Paolo Attivissimo's Blog, page 11
January 3, 2024
Vignetta elettronica svizzera, prova pratica. Utile anche per i turisti

Senza vignetta non è consentito circolare sulle autostrade e semiautostrade svizzere ma si può circolare liberamente su tutte le altre strade: per esempio, un turista che non percorre le autostrade può viaggiare in Svizzera senza comprare una vignetta. Se lo beccano in autostrada senza vignetta sono guai. La vignetta dura 14 mesi: da inizio dicembre dell’anno precedente a fine gennaio dell’anno successivo.
Comprare e applicare la vignetta nuova per poi raschiar via quella vecchia (fatta apposta per disintegrarsi in mille pezzetti) è uno dei rituali della vita in Svizzera. Da metà del 2023, però, è possibile acquistare in alternativa il contrassegno elettronico o e-vignetta, che elimina quest’incombenza e ha il grosso pregio aggiuntivo di coprire due veicoli per chi, come me, ha le targhe trasferibili.
* Lo so che sembra strano, ma in Svizzera si possono avere due auto immatricolate con la stessa targa. La targa è facilmente rimovibile e trasferibile da un veicolo all’altro. Le due auto del Maniero, Elsa e Tess, condividono la targa. Questo riduce moltissimo le tasse annuali, ma in compenso può circolare uno solo dei due veicoli in un dato momento; non possono circolare entrambi contemporaneamente. A noi questa soluzione va benissimo, visto che guidiamo una sola delle auto per volta e non ci capita mai di doverle usare contemporaneamente.
La vignetta adesiva tradizionale, invece, copre il singolo veicolo, per cui anche chi ha le targhe trasferibili si trova a doverne comprare due. Così quest’anno sono passato alla e-vignetta, che ha anche altri pregi: può essere comprata online a qualunque ora e anche dall’estero, evitando quindi ai turisti la perdita di tempo dell’acquisto in frontiera.
La procedura è piuttosto semplice. Per prima cosa si va sul sito e-vignette.ch, che porta alla sezione apposita del negozio online della Confederazione. Diffidate di qualunque link o sito alternativo e digitate sempre a mano il nome del sito e-vignette.ch; sono già attivi siti-truffa che cercano di approfittare della novità e della distrazione degli utenti.
Fatto questo, si clicca su Acquistare sotto l’icona del contrassegno elettronico 2024, si sceglie la categoria (nel mio caso, Veicolo a motore), il paese di immatricolazione (Svizzera, per me, ma si può scegliere il proprio paese se si è turisti), si inserisce due volte il numero di targa completo e infine si sceglie se permettere ad altri di sapere se è già stata emessa una e-vignetta valida per quel veicolo (questo è utile per chi usa veicoli a noleggio oppure in car sharing).
Fatto questo, si aggiunge la e-vignetta al carrello (cliccando su Aggiungi al carrello), si immette facoltativamente un indirizzo di mail al quale farsi spedire la conferma d’acquisto, si accetta la dichiarazione sulla protezione dei dati e finalmente si clicca su Vai alla cassa.
Il pagamento è effettuabile con Mastercard, Visa, American Express, Postfinance, l’online banking della Posta, Twint (un servizio di pagamento online molto popolare in Svizzera) e Google Pay.
Quando l’operazione va a buon fine, il sito avvisa che non è necessario stampare la ricevuta o portarla con sé in altra forma: in caso di controllo verrà verificata soltanto la targa. “Il controllo del contrassegno elettronico avviene tramite verifiche a campione della targa di controllo al confine da parte dei collaboratori dell'Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC), nonché all'interno del Paese dalla polizia. Non sono previsti impianti per i controlli automatizzati”, scrive l’UDSC stesso.

Addio raschietti e alcool e truciolini di plastica sparsi per l’abitacolo. I tradizionalisti possono comunque continuare con la vignetta fisica, che rimane disponibile.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.January 2, 2024
Antibufala: Sole 24 Ore, “Lo smartphone ci ascolta? Cominciano ad arrivare le prime evidenze”. Ma anche no
Il 28 dicembre scorso il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo intitolato “Lo smartphone ci ascolta? Cominciano ad arrivare le prime evidenze”, a firma di Marco Trabucchi. Il titolo è fuorviante e l’articolo rischia di creare un allarmismo inutile e ingiustificato.

In sintesi, il titolo suggerisce che tutti i telefonini siano impostati automaticamente per ascoltarci. Non è così, neppure secondo la fonte citata proprio dal Sole, che purtroppo non ha linkato la propria fonte. Però l’ho trovata io per voi, e la storia che racconta è parecchio diversa da quella suggerita dal titolo: si tratta di un ascolto reso possibile solo se si installa una specifica app che lo includa e solo se si accetta l’attivazione del microfono, che viene esplicitamente chiesta all’utente dal sistema operativo (Android o iOS). Non è una funzione incorporata o generalizzata presente in tutti i telefonini.
Quindi no, lo smartphone non ci ascolta: semmai è la singola app che può tentare di chiederci il permesso di ascoltarci. Se glielo neghiamo, le salvaguardie presenti nei sistemi operativi non le consentono di accedere al microfono. Che è esattamente quello che era già successo nel 2019 con l’app calcistica spagnola.
Niente di nuovo sotto il sole, insomma, ma la vicenda è un promemoria utile del fatto che non bisogna installare app a casaccio e soprattutto non bisogna concedere alle app di avere accesso a fotocamera e microfono senza un fondato motivo, perché le aziende di marketing ci provano in continuazione: per loro, noi non siamo persone, siamo consumatori. Siamo polli da spennare. A loro non interessa se la loro app registra le vostre conversazioni intime con il vostro medico o le prime esperienze amorose di vostra figlia: ci proveranno, e continueranno a provarci, per cui è doveroso fare resistenza.
Usate le app conosciute, fate attenzione a richieste strane di permessi di accesso e sarete a posto: ci penseranno gli esperti a leggersi le condizioni d’uso delle app più famose e rivelare eventuali clausole che prevedano l’ascolto automatico e indiscriminato delle conversazioni.
E se proprio non vi fidate nemmeno degli esperti indipendenti e siete convinti che comunque il vostro telefonino vi spii, allora che ci fate ancora con uno smartphone addosso?
Se volete tutti i dettagli, ho pubblicato una versione estesa di questo articolo su Patreon, ad accesso gratuito. Sto facendo un po’ di prove; ditemi cosa ne pensate nei commenti qui sotto.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.Oggi alle 11.30 sarò su Radio3scienza per parlare di “Carrying the Fire”

Ricordo che l’e-book costa 11,99 euro; il libro cartaceo costa 25 euro e si estende su 462 pagine. È ampiamente illustrato e corredato da un sito gratuito, aperto a tutti, pieno di foto personali e storiche di Michael Collins: Carryingthefire.it. Potete inoltre leggere gratuitamente un assaggio del libro sul sito dell’editore.
2024/01/02 15:50. Il podcast della puntata è disponibile qui. Noi cominciamo a 6:45.
Per l’occasione il conduttore ci ha chiesto, fuori onda durante la preparazione della puntata, di spiegare come mai proprio Collins si guadagnò il primato di “uomo più solo dell’universo” quando i suoi compagni scesero sulla Luna e lui rimase in orbita ad attenderli, perdendo il contatto radio con loro e con tutto il resto dell’umanità ogni volta che passava sopra la faccia nascosta della Luna.
Collins, infatti, non fu il primo astronauta a separarsi dai suoi compagni di missione dietro la Luna: due mesi prima di lui ci fu John Young, pilota del Modulo di comando e servizio (il veicolo spaziale principale) della missione Apollo 10, che a maggio del 1969 volò verso la Luna, si inserì in orbita intorno al nostro satellite e fece scendere fino a 14 chilometri dalla superficie lunare gli altri due membri dell’equipaggio, Tom Stafford e Gene Cernan, a bordo del Modulo lunare.
Sapreste rispondere?
Pubblicherò stasera la risposta: per chi non vuole attendere, la trova commentata nell’HTML di questo post.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.December 22, 2023
Se mi seguivate su Twitter, venite su Threads, Mastodon, Instagram o Telegram. Mi trasferisco lì
Con l’arrivo di Threads in Europa ho ancora meno motivi per continuare a usare Twitter/X per postare o per tenermi informato. Se mi seguivate su Twitter e vi interessa continuare a seguirmi, mi trovate su Threads (https://www.threads.net/@disinformatico), Instagram (https://www.instagram.com/disinformatico), Telegram (https://t.me/paoloattivissimo) e Mastodon (https://mastodon.uno/@ildisinformatico). Ho scritto adesso questo avviso anche su Twitter.
Annoto qui la situazione attuale dei follower, per fare il punto della situazione fra qualche mese:
Threads: 2051Instagram: 5066Telegram: 1934Mastodon: circa 10.400 (il server non indica il numero preciso)Twitter: 415.822Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.December 21, 2023
Podcast RSI - Arriva Threads: come usarlo e come scoprire la sua novità nascosta

ALLERTA SPOILER: Questo è il testo di accompagnamento al podcast Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera che uscirà questo venerdì presso www.rsi.ch/ildisinformatico/.
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.
---
[CLIP: Michelle Hunziker su Threads con un commento colorito]
È la voce di Michelle Hunziker, che in un post vocale su Threads ha brillantemente riassunto la reazione di molti all’arrivo anche in Europa dell’ennesimo social network legato a doppio filo a Instagram e agli altri servizi di Meta. Threads, presentato come rivale e possibile sostituto di Twitter (o X, come si chiama ora), sta suscitando curiosità, sfinimento e disorientamento, e questi sentimenti hanno fatto passare in secondo piano una sua novità ben più importante: la cosiddetta federazione, che rende possibile partecipare a un social network senza dovervi per forza aprire un account e installare un’app apposita, senza essere bombardati dalla pubblicità o da post indesiderati e senza regalare dati personali. E Threads non è l’unico servizio online che sta abbracciando questo nuovo corso di Internet, in cui una volta tanto siamo noi utenti a ricevere benefici e semplificazioni.
Benvenuti alla puntata del 22 dicembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io sono Paolo Attivissimo, e proverò a raccontarvi Threads e questa novità chiamata fediverso.
[SIGLA di apertura]
Miniguida a ThreadsIl 14 dicembre scorso è stato reso ufficialmente disponibile anche in Europa Threads, il nuovo social network di Meta [disponibile fuori UE da luglio 2023, come ho raccontato qui], visto da molti addetti ai lavori come l’ammazza-Twitter. In effetti Threads somiglia molto al rivale: serve a pubblicare aggiornamenti e fare conversazioni pubbliche con altri utenti, principalmente sotto forma di testi lunghi fino a 500 caratteri accompagnati da foto, registrazioni audio [massimo 30 secondi] e video [massimo 5 minuti] e link, usando l’app per smartphone oppure l’interfaccia Web di Threads.
Chi è già su Instagram può scaricare l’app di Threads e collegarla al proprio account Instagram, senza doversi inventare e ricordare un nuovo nome utente o una password aggiuntiva.

Questo semplifica molto la creazione di un account rispetto agli altri social network, e infatti le iscrizioni iniziali sono state molto numerose. Prima del rilascio in Europa, il nuovo social network di Meta contava già circa 100 milioni di utenti attivi mensili, sia pure con un certo declino dopo gli entusiasmi iniziali [stando a Quiver Quantitative, gli utenti totali sarebbero circa 160 milioni].
A differenza di Twitter e Instagram, Threads per ora non offre messaggi diretti, ossia indirizzati a specifici utenti e non visibili agli altri. Offre invece la possibilità estremamente utile di pubblicare link cliccabili nei normali post, cosa che Instagram invece non consente. Inoltre i testi dei post sono modificabili anche dopo la pubblicazione, cosa che Twitter consente solo agli utenti paganti; però la modifica su Threads è possibile soltanto entro i primi cinque minuti, che di solito comunque è quanto basta per sistemare gli errori di scrittura più frequenti.
Un’altra particolarità di Threads è il modo in cui usa gli hashtag. Se li scrivete nella maniera normale, ossia digitando il simbolo di cancelletto (#) davanti alla parola che volete usare come tag, il simbolo sparisce e tutto quello che scrivete da quel punto in poi diventa un tag cliccabile, anche se inserite degli spazi. Inoltre si può mettere un solo hashtag per ogni post. Un po’ disorientante, per chi è abituato a riempire i propri post di hashtag e farli diventare una selva puntuta di cancelletti.
C’è anche un’altra differenza importante rispetto a Instagram: Threads funziona benissimo anche su computer, in una scheda del browser, e offre praticamente le stesse funzioni presenti nell’app, a parte in alcuni casi i post vocali, mentre la versione browser di Instagram è estremamente limitata rispetto all’app. Visto che Threads è un social network basato principalmente sul testo, è utile poterlo usare su un computer, che ha una tastiera adatta per scrivere grandi quantità di parole.
Come Instagram e gli altri servizi social di Meta, anche Threads è gratuito nella sua versione base: l’azienda vive di pubblicità e di profilazione degli utenti, e quindi usare Threads comporta riversare negli archivi di Meta grandi quantità di dati personali. In sostanza, adottare Threads al posto di Twitter significa affidarsi comunque agli umori di un altro ultramiliardario, Mark Zuckerberg al posto di Elon Musk, e questo oggi suona un po’ come saltare dalla padella nella brace, visto il caos perdurante su Twitter, dove numerosi personaggi impresentabili (come il complottista statunitense Alex Jones) sono stati riammessi, Musk fa dichiarazioni e prende decisioni dirigenziali sempre più bislacche e imbarazzanti, gli account di numerose testate giornalistiche sono stati silenziati o si sono autosospesi, e gli inserzionisti pubblicitari hanno dimezzato i loro investimenti perché sono preoccupati per gli accostamenti dei loro marchi a post di odio, discriminazione e antisemitismo promossi dallo stesso Elon Musk.
John Oliver elenca i dettagli del caos di Twitter e delle dichiarazioni di Elon Musk.E se Zuckerberg facesse la stessa cosa? In fin dei conti, ha già dimostrato anche lui in passato di dare precedenza alla propria convenienza rispetto a quella degli utenti.
Se aggiungiamo a tutto questo la fatica di costruire da capo su Threads la rete di amicizie, contatti e account seguiti su Twitter o su altri social network, è comprensibile che l’arrivo di questo nuovo social network sia stato accolto con parecchie espressioni di sfinimento.
Ma nel caso di Threads c’è una differenza importantissima rispetto a tutti i social network commerciali precedenti e a quelli nascenti che tentano di prendere il posto di Twitter, come per esempio Bluesky. Questa differenza si chiama interoperabilità, ed è potenzialmente una rivoluzione nel modo in cui usiamo i social network e tutta Internet.
Threads entra nel fediversoDa pochi giorni su Threads è possibile fare una cosa che finora sembrava impensabile: scambiare messaggi con chi è su Threads senza dover essere iscritti a Threads.
Siamo ormai abituati all’idea, e ci sembra assolutamente normale e inevitabile, che per comunicare con chi usa WhatsApp ci si debba iscrivere a WhatsApp, per parlare con chi sta su Telegram ci si debba iscrivere a Telegram, per seguire e commentare su Instagram si debba aprire un account su Instagram, e così via. Il risultato è che ci troviamo a dover gestire una caterva di app social, tutte incompatibili tra loro, e abbiamo su ciascun social network tanti contatti, che non possono parlarsi tra loro e sono costretti a restare dove sono perché i loro contatti sono su quel social network.
È come se nella telefonia mobile chi ha uno smartphone Samsung potesse telefonare solo agli altri possessori di telefoni della stessa marca e non potesse assolutamente comunicare con chi ha un iPhone oppure un operatore telefonico differente. Una situazione che sarebbe demenziale per il consumatore, ma vantaggiosissima per le aziende, perché nessun loro cliente oserebbe mai cambiare marca o operatore e passare alla concorrenza, perché perderebbe tutti i propri contatti.
Con Threads non è così. Threads, infatti, sta iniziando a usare lo standard aperto di comunicazione denominato ActivityPub. È uno standard, più propriamente un protocollo, che permette ai social network di diventare compatibili tra loro, ossia interoperabili, e anche di federarsi, ossia consentire lo scambio di messaggi, ed è infatti già usato da molti servizi online, come Pixelfed, Peertube o Mastodon e, da pochi giorni, anche da Flipboard. L’universo dei servizi uniti dal questo protocollo comune si chiama fediverso.

In sintesi, l’adozione dello standard ActivityPub permetterà di interagire con gli utenti di Threads senza avere un account su Threads, usando semplicemente la propria app social compatibile preferita per seguire e commentare, e quindi senza dare dati personali e senza sorbirsi pubblicità. Con l’interoperabilità tutti possono comunicare con tutti.
Uno dei primi account interoperabili in questo modo è quello di Adam Mosseri, responsabile di Instagram, che può essere seguito da qualunque utente di qualunque social network aderente allo standard ActivityPub. Mosseri ha dichiarato, ovviamente in una serie di post su Threads, che nel corso del 2024 tutti gli account di questo social network potranno essere seguiti stando fuori da Threads e usando qualunque app che aderisca allo standard, mentre chi sarà su Threads potrà seguire anche chi ne sta fuori, per esempio su Mastodon, e potrà comunicare in modo diretto e trasparente con tutti. Cosa ancora più innovativa, un utente potrà abbandonare Threads e portare con sé altrove tutti i propri follower.
Per esempio, io ho un account su Mastodon, che è uno dei social network che aderiscono allo standard ActivityPub. Potrò seguire qualunque utente di Threads, ma anche di Flipboard, Firefish, Pleroma, GoToSocial, Pixelfed, Lemmy, PeerTube, Friendica o BookWyrm, standomene su Mastodon, usando la singola app che preferisco, senza sorbirmi pubblicità e senza pagare per non vederla: mi basterà aggiungere @threads.net dopo il nome dell’account Threads che voglio seguire. Tutto qui.
[CLIP: Gandalf dal Signore degli Anelli: “un anello per domarli tutti, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell'oscurità incatenarli” (colonna sonora musicale rimossa con Lalal.ai)]
Rischio fagocitazione?Può sembrare tutto molto complicato, ma se ci pensate un momento noterete che facciamo già tutti la stessa cosa con la mail senza batter ciglio: mandiamo continuamente mail a gente che sta su server di posta diversi dal nostro. Per esempio, chi ha una casella di mail su Gmail scambia messaggi con chi ce l’ha su Hotmail o sul server di posta della propria azienda, e viceversa; quando vogliamo mandare una mail, scriviamo il nome dell’utente destinatario seguito dal nome del server di posta di quel destinatario, che di solito è il nome del suo sito. Per mandare una mail a me presso la RSI, per esempio, scrivete il mio nome utente, che è paolo.attivissimo, seguito dal nome del server, che è rsi.ch. Fra i due mettete una chiocciolina e il gioco è fatto.
La cosa vi sembra normalissima perché Internet è nata proprio per consentire agli utenti di qualunque dispositivo di comunicare tra loro: sono stati i social network a erigere muri e recinti artificiali per impedire agli utenti di andarsene o di comunicare con chi sta fuori.
In altre parole, l’introduzione dell’interoperabilità su Threads significa che questi recinti possono cadere e che non ci deve per forza essere un colosso unico, come Meta, che diventa padrone e arbitro delle comunicazioni di miliardi di persone e milioni di organizzazioni, testate e aziende. Tutti possono comunicare con tutti, appunto, e possono farlo usando l’app che preferiscono, senza dover sottoscrivere le regole di un gestore unico, accettare i suoi algoritmi, i suoi account suggeriti da seguire, la sua moderazione arbitraria e la sua profilazione commerciale. Per miliardi di persone online, questo è un cambiamento enorme.
Threads sta entrando insomma nel fediverso, ma non tutti ne sono entusiasti. Cento milioni di utenti che sbarcano di colpo nell’universo dell’interoperabilità rischiano di sovraccaricare di traffico molti gestori di servizi online abituati finora a numeri ben più modesti. E il traffico ha un costo economico, che può diventare insostenibile per le isole più piccole dell’arcipelago che costituisce il fediverso. Più che entrare nel fediverso, Threads rischia di inglobarlo e fagocitarlo, travolgendo i gestori alternativi con costi di traffico che Meta può sostenere con disinvoltura, grazie agli introiti pubblicitari, ma che i gestori, spesso basati su donazioni e volontariato, non possono sopportare.
Alcuni di questi gestori hanno già alzato barriere di silenziamento preventivo contro Threads; altri si preparano allo tsunami di nuovi utenti, spammer e postatori compulsivi di “buongiornissimo caffè” con video di gattini da dieci megabyte l’uno. Il bello del fediverso è che ogni gestore, ogni istanza per usare il termine tecnico, può scegliere la propria strategia in base alle proprie risorse tecniche ed economiche senza che ne facciano le spese i suoi utenti.
Ma se Meta rischia di essere il proverbiale elefante nella cristalleria, allora non conviene semplicemente usare tutti Threads e lasciar perdere Mastodon e tutti gli altri? Non è così semplice. In Europa, Meta potrebbe entrare in conflitto con le norme contro il cosiddetto self-preferencing, ossia il trattamento preferenziale che una piattaforma offre a un proprio prodotto o servizio a scapito di quelli dei concorrenti [esempio su Agendadigitale.eu]. Threads, in altre parole, ha ricevuto una spinta molto speciale dal fatto di essere legato a Instagram. Mastodon e tutti gli altri servizi del fediverso non hanno questo rischio di conflitto.
Sia come sia, oltre a Threads ci sono tanti altri servizi online che stanno annunciando l’adozione dello standard ActivityPub o l’hanno già adottato, e il 2024 potrebbe essere l’anno in cui fediverso non è più la parola di moda del momento ma diventa un’industria concreta e una trasformazione dalla quale, una volta tanto, abbiamo benefici anche noi utenti.
Fonti aggiuntive: What to know about Threads, Eugen Rochko; 2023 in social media: the case for the fediverse, David Pierce, The Verge; Meta's Threads app launches across EU in blow to competitor X, Kari Paul, The Guardian; Threads is finally available to users in the EU, Ivan Mehta, Techcrunch; Threads launches for nearly half a billion more users in Europe, Jon Porter, The Verge.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.December 17, 2023
Stasera alle 19 diretta streaming con Tesla Owners Italia
Oggi alle 19 sarò in diretta streaming su YouTube con Tesla Owners Italia per parlare di auto elettriche, viste le ultime notizie di cronaca sugli incendi di questi veicoli, sul “richiamo” di due milioni di Tesla, sulla produzione delle batterie che emette più CO2 di un’auto termica e sull’aumento dei consumi di carbone che sarebbe legato alle auto elettriche. Parleremo insomma della malinformazione e le fake news in circolazione sul tema, e ci sarà spazio per parlare delle conclusioni della COP28 con chi ha vissuto dal vivo a Dubai le fasi finali della conferenza: Domenico Vito di Climate Reality Project. Si parlerà anche del Cybertruck e del mercato delle auto elettriche con Carlo Bellati di Automoto.it, e parteciperanno anche Daniele Invernizzi e Pierpaolo Zampini. La diretta sarà coordinata da Luca De Bo.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.“Carrying the Fire”, ordinatelo subito se lo volete leggere o regalare per Natale!

Noterete inoltre che finalmente possiamo svelare i gadget che abbiamo creato esclusivamente per i sostenitori del progetto: il segnalibro a forma di Saturn V, il cappellino con il logo creato appositamente da mio figlio Liam (artista grafico) e la replica di una delle schede perforate usate per caricare il programma di volo nel computer dei veicoli Apollo.
È stata una giornata molto bella, anche se per me la Dama del Maniero è stata anche parecchio frenetica, fra coordinamento delle copie da consegnare e firmare con dedica, risoluzione all’ultimo minuto dei problemi di videocollegamento per partecipare alla Giornata Nazionale dello Spazio (la registrazione è qui su YouTube) e preparazione del mio intervento pubblico, e quindi mi scuso con chi non ho potuto salutare di persona e per le chiacchierate che ho dovuto interrompere sul più bello perché dovevo scappare a portare pacchi di libri e riviste (gentilmente BBC Sky at Night edizione italiana ha portato una copia per tutti i presenti) o risolvere qualche magagna.
Mi raccomando: se volete ordinare una copia cartacea del libro, per leggerla o regalarla in tempo per Natale, ordinatela subito sulla pagina apposita del sito dell’editore, Cartabianca Publishing (https://cartabianca.com), perché la settimana prossima inizierà il picco delle spedizioni natalizie e ci sarà il delirio.
L’e-book costa 11,99 euro; il libro cartaceo costa 25 euro. È bello massiccio (462 pagine), ampiamente illustrato e corredato da un sito gratuito, aperto a tutti, pieno di foto personali e storiche di Michael Collins:Carryingthefire.it. Potete leggere gratuitamente un assaggio del libro sul sito dell’editore.







December 16, 2023
Promemoria: diretta streaming spaziale oggi dalle 15
Segnalo di nuovo l’incontro organizzato dall’Unione Astrofili Italiani e da ASIMOF che si terrà a Lainate per la Giornata Nazionale dello Spazio e che sarà trasmesso pubblicamente in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube dell'UAI.
Lo streaming è incluso qui sotto.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.December 15, 2023
Podcast RSI - Aitana Lopez e le influencer virtuali da “10.000 euro al mese”: ho provato a crearne una, eccola. Labirinto di illusioni

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare .
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
---
[CLIP: Spezzoni rimontati da video di YouTuber e canali di notizie internazionali che parlano di Aitana Lopez: 1, 2, 3, 4]
Aitana Lopez è una modella spagnola dai caratteristici capelli rosa. Ha 231.000 follower su Instagram, dove posta foto curatissime e commentatissime, che mettono in mostra la sua bellezza, e altrove su Internet mostra a pagamento tutte le proprie grazie. Ultimamente i media le hanno dedicato molte attenzioni, titolando che “guadagna 10.000 dollari al mese" [Corriere della Sera; La Stampa; HWupgrade; Wired.it] grazie ai contratti pubblicitari, ma Aitana ha una particolarità: non esiste. È una influencer virtuale: le sue foto sono tutte sintetiche, generate dall’onnipresente intelligenza artificiale, pilotata da un’agenzia di moda di Barcellona.

Se state pensando che 10.000 dollari al mese per delle foto siano una cifra perlomeno interessante e che però ci vogliano chissà quali tecnologie e competenze tecniche per creare una modella virtuale, metterla in posa e per farle indossare indumenti e prodotti da sponsorizzare, non è così. Lo so perché ci ho provato. Ho speso in tutto sei dollari, non ho dovuto acquistare macchinari particolari, e il risultato è sicuramente paragonabile a quello di Aitana Lopez in termini di aspetto, flessibilità di posa e vestiario, e soprattutto realismo fotografico: ne trovate qualche esempio su Disinformatico.info.

Questa è la storia di come ho creato una modella digitale, di come e perché la gente si entusiasma per delle immagini totalmente sintetiche, e del sorprendente sottobosco di persone e ditte che guadagnano dal boom degli aspiranti creatori di influencer virtuali, attratti dalla speranza di facili guadagni. Spoiler: i guadagni non sono affatto facili. Perlomeno non per i creatori.
Benvenuti alla puntata del 15 dicembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io, come al solito, sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
Aitana non è la prima modella virtualeL’idea di creare modelle virtuali non è nuova. Già nel 1999 debuttava Webbie Tookay, una modella generata e animata digitalmente, costata circa un milione di dollari e un anno di lavoro preparatorio e creata dall’animatore Steven Stahlberg per la celebre agenzia di modelle Elite Models.


Ne parlò persino, all’epoca, il compassato Wall Street Journal: nonostante il suo aspetto chiaramente sintetico, che visto oggi fa sorridere, e la camminata inconfondibilmente robotica, Webbie Tookay era una chiara anticipazione di un’idea che aveva senso economicamente da tutti i punti di vista: le modelle sintetiche “non invecchiano, non aumentano di peso e non fanno capricci”, per citare il Journal [“Won't Age, Gain Weight or Throw Tantrums”]. Non si stancano, non hanno mai le borse sotto gli occhi, non hanno partner discutibili, non fanno dichiarazioni imbarazzanti, non arrivano mai in ritardo agli appuntamenti di lavoro e azzerano le spese per voli e alberghi.
Nel 2016 è arrivata Lil Miquela [ne avevo scritto nel 2018], modella virtuale che ha quasi tre milioni di follower su Instagram e ha ottenuto contratti con Samsung, Calvin Klein e Prada, diventando il primo avatar digitale sotto contratto con un’agenzia di moda.
Visualizza questo post su Instagram
Miquela è decisamente più realistica di Webbie Tookay e nei suoi video interagisce con persone reali, comprese molte celebrità, ma c’è un trucco: il suo corpo è reale e solo il volto è creato digitalmente, sovrapponendolo a quello di una modella in carne e ossa.
Un video in cui la modella virtuale Lil Miquela “canta” e interagisce con persone.Aitana Lopez, invece, è completamente sintetica, concepita nel 2022 da Rubén Cruz dell’agenzia di moda spagnola The Clueless. Non usa più un corpo di una persona reale, e non è neppure un modello digitale tradizionale, un rendering 3D da posizionare e animare come Webbie Tookay o come i Na’vi di Avatar, Spider-Man e tanti altri personaggi digitali ai quali ci ha abituato il cinema. Aitana è generata direttamente tramite software di intelligenza artificiale.
View this post on Instagram
L’artista che la gestisce descrive a parole il suo aspetto, la posa e l’espressione che deve assumere, la sua acconciatura, il suo trucco, il vestiario che deve indossare, l’illuminazione della scena e l’ambientazione in cui deve collocarsi, e una quarantina di secondi dopo ottiene una serie di immagini praticamente indistinguibili da foto reali che corrispondono alla sua richiesta.
Diecimila dollari al mese per scrivere una serie di descrizioni e postare sui social network qualche foto sembrano soldi facili, e infatti ci stanno provando in molti. Ci ho provato anch’io per questo podcast, e in effetti generare queste immagini di persone virtuali è sorprendentemente facile e a buon mercato, e i follower e le richieste di collaborazione economica arrivano molto rapidamente.
Ma non fatevi troppe illusioni: la parte difficile è un’altra, e i vari tutorial sull’argomento fatti dagli YouTuber tendono a non parlarne.
Modelle facili, guadagni difficiliPrima di tutto va chiarito che quei diecimila dollari mensili raccontati dai media a proposito di Aitana Lopez non sono reali: Rubén Cruz, il suo creatore, ha dichiarato [Euronews] che la sua modella virtuale guadagna in media circa tremila euro al mese, e che diecimila sono solo il picco massimo; ma la cifra grossa è più sensazionale, e così i giornalisti hanno citato solo quella.
Comunque anche tremila euro al mese sono una cifra allettante, e Aitana Lopez non è l’unico caso di personaggio sintetico che fa incassare cifre mensili di tutto rispetto, soprattutto se l’offerta include immagini intime e piccanti, che sono vietate su Instagram ma accettabili su altre piattaforme. Prevengo subito un dubbio inevitabile: no, Onlyfans non accetta immagini fotorealistiche completamente sintetiche: almeno la faccia deve essere la vostra. Ho verificato e mi hanno bannato.
Se per caso a questo punto i vostri scrupoli morali all’idea di diffondere stereotipi di bellezza impossibili, inarrivabili e deprimenti insieme a luoghi comuni sessisti sono temporaneamente accantonati, perché quei soldi comprensibilmente sono una tentazione, e vi state chiedendo come si fa in concreto a generare immagini fotorealistiche di persone in pose specifiche e con indumenti specifici, fatte così bene da indurre aziende e follower a pagarle, chiarisco subito che praticamente tutti i generatori di immagini più famosi disponibili online non sono all’altezza del compito, perché producono volti umani dall’aspetto plasticoso e dallo sguardo vitreo, con mani malformate, e oltretutto vietano le immagini eccessivamente sessualizzate, perché c’è l’enorme problema delle foto sintetiche di minori e dei deepfake in cui il volto di una persona viene applicato perfettamente al corpo di un’altra in situazioni intime o imbarazzanti allo scopo di umiliare o molestare.
Anche i principali software scaricabili, come Stable Diffusion, hanno delle salvaguardie molto severe sui tipi di immagini generabili. Toglierle richiede notevole competenza informatica e in ogni caso usare software di questo genere richiede computer molto potenti e costosi, con schede grafiche dedicate, altrimenti generare un’immagine richiede decine di minuti. Se aspirate a diventare gestori di una influencer virtuale nella speranza di fare qualche soldo, insomma, non è questa la via da seguire.
Ci sono però alcuni siti e servizi online che hanno molti meno scrupoli etici e consentono di generare immagini anatomicamente corrette e con espressioni naturali: non li cito perché contengono, e permettono di generare, immagini decisamente discutibili sia in termini di sessualità che in termini di violenza, persecuzione e discriminazione. Quello che conta è che esistono, e sono sorprendentemente a buon mercato. Quello che ho usato io per generare la mia versione di influencer virtuale mi è costato in tutto sei dollari.
Con questa cifra ho potuto generare centinaia di immagini di prova intanto che imparavo l’oscuro linguaggio dei prompt, ossia delle descrizioni estremamente precise delle immagini desiderate, che vanno fatte in una sorta di inglese telegrafico con una sintassi tutta sua e per nulla intuitiva.
Nel giro di una settimana sono passato da rigide bambole di porcellana, la cui anatomia da incubo avrebbe fatto la gioia di David Cronenberg...





Qualche tentativo successivo, meno plasticoso ma comunque anatomicamente discutibile.
... a immagini sostanzialmente indistinguibili da foto reali, con volti espressivi, pelle ricca di dettagli come peluria, pori, nei, piccole rughe e sottili variazioni di colore.
[Le quattro foto seguenti sono esattamente come le ha generate il software, senza alcun ritocco da parte mia a parte un ritaglio di inquadratura e l’eliminazione di un piccolo artefatto digitale su un avambraccio]


View this post on Instagram
View this post on Instagram
Cose che mancano, va detto, anche nelle foto di persone reali mostrate dalle riviste di moda e dai social network, che ci hanno assuefatto a un aspetto profondamente artificiale del corpo umano.

Ho anche scoperto che il problema delle mani, che i generatori di immagini tramite intelligenza artificiale faticano a creare realisticamente, si risolve in un modo molto banale: quelle venute deformi vengono semplicemente escluse dall’inquadratura finale pubblicata. Fateci caso: è quello che succede anche con le immagini di Aitana Lopez.


Fra l’altro, questo è un buon metodo per riconoscere, almeno per ora, le immagini sintetiche: se le dita sono guarda caso appena fuori dall’inquadratura, è probabile che la foto sia generata. Guardate anche i nei: anche se oggi le intelligenze artificiali sono in grado di generare immagini multiple dello stesso volto, non riescono ancora a piazzare i nei sempre negli stessi punti del corpo. E il vestiario di queste modelle sintetiche, specialmente quello intimo, ha spesso delle asimmetrie innaturali.
Ma se è possibile accorgersi facilmente che si tratta di persone inesistenti, perché la gente segue le influencer virtuali e addirittura paga per vederle?
Cecità da allupamentoLa risposta è che la maggior parte delle persone, quando guarda le foto di questi personaggi sintetici, non vede avvisi che dicono che si tratta di immagini sintetiche, usa lo schermo piccolo del telefonino, che nasconde moltissimo questi dettagli rivelatori, e comunque è talmente distratta dall’aspetto fisico provocante di quello che sta guardando che, per dirla educatamente, la razionalità passa del tutto in secondo piano [avete notato, per esempio, i bitorzoli sulle clavicole della foto notturna della mia modella sintetica? Appunto]. Nessuno guarda le foto virtuali delle mutandine di pizzo virtuale indossate dalla formosissima modella virtuale e si accorge che il ricamo virtuale è asimmetrico.

E infatti la mia influencer sintetica sperimentale ha fatto subito colpo. Sono arrivati presto i primi follower e i primi like, sia su Instagram sia sull’altra piattaforma che ho usato, Fanvue [la stessa usata da Aitana Lopez, dove non ci sono restrizioni di nudo e ho usato l’intelligenza artificiale per aiutarmi a generare anche le descrizioni delle foto]. Un ragazzo, in una lunga chat [su Instagram], ha detto che voleva portarla fuori e farle visitare la sua città in Scandinavia. È stato gentile e molto sincero, e mi è spiaciuto non potergli dire che stava chattando con me e non con la sorridente ventiseienne che aveva ammirato. Solo una persona ha avuto qualche dubbio sulla realtà delle immagini; le altre hanno creduto tutte che si trattasse di foto reali.
Nel giro delle prime ventiquattro ore sono arrivati anche i primi contatti di lavoro, e persino i primi soldi. Ma è qui che è venuto a galla l’aspetto nascosto di questa recente foga di creare influencer virtuali: i contatti di lavoro erano proposte di pagare per farsi conoscere, per avere più follower, o per entrare in discutibili giri di marketing multilivello di bigiotteria, e quei primi soldi arrivati, ben cinque dollari, sono stati probabilmente versati – virtualmente, come tutto il resto – dalla piattaforma stessa per incoraggiarmi a pubblicare contenuti. Dopo non è arrivato più nulla. In pratica, finora ho chiuso più o meno in pareggio, ma di tremila o diecimila dollari al mese proprio non se ne parla.
Aitana, invece, incassa perché i suoi creatori hanno saputo farla promuovere in maniera virale dai media; era una novità e le sue immagini erano giornalisticamente accattivanti. Così tutti ne hanno parlato, ed è questo l’ingrediente del successo di un’influencer virtuale che i tanti aspiranti del settore difficilmente riusciranno a procurarsi.

Intorno alla speranza di facili guadagni, insomma, si è creata un’industria di servizi che monetizza questa speranza, offrendo tutorial su YouTube che incassano soldi grazie alle visualizzazioni pubblicitarie e agli sponsor, generatori di immagini specificamente orientati al vestiario o ad alcune parti anatomiche facilmente immaginabili, modelle e modelli virtuali chiavi in mano, voci sintetiche, servizi di sostituzione automatica dei volti e della voce in tempo reale per far credere a chi paga di stare davvero in videochiamata personale con il modello o la modella, chat automatizzate con i follower per spingerli ad abbonarsi e a spendere soldi, tutto nell’illusione di aver fatto colpo su una bella ragazza o su un bel ragazzo che in realtà nemmeno esiste. E ci sono naturalmente anche i follower automatizzati, che si comprano per dare l’impressione di essere popolari e quindi piazzarsi bene tra i profili consigliati dagli algoritmi dei social network.

È quindi importante rendersi conto che a questo punto non possiamo più credere a nulla di quello che vediamo su uno schermo, né in foto né in video, se non proviene da una fonte più che attendibile. Grazie all’uso distorto dell’intelligenza artificiale abbinata alla furbizia naturale, Internet si sta trasformando rapidamente in un universo popolato da persone sintetiche che dialogano con altre persone sintetiche a proposito di immagini false di bellezze che non esistono: Siri che chatta con Alexa e ChatGPT a proposito di Aitana Lopez.
In altre parole, per parafrasare Mark Twain, quando c’è una corsa all’oro, gli unici che guadagnano sicuramente sono i venditori di pale e picconi.
Fonti aggiuntive: Business Insider, Wishu.io, Medium.com.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.Podcast RSI - Influencer virtuali da 10.000 euro al mese, labirinto di illusioni: ho provato a crearne una, eccola

È disponibile subito il podcast di oggi de Il Disinformatico della Radiotelevisione Svizzera, scritto, montato e condotto dal sottoscritto: lo trovate qui sul sito della RSI (si apre in una finestra/scheda separata) e lo potete scaricare .
Le puntate del Disinformatico sono ascoltabili anche tramite iTunes, Google Podcasts, Spotify e feed RSS.
Buon ascolto, e se vi interessano il testo di accompagnamento e i link alle fonti di questa puntata, sono qui sotto.
---
[CLIP: Spezzoni rimontati da video di YouTuber e canali di notizie internazionali che parlano di Aitana Lopez: 1, 2, 3, 4]
Aitana Lopez è una modella spagnola dai caratteristici capelli rosa. Ha 231.000 follower su Instagram, dove posta foto curatissime e commentatissime, che mettono in mostra la sua bellezza, e altrove su Internet mostra a pagamento tutte le proprie grazie. Ultimamente i media le hanno dedicato molte attenzioni, titolando che “guadagna 10.000 dollari al mese" [Corriere della Sera; La Stampa; HWupgrade; Wired.it] grazie ai contratti pubblicitari, ma Aitana ha una particolarità: non esiste. È una influencer virtuale: le sue foto sono tutte sintetiche, generate dall’onnipresente intelligenza artificiale, pilotata da un’agenzia di moda di Barcellona.

Se state pensando che 10.000 dollari al mese per delle foto siano una cifra perlomeno interessante e che però ci vogliano chissà quali tecnologie e competenze tecniche per creare una modella virtuale, metterla in posa e per farle indossare indumenti e prodotti da sponsorizzare, non è così. Lo so perché ci ho provato. Ho speso in tutto sei dollari, non ho dovuto acquistare macchinari particolari, e il risultato è sicuramente paragonabile a quello di Aitana Lopez in termini di aspetto, flessibilità di posa e vestiario, e soprattutto realismo fotografico: ne trovate qualche esempio su Disinformatico.info.

Questa è la storia di come ho creato una modella digitale, di come e perché la gente si entusiasma per delle immagini totalmente sintetiche, e del sorprendente sottobosco di persone e ditte che guadagnano dal boom degli aspiranti creatori di influencer virtuali, attratti dalla speranza di facili guadagni. Spoiler: i guadagni non sono affatto facili. Perlomeno non per i creatori.
Benvenuti alla puntata del 15 dicembre 2023 del Disinformatico, il podcast della Radiotelevisione Svizzera dedicato alle notizie e alle storie strane dell’informatica. Io, come al solito, sono Paolo Attivissimo.
[SIGLA di apertura]
Aitana non è la prima modella virtualeL’idea di creare modelle virtuali non è nuova. Già nel 1999 debuttava Webbie Tookay, una modella generata e animata digitalmente, costata circa un milione di dollari e un anno di lavoro preparatorio e creata dall’animatore Steven Stahlberg per la celebre agenzia di modelle Elite Models.


Ne parlò persino, all’epoca, il compassato Wall Street Journal: nonostante il suo aspetto chiaramente sintetico, che visto oggi fa sorridere, e la camminata inconfondibilmente robotica, Webbie Tookay era una chiara anticipazione di un’idea che aveva senso economicamente da tutti i punti di vista: le modelle sintetiche “non invecchiano, non aumentano di peso e non fanno capricci”, per citare il Journal [“Won't Age, Gain Weight or Throw Tantrums”]. Non si stancano, non hanno mai le borse sotto gli occhi, non hanno partner discutibili, non fanno dichiarazioni imbarazzanti, non arrivano mai in ritardo agli appuntamenti di lavoro e azzerano le spese per voli e alberghi.
Nel 2016 è arrivata Lil Miquela [ne avevo scritto nel 2018], modella virtuale che ha quasi tre milioni di follower su Instagram e ha ottenuto contratti con Samsung, Calvin Klein e Prada, diventando il primo avatar digitale sotto contratto con un’agenzia di moda.
Visualizza questo post su Instagram
Miquela è decisamente più realistica di Webbie Tookay e nei suoi video interagisce con persone reali, comprese molte celebrità, ma c’è un trucco: il suo corpo è reale e solo il volto è creato digitalmente, sovrapponendolo a quello di una modella in carne e ossa.
Un video in cui la modella virtuale Lil Miquela “canta” e interagisce con persone.Aitana Lopez, invece, è completamente sintetica, concepita nel 2022 da Rubén Cruz dell’agenzia di moda spagnola The Clueless. Non usa più un corpo di una persona reale, e non è neppure un modello digitale tradizionale, un rendering 3D da posizionare e animare come Webbie Tookay o come i Na’vi di Avatar, Spider-Man e tanti altri personaggi digitali ai quali ci ha abituato il cinema. Aitana è generata direttamente tramite software di intelligenza artificiale.
View this post on InstagramA post shared by Aitana Lopez (@fit_aitana)
L’artista che la gestisce descrive a parole il suo aspetto, la posa e l’espressione che deve assumere, la sua acconciatura, il suo trucco, il vestiario che deve indossare, l’illuminazione della scena e l’ambientazione in cui deve collocarsi, e una quarantina di secondi dopo ottiene una serie di immagini praticamente indistinguibili da foto reali che corrispondono alla sua richiesta.
Diecimila dollari al mese per scrivere una serie di descrizioni e postare sui social network qualche foto sembrano soldi facili, e infatti ci stanno provando in molti. Ci ho provato anch’io per questo podcast, e in effetti generare queste immagini di persone virtuali è sorprendentemente facile e a buon mercato, e i follower e le richieste di collaborazione economica arrivano molto rapidamente.
Ma non fatevi troppe illusioni: la parte difficile è un’altra, e i vari tutorial sull’argomento fatti dagli YouTuber tendono a non parlarne.
Modelle facili, guadagni difficiliPrima di tutto va chiarito che quei diecimila dollari mensili raccontati dai media a proposito di Aitana Lopez non sono reali: Rubén Cruz, il suo creatore, ha dichiarato [Euronews] che la sua modella virtuale guadagna in media circa tremila euro al mese, e che diecimila sono solo il picco massimo; ma la cifra grossa è più sensazionale, e così i giornalisti hanno citato solo quella.
Comunque anche tremila euro al mese sono una cifra allettante, e Aitana Lopez non è l’unico caso di personaggio sintetico che fa incassare cifre mensili di tutto rispetto, soprattutto se l’offerta include immagini intime e piccanti, che sono vietate su Instagram ma accettabili su altre piattaforme. Prevengo subito un dubbio inevitabile: no, Onlyfans non accetta immagini fotorealistiche completamente sintetiche: almeno la faccia deve essere la vostra. Ho verificato e mi hanno bannato.
Se per caso a questo punto i vostri scrupoli morali all’idea di diffondere stereotipi di bellezza impossibili, inarrivabili e deprimenti insieme a luoghi comuni sessisti sono temporaneamente accantonati, perché quei soldi comprensibilmente sono una tentazione, e vi state chiedendo come si fa in concreto a generare immagini fotorealistiche di persone in pose specifiche e con indumenti specifici, fatte così bene da indurre aziende e follower a pagarle, chiarisco subito che praticamente tutti i generatori di immagini più famosi disponibili online non sono all’altezza del compito, perché producono volti umani dall’aspetto plasticoso e dallo sguardo vitreo, con mani malformate, e oltretutto vietano le immagini eccessivamente sessualizzate, perché c’è l’enorme problema delle foto sintetiche di minori e dei deepfake in cui il volto di una persona viene applicato perfettamente al corpo di un’altra in situazioni intime o imbarazzanti allo scopo di umiliare o molestare.


Anche i principali software scaricabili, come Stable Diffusion, hanno delle salvaguardie molto severe sui tipi di immagini generabili. Toglierle richiede notevole competenza informatica e in ogni caso usare software di questo genere richiede computer molto potenti e costosi, con schede grafiche dedicate, altrimenti generare un’immagine richiede decine di minuti. Se aspirate a diventare gestori di una influencer virtuale nella speranza di fare qualche soldo, insomma, non è questa la via da seguire.
Ci sono però alcuni siti e servizi online che hanno molti meno scrupoli etici e consentono di generare immagini anatomicamente corrette e con espressioni naturali: non li cito perché contengono, e permettono di generare, immagini decisamente discutibili sia in termini di sessualità che in termini di violenza, persecuzione e discriminazione. Quello che conta è che esistono, e sono sorprendentemente a buon mercato. Quello che ho usato io per generare la mia versione di influencer virtuale mi è costato in tutto sei dollari.
[Le quattro foto seguenti sono esattamente come le ha generate il software, senza alcun ritocco da parte mia a parte un ritaglio di inquadratura e l’eliminazione di un piccolo artefatto digitale su un avambraccio]


View this post on InstagramA post shared by Deirdre Rossini (@deir.dream)
View this post on InstagramA post shared by Deirdre Rossini (@deir.dream)
Con questa cifra ho potuto generare centinaia di immagini di prova intanto che imparavo l’oscuro linguaggio dei prompt, ossia delle descrizioni estremamente precise delle immagini desiderate, che vanno fatte in una sorta di inglese telegrafico con una sintassi tutta sua e per nulla intuitiva.
Nel giro di una settimana sono passato da rigide bambole di porcellana, la cui anatomia da incubo avrebbe fatto la gioia di David Cronenberg, a immagini sostanzialmente indistinguibili da foto reali, con volti espressivi, pelle ricca di dettagli come peluria, pori, nei, piccole rughe e sottili variazioni di colore. Cose che mancano, va detto, anche nelle foto di persone reali mostrate dalle riviste di moda e dai social network, che ci hanno assuefatto a un aspetto profondamente artificiale del corpo umano.

Ho anche scoperto che il problema delle mani, che i generatori di immagini tramite intelligenza artificiale faticano a creare realisticamente, si risolve in un modo molto banale: quelle venute deformi vengono semplicemente escluse dall’inquadratura finale pubblicata. Fateci caso: è quello che succede anche con le immagini di Aitana Lopez.


Fra l’altro, questo è un buon metodo per riconoscere, almeno per ora, le immagini sintetiche: se le dita sono guarda caso appena fuori dall’inquadratura, è probabile che la foto sia generata. Guardate anche i nei: anche se oggi le intelligenze artificiali sono in grado di generare immagini multiple dello stesso volto, non riescono ancora a piazzare i nei sempre negli stessi punti del corpo. E il vestiario di queste modelle sintetiche, specialmente quello intimo, ha spesso delle asimmetrie innaturali.
Ma se è possibile accorgersi facilmente che si tratta di persone inesistenti, perché la gente segue le influencer virtuali e addirittura paga per vederle?
Cecità da allupamentoLa risposta è che la maggior parte delle persone, quando guarda le foto di questi personaggi sintetici, non vede avvisi che dicono che si tratta di immagini sintetiche, usa lo schermo piccolo del telefonino, che nasconde moltissimo questi dettagli rivelatori, e comunque è talmente distratta dall’aspetto fisico provocante di quello che sta guardando che, per dirla educatamente, la razionalità passa del tutto in secondo piano [avete notato, per esempio, i bitorzoli sulle clavicole della foto notturna della mia modella sintetica? Appunto]. Nessuno guarda le foto virtuali delle mutandine di pizzo virtuale indossate dalla formosissima modella virtuale e si accorge che il ricamo virtuale è asimmetrico.

E infatti la mia influencer sintetica sperimentale ha fatto subito colpo. Sono arrivati presto i primi follower e i primi like, sia su Instagram sia sull’altra piattaforma che ho usato, Fanvue [la stessa usata da Aitana Lopez, dove non ci sono restrizioni di nudo e ho usato l’intelligenza artificiale per aiutarmi a generare anche le descrizioni delle foto]. Un ragazzo, in una lunga chat [su Instagram], ha detto che voleva portarla fuori e farle visitare la sua città in Scandinavia. È stato gentile e molto sincero, e mi è spiaciuto non potergli dire che stava chattando con me e non con la sorridente ventiseienne che aveva ammirato. Solo una persona ha avuto qualche dubbio sulla realtà delle immagini; le altre hanno creduto tutte che si trattasse di foto reali.
Nel giro delle prime ventiquattro ore sono arrivati anche i primi contatti di lavoro, e persino i primi soldi. Ma è qui che è venuto a galla l’aspetto nascosto di questa recente foga di creare influencer virtuali: i contatti di lavoro erano proposte di pagare per farsi conoscere, per avere più follower, o per entrare in discutibili giri di marketing multilivello di bigiotteria, e quei primi soldi arrivati, ben cinque dollari, sono stati probabilmente versati – virtualmente, come tutto il resto – dalla piattaforma stessa per incoraggiarmi a pubblicare contenuti. Dopo non è arrivato più nulla. In pratica, finora ho chiuso più o meno in pareggio, ma di tremila o diecimila dollari al mese proprio non se ne parla.
Aitana, invece, incassa perché i suoi creatori hanno saputo farla promuovere in maniera virale dai media; era una novità e le sue immagini erano giornalisticamente accattivanti. Così tutti ne hanno parlato, ed è questo l’ingrediente del successo di un’influencer virtuale che i tanti aspiranti del settore difficilmente riusciranno a procurarsi.

Intorno alla speranza di facili guadagni, insomma, si è creata un’industria di servizi che monetizza questa speranza, offrendo tutorial su YouTube che incassano soldi grazie alle visualizzazioni pubblicitarie e agli sponsor, generatori di immagini specificamente orientati al vestiario o ad alcune parti anatomiche facilmente immaginabili, modelle e modelli virtuali chiavi in mano, voci sintetiche, servizi di sostituzione automatica dei volti e della voce in tempo reale per far credere a chi paga di stare davvero in videochiamata personale con il modello o la modella, chat automatizzate con i follower per spingerli ad abbonarsi e a spendere soldi, tutto nell’illusione di aver fatto colpo su una bella ragazza o su un bel ragazzo che in realtà nemmeno esiste. E ci sono naturalmente anche i follower automatizzati, che si comprano per dare l’impressione di essere popolari e quindi piazzarsi bene tra i profili consigliati dagli algoritmi dei social network.

È quindi importante rendersi conto che a questo punto non possiamo più credere a nulla di quello che vediamo su uno schermo, né in foto né in video, se non proviene da una fonte più che attendibile. Grazie all’uso distorto dell’intelligenza artificiale abbinata alla furbizia naturale, Internet si sta trasformando rapidamente in un universo popolato da persone sintetiche che dialogano con altre persone sintetiche a proposito di immagini false di bellezze che non esistono: Siri che chatta con Alexa e ChatGPT a proposito di Aitana Lopez.
In altre parole, per parafrasare Mark Twain, quando c’è una corsa all’oro, gli unici che guadagnano sicuramente sono i venditori di pale e picconi.
Fonti aggiuntive: Business Insider, Wishu.io, Medium.com.
Scritto da Paolo Attivissimo per il blog Il Disinformatico. Ripubblicabile liberamente se viene inclusa questa dicitura (dettagli). Sono ben accette le donazioni Paypal.Paolo Attivissimo's Blog
- Paolo Attivissimo's profile
- 5 followers
