Giovanni De Matteo's Blog: Holonomikon, page 12
March 22, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 13. Metafisica del coronavirus
A mali estremi, misure estreme. Era inevitabile che prima o poi qualcuno si assumesse la responsabilità di far chiudere tutte le attività non essenziali in questo periodo di emergenza. Mettere il motore del paese al minimo, come ha detto il Presidente del Consiglio nel suo discorso alla nazione in diretta Facebook… la notte scorsa.
Alla fine, siccome i singoli datori di lavoro e le autorità regionali non si sono saputi far carico della responsabilità a cui erano chiamati, se non in pochi casi, al punto da tenere in produzione la gran parte delle attività localizzate in Lombardia, la decisione con relativo annuncio annesso è arrivata direttamente dallo Stato centrale.
Era facilmente prevedibile, dato che la notizia già circolava da giovedì-venerdì, eppure ancora una volta la forma della comunicazione ha lasciato ampiamente a desiderare. Proprio come nelle occasioni precedenti (in cui di volta in volta fughe di notizie e ritardi comunicativi hanno contribuito a creare un clima di attesa snervante, risolvendosi poi nelle ben note partenze tutt’altro che intelligenti dalle regioni del Nord per portare nel resto del paese il contagio di focolai che potevano essere facilmente tenuti sotto controllo), anche stavolta le recidive strategie comunicative del governo e in particolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono state incomprensibili, scriteriate e in definitiva ingiustificabili, tanto più alla luce della criticità della situazione che ha condotto all’adozione delle misure che bisognava annunciare.
La diretta Facebook annunciata per le 22.45 e iniziata con quasi un’ora di ritardo è un canale non commisurato alla gravità delle circostanze. Una scelta in linea con la progressiva inutilità informativa assunta dalla conferenza stampa giornaliera della Protezione Civile, una liturgia ormai fine a se stessa di cui un po’ tutti, per varie ragioni, abbiamo avuto modo di lamentarci negli ultimi giorni.
L’avvocato del popolo Giuseppe Conte che si rivolge alla webcam leggendo il discorsetto preparato con i suoi collaboratori, non esattamente quelli che si definirebbero uomini e donne provvisti di un qualche senso dello Stato, somiglia sempre di più a un eggregora o un tulpa, una proiezione mentale della compagine di governo evocata all’occorrenza per battersi contro la minaccia metafisica di un nemico invisibile e sfuggente come un virus.
E il racconto mediatico delle misure contenitive disposte per arginare la diffusione dell’epidemia è sempre di più a questo che assomiglia, con gli stucchevoli dibattiti sul jogging e le chiusure dei supermercati e gli interventi di opinionisti senza la minima competenza in materia richiesta da un tema tanto delicato.
Sappiamo che si sta combattendo una guerra, che siamo nel vivo di un’emergenza sanitaria senza precedenti, ma finché qualcuno non ci impone un giro di vite a danno dei nostri diritti è come se quella guerra questa emergenza fosse confinata in un qualche piano astrale. E invece è una guerra un’emergenza che ci riguarda tutti, anche se molti fanno ancora fatica a capirlo, la nostra classe dirigente non diversamente da tutti gli altri.
Edit 13:30. La retorica bellica francamente ci ha saturati. Scusate se ci sono cascato a mia volta.
March 21, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 12. Prigionieri della zona morta
Ha senso continuare a registrare i numeri, inserirli nei nostri modelli statistici per calcolare regressioni ed estrapolare tendenze future? Oggi in Italia abbiamo superato i 50mila casi (53.578 per l’esattezza, 6.557 più di ieri), con 42.681 casi attivi documentati (+4.821), tra isolamento domiciliare (22.116) e più di 20mila ricoverati in ospedale, di cui 2.857 in terapia intensiva.
La provincia più colpita continua a essere Bergamo, ormai quasi a 6mila casi, ma la crescita di Milano città (a 1.829 casi) e provincia (a 4.672) comincia a destare preoccupazione. Se non dovessero esserci segnali di miglioramento entro i prossimi giorni, qualcuno – su entrambi i versanti dello schieramento politico – dovrebbe avere la decenza di scusarsi con i cittadini lombardi e italiani per il messaggio deleterio inviato con le varie iniziative collegate all’hashtag #milanononsiferma.
I test effettuati sono stati 233.222, con un tasso di positivi pari al 23%, a riprova del fatto che l’adozione delle linee guida ministeriali ha portato a test estremamente mirati: per confronto, consideriamo che in Corea del Sud sono stati effettuati oltre 300.000 test con un tasso di positività inferiore al 3%. E le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità vanno proprio in quella direzione. L’Italia, in altre parole, avrebbe dovuto testare a questo punto più di un milione e mezzo di persone.
Nel mondo i casi hanno superato quota 300.000: un contagio documentato su sei è stato contratto in Italia, ma il tasso di crescita negli Stati Uniti è se possibile ancor più preoccupante che da noi, continuando a raddoppiare ogni due giorni.
Al momento attuale, non possiamo dire molto di vagamente sensato né su quando avremo il picco in Italia né su quando potremo ritenere di essere pronti a tornare alla vita di prima, in Italia e nel mondo. Viviamo a tutti gli effetti in una zona morta: non più una dimensione simbolica e filosofico-morale, ma una condizione umana in cui qualsiasi tentativo di estrapolazione e proiezione verso l’orizzonte del futuro è letteralmente azzerata.
Tuttavia la tendenza che registravamo ieri è proseguita anche oggi: la percentuale di ricoverati ICU rispetto al totale dei casi positivi in corso è scesa sotto il 7%. Appare un po’ meno sicuro il dato sulla percentuale di saturazione, ma secondo il consueto situation report di Intelworks dovremmo essere al 46,5% dei 6.141 posti totali a cui si è giunti nel frattempo. Come potete vedere dallo spaccato regionale, la situazione è già al limite della sostenibilità oltre che in Lombardia in almeno altre quattro regioni, tutte già potenziate o in corso di potenziamento.
Probabilmente la prima cosa che ci converrà guardare d’ora in avanti saranno proprio questi indicatori: i posti ICU disponibili, il numero di ricoverati ICU e il relativo tasso di saturazione per regione. Se lo scenario più conservativo tra quelli oggi plausibili prevede un picco di massima diffusione di più di 80mila casi contemporaneamente attivi (circa il doppio di quelli che abbiamo oggi), significa anche che l’originario piano di potenziamento delle terapie intensive disposto dal Ministero della Salute dovrà essere adeguato, aggiungendo almeno 3-4mila posti ai 7.635 finali che ancora si prevedono: questo implica non solo un numero maggiore di macchinari per la ventilazione assistita, ma anche più personale medico e infermieristico, anche per compensare il personale che inevitabilmente finisce per contrarre il virus (ad oggi, più di duemila).
Senza questi 10-12mila posti ICU (il doppio di quelli fin qui disponibili), le vittime potrebbero diventare migliaia al giorno per molti giorni, qualcosa che nessuno si augura di dover mai commentare.
March 20, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 11. I fatti e la loro rappresentazione
20 marzo 2020, equinozio di primavera. Un’altra giornata nera per l’Italia.
Il totale dei casi registrati sale a 47.021 (5.986 più di ieri). Deceduti: 4.032 (+627), tasso grezzo di letalità: 8,6%. Guariti: 5.138 (+698).
Totale casi attivi: 37.851 (+4.670). Ricoverati in terapia intensiva: 2.655 (+157), corrispondenti al 7% sul totale dei casi attuali. Tasso di saturazione stimato dei posti letto in terapia intensiva: 45%.
Guardando i dati diffusi dalla Protezione Civile ci accorgiamo che il numero dei ricoverati in terapia intensiva non sta crescendo con la stessa rapidità dei casi positivi in corso: lo scollamento non è fluttuante ma mostra un progressivo aumento da una decina di giorni a questa parte.
Nell’immagine seguente lo scostamento è più evidente, ed è rappresentato da quello scalino tra l’andamento attuale dei ricoveri in ICU (intensive care unit) e quello stimato al tasso delle prime due settimane della crisi (mediamente intorno al 10% del numero dei casi attivi): rispettivamente la linea rosso/arancio e quella blu elettrico con gli indicatori.
Naturalmente il numero dei ricoveri in terapia intensiva non può superare la capienza dei reparti (linea rossa spezzata, già comprensiva del piano di rafforzamento disposto dal Ministero della Salute), anzi non vi si può nemmeno avvicinare: si stima che a regime un terzo circa dei posti totali non siano destinabili a trattamenti per il COVID-19, e quindi l’andamento attuale sembra piuttosto un effetto del progressivo assorbimento della richiesta crescente di ICU nelle regioni più colpite (in particolare la Lombardia, dove da diversi giorni decine di contagiati bisognosi di cure vengono trasferiti in strutture in altre regioni).
Essendo giunti a questo punto e con un tasso di contagi accertati compatibile con un livello di massima diffusione del COVID-19 (picco dei casi attivi) di più di 80mila casi, più del doppio delle cifre su cui ragionavamo solo all’inizio di questa settimana (non ero il solo), gli scenari si fanno decisamente cupi. Per di più stiamo cercando di fare previsioni ragionando su cifre fortemente condizionate dal bias delle procedure ministeriali (secondo cui andavano testati solo soggetti con sintomi che avessero avuto un link epidemiologico chiaro con i focolai o con altri contagiati): quello che sta succedendo oggi è l’effetto di una situazione solo in parte sotto controllo due-tre settimane fa e che nel frattempo ha avuto modo di evolvere secondo dinamiche caotiche. E nel frattempo continuiamo a fare molti meno tamponi di quanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce di fare.
Così più passano i giorni più aumenta la distanza tra lo stato dei fatti e la rappresentazione che ne possiamo dare. Come dicevamo anche ieri, ormai i dati della Lombardia sono legati solo in parte alla reale entità del contagio. Un ottimo articolo in merito è apparso proprio oggi, nemmeno a dirlo, sul Post.
E sempre dal Post apprendiamo che i 466 casi attualmente positivi in Puglia avrebbero avuto tutti contatti nelle settimane scorse con persone arrivate dalle regioni del Nord Italia. Un’altra cittadina è stata chiusa dopo i casi in Campania: questa volta è toccata a Fondi, in provincia di Latina, mentre un uomo risultato positivo al tampone dopo il decesso del padre è fuggito da un ospedale della Val Brembana e ha fatto perdere le sue tracce: carabinieri, vigili del fuoco e soccorso alpino sono impegnati nelle ricerche.
Tornando all’epicentro della crisi epidemica in Lombardia, alle ipotesi iniziali della scorsa settimana sul trigger che avrebbe accelerato la diffusione del coronavirus si sono continuati ad aggiungere ulteriori dettagli. Una combinazione letale di negligenza e superficialità ha piazzato una bomba a orologeria sotto i piedi di un’intera comunità. Anteporre il fatturato delle aziende alla salute dei lavoratori e delle loro famiglie ha fatto il resto.
A futura memoria: quando lo avremo superato, ricordatevi di quanto faceva schifo il capitalismo https://t.co/5GSglhol64
— Marina Calculli (@marinacalculli) March 20, 2020
March 19, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 10. Zona Rossa a tempo indeterminato
19 marzo 2020. La sinistra contabilità del contagio è sempre più impietosa.
Totale dei casi registrati: 41.035 (con 5.322 nuovi casi). Deceduti: 3.405 (+427), tasso grezzo di letalità: 8,3%. Guariti: 4.440 (+415).
Totale casi attivi: 33.190 (+4.480). Ricoverati in terapia intensiva: 2.498 (+241), corrispondenti all’8% sul totale dei casi attuali. Tasso di saturazione stimato dei posti letto in terapia intensiva: 42%, grazie all’incremento dei posti disponibili da 5.293 a 5.951.
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(C) Il Sole 24 Ore.
Ogni giorno va peggio.
Ancora una volta la Lombardia ha fatto segnare un salto in avanti nel conteggio dei casi e delle vittime: sono quasi 20mila i contagi accertati e più di duemila i decessi. Ma gli esperti suggeriscono di non guardare più i numeri della regione, che avrebbero perso significato per via sia della sottovalutazione iniziale dei casi (si parla di ben un ordine di grandezza) che dell’attuale stato di stress del sistema sanitario lombardo (il numero dei decessi sarebbe più alto di quanto fornito dalle stime ufficiali).
La foto che forse immortala questa fase della pandemia ha fatto nelle ultime ore il giro del mondo: rappresenta una colonna di mezzi militari che attraversa le strade di Bergamo per trasportare i feretri dei defunti che non possono più essere cremati nel cimitero cittadino: verranno cremati in altre città della regione e delle province limitrofe e faranno poi ritorno nel capoluogo orobico.
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(C) ANSA.
Cosa abbia trasformato Bergamo nella capitale italiana dell’epidemia è ancora ignoto, ma iniziano a circolare alcune ipotesi e testimonianze. L’auspicio è che davvero nelle province più colpite di Bergamo, Brescia e Cremona il picco sia vicino, e che Milano non raggiunga i loro livelli di diffusione. A questo proposito ha fatto molto discutere nei giorni scorsi la notizia del tracciamento degli spostamenti operati sui residenti lombardi, che rivelerebbe un calo di circa il 60%, ritenuto insufficiente a rendere efficaci le misure restrittive disposte dal governo. Si parla già di un’estensione delle disposizioni straordinarie oltre i termini iniziali (25 marzo per le attività commerciali, 3 aprile per scuole, università e spostamenti) e di un giro di vite contro i trasgressori.
Ma nel disagio non dobbiamo dimenticare l’impatto che le misure di distanziamento sociale dello stato di emergenza in corso stanno avendo, come sempre, inevitabilmente, sulla vita (e sulla qualità della vita) di malati e disabili, senzatetto, migranti. La prossima volta che ci verrà voglia di lamentarci, facciamo lo sforzo di pensare all’effetto che le misure di contenimento del coronavirus stanno avendo sulla loro condizione. E proviamo a non dimenticarci di loro.
When is enough enough?
Over the last week the corona virus has almost completely taken over the news cycle. And the measures that are being taken against it especially. Self isolation, “social distancing”, curfews, bans on public gatherings, fines…..
— black racoon (@blackracoon16) March 19, 2020
March 18, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 9. 28 giorni dopo il primo caso confermato
Italia, 18 marzo 2020. 28esimo giorno dal primo caso confermato di COVID-19 all’interno del territorio nazionale. Nono giorno dalla trasformazione del paese in un’unica, grande Zona Rossa.
Totale dei casi registrati: 35.713 (+4.207). Deceduti: 2.978 (+475), tasso grezzo di letalità: 8,3%. Guariti: 4.025 (+1.084).
Totale casi attivi: 28.710 (+2.648). Ricoverati in terapia intensiva: 2.257 (+197), corrispondenti al 7,9% sul totale dei casi attuali. Tasso di saturazione stimato dei posti letto in terapia intensiva: 43%.
Non è stata una bella giornata. Il numero delle vittime ha toccato il suo massimo giornaliero a oggi, portando l’Italia[image error] a un soffio dal bilancio finale della Cina. Non è un pronostico difficile da fare, ma probabilmente nella giornata di domani supereremo anche quello che fino a oggi continua a essere considerato il paese più colpito dall’epidemia di COVID-19 (il presidente USA Donald Trump lo ha ripetutamente definito, fiero della propria fermezza razzista, il «virus cinese»), e lo faremo con poco più di un terzo dei casi totali registrati da Pechino.
Ma il problema non è più solo italiano e questo è evidente a tutti.
I paesi europei hanno superato sia come numero totale dei contagi che come vittime la Cina. Lo screenshot qui a destra proviene dalla solita dashboard del Center for Systems Science and Engineering (CSSE) della John Hopkins University. Dopo la Spagna, anche la Germania e la Francia hanno scavalcato la Corea del Sud.
Misure straordinarie stanno per essere adottate, malgrado i proclami della scorsa settimana, anche dal Regno Unito, dove le vittime hanno superato quota 100. Le cazzate si pagano (e considerando le modalità del conteggio operato dal sistema sanitario britannico, che a differenza dell’Italia non tiene conto dei decessi in cui erano già presenti patologie pregresse), il conto è probabilmente già più salato di quello che testimoniano i numeri.
Quello che desta più preoccupazione in Italia, al momento, è l’alto tasso di mortalità. Sicuramente l’allarme lanciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nei giorni scorsi non è stato recepito con la forza sperata e molti paesi, sebbene per ragioni diverse, continuano a effettuare meno test di quelli che la WHO ritiene necessari. Ma forse nell’alto numero di vittime registrate in Lombardia c’è anche altro, come suggeriscono le parole della virologa Ilaria Capua.
Dopo l’ultimo bollettino ho aggiornato i dati nel mio modellino e la semplice regressione logistica a cui mi sto affidando per estrapolare l’evoluzione futura dell’epidemia in Italia porta allo scenario riportato nel grafico qui in basso.
March 17, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 8. Se credete che questo mondo sia brutto…
Italia, 17 marzo 2020. 27simo giorno dal primo contagio registrato di coronavirus all’interno del territorio nazionale. Ottavo giorno dalla trasformazione del paese in un’unica, grande Zona Rossa.
Totale dei casi registrati: 31.506 (+3.526). Deceduti: 2.503 (+345), tasso grezzo di letalità: 7,9%. Guariti: 2.941 (+192).
Totale casi attivi: 26.062 (+2.989). Ricoverati in terapia intensiva: 2.060 (+209), corrispondenti al 7,9% sul totale dei casi attuali.
Ieri un uomo fuori forma è stato sorpreso a passeggio in una strada del centro di Roma. Malgrado le restrizioni, lo stato di emergenza, le disposizioni di distanziamento sociale e le sanzioni previste per chiunque le violi. Un uomo con la sua fidanzata. Scortati.
L’uomo fuori forma è lo stesso che sette mesi fa si aggirava in tournée per le spiagge italiane, invocando i pieni poteri. I cittadini italiani glieli avrebbero concessi, a suo dire. Il popolo italiano era con lui, contro l’invasione dei migranti, contro l’Europa matrigna, contro i burocrati. Con lui, l’uomo comune, l’uomo comune che ama la bella vita, come ogni italiano che si rispetti, la Nutella, il buon cibo quando se lo può permettere altrimenti va bene anche il cibo di merda, il vino, il calcio (e il tifo ultrà e gli spacciatori delle curve). Un uomo come tanti, che come ogni italiano che si rispetti ama le soluzioni semplici, perché questo vogliono le menti semplici. E pazienza che il mondo sia invece complesso, richieda letture complesse e troppo spesso fallibili… i professoroni si mettano l’anima in pace, hanno studiato tanto ma per niente, questo mondo non appartiene a loro ma alla gente comune, che lo sottomette e piega alla propria volontà e al proprio gusto, perché è questo che evidentemente gli hanno insegnato decenni di dieta a base di ottima melassa televisiva.
L’uomo passeggiava per le strade di una Roma in stato di quarantena, con la sua scorta e la sua fidanzata, mano nella mano (con la fidanzata, non con la scorta, per quanto… ma non divaghiamo). E un pensiero mi ha attraversato la testa. per l’ennesima volta negli ultimi otto giorni, da quando questo stato di emergenza è cominciato, da quando sessanta milioni di italiani sono in stato di isolamento forzato, costretti nei loro domicili, al più con il permesso di spostarsi per comprovate esigenze lavorative o per situazioni di necessità o per motivi di salute. Tutte valide ragioni, come andare a prendere una boccata d’aria con la scorta e la fidanzata, benché i moduli delle autocertificazioni del governo non prevedano quest’ultimo caso. Era un pensiero un po’ perverso, come capita alle menti costrette all’inazione. Un pensiero accompagnato da un lungo brivido.
Il pensiero che quell’uomo che se ne andava a spasso per la capitale, mano nella mano con la sua fidanzata e la sua scorta (non necessariamente in quest’ordine… ma lasciamo stare), se sette mesi fa non avesse deciso di giocare un all in su una puntata perdente, oggi sarebbe stato pienamente titolato a disporre nello stato di emergenza misure restrittive che si addicono a uno stato di polizia, nelle cui maglie sarebbe stato facile trarre i presunti nemici della nazione, del popolo italiano, del cuore immacolato di maria. E con qualche minima estensione interpretativa, senza nemmeno il bisogno di approvare modifiche al decreto, instaurare un regime del terrore in cui un qualunque buzzurro legittimato dal consenso popolare o dalla sua divisa avrebbe potuto citofonare alla casa di un privato cittadino e autoinvitarsi nel suo domicilio per inquisirlo: lei spaccia? nasconde pacchi di carta igienica? colleziona boccette di amuchina?
Un sogno bagnato per ogni caudillo. L’estasi per il piccolo sceriffo che alberga dentro ogni fascista.
Per fortuna, la storia è andata diversamente. E per questo, quando mi viene da incupirmi per il clima distopico di questi giorni, mi basta ripensare a quell’uomo piccolo piccolo, ma non mentre passeggia per Roma, ma quando in piena sbornia da consensi, nel bel mezzo dell’estate, forse per un mancino colpo di sole o solo per uno scherzo del destino, si piantò la zappa sui piedi dall’alto del suo 30% di supposta – nel senso di presunta, non fraintendete – egemonia elettorale. Un uomo piccolo piccolo, che si è fatto fuori con le sue mani, risparmiandoci dolori e sofferenze ancora più grandi dei sacrifici a cui siamo chiamati.
Ed è così che mi convinco che ce la faremo. Perché questa non è una tragedia, il tempo delle tragedie è trascorso. La storia italiana è ormai ben avviata sulla strada della farsa e del grottesco. Un’eterna tragicommedia dalle fiacche risate, ma pur sempre inconciliabile con la fine di tutte le cose.
State allegri. Il peggio forse non è ancora passato. Ma se non altro non siamo nemmeno ancora fottuti.
COVID-19: di cosa parliamo quando parliamo di picco dei contagi
Un picco da 30-40 mila casi? È quello che stiamo sentendo da ieri nei telegiornali. Numeri da fare accapponare la pelle. Ormai è tutto un rincorrere la notizia del picco, perché nei modelli matematici più semplici – vale a dire quelli che semplificano lo scenario come un’unica gaussiana e non come una sovrapposizione di più gaussiane locali possibili, nella speranza che le misure di distanziamento sociale intraprese dal governo a partire da due settimane non siano vanificate dai comportamenti irresponsabili dei cittadini – il picco rappresenta il punto di volta, il punto oltre il quale il numero di nuovi contagi giornalieri comincia a decrescere e la situazione si stabilizza verso l’asintoto verticale di una curva sigmoidale (ricordate il post di ieri?).
Tuttavia mi sembra che si stia facendo un po’ di confusione sui media, tanto per cambiare. Un picco da 30-40 mila nuovi casi prefigurerebbe uno scenario apocalittico, in special misura per la pressione che questo significherebbe sulle strutture sanitarie del Paese. Se consideriamo lo scenario C che esaminavamo la settimana scorsa, e ipotizziamo un picco in linea con quelli che sono i numeri che circolano nei telegiornali e sulla stampa, notiamo subito un primo disallineamento temporale rispetto alle date che accompagnano questi numeri: anziché essere per la fine di questa settimana, come ci viene detto, sarebbe invece per la fine del mese:
Ma ancora peggio, come potete vedere dalla curva dei casi totali cumulati: la sigmoidale andrebbe ad assestarsi oltre i 900mila casi (linea gialla, con scala sull’asse secondario a destra), richiedendo cure intensive per decine di migliaia di persone (la linea rossa, che come le altre relative ai nuovi casi e ai posti disponibili in terapia intensiva va invece letta in relazione alla scala dell’asse primario a sinistra). Posti che naturalmente non ci sono e sarebbe un problema ingestibile creare.
Ecco cosa significa quando si parla di picco da 30-40 mila casi. Ed ecco perché non è né auspicabile, né – fortunatamente – realistico con le severe misure di contenimento fin qui disposte e attuate o in corso di attuazione.
Più verosimile invece che la stampa, con picco da 30-40 mila casi, si riferisca al trend dei casi attivi e non dei nuovi contagi. Che in effetti, nello scenario E che sembra delinearsi dalla scorsa settimana, pare anche in linea con la stima di un massimo di casi attivi, effetto dei contagi totali sviluppati dall’inizio dell’epidemia al netto delle vittime e dei guariti, in corrispondenza del 27 marzo (quindi la fine della settimana prossima, non questa) e con un picco proprio di 40 mila unità.
Perché il contagio da coronavirus rimanga sotto controllo nel nostro paese, il picco dei nuovi casi dovrà invece rimanere ben al di sotto di questa soglia, circoscritto nell’ordine delle migliaia di unità, fermandosi possibilmente prima di raggiungere i 7-8 mila casi. Ma, come vedevamo sempre ieri, l’auspicio in realtà è che si fermi molto più in basso, intorno alla metà di questi valori, ovvero dove ci troviamo proprio in questi giorni (linea blu nel grafico qui sopra, da leggersi in relazione alla scala sull’asse verticale secondario a destra).
March 16, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 7. Sulla cresta dell’onda
La dashboard dell’osservatorio globale sulla diffusione della sindrome da COVID-19 del Center for Systems Science and Engineering (CSSE) della John Hopkins University oggi si presentava cosi:
Il conto dei casi totali per la prima volta ha doppiato la Cina: 178.508 nel mondo contro gli 81.032 delle province cinesi. L’Italia, ormai stabilmente al secondo posto, ha raggiunto 27.980 contagi e superato la soglia di un terzo dei casi registrati in Cina. Se pensate che due settimane avevamo 2.500 casi, meno del dieci per cento dei casi attuali, mentre la Cina aveva appena oltrepassato la soglia allora per noi remota degli 80.000 contagi, vi renderete conto di due cose: come funziona una crescita esponenziale, che per sua natura riesce a stravolgere la prospettiva nel volgere di breve tempo, sovvertendo la linearità dei fenomeni per noi più intuitivi; e come le misure di distanziamento sociale possano riuscire a flettere la curva di espansione del virus mutando la crescita esponenziale in una funzione sigmoidale, mandandola a stabilizzarsi verso un asintoto orizzontale (è tutto illustrato con delle utili dimostrazioni pratiche in questo illuminante articolo del Washington Post). Quell’asintoto è il tetto della crescita, il coperchio sulla padella di olio infiammato che soffoca l’esplosione del fuoco prima che sia troppo tardi: in Cina ha funzionato, Italia e Spagna stanno provando a farla funzionare.
Il governo di Madrid, che ha schierato l’esercito per presidiare le stazioni ferroviarie nelle principali città e ha autorizzato la polizia a servirsi di droni per sorvegliare gli spostamenti dei cittadini, si appresta a chiudere le frontiere e a disporre un’estensione delle misure restrittive oltre i 15 giorni originariamente previsti. Anche la Svizzera si è decisa a dichiarare lo stato d’emergenza, che durerà più di un mese, fino al 19 aprile. La Francia ha rinviato a giugno il secondo turno delle comunali, mentre la Germania ha varato misure straordinarie per fronteggiare la crisi.
Il primo ministro britannico Boris Johnson, che appena quattro giorni fa annunciava al Regno Unito il piano del suo governo di non arginare la diffusione del contagio, è tornato sui suoi passi e ha invitato i cittadini a evitare i contatti e i viaggi non essenziali. Il Foreign Office ha alzato il livello di rischio dopo che i dati accertati sulla diffusione del coronavirus hanno toccato stamattina i 1.543 casi. Ieri il Guardian aveva diffuso un rapporto della Public Health England, organismo esecutivo del ministero della Salute britannico, secondo cui la diffusione del contagio in assenza di misure di contenimento raggiungerebbe l’80% dei residenti nel Regno Unito entro la primavera del 2021, causando quasi 8 milioni di ricoveri e almeno 318mila decessi. La stima si basa sull’ipotesi che il tasso di mortalità del COVID-19 si attesti intorno allo 0,6%, ma i dati italiani sono attualmente bene dieci volte più alti (qui ci sono alcune ipotesi sul perché). Per proteggere gli ultrasettantenni, si prevede adesso un isolamento forzato fino a quattro mesi.
L’idea dell’immunità di gregge che ispira l’inazione del governo britannico e dei suoi consiglieri non ha ancora trovato conferma negli studi. Per avere una panoramica delle cose che ancora non conosciamo del coronavirus, vi consiglio di leggere questo ottimo articolo del Post. L’impatto di una strategia passiva rischia di provocare milioni di morti, risolvendosi in una catastrofe sociale.
Intanto, oltreoceano, il governatore dello Stato di New York Bill De Blasio ha chiuso le scuole almeno fino al 20 aprile, ma con la prospettiva che possano non riaprire fino a giugno. Il governatore della California Gavin Newson ha invece chiuso tutti i bar, i ristoranti, i pub e i nightclub dello stato.
E qui da noi? Dopo il giorno con il più alto numero di vittime, in Italia oggi i decessi sono stati 349, di cui 202 solo in Lombardia: i morti salgono a 2.158, 1.420 nelle province lombarde. Lombardia e Marche hanno quasi saturato la capienza delle loro strutture sanitarie, ma a Milano dovrebbe entrare in funzione entro due settimane un nuovo padiglione per cure intensive all’Ospedale San Raffaele. Il totale dei casi attualmente positivi è 23.073, di cui 1.851 ricoverati in reparti di terapia intensiva, con un tasso di occupazione del 35% dei posti allestiti: sono circa 200 posti in meno di quanto prevedeva il nostro scenario E, che a questo punto stimava un tasso di saturazione di circa il 40%.
Ma c’è un’altra buona notizia: l’andamento dei contagi pare stia uscendo dall’inviluppo tra le curve degli scenari C e D, che delineavano gli orizzonti peggiori.
Dai totali giornalieri mancano i dati di Puglia e provincia di Trento, ma estrapolando le tendenze degli ultimi giorni difficilmente la loro somma supererà alcune centinaia di casi, che andrebbero sommati ai 3.233 comunicati dal bollettino della Protezione Civile (rispetto ai 3.497 di sabato e ai 3.590 di ieri). Sicuramente è presto per cantare vittoria, ma forse tra qualche giorno, riguardando indietro, riusciremo a distinguere nitidamente la cresta dell’onda che ci auguriamo di stare cavalcando proprio in queste ore.
Intanto non dobbiamo abbassare la guardia, o i sacrifici sostenuti finora finirebbero vanificati. Come dimostrano i casi esemplari dei comuni messi in isolamento nelle province campane di Avellino e Salerno:
Intanto negli ultimi giorni diversi comuni italiani sono stati messi in quarantena in seguito alla rilevazione di molti casi di contagio, con il divieto per chiunque di entrare o uscire.
Il primo comune a subire questa misura è stato quello di Ariano Irpino (provincia di Avellino), dove nei giorni scorsi erano risultati 21 casi (quando in tutta l’Irpinia sono stati 37). Sono stati poi messi in quarantena altri quattro comuni campani, tutti nella provincia di Salerno: Sala Consilina, Atena Lucana, Polla e Caggiano. Secondo il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, i contagi sarebbero tutti legati a un ritiro spirituale di una comunità di neocatecumenali avvenuto in un hotel di Atena Lucana il 28 e 29 febbraio, in cui i partecipanti avrebbero partecipato a un rito religioso bevendo tutti dallo stesso calice.
(dal Post)
March 15, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 6. Europa a zone rosse
Al quarto giorno dalla decisione della World Health Organization di attribuire all’infezione da COVID-19 lo status di pandemia, l’Europa continentale è un arcipelago di zone rosse. Con (la Germania che chiude le frontiere ai vicini come pochi giorni fa aveva fatto la Polonia; Spagna, Austria e Repubblica Ceca che adottano misure analoghe all’Italia; la Francia che chiude scuole e università ma manda i suoi cittadini a votare per la tornata delle comunali, a cui già si annuncia un tasso di astensione record, oltre il 50%, che induce il governo a riconsiderare l’opportunità di sospendere il secondo turno previsto per domenica prossima), ma almeno il contagio non è più preso sottogamba: anche perché le proporzioni che sta assumendo altrove, come per esempio in Spagna, sono del tutto raffrontabili con quelle che il fenomeno ha raggiunto in Italia.
In USA il presidente Donald Trump ha addirittura accettato di sottoporsi al tampone, risultato negativo (per quello che vale il comunicato della Casa Bianca). Sua figlia Ivanka da ieri è in isolamento volontario dopo essere stata a contatto nei giorni scorsi con un ministro australiano che nel frattempo è risultato positivo al test. La Cina cerca di far ripartire la sua economia, ma sarà dura recuperare ai livelli pre-crisi.
Il bollettino odierno della Protezione Civile registra 3.590 nuovi casi in Italia, che portano il totale a 24.747, di cui 20.603 attualmente positivi. Questi dati sono in linea con la sigmoide dello scenario E che esaminavamo ieri e questo in qualche modo ci conforta. Tuttavia, esaminando lo spaccato dei dati, ci rendiamo conto di due cose:
I guariti sono complessivamente 2.335, ma il numero dei decessi è salito a 1.809, con 368 nuovi morti che rappresentano il nuovo triste record dall’inizio della crisi, e questo purtroppo riporta il tasso grezzo di letalità oltre il 7% dopo l’illusorio ribasso di ieri. Per raffronto, consideriamo che in Cina, la cui situazione è stata rappresentata e continua a essere raccontata come pre-apocalittica, il numero totale dei morti è ad oggi di 3.199, con un tasso inferiore al 4%. In tutti gli scenari che esaminavamo ieri consideravamo un progressivo riallineamento del tasso di mortalità a quello medio degli altri paesi, ma al momento questo obiettivo appare allontanarsi.
I ricoveri in terapia intensiva sono 1.672 (il rombo blu visibile nel grafico sottostante), leggermente inferiori rispetto alla curva verde che vedevamo ieri, e questo forse anche per effetto (ipotesi mia, ma da approfondire) della progressiva saturazione che si va profilando nella regione più colpita: la Lombardia, che conta la metà degli oltre 20mila casi attivi in Italia, è infatti arrivata al 90% della capienza delle sue strutture. In queste condizioni l’aumento della mortalità è un dazio amaro da pagare. Dobbiamo confidare soprattutto nel tasso di guarigione dei ricoverati, che vengono man mano sottoposti a cure meno intensive con il decorso positivo della malattia, e nel contenimento del contagio nelle regioni limitrofe, perché si trovino i posti necessari per far fronte alla domanda dei prossimi giorni.
Approfittando del fine settimana, abbiamo cominciato a guardare The Outsider, serie HBO tratta dal romanzo di Stephen King, che ci ha preso abbastanza da mettere per il momento in stand-by sia la seconda stagione di Altered Carbon che la terza di Mr. Robot. Restano in coda di visione Yellowstone e Mindhunter. Chi è a casa e vuole un consiglio, ne tenga conto. Chi deve affrontare i prossimi giorni in autoisolamento domestico, può prendere inoltre in considerazione altri recuperi, tra cui la seconda stagione di Westworld visto l’imminente arrivo della terza (magari anche due visioni, vista la complessità della sua struttura temporale), oppure due miniserie targate anch’esse HBO come Save me e – per restare in qualche modo in tema – Chernobyl.
Libri in lettura: I marziani di Kim Stanley Robinson, antologia di racconti riconducibili al suo vasto affresco planetario, una delle costruzioni più ambiziose di tutta la fantascienza (e non solo).
March 14, 2020
Diario dell’anno della pandemia. Giorno 5. Aspettando il picco
Nel rapportare le traiettorie che rappresentano la diffusione di COVID-19 nei diversi paesi, due cose colpiscono: la prima è che l’Italia rimane ancora distante dalla stabilizzazione della Corea del Sud, che anzi nel giro di una settimana abbiamo praticamente triplicato; la seconda è che qualitativamente gli altri paesi occidentali stanno seguendo le orme dell’Italia. Francia e Germania (rispettivamente con 4.480 e 4.515 casi) sono dov’eravamo noi intorno alla metà della settimana scorsa, la Spagna con 6.315 casi è dov’eravamo noi lo scorso fine settimana.
Non sorprendono quindi le misure restrittive che stanno progressivamente adottando i rispettivi governi, nemmeno in Francia, dove fino a pochi giorni fa illustri esponenti del governo sbandieravano cautela e puntavano altezzosamente il dito verso i cugini transalpini, cioè noi.
#VirusEnMarche #Phase1 #Phase2 #Phase3 https://t.co/2GRUce2II9 pic.twitter.com/ZFeFixhpEp
— Giovanni De Matteo (@NovaXpress) March 12, 2020
La situazione dell’Italia continua a destare preoccupazione. I nuovi casi registrati nella giornata odierna sono stati 3.497, che hanno portato il totale complessivo a 21.157. Per intenderci: siamo a circa un quarto delle proporzioni raggiunte dalla Cina. I casi attualmente positivi sono 17.750, di cui 1.518 ricoverati in terapia intensiva. Anche considerando l’aumento della capienza dei posti a 5.293, la pressione sul sistema sanitario pubblico sfiora il 30%.
Il ministero della Salute ha già disposto l’aumento dei posti in terapia intensiva a 6.200 unità entro la fine del mese, per poi salire ulteriormente a circa 7.500 posti nel mese successivo. In media un paziente positivo al coronavirus su dieci richiede cure mediche che necessitano un ricovero in terapia intensiva (ICU), con tempi di permanenza nell’ordine dei 30 giorni (circa il doppio della media dei ricoveri in terapia intensiva). Inoltre, stando ai dati del Prontuario statistico nazionale, il tasso annuo medio di occupazione dei 5.090 posti letto che costituiscono la base del servizio del nostro paese è pari al 48,4%, il che ci porta a stimare una media di 2.465 posti da prevedere per la somministrazione di cure per casi non associati all’epidemia da coronavirus, il che significa che già oggi una richiesta di poco più di 2.800 posti, corrispondente al 53,4% della capacità ICU del Sistema Sanitario Nazionale italiano, potrebbe comportare seri problemi.
Per questo adesso più che mai è fondamentale capire a che punto della curva di contagio ci troviamo.
Se esaminiamo i dati della prima fase della diffusione dell’epidemia da COVID-19 in Italia, l’andamento dei casi sembra compatibile con un picco imminente. Nel grafico sottostante, la scala della curva a campana dei nuovi casi è sull’asse verticale secondario (a sinistra) e stima un picco grosso modo dove siamo arrivati oggi.
In questo scenario E, la curva dei guariti replica qualitativamente l’andamento delle guarigioni nel precedente cinese: di fatto, abbiamo un ritardo di circa un mese a separare il picco dei contagi dal picco delle guarigioni. Se sia o meno corretto, lo capiremo già da domani o al più tardi da lunedì prossimo, ma in questo scenario la pressione sulle strutture ospedaliere sarebbe gestibile, perché il carico massimo arriverebbe verso fine marzo, quando potrebbero già iniziare a essere operative le prime nuove unità di terapia intensiva in fase di preparazione, consegna e allestimento.
Ma cosa accadrebbe se lo scenario sopra descritto non fosse quello a cui stiamo andando effettivamente incontro? Due delle curve che approssimano meglio il trend attuale, sono la crescita esponenziale con base 1,2 (ogni giorno i casi totali sono il 20% in più del giorno prima, scenario C) e una quasi cubica (in potenza 2,85, scenario D). Come si può vedere dal grafico qui in basso, negli ultimi giorni i casi hanno seguito abbastanza fedelmente l’andamento del caso C:
Ipotizzando che sia lo scenario C che lo scenario D raggiungano il picco di contagi intorno alla metà della settimana prossima (per la serie: facciamoci un regalo per la festa del papà), assumendo un tasso invariato di trattamenti in terapia intensiva rispetto a quello attuale (pari al 9% dei casi attivi in circolazione), l’andamento dei ricoveri in terapia intensiva assumerà nei tre scenari presi in considerazione le forme seguenti:
A parte lo scenario E, nessuno degli altri è anche lontanamente sostenibile. Vale la pena ricordare che nel momento in cui scrivo, la situazione negli ospedali italiani (tratta dal solito situation report) è la seguente, con alcune regioni (come Lombardia e Marche) ormai quasi ai limiti della loro capienza:
Inoltre i motivi per avere fiducia nello scenario E sono purtroppo indeboliti dalle ricorrenti notizie di fughe dalle regioni del Nord Italia, con migliaia di cittadini che negli ultimi due fine settimana hanno fatto ritorno nelle regioni del Centro-Sud (Lazio e Puglia in primis) e nelle Isole. Nell’ultima settimana i casi sono quadruplicati in Lazio e Puglia e triplicati in Sicilia. Se anche il picco dovesse arrivare nel giro di questo fine settimana o dell’inizio della prossima, non è detto che questo scongiurerebbe ulteriori picchi futuri legati al mancato contenimento del virus nelle regioni centro-meridionali.