Pierre’s
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Davvero un bel saggio sull'approccio delle neuroscienze al problema mente-cervello, quello del prof. Benini, neuroscienziato dell'università di Zurigo! Con rigore ed essenzialità, e un linguaggio chiaro, non troppo tecnico anche se estremamente denso, ci conduce alla scoperta di una possibile correlazione fra mente (psicologica, fenomenologica) e cervello (fisico), che potrebbe emergere applicando le moderne tecniche di imaging ai nostri differenti cervelli (perché ne abbiamo diversi e non sempre sono d'accordo tra loro). Nella prima parte Benini esplora i concetti di mente, coscienza e autocoscienza, analizza gli studi "naturalistici" della coscienza e i cosiddetti NCC (correlati neurali di coscienza), le controparti fisiche degli stati mentali. Nella seconda parte è il turno di alcuni problemi fondamentali che si innestano sull'eventuale identità fra mente e cervello: il determinismo neurale e il libero arbitrio, il rapporto tra il cervello e le creazioni artistiche e musicali, il senso del tempo (uno dei capitoli più affascinanti). Forte dei risultati nelle neuroscienze Benini difende la posizione fisicalista riduzionista (che condivido), ma pone dei limiti ben precisi: l'autoreferenzialità impedisce al cervello di fornire una spiegazione fondamentale di se stesso come mente. L'epilogo è decisamente pessimista: il cervello è davvero una macchina meravigliosa? Benini pensa di no e ne spiega sinteticamente le ragioni. Una lettura davvero illuminante.

Noooooooooooooooooooo... pietà... ;( Vabbeh, mi pento e mi dolgo per il peccato di lesa maestà baricchica...



Acquistato sull'onda della piacevole lettura di La morte dei caprioli belli, è un insieme di racconti semiautobiografici, un po' frammentari, incentrati sulla passione per la pesca e sui membri della famiglia del protagonista e alcuni amici (fra cui spiccano Honza il Lungo e i due fratelli di Ota, Hugo e Jirka). Protagonisti di ogni racconto sono quasi sempre i pesci, di fiume, di lago e di stagno (più un'incursione infruttuosa sul Baltico), le cui caratteristiche, abitudini e bizzarrie vengono raccontate con dovizia di particolari, insieme alle tecniche per pescarli e alle ricette per cucinarli.
Forse a causa del mio totale disinteresse per la pesca, ho trovato il libro molto inferiore rispetto al precedente. La vena comica è quasi assente, le descrizioni tecniche un po' noiose, non c'è un filo conduttore che in qualche modo leghi i racconti (al di là della presenza dei pesci). La prima metà del libro riguarda l'adolescenza di Ota, con una lunga gita in barca insieme all'amico Honza (che ricorda quasi le disavventure di Huckeberry Finn), ma all'improvviso lo ritroviamo adulto invitato a visitare un sommergibile polacco (non si sa bene il perché, forse per ragioni legate alla sua professione di giornalista). I racconti sono più intimisti, più riflessivi, in qualche caso malinconici, tuttavia non sono riuscito ad appassionarmi molto alle vicende narrate. Certo, alcuni episodi sono belli e commoventi (la storia delle 11 anguille dorate da regalare al padre), ma in maggioranza risultano un po' anonimi e in qualche caso terminano senza essere narrativamente compiuti.
Alla fine ho avuto la stessa sensazione che ebbi quando lessi Tre uomini a zonzo dopo la fulminante lettura di Tre uomini in barca: carino, ma anni luce dall'originale... Pavel è un buon narratore, il libro è scorrevole e si legge rapidamente, ma proprio per questo si resta un po' troppo in superficie, come certi pesci che vivono negli stagni.


Definitions differ as to what constitutes a historical novel. On the one hand the Historical Novel Society defines the genre as works "written at least fifty years after the events described", while critic Sarah Johnson delineates such novels as "set before the middle of the last [20th] century ... in which the author is writing from research rather than personal experience." Then again Lynda Adamson, in her preface to the bibliographic reference work World Historical Fiction, states that while a "generally accepted definition" for the historical novel is a novel "about a time period at least 25 years before it was written", she also suggests that some people read novels written in the past, like those of Jane Austen (1775–1817), as if they were historical novels.
Detto questo mi rimetto anch'io al giudizio di Floanne!

1) è un romanzo come il libro scelto da Roberta,
2) nel titolo contiene la parola "fisica" che ha la stessa radice di una parola del titolo di Roberta,
3) le iniziali dell'autore sono le stesse dell'autrice scelta da Roberta.
Ok, 1) e 2) sono solo per fare sfoggio di inutilità... ;)

Una lettura davvero stimolante e incredibilmente interessante. Il breve e asciutto saggio è un confronto tra le tesi dei due scienziati, scritto a uso e consumo degli studenti universitari che si occupano di evoluzione da un punto di vista biologico e/o della filosofia della scienza. Non facile da leggere se non si conoscono un po' i problemi di cui si parla (l'adattazionismo, la cladistica etc.). Sterelny è abbastanza equilibrato, pur dicendo chiaramente come la pensa. Il dibattito tra le tesi riduzioniste e gradualistiche di Dawkins e l'approccio multifattoriale e contingente emerge chiaramente dai numerosi esempi forniti da Sterelny, che non indulge comunque in citazioni esplicite e fornisce anche qualche elemento circostanziale (la formazione scientifica dei due contendenti, l'attività di divulgazione etc.). Conoscendo meglio il pensiero gouldiano e meno quello di Dawkins, devo dire che alla fine mi sento più vicino al secondo. Le dieci pagine di bibliografia ovviamente sono l'ennesima occasione per un ordine su Amazon... ;)



Penso di poter annoverare il breve ma intenso saggio del filosofo e storico della filosofia Umberto Curi fra i libri che più arricchiscono il loro fortunato lettore. Partendo da un dato piuttosto inquietante (gli editor delle riviste specializzate di medicina, che non si peritano nell'affermare che "più della metà dei saggi scientifici di argomento medico potrebbe essere semplicemente falsa", p. 11), Curi si propone di ridefinire in modo chiaro ed etimologicamente solido i confini dell'arte (tecnica, non scienza!) medica, attraverso quattro parole fondamentali, più altre collaterali: medicina, terapia (e cura), farmaco, chirurgia. Di ciascuna Curi delinea le origini, i legami con la mitologia antica, l'evoluzione semantica, gli odierni fraintendimenti. Ampia è l'erudizione dell'autore, ma profonda è anche la sua capacità di sintesi e di efficacia argomentativa, come del resto oculata la scelta lessicale. Nel concreto, Curi sostiene una fondante ambiguità come essenza dell'arte medica: i farmaci sono rimedi in grado di curare, ma anche di uccidere; il medico si rivolge al corpo e alla mente (o all'anima) del paziente; la diagnosi si lega alla prognosi; la medicina narrativa e la Evidence-Based Medicine etc. Fra le molte osservazioni interessanti ho trovato particolarmente stimolanti quelle sulla differenza fra terapia come assistenza del malato e terapia come pratica curativa. Pochissimi i difetti del saggio: in due o tre punti ho trovato una pedissequa ripetizione di alcuni concetti e parole già proposti poche pagine prima, segno di un editing non sempre efficace; lo spazio minore dedicato alla chirurgia, che forse meritava più attenzioni.

Ti ringrazio... sai, non volevo rischiare una denuncia per stalking... ;)