficio Posta, diplomi e informazioni” del califfo in Egitto, in cui si richiedeva il riconoscimento del nuovo emirato di Bari, l’investitura a governatore legittimo e l’autorizzazione alla pratica della pubblica preghiera del venerdì nella moschea della città.
L’investitura califfale, inoltre, delega di poteri da parte del califfo e quindi dell’intera comunità musulmana, era a titolo ereditario, mentre quella concessa da un visir scadeva con la morte di quest’ultimo che era un delegato del califfo.
Insomma, Mufarrag era venuto per restarci: solo che, in attesa della risposta della complicata burocrazia abbaside, fu fatto fuori da un’altra congiura che colpì l’immaginario barese
La leggenda narra che l’emiro arabo Mufarrag voleva imporre la religione islamica ai baresi, che rifiutarono tale imposizione togliendogli, anzi, la fiducia. Questi, nell’intento di riconquistare il favore popolare, decise di misurarsi con un evento terribile che si verificava la notte del 5 Dicembre, quando si diceva che uscissero per strada”due” befane: una buona, che regalava doni e dolci e l’altra cattiva, chiamata “Pefanì”, che era foriera di morte e tagliava la testa con la falce a chiunque incontrasse sul suo cammino.
Mufarrag, armatosi di corazza e scimitarra, alcuni giorni prima della fatidica notte, scese nei vicoli e nelle corti della città vecchia, avvertendo che avrebbe sfidato “Pefanì” e gridando ai baresi che erano una razza di fifoni. Giunta la notte del 5 Dicembre, Mufarrag scese in strada per affrontare la mortale “Pefanì”, che in effetti incontrò all’improvviso e che, con un rapido colpo di falce, gli troncò di netto la testa. La testa
del turco rotolò per i vicoli e le corti della città vecchia, fino a conficcarsi nell’architrave di via Quercia. Ancora oggi si ritiene che nella zona si aggiri lo spirito inquieto del “Turco”.
A Mufarrag successe Sawdan, definito dai longobardi impissimus latro, pestifer, crudelissimus, nequissimus ac sceleratissimus rex Hismahelitum.
Uomo senza dubbio crudele, ma al contempo tollerante, dall’incredibile astuzia diplomatica e da un immenso amore per il sapere. aveva per consigliere ed amico Aaron ben Samuel ha-Nassi, un ebreo di Baghdad vissuto ad Oria, passato poi a Bari. Si narra che quando Abu Aaron, preso da nostalgia per la sua Baghdad, decise di lasciare la nostra città e il suo emiro, dopo appena sei mesi, imbarcandosi dal porto di Bari (già attivo in quel tempo lontano) su una nave per Alessandria, l’emiro tentò in tutti i modi di dissuaderlo, ricorrendo infine alla forza, facendo inseguire la nave del maestro da una flottiglia veloce di vascelli, che furono impediti di raggiungerla da una forza misteriosa, mentre scompariva all’orizzonte dell’Adriatico.
La sua ambizione era immensa: saccheggiò Capua, Conza e tutte le terre attorno a Napoli accampandosi a breve distanza dalla città campana. Salerno vene costretta a intrattenere rapporti di amicizia con lo stesso, attraverso doni e regalie. La considerazione e l’ospitalità dei salernitani nei confronti dei saraceni baresi fu dimostrata dalla visita di un emissario di Sawdan che venne alloggiato, con tutti gli onori, nel palazzo episcopale dopo aver addirittura allontanato il vescovo.
Lo stesso fa Benevento: Adelchi gli offrì un tributo annuo e una figlia in ostaggio.Dalle fonti storiche principali si desume che tutta la Puglia, eccetto Canosa ed Oria, era praticamente sotto il controllo saraceno. Sawdan si spinge fino alla Calabria le cui terre però non vengono mai attaccate anche perché già sede del protettorato arabo della ribat di Amantra
Bari però non era ancora riconosciuta come emirato, così Sawadan mandò direttamente a Baghdad un suo ambasciatore e, nell’864, finalmente ottiene il titolo di emiro ufficialmente riconosciuto. Ma il Fato cominciò ad essergli avverso
Ludovico II, detto il Giovane, Re di Italia co-Imperatore del Sacro Romano Impero, dopo aver ottenuto la riappacificazione, seppur breve, dei principi longobardi di Salerno e Benevento, nel 867 decise di liberare Bari dagli infedeli, ma senza successo, subendo una gravissima sconfitta. L’imperatore con il suo esercito occupò Venosa ed Oria con lo scopo di tagliar fuori Taranto e Bari e mettere sotto assedio le due città con le sue imponenti macchine da assedio. In realtà i saraceni possedevano praticamente tutto il litorale pugliese e dunque gli arabi avevano accesso via mare e dunque nessun assedio avrebbe potuto far capitolare tali città. Inoltre sia Salerno che Amalfi, seppur fedeli a Ludovico, erano in ottimi rapporti commerciali con il regno saraceno e dunque all’esercito franco mancava anche l’appoggio locale. Unica soluzione per Ludovico fu ricorrere all’odiato aiuto dei bizantini, anche loro interessati a sconfiggere e fiaccare gli arabi. Nell’868 Ludovico convinse l’imperatore di Costantinopoli, Basilio, ad inviare una imponente flotta nell’Adriatico, guidata dal noto ammiraglio Niceta Orifa, con lo scopo di tagliare da mare i rifornimenti alla città. Ben 400 navi apparveo all’orizzonte della città di Bari, unione della flotta bizantina e dei paesi della Dalmazia, anch’essi preoccupati per il dominio arabo in Adriatico
E successe un mezzo disastro: i bizantini, invece dell’esercito franco, trovano il deserto: Ludovico se ne andato a Roma, a litigare con il Papa
L’ammiraglio bizantino, dopo aver saggiato per un po’ le difese saracene, alzò i tacchi. Furioso. Tanti sforzi per niente. E tornò con la flotta a Corinto. Il giudizio bizantino sull’intera vicenda non poté che essere che i franchi «erano buoni solo a perder tempo, in pranzi e feste». E al giudizio seguì, in buona sostanza, la brusca rottura dei contatti diplomatici. Un episodio di follia militare che, d’altra parte, diede la possibilità a Sawdan di trasformare la disfatta in una nuova occasione di reazione. Con un rapido colpo di mano, rubò centinaia di cavalli ai cristiani, per correre a saccheggiare il principale santuario della gens longobarda e uno dei più importanti della Cristianità, San Michele al Gargano.
La guerra riprese poco dopo, con inaudita ferocia, portando alla presa di Bari il 3 febbraio 871. L’emiro Sawdan caddde prigioniero. Non venne ucciso, per avere a suo tempo custodito e rispettato la figlia di Adelchi, ma trascinato in catene a Benevento
Uthman, il governatore di Taranto, però non si arrese; rafforzate le truppe, dopo qualche anno attacco Benevento, ottenendo in cambio della pace la liberazione di Sawdan, il quale, uscendo dalla città e osservando le ruote di un carro, disse
in questa immagine si riassume l’incerta e incostante felicità degli uomini, di come ci gonfiamo di instabile superbia e come possa accadere che, una volta caduti in basso, si possa tornare da una umile condizione ad antiche dignità
Tornato a casa, resa Taranto la capitale del suo emirato, Sawdan tentò di riprendere quanto perduto: devastò le terre intorno a Bari e Canosa, il Beneventano, di nuovo l’alta valle del Volturno, Telese, Alife.
Solo la sua morte portò pace nella Puglia: l’emirato di Taranto, così continuò a vivacchiare per una quarantina d’anni: sotto la guida energica di Basilio I il Macedone, tra l’876 e l’880 fu messa in piedi una ingente flotta comandata dal siriano Nasar e predisposti due eserciti guidati da Procopio e Leone. Il primo risultato ottenuto da questi fu l’occupazione di Taranto nell’880, e la riduzione in schiavitù della sua popolazione arabo-berbera, mentre l’abitato veniva occupato da una guarnigione greca.
Così terminò l’emirato di Puglia…
April 17, 2018
Iside all’Esquilino
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Come scritto tante volte, anche nell’antica Roma l’Esquilino era un rione multietnico, confusionario e ricco di religioni, lingue e culture differenti.
A riprova di questo, in zona vi erano due santuari dedicati ad Iside. Il primo, di cui sono rimasti pochi resti nell’omonima piazza, fu costruito per volontà di Quinto Cecilio Metello Pio, generale di parte sillana, nel I secolo a.C.
Questo santuario si articolava scenograficamente con portici e fontane su una serie di terrazze, collegate da rampe e scalinate, secondo un ben noto modello adottato in età ellenistica in santuari dedicati a divinità salutari, come quello della Fortuna Primigenia a Palestrina.
Dagli scavi, eseguiti a spizzichi e bocconi nei secoli, si suppone come il tutto fosse costruito su tre livelli: il primo, costituito da una ninfeo monumentale, con tre nicchie abbellite con vasche a cascata e con statue a tema egizio, il secondo con una piscina lustrale, a forma di T nilotica, circondata da un triportico e l’ultimo, con il tempio vero e proprio, di forma rettangolare con 12 colonne sui lati corti e 18 su quelli lunghi.
Di tale magnificenza, è rimasto assai poco: la navicella-fontana di S. Maria in Domnica, detta per l’appunto piazza della Navicella, scoperta nel ‘600, o Navigium Isidis, la cui copia orna oggi l’omonima piazza.
Nel 1653 furono scoperte delle bellissime pitture con stucchi e figure egizie, ma poiché il luogo era molto umido non fu possibile staccarle dal muro, a memoria di questo ritrovamento ci sono dei disegni eseguiti da Cassiano dal Pozzo.
Tra il 1886 e il 1887 furono ritrovate una testa di Giove Serapide, una statua d’Iside , una statuetta di Anubi ed altri reperti. Nel 1889 venne alla luce un cippo marmoreo con un’iscrizione che commemora il dono fatto da un liberto e procuratore imperiale con il nome di Mucianus a Iside detta “Lidia” ed “Educatrice”, presso le terme di Traiano, in cui era scritto
Isidi Lydiae educatrici valvas cum Anubi et ara Mucianus
Nel 2007, durante uno scavo in via Labicana fu rinvenuta una testa di fanciulla molto ben conservata,che le caratteristiche formali attribuivano all’età severiana. Il ritratto, in marmo greco di altissima qualità, per i tratti del volto e il tipo di acconciatura fu riconosciuta come Annia Aurelia Faustina, discendente di Marco Aurelio e terza moglie di Eliogabalo, Augusta per pochi mesi verso la fine del 221.
Sempre all’Esquilino, esisteva, nei pressi del Tempio di Minerva Medica, un altro tempio dedicato a Iside, l’Isis patricia, di cui ahimè non sembra essere rimasta alcuna traccia: proprio questa sorta di persistenza della memoria ha forse ispirato un convegno nel rione, dedicato alla dea egizia, in cui si affermano idee, come dire, poco ortodosse.
La prima è come il culto di Iside sia stato presente nell’Urbe sin dalla sua fondazione: purtroppo non esiste nessuna evidenza archeologica di tale tesi e lo dico con dispiacere, perché qualsiasi prova in tal senso ci avrebbe dato indicazioni sul commercio tra Tirreno ed Egitto tra tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro laziale.
Per cui, per datare la diffusione del culto della dea egizia, o meglio, della sua reinterpretazione ellenistica, ben diversa dall’originale, dobbiamo affidarci alla testimonianza degli storici latini. Nel ciceroniano De Divinatione (I, 132) si citano gli Isiacos Coniectores (profeti di Iside) come se fossero già noti ad Ennio e fossero presenti nell’Urbe già nel secolo precedente. Si ha comunque nozione dell’esistenza a Roma, sin dai tempi di Silla (inizi del I sec. a.C.) di un collegio di pastophoroi . Si tratta di sacerdoti di Iside il cui compito era quello di portare in giro per la città una piccola edicola sacra con l’immagine della dea. Si deduce pertanto che dovesse anche esserci in santuario adibito alle riunioni religiose.
Nel 64 a.C. il culto fu proibito e sino ai tempi di Vespasiano, che farà coniare, nel 71 d.C, una moneta su cui sarà riprodotta su un lato l’immagine di Iside-Sothis a cavallo del cane e circondata da sei stelle, il rapporto con le autorità romane alternò tempesta e bonaccia.
Tiberio ad esempio ordinò la demolizione del tempio di Iside e di gettare nel Tevere il simulacro della dea, mentre Claudio, al contrario fu assai tollerante. Con l’arrivo dei Flavi, il culto della dea egizia fu riconosciuto come lecito sino ai decreti decreti teodosiani di fine IV secolo.
La seconda tesi, collega la diffusione del culto di Iside con i miti connessi alla fondazione dell’Urbe: miti che hanno un origine complessa, che fondono, a volte in maniera imperfetta, la visione cosmologica degli antichi abitanti del Lazio, basati sulla contrapposizione tra Natura e Cultura, Ordine e Caos e si riflettono anche nella narrazione dell’origine di altre città, come Palestrina e i più recenti nostoi, i racconti dei
ritorni in patria, con gli antichi greci interpretavano la complessa realtà, geografica e antropologica, del mondo che li circondava.
Miti che sono frutti di una lunga evoluzione: inizialmente attribuiscono la fondazione dell’Urbe a Ulisse o a suo figlio Latino, poi grazie a Stesicoro (VI secolo), nativo di Imera (Sicilia), poi di Ellenico di Mitilene, tale ruolo è attribuito ad Enea, versione che poi è accolta, tramite la mediazione dello storico siciliano di lingua greca Timeo, dai romani.
Miti che però non hanno mai a che fare con Iside, tranne che per una breve parentesi, ai tempi di Caligola, quando l’imperatore, per ricollegarsi alla regalità tolemaica come legittimazione del suo potere, provò a identificare Venere, madre di Enea, con la dea egizia, tentativo limitato e di scarso successo, che è una forzatura generalizzare.
L’ultima tesi, la più difficile da sostenere, è connessa all’identificazione, affermata ad esempio da Fynes, tra Iside e la dea Pattini.
In analogia a quanto accaduto nel Gandhara, dove l’arte classica influenzò la creazione dell’iconografia del Buddha, a Muziris, nell’attuale Kerala, i marinai e i commercianti romani fecero lo stesso per la divinità indù.
A sostegno di questa ipotesi vengono citate le similitudini tra le vicende mitologiche delle due dee, le loro somiglianze iconografiche e peculiarità del tempio Kurumbha-Devi a Kerala, in cui è celebrata Pattini.
Prove a prima vista convincenti, ma che non reggono a una critica serrata: le presunte vicende mitologiche di Pattini, in realtà sono tratte dal poema tamil Silapathikaram e raccontano le tragiche avventure dell’eroina Kannagi, ben diverse, nella loro forma reale, dal mito egizio.
E’ sì avvenuta un’identificazione tra Kannagi e Pattini, ma non nell’induismo, ma nel buddismo singalese, poco prima dell’anno 1000 d.C., in un contesto culturale, in cui Iside c’entra come i cavoli a merenda.
Il tempio Kurumbha-Devi, per quanto eccentrico rispetto alla tradizione locale, è ben diverso dagli isei greco romani e le statue di Pattini, con un notevole volo di fantasia, somigliano più a quelle di Minerva che a quelle della dea egizia.
Ora, senza dubbio l’archeologia è una scienza fallibile e perfettibile, le cui deduzioni possono essere soggette a continua revisione, in funzione delle nuove scoperte compiute sul campo. Per cui, bisognerebbe sempre mantenere una certa apertura mentale, per evitare di fare delle affermazioni categoriche, che rischiano di essere smentite il giorno successivo.
Al contempo, senza avere preclusioni a prescindere, deve sempre valere il principio
affermazioni eccezionali devono essere giustificate da prove eccezionali
che per le tesi precedenti, non sono state prodotte.
Per cui possono essere presentate come stimoli intellettuali, ipotesi minoritarie e discusse, ma non come verità assolute e incontestabili.
Se si fa questo, non si è degli esploratori curiosi del Sapere, ma dei semplici bufalari, l’equivalente storico archeologico degli antivaccinisti e dei sostenitori delle scie chimiche.
April 16, 2018
Il fragile oligopolio del Public Cloud
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A prima vista, il mercato del Public Cloud parrebbe come il candidato ideale per fungere da esempio per il concetto di oligopolio, la forma di mercato in cui ci sono poche imprese con uguale struttura di costo e che producono un bene omogeneo. Le imprese oligopolistiche non sono price-maker, e quindi non possono stabilire il prezzo di mercato, ma sono in grado di influenzarlo con i loro comportamenti.
E con qualche piccolo aggiustamento, potrebbe essere un perfetto esempio del modello elaborato da Sylos-Labini. Di fatto sono presenti:
Un prodotto omogeneo, in termini di servizi offerti al cliente finale;
Aziende con tecnologia, volumi e costi di produzioni differenti, spesso nascosti al cliente (basti pesare a come i costi industriali di AWS , a causa della relativa vetusta del parco macchine, sono più alti della concorrenza, oppure alle differenze tra tra Windows Azure Hypervisor , Google cloud compute engine e il KVM prossimo venturo);
La presenza di un’azienda, AWS, con volumi tali da determinare il prezzo di equilibrio del mercato
Seguendo tale modello e tenendo conto anche del postulato di Sylos-Labini, per cui una nuova impresa entra nel mercato se e solo se il prezzo di equilibrio, di mercato, che si viene a determinare dopo la sua entrata gli consente di realizzare almeno il profitto normale, AWS adotterà un prezzo che sarà remunerativo per sé, per Azure e Google Cloud Platform, ma con un saggio di mark-up non troppo alto, tale da impedire l’ingresso di nuovi concorrenti e raggiungere così un equilibrio stabile.
Per fortuna dei clienti e dei potenziali incumbent, la realtà è assai più complicata, per almeno tre fattori: il primo è legato alla continua diminuzione della barriere d’ingresso in questo mercato. Al naturale décalage dei capex infrastrutturali, conseguenza della legge di Moore, si è aggiunto il crollo dei costi infrastrutturali, con forse l’unica eccezione dell’energia, e gli effetti distruptive delle tecnologie iperconvergenti e del paradigma Software Defined.
Spacca e pesa, mettere su un nuovo Data Center per l’erogazione di servizi cloud costa in media il 70% in meno rispetto a 3 anni fa. Questa tendenza era ben nota agli Over the Top, che spesso, in termini di pure componenti infrastrutturali erano e sono più costosi di tanti cloud provider locali; per compensarla, hanno puntato tutto sulla componente servizi, ma il vantaggio competitivo, data la loro replicabilità, il secondo fattore che sta cambiando il mercato , è ormai nullo.
Basta ad esempio considerare come esempio il Public Cloud di Alibaba, che ha di fatto “clonato” quello di AWS, aumentandone le funzionalità e riducendone drasticamente i prezzi, cosa che, in pochi mesi, gli sta permettendo di raggiungere la quota di mercato di Google Cloud Platform. A breve, con soluzioni differenti, l’exploit potrà essere imitato a breve da Tencent o da Baidu o tra qualche anno, NetMagic.
Ultimo fattore, è la diffusione dei broker Multi Cloud, il cui obiettivo strategico è opposto a quello di AWS: più il mercato si allontana dall’oligopolio, con l’arrivo di nuovi attori, con il moltiplicarsi di offerte e soluzioni, più il loro mercato è ampio e maggiore il possibile margine di guadagno. Per cui, questi, con alleanza, accordi o svolgendo il ruolo di “balie” per gli incumbent, faranno il possibile per incrementare la concorrenza e rompere l’equilibrio
April 15, 2018
Vaisakhi a Piazza Vittorio
Oggi piazza Vittorio è stato un tripudio di volti e di colori, con il Vaisakhi, festa sikh che, dal poco che so io, ammetto la mia ignoranza in materia, dovrebbe essere una sorta di capodanno, in cui si celebra la nascita della loro comunità religiosa e in cui portano in processione il loro libro sacro.
Spettacolo straordinario, con qualche risata legata all’amico che continuava a confondere i presenti con i cattivi di guerre stellari o con Consuelo, portoricana capitata per caso all’Esquilino, che continuava a ripetere
“Only in Rome”
Ovviamente, altrimenti non saremmo all’Esquilino, non è mancato il solito brontolone locale, che a bassa voce, continuava a brontolare un
“Che vonno questi”
Così per sfizio, mi sono divertito a ricordargli come i sikh furono, assieme a tanti altri indiani, come carne da cannone dagli Alleati nella campagna di Liberazione d’Italia dai nazifascisti. E se è libero di sparare i suoi sfondoni, dal vivo e sui social media, lo deve anche a tanti ragazzotti di sedici e diciassette anni, con il turbante in capo, a cui, detto fra noi, poco gliene sarebbe fregato, di farsi prendere a fucilate in contrade ben distanti da casa loro.
I Reggimenti Sikh hanno combattuto contro l’Esercito tedesco e le formazioni italiane della Repubblica sociale a cominciare dal primo assalto alla Linea Gotica (agosto 1944) fino alla battaglia del Senio (aprile 1945), pagando un grande tributo di sangue.
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Per cui, l’evento di oggi, è anche un ricordare quanto gli dobbiamo
Solidarietà per Edicolarte per Aurora
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E’ difficile e complicato dedicarsi alla street art… Lo so bene, visto quello che mi capita all’Esquilino: bisogna confrontarsi con istituzioni spesso distratte, con regolamenti bizantini, burocrazie contorte e tanti piccole invidie e faide locali, fomentate da chi antepone il proprio ego al bene comune.
E qualche volta, l’invidia avvelena tanto il cuore delle persone che queste, invece che a costruire, pensano solo a distruggere il lavoro fatto: così, per difendere il frutto delle proprie fatiche e della propria utopia, bisogna combattere con le unghie e con i denti.
Quando questi sforzi sono inutili, si muore un poco dentro… Per questo, comprendo bene quello che sta provando Togaci in queste ore.
Edicolarte per Aurora, il suo progetto torinese, che mi sarebbe piaciuto replicare all’Esquilino, per dare bellezza a un’edicola abbandonata in mezzo a due mastodontiche fabbriche – le OGM Officine Grandi Motori – che a Torino producevano motori navali, tra la notte del 14 e del 15 aprile è stato vittima di un incendio.
Progetto che nel quartiere multietnico Aurora, che ricorda a modo suoi il nostro rione in un anno ha prodotto 30 interventi artistici, i quali hanno creato una stratificazione corale di opere in un’operazione di arte urbana recensita e apprezzata in tutta Europa.
Ed è tutto andato in fumo: molti si sarebbero ritirati. Ma come diceva il buon Kipling
Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.
Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Allora potrai meritare il titolo di essere umano e sotto molti aspetti, è difficile trovare qualcuno che ne sia degno come Togaci. Per cui non è tempo di piagnucolare, ma di reagire: come ben dice
L’arte non si ferma! Il fuoco di stanotte non ha distrutto l’edicola e nemmeno l’idea corale ma ha prodotto maggiore coesione intorno ad essa. Come per i campi di grano, che a fine stagione vengono bruciati per le nuove semine, così questo fuoco non ha distrutto nulla per noi, anzi diventa spunto per essere più determinati e certi della bontà di questa operazione. Da qui ripartiamo
Così, questo pomeriggio, tanti e tanti artisti, si sono dati appuntamento per ricostruire l’edicola e giovedì 19 aprile alle ore 18 si ritroveranno per ideare un progetto ancora più forte… E lo butto li: sarebbe bello, a Roma, all’Esquilino, organizzare un evento di solidarietà, per quanto successo a Torino….
April 14, 2018
Celebrando il Bene Comune
In questi giorni, all’Esquilino infuria la polemica sul fatto che i frequentatori della moschea di Piazza Cimbra, i vicini di casa di Sant’Eusebio, per capirci, data la sua chiusura per problemi, come dire, statici, non avendo più un tetto sopra le testa, hanno chiesto il permesso di tenere la preghiere del venerdì sui marciapiedi di Piazza Vittorio.
Discussione che ha raggiunto livelli sublimi, quando qualcuno, dopo la diatriba
“Perché le processioni sì e loro no”
se ne è uscito con un
“Loro no, perché Roma è stata fondata dai cristiani, mica dai maomettani”.
Ora, premesso che trovo paradossale e anche ridicolo che chi abbia sollevato la polemica, noto infiocchettatore di alberi per celebrare a modo suo i Saturnalia, critichi uno si inginocchia in direzione della Mecca, ritengo, come Burke, come ognuno sia libero di seguire la sua strada, per finire all’Inferno, senza rompere le scatole a chi percorre un sentiero differente; in più, concepisco la Piazza come uno spazio vivo, in cui si può incontrare, dialogare, danzare, giocare e quando capita, anche pregare, piuttosto che un museo silenzioso e morto.
Per cui, viva le preghiere, le processioni, i raduni steampunk, i balli in piazza e chi più ne ha ne metta… Per questo, nonostante l’emergenza sanitaria a casa Brugnoli, sono stato felice di scendere in piazza, con le Danze di Piazza Vittorio, in una sorta di inaugurazione della stagione all’aprto, per partecipare al Good Deeds Day 2018, non solo l’occasione per riappropriarsi e dare vita a uno spazio urbano spesso abbandonato a se stesso, ma anche per celebrare l’impegno delle tante associazioni di volontariato che ogni giorno sono in prima linea per costruire ponti e spazi di dialogo.
Proprio perché conosco il loro lavoro e le difficoltà che affrontano, mi sono rotto alquanto le scatole di quella marmaglia di leoni da tastiera, pronti sempre a lamentarsi del Rione e a non far nulla per renderlo migliore, rivendico il diritto dovere di sbeffeggiarli e di prenderli a male parole, quando esagerano con i loro malmostosi giudizi qualunquisti
Detto questo, lascio la parola alla musica. Al Circolo Circasso, che è perfetta metafora della musica e danza di fondere mondi differenti: di incerta origine, chi parla della Scozia, chi della Sicilia, chi del Northumberland, qualcuno racconta addirittura come le truppe inglesi sul fronte russo -durante la Guerra Mondiale – ebbero modo di vedere questa danza eseguita dai loro commilitoni canadesi, e la riportarono con sé in patria, divulgandola, però in ogni modo ti da sempre l’occasione di conoscere nuove persone
A Giacomo che esplora le sue radici
Per terminare con la Madonna delle Grazie, lu sunu da ballu, che celebra l’antico legame tra l’Uomo e la Terra
Per quanto possa essere diversa la nostra storia lingua e religione, camminiamo tutti sullo stesso suolo e condividiamo lo stesso cielo… Dobbiamo imparare anche a condividere lo stesso orizzonte
E questo può avvenire, nonostante i brontoloni del Rione, anche tramite l’Arte: un esempio è nell’intervento di Leonella Masella, con cui Le Danze di Piazza Vittorio hanno collaborato in passato, nel Mercato Esquilino
Ora, come Danze non possiamo che applaudirlo, perché, anche se promosso da altri, è un tassello del nostro progetto di rendere il Mercato che, con tutti i suoi problemi, è uno specchio della Roma che verrà, uno dei poli artistici e culturali del Rione, capace di innestare un circolo virtuoso per promuovere la riqualificazione della zona, a torto considerata meno “pregiata” dell’Esquilino, e considerarlo uno stimolo per le nostre iniziative future
Alessio Brugnoli's Blog

