Csaba Dalla Zorza's Blog, page 1480
June 18, 2021
«Élite 4», la serie Netflix da guardare nel weekend
Cosa aspettarsi dalla quarta stagione di Élite, Netflix ha provato a raccontarlo attraverso quattro cortometraggi, rilasciati online giorni prima della serie originale. I filmati, brevi, hanno provato ad introdurre la nuova atmosfera dello show, che nella sua quarta stagione – in streaming dal 18 giugno – ha deciso di fare a meno dei protagonisti noti. I ragazzi di Las Encinas, scuola elitaria che le borse di studio e un’impellente necessità di dirsi buona hanno costretto ad accettare studenti senza blasone, sono stati rimpiazzati. Sostituiti da protagonisti nuovi di zecca, per i quali la forza narrativa della serie, ancora, non si sia esaurita.
Itzán Escamilla (Samuel), Miguel Bernardeau (Guzmán), Claudia Salas (Rebeka), Arón Piper (Ander) e Omar Ayuso (Omar), insieme a Georgina Amorós (Cayetana), saranno i soli fra i vecchi studenti a ricomparire tra i corridoi dello sfarzoso istituto, costretti, tutti, a ripetere l’anno. I sei, però, non avranno a che vedere con le tragedie delle stagioni passate: le morti, la malattia, i tentativi di truffa orditi con la complicità di genitori malati. Élite, nella sua quarta stagione, ha voluto tirare una linea netta, che possa separare il passato da quel che attende la serie. A riempire, dunque, l’intreccio narrativo, sarà la venuta di un nuovo direttore, chiamato a Las Encinas per restituire prestigio ad una scuola cannibalizzata dalle sue tragedie. L’uomo, un uomo d’affari di fama europea, porterà con sé i tre figli adolescenti, ragazzi viziati, incapaci di scendere a patti con la vecchia guardia.
I tre saranno motore di una nuova faida, destinata a riscrivere gli equilibri umani della serie Netflix, la cui quarta stagione – come le tre passate – vedrà nuove tragedie: nuove vittime e nuovi carnefici.
LEGGI ANCHE«Omicidio a Easttown» e le altre serie tv da vedere a giugnoLEGGI ANCHE«Elite 4»: c'è la data di uscita (e tutto quello che c'è da sapere)Addio a Giampiero Boniperti: è stato la Juventus
Se n’è andato Giampiero Boniperti. È stato la Juventus. Quarantotto anni al servizio della Vecchia Signora. Prima da calciatore, poi da presidente. A distinguerlo: la sobrietà, la scaltrezza, la classe. In una parola: lo stile Juve. Avrebbe compiuto 93 anni il 4 luglio, fatale un’insufficienza cardiaca.
Ha indossato la maglia bianconera per 444 volte, dal 1946 al 1961. Era arrivato alla Juve a 17 anni, dal suo paese, Barengo, nel novarese. Ogni anno nel contratto pretendeva e otteneva l’acquisto di una mucca: era arrivato nella grande città, ma non aveva dimenticato la sua anima contadina. Con la maglia della Juventus ha conquistato cinque scudetti tra il 1950 e il 1961 e due Coppe Italia. Con John Charles e Omar Sivori ha formato il cosiddetto Trio Magico: vederli giocare era uno spettacolo. Con la Nazionale ha collezionato 38 presenze e 8 reti, ma la sua traccia in azzurro è stata meno significativa, perché capitata in un periodo – gli anni 50 – di grande crisi per il nostro calcio.
È stato presidente dal ’71 al ’90 e poi, quando fu richiamato dalla famiglia Agnelli, amministratore delegato dal ’91 al ’94. Dal 2006 era presidente onorario. Da dirigente non riusciva mai a guardare le partite per intero. Un po’ l’ansia, un po’ il vezzo: molta la superstizione. Lasciava lo stadio all’intervallo, saliva nella Fiat guidata dall’autista e girava per le strade di Torino – quando la Juve giocava al vecchio Comunale – o faceva ritorno verso Torino, se la Juve era impegnata in trasferta. sempre con la radio sintonizzata su «Tutto il calcio minuto per minuto».
Con i giocatori aveva un rapporto anche duro, ma sempre leale. Gli juventini firmavano i contratti in bianco. Un anno – era la metà dei 70 – i vari Tardelli, Cabrini, Bettega e Gentile chiesero un aumento. Boniperti – seduto dietro la sua padronale scrivania – indicò una foto appesa al muro. Ritraeva momenti di un derby col Toro. E chiese ai giocatori: «Chi ha vinto lo scudetto l’anno scorso?». L’aveva vinto il Toro, perciò i bianconeri abbassarono il capo e se ne uscirono dall’ufficio, senza il ritocco dell’ingaggio.
Tra i campioni a cui è stato più legato vanno sicuramente ricordati Gaetano Scirea e Alessandro Del Piero. Ad unirli la riservatezza, i silenzi, la sobrietà del vivere quotidiano. Fortissima l’amicizia con Giovanni Trapattoni, che Boniperti stesso aveva voluto come allenatore. Era la prima esperienza vera del Trap in panchina. Indelebile la traccia che lasciò dal 1976 al 1986: 6 scudetti in un decennio. L’Avvocato Agnelli era con lui che si confrontava, ogni qualvolta c’era da prendere una decisione. Boniperti non lo assecondava, anzi. Celebre la volta in cui – all’Avvocato che chiedeva informazioni e che spingeva per comprare un giovanissimo e semisconosciuto Maradona – Boniperti rispose che: «Se fosse così forte, lo conoscerei anch’io».
È stato europarlamentare dal ’94 al ’99. Continuava a seguire il calcio, anzi la sua Juve. Di recente aveva detto: «Alla Juve posso fare solo un augurio: continuare a vincere perché, come sapete, rimane sempre l’unica cosa che conta…».
«Dune», la premiere del film (con Timothée Chalamet) sarà a Venezia
A dispetto dell’incertezza organizzativa che il Covid-19, ancora, porta con sé, la Mostra del Cinema di Venezia è riuscita ad annunciare il suo primo titolo di risonanza globale. Dune, l’atteso remake di Denis Villeneuve, avrà la sua premiere al Lido, dove il tradizionale Festival della settima arte sarà inaugurato il primo di settembre per concludersi, poi, dodici giorni più tardi.
La pellicola, con Timothée Chalamet a recitare al fianco di Zendaya, Josh Brolin e Stellan Skarsgård, avrebbe dovuto avere tempistiche diverse. Nel mondo com’era prima che la pandemia lo rallentasse, Villeneuve aveva promesso un debutto più rapido. «Fine 2020», aveva detto, pregustando – probabilmente – la possibilità di competere agli Oscar. Il Coronavirus, tuttavia, si è messo di traverso, costringendo il regista ad accettare, impotente, l’inevitabile dilatarsi dei tempi produttivi. Dune, rifacimento del film omonimo, diretto da David Lynch nel 1984, è così stato opzionato dalla settantottesima Mostra di Venezia, la cui madrina sarà Serena Rossi.
LEGGI ANCHEVenezia 78: Serena Rossi alla conduzione di apertura e chiusuraLEGGI ANCHE«Dune»: il primo trailer dell'attesissimo kolossal con Timothée ChalametJune 17, 2021
Samsung Bespoke: frigoriferi d’artista
L’abitudine ci porta a pensare al frigorifero come a un elemento funzionale della cucina, non certamente estetico. Il più delle volte è un corpo estraneo all’armonia delle linee disegnate dal piano cottura, dalla dispensa e dai cassetti. A meno che non venga nascosto al suo interno. Ma quest’anno Samsung ha deciso di dare ai clienti amanti del design qualcosa di più: il frigorifero Bespoke.
Bespoke arriva in Italia con due proposte: Panel Fixed, in cui il frigorifero viene commercializzato come un prodotto tradizionale con l’abbinamento di pannelli esterni predefinito, oppure Panel Ready, che dà la possibilità al consumatore di scegliere la combinazione di finiture e cromie preferite. Entrambe le proposte permettono di scegliere tra una finitura in vetro classico, satinato o lucido.
Il frigorifero Bespoke, quindi, è un mondo di possibilità racchiuso in un solo prodotto. Arriverà in Italia a luglio nella versione combinato (disponibile con altezza 2m o 1,85m), monoporta e monoporta slim (larghezza 45cm). Questo elettrodomestico dà la possibilità a ognuno di scegliere la propria combinazione ideale. L’obiettivo è rendere il frigorifero un perfetto elemento funzionale, che si integra con lo stile della propria abitazione. La sua modularità, infatti, gli permette di seguirne i cambiamenti e adattarsi a ristrutturazioni degli ambienti, o alla crescita della famiglia.
Frigorifero Samsung Bespoke – Fernando CobeloE cosa avrebbe potuto organizzare Samsung con un frigorifero che, oltre a essere modulare, è anche personalizzabile al pari di una tela per artista? Lasciare che fossero gli artisti i primi a realizzare delle versioni one-off!
«Affidando i pannelli del nostro Bespoke ai talentuosi artisti con i quali abbiamo collaborato, abbiamo voluto anticipare il prossimo passo della personalizzazione, immaginando il frigorifero non solo come un elettrodomestico, ma un vero e proprio punto focale della cucina e della casa: un’opera d’arte funzionale», ha dichiarato Daniele Grassi, Vice President Home Appliances Samsung Electronics Italia.
I primi artisti a mettere le proprie idee e mani sui pannelli materici che rivestono le porte di Bespoke sono Diego Cusano, Fernando Cobelo, Camilla Falsini e il duo di designer Outline. Grafiche e tecniche diverse dall’approccio futuristico di Cobelo alla dichiarazione d’amore per il cibo di Cusano. Dalla foresta di piante immaginarie di Falsini ai graffiti metropolitani di Outline.
Ecco come un frigorifero grazie a una semplice idea può diventare un pezzo unico d’autore. Tant’è che il sogno dello stesso board di Samsung è aprire a questo nuovo elettrodomestico le porte del living. Per mostrare le potenzialità a livello di decorazione d’interni, Samsung ha lanciato un secondo progetto. Nasce così Bespoke – BeCreative un contest che ha coinvolto 250 studenti di 10 licei artistici e istituti secondari di secondo grado di grafica in un’iniziativa digitale che combina innovazione, comunicazione, creatività e il concetto di italianità in una veste che unisce tradizione e tensione al futuro.
Frigorifero Samsung Bespoke vincitore Contest BeCreativeIl primo posto del podio è stato conquistato dal progetto L’italianità, di Carola Sisto. La giovane grafica della classe 4°C di Arti Figurative ha riprodotto, in un raffinato gioco di tratti bianchi su fondo nero, alcuni dei più famosi simboli dell’arte e della cultura italiana. A Carola è stata assegnata una borsa di studio, mentre la sua scuola, il Liceo Artistico Caravaggio, ha ricevuto una lavagna digitale Samsung Flip. Il secondo posto è stato assegnato al progetto realizzato da Domenico Mastrogiacomo, studente dell’ISIS Europa di Pomigliano d’Arco, che ha voluto raccontare l’Italia a parole, riportando sulla tela di Bespoke i nomi di alcune Regioni, alcuni modi di dire locali e alcuni cibi più famosi.
Il terzo posto è un autentico tuffo nei paesaggi del Sud, reso possibile dalla tecnica del trompe-l’oeil. La rappresentazione che tende al reale, è una finestra che si apre alla tradizione italiana più radicata: buon cibo, vista soleggiata che si affaccia sul mare. Il disegno è di Noemi De Marco, studentessa del Liceo Artistico G. De Nobili di Catanzaro. La giuria artistica ha inoltre decretato un premio ex equo per Suyani De Souza, dell’Istituto Professionale per i Servizi Commerciali Kandinskij di Milano e per Melissa Grosso, del Liceo Artistico Boccioni di Milano.
Questo progetto nato da un brainstorming del team di marketing di Samsung ha aperto su un mondo freddo come quello del bianco soluzioni dall’apporto estetico considerevole. Una sorpresa per i vertici del colosso coreano che hanno visto in questo connubio tra tecnologia e arte un grande potenziale. «L’Internet delle cose aumenterà sempre di più il peso dell’intelligenza artificiale» sottolinea Daniele Grassi, «ma la AI prende le informazioni e le utilizza. Proprio per questa ragione ci sarà sempre più bisogno di creatività. Pensare fuori dagli schemi è la soluzione per creare discontinuità, valore e aprire nuovi orizzonti.»
I lavori che le celebs avrebbero voluto fare se non fossero diventate famose
Ammettetelo: vi siete mai chiesti che lavori avreste fatto se foste diventati famosi? Beh, quel che è certo è che molte celebs si sono chieste cosa avrebbero fatto se non fossero diventate famose, e hanno dato delle risposte davvero, davvero, davvero incredibili. Non indovinerete MAI.
Ecco i lavori che le celebs avrebbero voluto fare se non fossero diventate famose:
HARRY STYLES
Spoiler: Harry + camice bianco = Paradiso
sì perché Harry Styles voleva diventare un fisioterapista! Un giorno però, durante un career day, gli è stato detto che non c’erano molti lavori disponibili in fisioterapia, ed è per questo che è diventato un cantante! Vi immaginate la coda fuori dal suo studio?
RIHANNA
Rihanna aveva pianificato di diventare una pilota prima di essere una popstar internazionale. Incredibile ma vero quando viveva alle Barbados la nostra badgalriri era un cadetto dell’esercito e Shontelle – una cantante molto famosa in America- era il suo sergente istruttore.
SAM SMITH
Se Sam Smith non fosse diventato un cantante di successo, avrebbe sicuramente fatto il fioraio. Il suo sogno infatti era quello di aprire un bar con un negozio di fiori sul retro 🥺 Oddio sembra l’inizio di una commedia romantica ❤️
KIM KARDASHIAN
In un’altra vita, Kim Kardashian sarebbe diventata un’ investigatrice forense. C’è da dire però che non ha abbandonato del tutto il suo sogno di lavorare con la giustizia visto che attualmente sta studiando per diventare un avvocato.
LIAM PAYNE
Prima dell’audizione a X Factor che gli è valsa un posto nei One Direction, Liam Payne voleva essere un corridore olimpico. Ad un certo punto era addirittura uno dei migliori (il terzo per l’esattezza) in tutto il paese! Liam, dicci la verità, c’è qualcosa che ti riesce male nella vita?
MILEY CYRUS
Da ragazzina, Miley Cyrus sognava di studiare fotografia a Londra. Dopo aver lavorato per un periodo con una fotografa straordinaria: Annie Leibovitz, Miley aveva deciso che avrebbe voluto fare quello nella vita.
Da vedere: a Roma apre alle visite la casa di Giacomo Balla, ecco come prenotare
Vivere in un’opera d’arte. Per Giacomo Balla è stato proprio così, e dal 25 giugno sarà possibile verificarlo di persona: apre infatti al pubblico – per la prima volta, ma solo per qualche mese – l’appartamento di via Oslavia a Roma nel quale il pittore e teorico del futurismo ha vissuto per quasi trent’anni, dal 1929 fino alla morte nel 1958. Qui, nel bel mezzo del signorile quartiere Delle Vittorie, Balla (anzi, «Futurballa», come amava firmarsi in alcuni suoi dipinti e come si legge anche sul portone d’ingresso) ha creato un mondo a sua immagine e somiglianza, dove le forme e i colori ricoprono ogni spazio disponibile, in una modernissima commistione tra arte e vita, oggetti di uso comune (anche i vestiti della famiglia Balla erano stati disegnati per accordarsi col resto) e dipinti appesi alle pareti. Dopotutto, lo stesso Balla scrive nel 1916, assieme a Depero, la Ricostruzione futurista dell’Universo, che si propone di “realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente”.
L’appartamento di Balla, che fu casa delle due figlie dell’artista, Elica e Luce, fino agli anni Novanta, è protetta da un vincolo di tutela dal 2004 e, dal 2018, sono stati realizzati interventi di restauro e di messa in sicurezza che portano oggi all’apertura, in coincidenza con l’anniversario che celebra i 150 anni dalla nascita del pittore. La casa si potrà visitare in abbinamento con la mostra del MAXXI: qui, nella galleria 5, arazzi, disegni, bozzetti e arredi arrivati direttamente da via Oslavia (e per la prima volta esposti al pubblico, come la porta dello studiolo rosso o i disegni per gli abiti di Luce) dialogano con opere di artisti contemporanei internazionali, da Carlo Benvenuto a Jim Lambie, Emiliano Maggi e Leonardo Sonnolo, Cassina con Patricia Urquiola. La mostra è visitabile, fino al 21 novembre, dal martedì alla domenica dalle 11 alle 19, mentre la casa di Balla apre solo nel fine settimana a partire dal prossimo 25 giugno.
La prenotazione, obbligatoria, si fa dal sito del museo: qui si potrà anche scaricare l’autocertificazione da presentare all’ingresso. Attesa da tempo, l’apertura della casa di via Oslavia è uno di quegli appuntamenti da non perdere: Futurballa è più attuale che mai.
LEGGI ANCHEE a Venezia apre il labirinto di BorgesLEGGI ANCHELa mostra più colorata della Sardegna è nel borgo di OraniLino Banfi, il «porca puttena» virale e il sogno dell’11 luglio
Lino Banfi e il calcio, una storia d’amore lunga una vita. Dopo il successo del film L’allenatore ne pallone, l’attore è ormai una star della panchina e il suo Oronzo Canà viene citato spesso sui giornali e nelle trasmissioni sportive, alla stregua di Zeman, Mourinho e tanti altri grandi allenatori.
Se a questo aggiungiamo l’affetto che Banfi nutre per la Nazionale italiana di Roberto Mancini è facile immaginare cosa stia provando in questi giorni, con il suo «porca puttena» diventato virale grazie alle esultanze di Ciro Immobile e di Lorenzo Insigne che, proprio urlando questo tormentone, hanno festeggiato le loro reti in questo inizio di Campionato d’Europa.
Lino Banfi ci risponde al telefono con il solito garbo e ci racconta come è nata quest’avventura da «vice-Mancini». »Prima della partita con la Turchia ho sentito il capitano Giorgio Chiellini e gli ho inviato un video da far vedere ai raghezzi. In quei pochi secondi gli avevo anche predetto la dinamica del gol di Immobile, esattamente così come è avvenuto: incredibile! Scherzando ma non troppo avevo chiesto a Ciro di esultare dicendo “porca puttena”, ma non pensavo lo facesse davvero! Per me è stato come ricevere un Oscar».
La storia si è ripetuta al gol di Insigne ed ora è ormai il vero inno italiano ad Euro 2020. «Sono molto felice. Io sto giocando il primo tempo supplementare della mia vita, spero di vincere questo, il secondo e magari anche i rigori. L’Italia mi fa emozionare e Roberto Mancini è molto bravo, sono sicuro che andremo avanti».
Il filo rosso che lega Lino Banfi alla Nazionale italiana è indissolubile ed anche il destino sta facendo la sua parte. «L’11 luglio compirò 85 anni ed è la data della finale», spiega Lino Banfi, «sarebbe bellissimo se questi ragazzi come regalo per il mio compleanno vincessero l’Europeo».
«Ora sotto con il Galles, purtroppo io non ho un vestito “principe di galles” e quindi non potrò andare in panchina con Mancini, che oltretutto ci fa fare bella figura perché è pure un bel raghezzo, anche se mi invita sempre ad affiancarlo. Del resto lui è un allievo di Oronzo Canà! Non fa il 5-5-5, ma è fortissimo».
LEGGI ANCHECampionati Europei: tris (anche) alla Svizzera, una splendida Italia vola agli ottaviLEGGI ANCHECampionati Europei: grande esordio dell'Italia, 3 a 0 alla TurchiaLEGGI ANCHECiro Immobile, il campione innamoratoLEGGI ANCHEIl calciomercato in mostra racconta la storia del nostro PaeseLEGGI ANCHELucia, moglie di Lino Banfi, e una bellissima storia d'amore (oltre la malattia)Luca, Jacob Tremblay: «Quando mi dico “Silenzio Bruno”»
Jacob Tremblay, 14 anni, indimenticabile protagonista di Room e poi di Good Boys, è la voce di Luca, il film Disney Pixar più atteso dell’anno, su Disney+ dal 18 giugno. È sua la voce di Luca Scorfano, il mostro-marino-ragazzino che abbandona le profondità del mare per andare alla scoperta di Portorosso, sulla riviera ligure, alla ricerca di una vespa (e non solo). A fargli da guida (spericolata) l’amico Alberto Scorfano (Jack Dylan Grazer, già visto in We Are Who We Are). A completare la squadra, l’umana Giulia Marcovaldo (Emma Berman).
«Quando lo incontri all’inizio del film, Luca è un ragazzo curioso ma timido. Poi gli capita di incontrare Alberto che lo aiuta a uscire dalla sua comfort zone», racconta Jacob, «Per lui è un’ispirazione. Gli insegna a sbarazzarsi della voce che ha nella sua testa, quella che tende sempre a scoraggiarti». A quella voce, Luca e Alberto rispondono con «Silenzio, Bruno!». Alberto è quello impulsivo: «Quando ci sono due modi in cui le cose potrebbero andare, quello terribile e quello meraviglioso. Io spero sempre che sia una cosa meravigliosa», spiega Jack. Per Emma Berman, Luca è il suo film, cioè «la cosa più eccitante di sempre».
Diretto dall’italiano Enrico Casarosa, omaggio all’Italia e all’amicizia senza distinzioni e discriminazioni, ha visto i doppiatori lavorare da casa in piena emergenza Covid. «Ricordo Jack nell’armadio di sua madre, con il rumore delle sue braccia che sbattono contro le grucce», racconta la produttrice Andrea Warren. «Sì sono stato nell’armadio di mia madre per un anno», continua Jack, «È stata sicuramente una sfida come attore, ma anche solo come essere umano. Faceva caldo lì dentro. E scommetto che i vicini erano davvero fuori di testa per la quantità di urla che provenivano da casa mia».
I tratti in comune: «Mi rivedo in Luca in molte cose», rivela Jacob, «Mi riferisco al suo desiderio di uscire ed esplorare, specialmente in questo momento. A causa del Covid sento che tutti possiamo davvero immedesimarci in lui che vuole uscire e guidare una vespa attraverso l’Italia».
La lezione di Luca: «Penso, onestamente, che il messaggio in questo film sia essere a proprio agio nella propria pelle e non vestire la parte di nessun altro, essere semplicemente in pace con il vero te stesso. Non bisogna nascondersi, né vergognarsi di chi siamo. E poi è importante trovare l’amico giusto che può aiutarti a comprendere tutto questo». Tremblay, spiega, «Silenzio Bruno!» se lo porterà dietro: «È un buon modo per mettere a tacere tua ansia riguardo a certe cose, e spero davvero che questo possa aiutarmi in futuro».
LEGGI ANCHE«Luca», ode all'estate e agli amici (quelli veri)Mascherina all’aperto, da metà luglio possibile stop
La mascherina all’aperto potrebbe diventare un ricordo già da luglio, forse dalla metà del mese. L’ipotesi è al vaglio del presidente del Consiglio Mario Draghi e viene ritenuta realistica anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza. L’Italia potrebbe seguire l’esempio di altri Paesi: in Francia la mascherina all’aperto non si porta più da oggi, in Germania da tre giorni. In Spagna succederà a breve.
In ogni caso, bisognerà comunque portare la mascherina con sé, per indossarla prontamente dove ci siano assembramenti (e quindi dove non sia possibile mantenere la corretta distanza sociale). «Sarà come con gli occhiali da vista per leggere da vicino che si portano sempre in tasca». E ancora: «Tutti gli studi ci dicono che in una situazione epidemiologica sotto controllo come in Italia la possibilità di contagio all’aperto con la metà della popolazione vaccinata almeno con la prima dose è quasi nulla. Ma non dobbiamo dimenticare che la mascherina resterà un accessorio da portare sempre con noi perché in determinate situazioni, in fila dal gelataio o allo stadio, per non correre rischi dovremo essere pronti a indossarla».
Intanto, per la prima volta dall’inizio della seconda ondata, il numero dei malati gravi è sceso sotto quota 500. Il merito è della campagna di vaccinazione: il 27% degli italiani dai 12 anni in su ha ricevuto anche la seconda dose. I malati gravi sono «degenti di lunga data oppure persone non vaccinate», come ha spiegato all’Ansa Francesco Dentali, direttore del Dipartimento di Medicina interna all’ospedale di Circolo di Varese. «Noi pensiamo a curarli, capiscono da soli di aver commesso un errore e si pentono di non essersi protetti».
«Le persone in terapia intensiva, oggi in Lombardia, hanno in media 61-62 anni», ha spiegato al Corriere Roberto Fumagalli, direttore del Dipartimento di Anestesia e rianimazione dell’Ospedale Niguarda di Milano. «Direi che grazie alle vaccinazioni abbiamo protetto la fascia dei grandi anziani. L’età dei ricoveri per Covid infatti si è abbassata: l’identikit si colloca tra i 55 e i 70 anni. Però le forme gravi, seppur poche, sono sempre uguali e fanno paura. Certamente noi medici siamo diventati più bravi a curarle, pur in assenza di farmaci specifici».
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Sara Felberbaum e il potere forte della creatività
Si chiama BE ONE &more by glo™ ed è la nuova mostra, esposta all’interno dello Scalo Lambrate dall’8 al 20 giugno, che ha come temi portanti l’immaginazione e la creatività, con un infinity mirror messo a disposizione per ritrarre i tanti «sé stessi» all’interno di ogni individuo. La mostra, attraverso lo sguardo della fotografa Roberta Krasnig, espone più di 60 ritratti di persone che sono state in grado di «moltiplicarsi» e convivere passioni, attitudini e sogni senza mai cedere a compromessi. «L’obiettivo è quello di raccontare questo anno particolare con una molteplicità di volti. Credo che in tutti questi ritratti si veda benissimo come ognuno dei miei protagonisti si è donato senza rinunciare a nessuna parte di sé» ha detto Krasnig.
[image error]BE ONE &more by glo™[image error]BE ONE &more by glo™[image error]BE ONE &more by glo™[image error]BE ONE &more by glo™[image error]BE ONE &more by glo™[image error]BE ONE &more by glo™[image error]BE ONE &more by glo™La photo exhibition BE ONE &more by glo™ dimostra, infatti, come ognuno di noi può essere sé stesso senza dover rinunciare alle differenti parti del proprio io, con una particolare attenzione a tutti coloro che appartengono al settore dell’entertainment che, nell’ultimo anno, sono stati costretti a reinventarsi facendo emergere diversi lati di sé per non fermarsi di fronte alle difficoltà. Tra i protagonisti della mostra, tanti talent di primo piano come l’attrice e imprenditrice Sarah Felberbaum, la comedian & conduttrice Michela Giraud, il cantante e giornalista sportivo Marco “Galeffi” Cantagalli, la conduttrice e attrice Carolina di Domenico, e il ballerino e Visual Artist Angelo Recchia.
«In questo periodo in cui sono stata più lontana dal set, mi sono dedicata alla mia linea di accessori per capelli, ho approfittato di questo stop per cercare una creatività diversa e rendere il mio brand il più ecosostenibile possibile. Senza compromessi sono riuscita a dare tutta me stessa» ha detto Felberbaum. «In questo anno di pausa mi è stato tolto il palco, fondamentale per il mio lavoro. Da un lato è stata una cosa che mi ha sconvolto, dall’altro queso allontanamento forzato mi ha fatto scoprire delle altre capacità che non conoscevo. Ho fatto il mio primo programma da sola, senza il pubblico presente che è sempre stato il mio responso. Mi sento di dire che è stata una sfida che sono stata in grado di cogliere» ha raccontato Giraud. Lo spazio espositivo è costituito da un percorso emozionante e definito in cui si susseguono i ritratti dei protagonisti – dallo chef di Trippa Diego Rossi alla cantante e tatuatrice Eva Pevarello – fino ad arrivare all’infinity mirror, che permette agli ospiti di potersi scattare una foto e sentirsi parte del progetto BE ONE &more by glo™.
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