Francesca Matteoni's Blog, page 15
August 23, 2016
Unicorni!
Sono reduce dalla visione di
I believe in unicorns
(2014), un film della californiana Leah Meyerhoff, purtroppo non distribuito in Italia. L'ho scoperto grazie alla serie Stranger Things - mi sono messa a cercare informazioni su Natalia Dyer che interpreta Nancy Wheeler, ed eccola come protagonista di questo piccolo gioiello, il cui poster è stato disegnato da
Julia Pott
, artista che seguo da tempo per i suoi animali antropomorfici, scarabocchiati, onirici.
Il film è incentrato sulla sedicenne Davina, un adolescente che si occupa da sempre della madre affetta da SLA (interpretata dalla madre della regista) e fugge in un mondo magico, alternativo alla realtà, come l'ultimo residuo d'infanzia che si trascina nell'età adulta. Gli unicorni sono il suo potere immaginativo, la fantasia che protegge, la sete di romanticismo degli adolescenti, ma sono anche l'ingenuità infantile che verrà sacrificata per crescere. Davina si innamora di Sterling, un punk bello e dannato, con cui vive un'avventura allontanandosi per alcuni giorni da casa. Entrambi vulnerabili, non è mai del tutto chiaro chi sia il drago e chi l'unicorno, ma forse Davina è entrambe: creatura incantata e cacciatrice spietata di se stessa.
C'è in questo film quel desiderio di molte adolescenze di trasformare l'amore in una fiaba, di essere unici e straordinari, perché innamorati, in un mondo normale e ottuso, vestirsi dei propri sentimenti come abiti sdruciti, strampalati, armature improbabili contro gli adulti che non sanno più cosa sia l'assoluto.
E c'è l'unicorno in stop-motion dei sogni di Davina, l'unicorno che non si può domare, che è la sete infinita per alcuni di fiducia e sorpresa.
Non poteva mancare una citazione di I was born a unicorn degli Unicorns, eseguita, voce e chitarra, da Sterling.
Restando in tema "unicorni", qui sotto c'è una mini-playlist i cinque canzoni a loro dedicata -
She was born to be my unicorn dei Tyrannosaurus Rex
I was born a unicorn degli Unicorns
The Unicorn song degli Irish Rovers
Dance of the Unicorn dei Citizen Cain
e ancora Marc Bolan che delira e trascina in Unicorn Horn
Ultima perla il film animato nella versione originale del 1982, tratto dal romanzo L'ultimo unicorno di Peter S. Beagle:

Il film è incentrato sulla sedicenne Davina, un adolescente che si occupa da sempre della madre affetta da SLA (interpretata dalla madre della regista) e fugge in un mondo magico, alternativo alla realtà, come l'ultimo residuo d'infanzia che si trascina nell'età adulta. Gli unicorni sono il suo potere immaginativo, la fantasia che protegge, la sete di romanticismo degli adolescenti, ma sono anche l'ingenuità infantile che verrà sacrificata per crescere. Davina si innamora di Sterling, un punk bello e dannato, con cui vive un'avventura allontanandosi per alcuni giorni da casa. Entrambi vulnerabili, non è mai del tutto chiaro chi sia il drago e chi l'unicorno, ma forse Davina è entrambe: creatura incantata e cacciatrice spietata di se stessa.
C'è in questo film quel desiderio di molte adolescenze di trasformare l'amore in una fiaba, di essere unici e straordinari, perché innamorati, in un mondo normale e ottuso, vestirsi dei propri sentimenti come abiti sdruciti, strampalati, armature improbabili contro gli adulti che non sanno più cosa sia l'assoluto.
E c'è l'unicorno in stop-motion dei sogni di Davina, l'unicorno che non si può domare, che è la sete infinita per alcuni di fiducia e sorpresa.
Non poteva mancare una citazione di I was born a unicorn degli Unicorns, eseguita, voce e chitarra, da Sterling.

Restando in tema "unicorni", qui sotto c'è una mini-playlist i cinque canzoni a loro dedicata -
She was born to be my unicorn dei Tyrannosaurus Rex
I was born a unicorn degli Unicorns
The Unicorn song degli Irish Rovers
Dance of the Unicorn dei Citizen Cain
e ancora Marc Bolan che delira e trascina in Unicorn Horn
Ultima perla il film animato nella versione originale del 1982, tratto dal romanzo L'ultimo unicorno di Peter S. Beagle:
Published on August 23, 2016 12:34
August 1, 2016
Se vado in un mondo di sogno
Se vado in un mondo di sognomi cullo in un mare di legnoin un letto di tela di ragnochiudo la notte in un pegnosul mio occhio bambino –
ogni tesoro nascostoritorna vicino.
Published on August 01, 2016 09:31
July 25, 2016
Lo Spirito del Bosco e Piccolo Calendario Estivo tra Isole e Montagne

Venerdì 29 luglio alle 18.30 sarò invece al Bar Cipolla in Piazza del Popolo a Rio nell'Elba all' interno dell' Elbabook Festival , per presentare l'anteprima di 'Sorgenti che sanno'. Acque, specchi, incantesimi, curato da Cristina Babino e me,che uscirà ufficialmente a settembre per La Biblioteca dei Libri Perduti.Il libro nasce dall'esperienza del blog, ora sito, Fiabe, grazie all'interessamento e al grande lavoro di Anna Castellari che ringrazio di cuore.

E dopo questa incursione marina tornano le avventure in montagna! La prima settimana d'agosto c'è infatti il Festival di Poesia e Musica più bello che c'è: L'importanza di essere piccoli , giunto alla sue sesta edizione.Martedì 2 agosto, nel borgo di Tresana alle 18.30 presenteremo l'antologia Un Ponte Gettato sul Mare, realizzata dal festival di poesia sardo Cabudanne de sos poetas di Seneghe e nata da un'esperienza laboratoriale nei centri psichiatrici della provincia di Oristano a cura di Azzurra D'Agostino e mia.

Sempre ad agosto e ancora in montagna grazie alla volontà di Luca Buonaguidi , ci sarà questo festival, Un tempo lento, a Spedaletto (Pistoia). Io leggo l'8 agosto alle 19.00 e insieme a me c'è la brava cantautrice folk Silvia Vettori.

Seguite i link, date un'occhiata ai programmi, partecipate alla magia dei monti, delle poesie, della musica così donata. Non ve ne pentirete. Parola di volpe.
Published on July 25, 2016 09:55
July 18, 2016
Altri Animali: nuova recensione al mio romanzo
Mi riaffaccio dalle vacanze in Maremma, sprofondata fra tanti libri che da tempo dovevo leggere, per segnalare questa recensione di Leonardo Neri a Tutti gli altri. Esce su un blog che si chiama Altri Animali: direi che meglio di così non mi poteva andare, e coglie alcuni punti importanti, la centralità della morte, la circolarità di questo (strano) romanzo, il fatto che la "fine" non può mai essere come la si è programmata. Ecco il link:
http://www.altrianimali.it/2016/07/18/tutti-gli-altri-francesca-matteoni/
http://www.altrianimali.it/2016/07/18/tutti-gli-altri-francesca-matteoni/
Published on July 18, 2016 11:12
June 29, 2016
Volare sulla schiena del fiume. Note a margine de La città incantata di Hayao Miyazaki
Tempo fa ho scritto queste prose su uno dei miei film preferiti. Mentre le scrivevo capivo che erano la mia ode all'infanzia.
(tratto da: Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare. Zona, 2014)
due città
Due città, due mondi. Uno dove tutto è in superficie: le case che sfilano dall’auto stanno sicure, immote negli anni. Un altro dove l’acqua si alza notturna sotto i pontili, porta navi cariche di spiriti. Uno dove si procede tirandosi dietro inconsapevoli la rete del passato, l’altro dove si perde il nome e l’identità e perdere è non toccare più un corpo nella forma conosciuta. Due città che potrebbero essere la stessa, circondata dal bosco dove si ammucchiano piccole case di pietra, altari votivi. Un fischio di vento le separa, l’inganno fragile, opaco come un muro di cartapesta, che non esista altro da vedere oltre il presente.( Cosa vuol dire riconoscere? Come può l’acqua del mondo filtrarsi in me, scorrere dalla mia solitudine al tuo cibo, al te?)
l’apprendista
Nel paese dove si indossa l’anima la bambina deve lasciare il segno volatile del nome, tenerlo indecifrabile in un talismano. Nel paese dove si indossa l’anima è proibito approfittare dei doni – solo ciò che è offerto può nutrire, renderci sostanza. La bambina è nella storia ora, tra animali parlanti, creature grottesche, vecchie maghe avide e tutto è rovesciato: coloro che avrebbero dovuto proteggerla sono privati dell’aspetto e del linguaggio a causa dell’ingordigia degli adulti – coloro che non sanno più intuitivamente rispettare i segreti – il suo restare è affidato ad un estraneo o qualcuno affiorato da un luogo lontanissimo della conoscenza. La bambina scende nelle caldaie del palazzo, nel fuoco dove si forgia il lavorio del tempo. Un uomo-ragno controlla la fornace, la trama della fiamma che scalda e asciuga. Tutto qui ha occhi, perfino la fuliggine che dorme nei buchi. La bambina abbandona i vestiti, solleva un pezzo nero di materia, la leggerezza faticosa dell’essere nessuno. Essere solo ciò che possiamo fare, un gesto, una pazienza. Lo spossessamento è il suo apprendistato.
assenze
Dentro il palazzo le stanze si moltiplicano - scale, porte, corridoi. Fuori crescono i frutti minuscoli della nostra salvezza. Bacche, mirtilli. Dentro il palazzo pensiamo che il nostro immaginario non ha fine o approdo l’attesa, soluzione la ricerca, destino la ricchezza dei suoi ospiti. Si dorme sulle assi e le finestre sono pitture del mondo all’esterno. Cosa succede agli oggetti riposti nei cassetti, alle pareti quando le abbandoniamo? Chi cammina senza la paura, addomesticato, sui pavimenti vuoti? Ora la pittura prende respiro, è un ritmo sui vetri. Piove incessantemente dal mattino.
ospiti misteriosi
Chi non ha volto non ha l’occhio per sentire la distanza. Il suo demone è la fame dell’altro, lo avvicina maldestro, confonde il contatto con la conoscenza. Chi non ha volto non ama, ma desidera, vive da sempre la mancanza del suo nome. Si ingigantisce come un sacco scuro degli alimenti, persone che divora, ma non distingue i contorni, la specie di ciò che contiene. Senza volto terrorizza perché lui stesso non può descriversi, può volere solamente, senza soddisfazione. La bambina non lo teme: per un attimo sono uguali, abitano la debolezza e lo smarrimento. Senza volto non può offrirsi, ma vorrebbe, sbaglia ogni sua gentilezza. La bambina ha imparato che ogni ospite è un corpo apparente – deve ascoltarne il silenzio per capire. Oppure andare a fondo, dentro il fango, il ferrovecchio, il ciarpame, l’odore insopportabile che si attacca all’acqua scrosciante della vasca, al tatto. Avere il coraggio di afferrare, lavare le ferite che altri esseri umani infliggono alle cose naturali. Sotto le croste e la sporcizia c’è uno spirito di fiume. Come ritorna libera la sua trasparenza. Sotto la nostra fame materiale c’è l’acqua preziosa dell’eredità. Recuperare la memoria è fare pulizia. fondo di palude
Quando noi ci amiamo ti trasformi in qualcosa che non posso trattenere. Ogni volta che sono stata bambina ho amato solo genti fantastiche, che parlavano lingue animali, che sapevano di nuvola e pericolo ed esplorazione. Mentre sono nel sogno tu mi stai nel sangue come terra, come luce toccata sott’acqua. Se tu sanguini e non hai pace io non posso che farmi più piccola, partire come tornando a casa, ed è tutto un biglietto di sola andata, questo poter ricordare, le mie mani, i tuoi denti, l’ossatura di carta del cielo, lo sprofondare di bosco e acquitrino. Chi dice che la palude è oscura non sa che è anche incolta e meravigliosa – intatta e come te sconosciuta. Mia protezione. O mio mondo infantile.
uguaglianza
Le cose stanno dentro la pioggia che è discesa, si estende in una pianura azzurra, solcata dalla ferrovia. Nei vagoni del treno non ci sono compagni, ma tracce di tutte le vite che non potremo attraversare, il paesaggio è senza interruzione, ci raccoglie nel rumore del pensiero. Le differenze sono onde che scompaiono calme tra le ruote, io non so più cosa è lontano né dove sia ieri, così arroccato e saldo. La bambina non sa dove riprenderà a camminare. Ogni viaggio è uguale all’ultimo, se ne esce come da un involucro, come scostando piano trame di se stessi dal futuro. Non so mai dove sei in quest’oceano della mia essenza - nella casa dal tetto di paglia appena superata, nel passeggero che scende con stanchezza, nella luminescenza che viene dal fuori nella notte. Se ti amo, quale parte amo di me. Come scelgo di sporgermi dall’acqua.
casa
Nonna, ho sempre creduto che tu abitassi qui, dove ci si ferma, non si può più oltrepassare. Che questa storia fosse quella che venivi tessendo, che mettevi nella tazza del tè nelle sere d’autunno. Che il sentiero della tua soglia portasse al conforto, alla restituzione. Nonna, in un tratto nel quale siamo ancora insieme e tutto non è più di pochi fili intrecciati, di nomi che si conservano anche se cambiano le fisionomie, le dimensioni. Ho camminato fino a te, ho volato nel fiume della lentezza, del dolore, della maturazione, come aggrappandomi alla schiena di un drago docile e temerario. E questo avviene in sogno, e dal sogno ne tengo il sapore negli oggetti, negli elementi minerali, la fiamma del camino, la pietra del suolo, l’aria che non mi trascina, ma sospende sul luogo dove divento ciò che sono. La bambina si sveglia e non ha perso niente di coloro che ama. Sa che ogni mondo è vero.
(tratto da: Nel sonno. Una caduta, un processo, un viaggio per mare. Zona, 2014)

due città
Due città, due mondi. Uno dove tutto è in superficie: le case che sfilano dall’auto stanno sicure, immote negli anni. Un altro dove l’acqua si alza notturna sotto i pontili, porta navi cariche di spiriti. Uno dove si procede tirandosi dietro inconsapevoli la rete del passato, l’altro dove si perde il nome e l’identità e perdere è non toccare più un corpo nella forma conosciuta. Due città che potrebbero essere la stessa, circondata dal bosco dove si ammucchiano piccole case di pietra, altari votivi. Un fischio di vento le separa, l’inganno fragile, opaco come un muro di cartapesta, che non esista altro da vedere oltre il presente.( Cosa vuol dire riconoscere? Come può l’acqua del mondo filtrarsi in me, scorrere dalla mia solitudine al tuo cibo, al te?)
l’apprendista
Nel paese dove si indossa l’anima la bambina deve lasciare il segno volatile del nome, tenerlo indecifrabile in un talismano. Nel paese dove si indossa l’anima è proibito approfittare dei doni – solo ciò che è offerto può nutrire, renderci sostanza. La bambina è nella storia ora, tra animali parlanti, creature grottesche, vecchie maghe avide e tutto è rovesciato: coloro che avrebbero dovuto proteggerla sono privati dell’aspetto e del linguaggio a causa dell’ingordigia degli adulti – coloro che non sanno più intuitivamente rispettare i segreti – il suo restare è affidato ad un estraneo o qualcuno affiorato da un luogo lontanissimo della conoscenza. La bambina scende nelle caldaie del palazzo, nel fuoco dove si forgia il lavorio del tempo. Un uomo-ragno controlla la fornace, la trama della fiamma che scalda e asciuga. Tutto qui ha occhi, perfino la fuliggine che dorme nei buchi. La bambina abbandona i vestiti, solleva un pezzo nero di materia, la leggerezza faticosa dell’essere nessuno. Essere solo ciò che possiamo fare, un gesto, una pazienza. Lo spossessamento è il suo apprendistato.
assenze
Dentro il palazzo le stanze si moltiplicano - scale, porte, corridoi. Fuori crescono i frutti minuscoli della nostra salvezza. Bacche, mirtilli. Dentro il palazzo pensiamo che il nostro immaginario non ha fine o approdo l’attesa, soluzione la ricerca, destino la ricchezza dei suoi ospiti. Si dorme sulle assi e le finestre sono pitture del mondo all’esterno. Cosa succede agli oggetti riposti nei cassetti, alle pareti quando le abbandoniamo? Chi cammina senza la paura, addomesticato, sui pavimenti vuoti? Ora la pittura prende respiro, è un ritmo sui vetri. Piove incessantemente dal mattino.
ospiti misteriosi
Chi non ha volto non ha l’occhio per sentire la distanza. Il suo demone è la fame dell’altro, lo avvicina maldestro, confonde il contatto con la conoscenza. Chi non ha volto non ama, ma desidera, vive da sempre la mancanza del suo nome. Si ingigantisce come un sacco scuro degli alimenti, persone che divora, ma non distingue i contorni, la specie di ciò che contiene. Senza volto terrorizza perché lui stesso non può descriversi, può volere solamente, senza soddisfazione. La bambina non lo teme: per un attimo sono uguali, abitano la debolezza e lo smarrimento. Senza volto non può offrirsi, ma vorrebbe, sbaglia ogni sua gentilezza. La bambina ha imparato che ogni ospite è un corpo apparente – deve ascoltarne il silenzio per capire. Oppure andare a fondo, dentro il fango, il ferrovecchio, il ciarpame, l’odore insopportabile che si attacca all’acqua scrosciante della vasca, al tatto. Avere il coraggio di afferrare, lavare le ferite che altri esseri umani infliggono alle cose naturali. Sotto le croste e la sporcizia c’è uno spirito di fiume. Come ritorna libera la sua trasparenza. Sotto la nostra fame materiale c’è l’acqua preziosa dell’eredità. Recuperare la memoria è fare pulizia. fondo di palude
Quando noi ci amiamo ti trasformi in qualcosa che non posso trattenere. Ogni volta che sono stata bambina ho amato solo genti fantastiche, che parlavano lingue animali, che sapevano di nuvola e pericolo ed esplorazione. Mentre sono nel sogno tu mi stai nel sangue come terra, come luce toccata sott’acqua. Se tu sanguini e non hai pace io non posso che farmi più piccola, partire come tornando a casa, ed è tutto un biglietto di sola andata, questo poter ricordare, le mie mani, i tuoi denti, l’ossatura di carta del cielo, lo sprofondare di bosco e acquitrino. Chi dice che la palude è oscura non sa che è anche incolta e meravigliosa – intatta e come te sconosciuta. Mia protezione. O mio mondo infantile.
uguaglianza
Le cose stanno dentro la pioggia che è discesa, si estende in una pianura azzurra, solcata dalla ferrovia. Nei vagoni del treno non ci sono compagni, ma tracce di tutte le vite che non potremo attraversare, il paesaggio è senza interruzione, ci raccoglie nel rumore del pensiero. Le differenze sono onde che scompaiono calme tra le ruote, io non so più cosa è lontano né dove sia ieri, così arroccato e saldo. La bambina non sa dove riprenderà a camminare. Ogni viaggio è uguale all’ultimo, se ne esce come da un involucro, come scostando piano trame di se stessi dal futuro. Non so mai dove sei in quest’oceano della mia essenza - nella casa dal tetto di paglia appena superata, nel passeggero che scende con stanchezza, nella luminescenza che viene dal fuori nella notte. Se ti amo, quale parte amo di me. Come scelgo di sporgermi dall’acqua.
casa
Nonna, ho sempre creduto che tu abitassi qui, dove ci si ferma, non si può più oltrepassare. Che questa storia fosse quella che venivi tessendo, che mettevi nella tazza del tè nelle sere d’autunno. Che il sentiero della tua soglia portasse al conforto, alla restituzione. Nonna, in un tratto nel quale siamo ancora insieme e tutto non è più di pochi fili intrecciati, di nomi che si conservano anche se cambiano le fisionomie, le dimensioni. Ho camminato fino a te, ho volato nel fiume della lentezza, del dolore, della maturazione, come aggrappandomi alla schiena di un drago docile e temerario. E questo avviene in sogno, e dal sogno ne tengo il sapore negli oggetti, negli elementi minerali, la fiamma del camino, la pietra del suolo, l’aria che non mi trascina, ma sospende sul luogo dove divento ciò che sono. La bambina si sveglia e non ha perso niente di coloro che ama. Sa che ogni mondo è vero.
Published on June 29, 2016 07:33
June 19, 2016
Festa di Mezza Estate a Santomoro
Questo giugno è ballerino e piovoso, ma noi non ci perdiamo d'animo e DOMENICA 26 GIUGNO ci sarà la Festa di Mezza Estate a Santomoro, a Pistoia. Molte sono le sorprese che stiamo preparando: inaugureremo la bella mostra fotografica di Jacopo Ferri, nostro compaesano, sui luoghi in abbandono della montagna pistoiese; ci accompagnerà con la musica il Collettivo Folcloristico Montano; ci saranno le bolle di sapone giganti, giochi e balli per bambini; cibarie per tutti e il nostro Mercatino! Artigianato, bigiotteria, vinili, fumetti, miele, sedie impagliate, creazioni e curiosità...Io mi sono improvvisata artigiana di candele, grazie al laboratorio che nell'autunno scorso abbiamo fatto al Centro Sociale con
Cecilia Lattari
per imparare a fare candele ecologiche, usando la cera di soia. E mentre mi trovo nel mezzo della Scozia sto raccogliendo fiori e magie per altri piccoli oggetti. Quindi non predente altri impegni! Salite in collina, venite a trovarci, curiosate, guardate, comprate, divertitevi - che qua vicino ai boschi si sta bene.
Le lucciole, i giardini, le fate
le case un po' magiche e un po' abbandonate
le piccole storie del nostro paese
bolle di sapone e altre sorprese
il mercatino, le fotografie
musica allegra in tutte le vie
giocate, cantate, ballate
venite alla Festa di Mezza Estate!
Le lucciole, i giardini, le fate
le case un po' magiche e un po' abbandonate
le piccole storie del nostro paese
bolle di sapone e altre sorprese
il mercatino, le fotografie
musica allegra in tutte le vie
giocate, cantate, ballate
venite alla Festa di Mezza Estate!


Published on June 19, 2016 04:50
June 6, 2016
Estate a Torri; eventi a Santomoro - fermento tra collina e montagna!
Come ogni anno è uscito il giornalino delle attività estive del paese di Torri. Si trova in giro per Pistoia ed è gratuito, ma si può anche sfogliare virtualmente
QUI
.C'è una mia minuscola fiaba su un bosco speciale, un vecchio cane e una misteriosa trasformazione, seguita dalle poesie di Alfano, l'abitante più anziano e illustre della frazione La Ciliegia.
Nel frattemo questo giugno santomorino è ricco di avvenimenti da non perdere! Sulla pagina facebook si possono trovare gli eventi e le informazioni, ma riassumendo:
Giovedì 9 giugno, ore 21.00Presentazione del libro della scrittrice Alessandra Bruni Madame Tibet, biografia di Alexandra David Néel, prima europea a raggiungere Lhasa all’inizio del Novecento. Con proiezioni e in collaborazione con la libreria Fahrenheit 451.Presso il Centro Sociale.
Domenica 12 giugno Strasantomoro. Raduno al Centro Sociale alle 7.30. Partenza alle 9.00
Domenica 26 giugno Festa di Mezza Estate.
PUNTI MERCATINO: Borgo e Piazza della chiesaOre 9.00 Ritrovo al Circolo e partenza per visita al Cippo della SerrantonaOre 16.00 INIZIO della Festa: presso il Centro Sociale. Inaugurazione della mostra di fotografia di Jacopo Ferri, E me ne voglio anda' da 'sta montagna.Ore 16.30Incontro pubblico sulla attività del Centro Sociale, passate e future.Ore 17.30 Apertura Mercatino.
Ore 18.30 Attività per i bambini in Piazza.
Ore 19.30 Musica: Collettivo Folcloristico della Montagna.
Dal tramonto: installazione poetica negli orti del Borgo: "Sono tornate le lucciole".
Nel frattemo questo giugno santomorino è ricco di avvenimenti da non perdere! Sulla pagina facebook si possono trovare gli eventi e le informazioni, ma riassumendo:
Giovedì 9 giugno, ore 21.00Presentazione del libro della scrittrice Alessandra Bruni Madame Tibet, biografia di Alexandra David Néel, prima europea a raggiungere Lhasa all’inizio del Novecento. Con proiezioni e in collaborazione con la libreria Fahrenheit 451.Presso il Centro Sociale.
Domenica 12 giugno Strasantomoro. Raduno al Centro Sociale alle 7.30. Partenza alle 9.00
Domenica 26 giugno Festa di Mezza Estate.
PUNTI MERCATINO: Borgo e Piazza della chiesaOre 9.00 Ritrovo al Circolo e partenza per visita al Cippo della SerrantonaOre 16.00 INIZIO della Festa: presso il Centro Sociale. Inaugurazione della mostra di fotografia di Jacopo Ferri, E me ne voglio anda' da 'sta montagna.Ore 16.30Incontro pubblico sulla attività del Centro Sociale, passate e future.Ore 17.30 Apertura Mercatino.
Ore 18.30 Attività per i bambini in Piazza.
Ore 19.30 Musica: Collettivo Folcloristico della Montagna.
Dal tramonto: installazione poetica negli orti del Borgo: "Sono tornate le lucciole".
Published on June 06, 2016 13:12
May 28, 2016
Nota critica ad Acquabuia su Poetarum Silva
Segnalo
a questo link
una lettura del mio ultimo libro di poesia (con una selezione di testi), apparsa ieri su Poetarum Silva. Grazie a Pier Francesco De Iulio!
Published on May 28, 2016 00:25
May 11, 2016
Alice nel Paese delle Meraviglie: un'Avventura in Libreria
Allora, domani accade questo a Pistoia. Io mi sto preparando a un pigiama party perché so che potremmo parlare di Alice per ore! Ma cercheremo di contenerci. Ho dei compagni d'avventura d'eccezione: l'istituzione delle edicole pistoiesi, Igor Beneforti, la meravigliosa traduttrice Anna Rusconi e i librai!Troverete -tè e infusi (ma anche birra per Stregatti)strane visioni e oggettiparole e segreticalze a righe ideali o realie forse ... qualche testa!

Published on May 11, 2016 04:33
May 4, 2016
Territori, poesia, istituzioni: quindici anni di resistenza (dal numero 1 del gornale Palomar)
Pubblico integralmente il mio scritto per il primo numero (gennaio-febbraio 2016) del giornale dell'Associazione Palomar. In attesa di Pistoia Capitale della Cultura 2017, mi pare opportuno.
L’8 luglio 2015 presso Villa Stonorov ha aperto i lavori del convegno Palomar e la città l’incontro seminariale: “Crescere ai margini: la poesia, i territori, l’ascolto negli anni zero. Quindici anni di resistenza tra l’Appennino Bolognese, Pistoia e Firenze”. Coinvolti alcuni curatori di importanti manifestazioni legati alla poesia sul territorio: Vittorio Biagini (Associazione Laboratorio Nuova Buonarroti, Firenze), direttore di Voci lontane, voci sorelle, festival fiorentino di portata internazionale, di cui si è svolta questo settembre la tredicesima edizione; Daria Balducelli curatrice insieme ad Azzurra D’Agostino (Associazione Sassiscritti, Porretta Terme) del festival appenninico di poesia e canzone d’autore L’importanza di essere piccoli, quest’agosto alla sua quinta edizione e da due anni presente anche nel comune di Pistoia per una data al Castagno; me medesima, in qualità di ideatrice del piccolo festival di poesie, Perché tale è la mia natura, che si è svolto per due edizioni a giugno, presso il circolo Arci Le Fornaci a Pistoia; Nicola Ruganti, moderatore e presidente di Palomar, l’Assessore alla Cultura Elena Becheri e la Presidente della Commissione Cultura del Comune di Pistoia, Rosalia Billero. I territori interessati sono vicini geograficamente e culturalmente e i festival e le iniziative promosse dagli operatori, che sono spesso poeti loro stessi, vanno a formare un calendario di appuntamenti estivi, con varie anticipazioni, iniziative collaterali, laboratori di lettura e scrittura durante il resto dell’anno. C’è inoltre una comunanza di intenti e di sentimento: la comunità assente, che non riescono a intercettare né a ricreare istituzioni attente per lo più ai dati numerici, ai grandi eventi e non al lavoro di ricerca, al valore sovversivo del gesto artistico e dunque alla naturale vocazione minoritaria delle arti tanto più sono autentiche, rinasce nei contatti e nella stima reciproca di chi si impegna per portare la parola nell’esperienza dei luoghi, dei lettori e dei curiosi, della gente di quartiere, delle realtà periferiche. Siamo lontani dai salotti patinati, da un’idea elitaria della letteratura o meglio se alla fine non sono certo le masse a essere raggiunte, ma un gruppo di individui, più o meno vasto, che inizia a camminare in quel bosco potente e ignoto del linguaggio, questo non è affatto composto da addetti ai lavori, ma da un’insieme imprevedibile di esseri umani che hanno sete, anche se magari non lo sanno, di vedere il mondo attraverso altri occhi, di commuoversi, magari, per il mondo non più tanto banale eppure semplicissimo, in cui si trovano a vivere. Anzi si potrebbe rimanere sorpresi da quanti pochi docenti scolastici, accademici, per non nominare gli impiegati dei vari uffici cultura e simili facciano capolino. Perché la poesia, perché portarla nei territori con la grande fatica di un lavoro quasi sempre poco retribuito, se non addirittura volontario? Il lavoro culturale infatti è caratterizzato dal costante precariato, da stipendi inesistenti o ridicoli, a meno che non si sia appresa bene la lezione italiana accodandosi al professore giusto, magari accettando di chiudersi fuori dal mondo dei vivi dentro le teorie senza piedi, chiudendosi perfino fuori dal mondo di quei libri che ridono e piangono e si concedono perfino di errare, perché si mescolano con le traversie dell’esistenza di ognuno, scrittrice, lettore, passante. Si continua non certo per dimostrare o aspettarsi qualcosa dagli enti che, nel migliore dei casi, assumono un atteggiamento assistenziale o celebrativo, non comprendendo che a nessuno di noi interessa sentirsi dire quanto è bravo – ci interessa, come a ogni essere umano, poter lavorare e lavorare bene, condividendo quanto sappiamo fare. Piuttosto il senso di quanto viene fatto sta proprio nell’ineluttabilità della poesia o delle poesie, declinandola in infinite varianti, in quella natura a cui non ci si può sottrarre, come ho cercato di mostrare con il titolo della mia rassegna pistoiese, esattamente come non si può smettere di respirare. Il senso sta anche in quel bisogno sempre più chiaro di condivisione, di quel particolare nutrimento che aumenta se aumentano i conviviali, che si rinnova nell’immaginazione, nelle terre dell’arte, ricordandoci che tutti e cinque i nostri sensi sono doppi: annusiamo, assaggiamo, tocchiamo, ascoltiamo, vediamo con il cuore oltre che con gli organi preposti dei nostri corpi. E l’intelligenza del cuore va costantemente allenata alla curiosità come all’attesa di una parola diversa che tiri fuori la meraviglia dalla bruttura. Quello che accade quando una persona come noi cerca sostegno economico e appoggio presso gli enti di questo paese sciagurato, è spesso umiliante: ci si aspetta con qualche illusione di essere accolti e di poter strutturare progetti per il bene comune, si trovano tempi di attesa ridicoli, l’ignoranza supponente di chi magari un posto fisso statale ce l’ha e non può perdersi dietro ai pazzi; o peggio si trovano parole sciocche e condiscendenti di direttori, dirigenti, amministratori che hanno davvero confuso gli organi di senso e le loro funzioni. Più rari sono gli esempi di istituzioni attente e solidali, e in quei casi le economie sono sempre scarse. E tuttavia accanto a questo scenario poco rassicurante nel tempo abbiamo imparato a riconoscerne un altro, fatto di comunissime persone - abitanti di frazioni montane e collinari, tagliati fuori per età o locazione dai contesti urbani; ragazze e ragazzi che per loro conto hanno voglia di leggere e scrivere ben oltre i compiti scolastici e sanno che nei libri ci sono persone in carne e ossa, alleati, avversari, guaritori; individui che per caso capitano ad ascoltare una poesia e poi non sanno più farne a meno, perché le parole erano strane e il luogo bello, perché, parafrasando quanto pochi giorni fa mi ha detto una compaesana, la stanchezza e le difficoltà della vita non si alleviano andando a dormire, ma provando a raccontarci qualcosa di nuovo prima di prendere sonno. Conosco molto bene le persone invitate al tavolo, alcune sono tra le mie amicizie più care e leggo le loro poesie con la gioia di incontrare qualcosa di mio che credevo perduto, ad altri devo l’esordio nel panorama letterario e il preziosissimo primo insegnamento per cui i veri maestri sono coloro che ti permettono di prenderti tutta la responsabilità dei tuoi dubbi come delle tue scoperte, che non mettono su un broncio stizzoso quando lasci il nido. Conosco soprattutto il desiderio di apertura e le capacità di gente come Vittorio, Azzurra, Daria. Tutti noi vorremmo che questo primo momento estivo fosse solo l’inizio di un processo di emersione di quanto già esiste: un dialogo costante, attraverso le pagine scritte e attraverso le voci, dentro cui nessuno parla più forte di un altro e dove il territorio non è frutto di una delimitazione geopolitica, ma il posto segreto in cui ci avventuriamo riscoprendolo luogo d’origine e d’approdo, una casa con le porte aperte che dà sulle nostre montagne come sulle vie urbane. Tuttavia per non perdere l’entusiasmo occorre quel minimo di risorse per sopravvivere, e per dire casa un luogo occorre sapere che sei accolta, altrimenti vai altrove. L’augurio è che il nostro altrove inizi proprio dove si è deciso di tornare o dove da sempre con coraggio ci si inventa una vita.
Francesca Matteoni, Santomoro, novembre 2015
L’8 luglio 2015 presso Villa Stonorov ha aperto i lavori del convegno Palomar e la città l’incontro seminariale: “Crescere ai margini: la poesia, i territori, l’ascolto negli anni zero. Quindici anni di resistenza tra l’Appennino Bolognese, Pistoia e Firenze”. Coinvolti alcuni curatori di importanti manifestazioni legati alla poesia sul territorio: Vittorio Biagini (Associazione Laboratorio Nuova Buonarroti, Firenze), direttore di Voci lontane, voci sorelle, festival fiorentino di portata internazionale, di cui si è svolta questo settembre la tredicesima edizione; Daria Balducelli curatrice insieme ad Azzurra D’Agostino (Associazione Sassiscritti, Porretta Terme) del festival appenninico di poesia e canzone d’autore L’importanza di essere piccoli, quest’agosto alla sua quinta edizione e da due anni presente anche nel comune di Pistoia per una data al Castagno; me medesima, in qualità di ideatrice del piccolo festival di poesie, Perché tale è la mia natura, che si è svolto per due edizioni a giugno, presso il circolo Arci Le Fornaci a Pistoia; Nicola Ruganti, moderatore e presidente di Palomar, l’Assessore alla Cultura Elena Becheri e la Presidente della Commissione Cultura del Comune di Pistoia, Rosalia Billero. I territori interessati sono vicini geograficamente e culturalmente e i festival e le iniziative promosse dagli operatori, che sono spesso poeti loro stessi, vanno a formare un calendario di appuntamenti estivi, con varie anticipazioni, iniziative collaterali, laboratori di lettura e scrittura durante il resto dell’anno. C’è inoltre una comunanza di intenti e di sentimento: la comunità assente, che non riescono a intercettare né a ricreare istituzioni attente per lo più ai dati numerici, ai grandi eventi e non al lavoro di ricerca, al valore sovversivo del gesto artistico e dunque alla naturale vocazione minoritaria delle arti tanto più sono autentiche, rinasce nei contatti e nella stima reciproca di chi si impegna per portare la parola nell’esperienza dei luoghi, dei lettori e dei curiosi, della gente di quartiere, delle realtà periferiche. Siamo lontani dai salotti patinati, da un’idea elitaria della letteratura o meglio se alla fine non sono certo le masse a essere raggiunte, ma un gruppo di individui, più o meno vasto, che inizia a camminare in quel bosco potente e ignoto del linguaggio, questo non è affatto composto da addetti ai lavori, ma da un’insieme imprevedibile di esseri umani che hanno sete, anche se magari non lo sanno, di vedere il mondo attraverso altri occhi, di commuoversi, magari, per il mondo non più tanto banale eppure semplicissimo, in cui si trovano a vivere. Anzi si potrebbe rimanere sorpresi da quanti pochi docenti scolastici, accademici, per non nominare gli impiegati dei vari uffici cultura e simili facciano capolino. Perché la poesia, perché portarla nei territori con la grande fatica di un lavoro quasi sempre poco retribuito, se non addirittura volontario? Il lavoro culturale infatti è caratterizzato dal costante precariato, da stipendi inesistenti o ridicoli, a meno che non si sia appresa bene la lezione italiana accodandosi al professore giusto, magari accettando di chiudersi fuori dal mondo dei vivi dentro le teorie senza piedi, chiudendosi perfino fuori dal mondo di quei libri che ridono e piangono e si concedono perfino di errare, perché si mescolano con le traversie dell’esistenza di ognuno, scrittrice, lettore, passante. Si continua non certo per dimostrare o aspettarsi qualcosa dagli enti che, nel migliore dei casi, assumono un atteggiamento assistenziale o celebrativo, non comprendendo che a nessuno di noi interessa sentirsi dire quanto è bravo – ci interessa, come a ogni essere umano, poter lavorare e lavorare bene, condividendo quanto sappiamo fare. Piuttosto il senso di quanto viene fatto sta proprio nell’ineluttabilità della poesia o delle poesie, declinandola in infinite varianti, in quella natura a cui non ci si può sottrarre, come ho cercato di mostrare con il titolo della mia rassegna pistoiese, esattamente come non si può smettere di respirare. Il senso sta anche in quel bisogno sempre più chiaro di condivisione, di quel particolare nutrimento che aumenta se aumentano i conviviali, che si rinnova nell’immaginazione, nelle terre dell’arte, ricordandoci che tutti e cinque i nostri sensi sono doppi: annusiamo, assaggiamo, tocchiamo, ascoltiamo, vediamo con il cuore oltre che con gli organi preposti dei nostri corpi. E l’intelligenza del cuore va costantemente allenata alla curiosità come all’attesa di una parola diversa che tiri fuori la meraviglia dalla bruttura. Quello che accade quando una persona come noi cerca sostegno economico e appoggio presso gli enti di questo paese sciagurato, è spesso umiliante: ci si aspetta con qualche illusione di essere accolti e di poter strutturare progetti per il bene comune, si trovano tempi di attesa ridicoli, l’ignoranza supponente di chi magari un posto fisso statale ce l’ha e non può perdersi dietro ai pazzi; o peggio si trovano parole sciocche e condiscendenti di direttori, dirigenti, amministratori che hanno davvero confuso gli organi di senso e le loro funzioni. Più rari sono gli esempi di istituzioni attente e solidali, e in quei casi le economie sono sempre scarse. E tuttavia accanto a questo scenario poco rassicurante nel tempo abbiamo imparato a riconoscerne un altro, fatto di comunissime persone - abitanti di frazioni montane e collinari, tagliati fuori per età o locazione dai contesti urbani; ragazze e ragazzi che per loro conto hanno voglia di leggere e scrivere ben oltre i compiti scolastici e sanno che nei libri ci sono persone in carne e ossa, alleati, avversari, guaritori; individui che per caso capitano ad ascoltare una poesia e poi non sanno più farne a meno, perché le parole erano strane e il luogo bello, perché, parafrasando quanto pochi giorni fa mi ha detto una compaesana, la stanchezza e le difficoltà della vita non si alleviano andando a dormire, ma provando a raccontarci qualcosa di nuovo prima di prendere sonno. Conosco molto bene le persone invitate al tavolo, alcune sono tra le mie amicizie più care e leggo le loro poesie con la gioia di incontrare qualcosa di mio che credevo perduto, ad altri devo l’esordio nel panorama letterario e il preziosissimo primo insegnamento per cui i veri maestri sono coloro che ti permettono di prenderti tutta la responsabilità dei tuoi dubbi come delle tue scoperte, che non mettono su un broncio stizzoso quando lasci il nido. Conosco soprattutto il desiderio di apertura e le capacità di gente come Vittorio, Azzurra, Daria. Tutti noi vorremmo che questo primo momento estivo fosse solo l’inizio di un processo di emersione di quanto già esiste: un dialogo costante, attraverso le pagine scritte e attraverso le voci, dentro cui nessuno parla più forte di un altro e dove il territorio non è frutto di una delimitazione geopolitica, ma il posto segreto in cui ci avventuriamo riscoprendolo luogo d’origine e d’approdo, una casa con le porte aperte che dà sulle nostre montagne come sulle vie urbane. Tuttavia per non perdere l’entusiasmo occorre quel minimo di risorse per sopravvivere, e per dire casa un luogo occorre sapere che sei accolta, altrimenti vai altrove. L’augurio è che il nostro altrove inizi proprio dove si è deciso di tornare o dove da sempre con coraggio ci si inventa una vita.
Francesca Matteoni, Santomoro, novembre 2015
Published on May 04, 2016 01:30