Amedeo Balbi's Blog, page 18
September 29, 2011
La settimana dei neutrini
È stata la settimana dei neutrini, quella in cui il mondo si è chiesto se davvero si può superare la velocità della luce. E in cui (parafrasando il suonatore Jones), se la gente sapeva che eri un fisico, ti toccava spiegare. A me è toccato (oltre che qui sul blog) a Uno Mattina e su T-Mag. Ci sarebbe ancora da dire, in proposito, ma lo facciamo con calma, e intanto magari torniamo a parlare anche di altro.





Published on September 29, 2011 02:23
September 28, 2011
Einstein e i limiti di velocità
Negli ultimi giorni, dopo aver visto il putiferio sollevato dalla notizia che (forse) i neutrini possono viaggiare più veloci della luce, qualcuno si sarà chiesto: ma cos'ha di così speciale la velocità della luce? Da dove sbuca fuori questo limite che la natura ha imposto al moto dei corpi e alla propagazione dei segnali? Cosa rende impossibile (fino a prova contraria) oltrepassarlo? Come tutti più o meno sanno, c'entra qualcosa Einstein. Ma in che modo, esattamente?
In realtà bisogna partire addirittura da Galileo. Il pisano aveva capito che le leggi della fisica devono essere le stesse in qualunque sistema di riferimento in moto rettilineo e uniforme. D'accordo, non l'avrebbe detto esattamente con queste parole, ma il senso era questo: le regole che usate per descrivere i fenomeni naturali sono le stesse sia che vi troviate, ad esempio, su una nave che si muova in linea retta e a velocità costante, sia che siate fermi nel porto. (L'esempio della nave lo fa Galileo stesso, in modo molto più letterario.) Questo è il principio di relatività galileiana, su cui la fisica ha campato benissimo per tre secoli buoni. Perché le cose tornino, bisogna solo tenere conto della velocità relativa tra i sistemi di riferimento, per esempio quella della nave rispetto al porto. Se per esempio un marinaio si sposta in linea retta da poppa a prua a 5 chilometri all'ora, e la nave si sposta a 50 chilometri all'ora rispetto al porto, un osservatore nel porto vedrà il marinaio muoversi a 55 chilometri all'ora (la sua velocità rispetto alla nave, più quella della nave).
Quando arriva Einstein, sono cambiate due cose. La prima è che hanno inventato il treno, per cui l'esempio della nave è superato e Einstein nei suoi lavori parla di stazioni e vagoni. Ma questo non è importante. La seconda cosa è molto più seria. I fisici hanno cominciato da qualche decennio a giocare con i magneti e l'elettricità. Maxwell ha ricavato delle bellissime leggi che spiegano perfettamente i fenomeni elettromagnetici, si è capito che la luce è una forma di radiazione elettromagnetica, e insomma tutto sembra filare per il verso giusto.
Be', quasi tutto. In realtà, si è capito anche che la luce si propaga nel vuoto sempre esattamente alla stessa velocità, qualunque sia la velocità e la direzione del moto del corpo che emette la luce. È una costante, non cambia, ha un valore universale: tanto vale indicarla con una lettera, la c.
Bum. Questo fatto apparentemente innocuo manda per aria il principio di relatività di Galileo. Come è possibile che la velocità della luce non si sommi a quella del sistema di riferimento da cui viene emessa? Quando Einstein arriva sulla scena, le soluzioni proposte al problema sono di due tipi: o è il principio di relatività a essere sbagliato, oppure lo è la legge di propagazione della luce. Nel primo caso i sistemi di riferimento in moto rettilineo e uniforme non sarebbero tutti uguali, e dovrebbe esistere un sistema di riferimento speciale, che potrebbe essere considerato in quiete assoluta. Nel secondo caso, le leggi di Maxwell dovrebbero finire nel cestino. Einstein trova orribili e fisicamente ingiustificate entrambe le alternative, e allora prende il coraggio a due mani, imboccando l'ultima strada rimasta: assume che debbano essere contemporaneamente validi sia il principio di relatività che la costanza della velocità della luce.
La teoria della relatività speciale (o ristretta) nasce da qui. Naturalmente, per salvare capra e cavoli, Einstein deve cambiare le regole con cui si confrontano le osservazioni nei vari sistemi di riferimento. Non va più bene sommare semplicemente le velocità, come nel caso del marinaio e della nave. Le nuove leggi per passare da un sistema all'altro (che prendono il nome da Lorentz, che le aveva dedotte prima di Einstein) sono più complicate, e si portano dietro tutti gli effetti per cui la relatività è diventata celebre tra i profani: lo scorrere del tempo non è più assoluto, ma dipende dal moto dell'osservatore, e lo stesso vale per le lunghezze dei corpi. Una volta accettati questi risultati lontani dall'intuizione, tutto il resto va a posto perfettamente. Abbandonati i concetti innati di spazio e di tempo, le contraddizioni spariscono e le leggi dell'elettromagnetismo sono perfettamente valide in tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme.
Ma dicevamo della velocità della luce come limite insuperabile. Fino a qui del divieto non c'è traccia. Da dove esce fuori?
Ci siamo quasi. Un primo indizio del fatto che alla natura non piaccia che si superi c viene dal modo in cui si combinano fra loro le velocità in relatività ristretta. Nella fisica classica, come abbiamo visto con l'esempio del marinaio e della nave, basta sommare. Se mi muovo a velocità v all'interno di un sistema che si muove a sua volta a velocità w (nella stessa direzione) rispetto a un osservatore esterno, a quell'osservatore la mia velocità apparirà essere semplicemente v+w. Nulla impedisce che questa somma dia come risultato un valore maggiore di c. In relatività ristretta, la formula per combinare le velocità è più complicata, ma il succo è che il risultato non è mai maggior della velocità della luce. Non c'è verso. Persino se v=w=c, il risultato totale è soltanto c. (Se volete vedere la formula e divertirvi con i numeri, usate Wolfram Alpha.)
Ma la botta definitiva deve ancora arrivare. A un certo punto, Einstein usa le trasformazioni di Lorentz per calcolare l'energia necessaria ad accelerare una particella di massa m, inizialmente in quiete, fino alla velocità v. Nella fisica classica, questa energia si ottiene moltiplicando la massa per il quadrato della velocità da raggiungere e dividendo il risultato per due. Nulla vi impedisce di superare la velocità della luce, a patto di avere abbastanza energia da spendere. (Provate a calcolare.)
In relatività ristretta, la formula si complica, ed è questa che vi frega. (Anche in questo caso, potete usare Wolfram Alpha.) Quando v=c, spunta fuori una divisione per 0. E, come si sa, dividere per 0 dà un risultato infinito. Non importa quanta energia abbiate a disposizione, e quanto piccola sia la massa della particella da accelerare: man mano che vi avvicinate alla velocità della luce, c, avrete bisogno di sempre maggiore energia. Non ce la farete mai.
Arrivato a questo punto (l'articolo è "L'elettrodinamica dei corpi in movimento", del 1905) Einstein commenta: "Velocità superiori a quella della luce non hanno alcuna possibilità di esistenza". Fine della storia.
(Dei rapporti di causa effetto, magari parliamo un'altra volta.)
In realtà bisogna partire addirittura da Galileo. Il pisano aveva capito che le leggi della fisica devono essere le stesse in qualunque sistema di riferimento in moto rettilineo e uniforme. D'accordo, non l'avrebbe detto esattamente con queste parole, ma il senso era questo: le regole che usate per descrivere i fenomeni naturali sono le stesse sia che vi troviate, ad esempio, su una nave che si muova in linea retta e a velocità costante, sia che siate fermi nel porto. (L'esempio della nave lo fa Galileo stesso, in modo molto più letterario.) Questo è il principio di relatività galileiana, su cui la fisica ha campato benissimo per tre secoli buoni. Perché le cose tornino, bisogna solo tenere conto della velocità relativa tra i sistemi di riferimento, per esempio quella della nave rispetto al porto. Se per esempio un marinaio si sposta in linea retta da poppa a prua a 5 chilometri all'ora, e la nave si sposta a 50 chilometri all'ora rispetto al porto, un osservatore nel porto vedrà il marinaio muoversi a 55 chilometri all'ora (la sua velocità rispetto alla nave, più quella della nave).
Quando arriva Einstein, sono cambiate due cose. La prima è che hanno inventato il treno, per cui l'esempio della nave è superato e Einstein nei suoi lavori parla di stazioni e vagoni. Ma questo non è importante. La seconda cosa è molto più seria. I fisici hanno cominciato da qualche decennio a giocare con i magneti e l'elettricità. Maxwell ha ricavato delle bellissime leggi che spiegano perfettamente i fenomeni elettromagnetici, si è capito che la luce è una forma di radiazione elettromagnetica, e insomma tutto sembra filare per il verso giusto.
Be', quasi tutto. In realtà, si è capito anche che la luce si propaga nel vuoto sempre esattamente alla stessa velocità, qualunque sia la velocità e la direzione del moto del corpo che emette la luce. È una costante, non cambia, ha un valore universale: tanto vale indicarla con una lettera, la c.
Bum. Questo fatto apparentemente innocuo manda per aria il principio di relatività di Galileo. Come è possibile che la velocità della luce non si sommi a quella del sistema di riferimento da cui viene emessa? Quando Einstein arriva sulla scena, le soluzioni proposte al problema sono di due tipi: o è il principio di relatività a essere sbagliato, oppure lo è la legge di propagazione della luce. Nel primo caso i sistemi di riferimento in moto rettilineo e uniforme non sarebbero tutti uguali, e dovrebbe esistere un sistema di riferimento speciale, che potrebbe essere considerato in quiete assoluta. Nel secondo caso, le leggi di Maxwell dovrebbero finire nel cestino. Einstein trova orribili e fisicamente ingiustificate entrambe le alternative, e allora prende il coraggio a due mani, imboccando l'ultima strada rimasta: assume che debbano essere contemporaneamente validi sia il principio di relatività che la costanza della velocità della luce.
La teoria della relatività speciale (o ristretta) nasce da qui. Naturalmente, per salvare capra e cavoli, Einstein deve cambiare le regole con cui si confrontano le osservazioni nei vari sistemi di riferimento. Non va più bene sommare semplicemente le velocità, come nel caso del marinaio e della nave. Le nuove leggi per passare da un sistema all'altro (che prendono il nome da Lorentz, che le aveva dedotte prima di Einstein) sono più complicate, e si portano dietro tutti gli effetti per cui la relatività è diventata celebre tra i profani: lo scorrere del tempo non è più assoluto, ma dipende dal moto dell'osservatore, e lo stesso vale per le lunghezze dei corpi. Una volta accettati questi risultati lontani dall'intuizione, tutto il resto va a posto perfettamente. Abbandonati i concetti innati di spazio e di tempo, le contraddizioni spariscono e le leggi dell'elettromagnetismo sono perfettamente valide in tutti i sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme.
Ma dicevamo della velocità della luce come limite insuperabile. Fino a qui del divieto non c'è traccia. Da dove esce fuori?
Ci siamo quasi. Un primo indizio del fatto che alla natura non piaccia che si superi c viene dal modo in cui si combinano fra loro le velocità in relatività ristretta. Nella fisica classica, come abbiamo visto con l'esempio del marinaio e della nave, basta sommare. Se mi muovo a velocità v all'interno di un sistema che si muove a sua volta a velocità w (nella stessa direzione) rispetto a un osservatore esterno, a quell'osservatore la mia velocità apparirà essere semplicemente v+w. Nulla impedisce che questa somma dia come risultato un valore maggiore di c. In relatività ristretta, la formula per combinare le velocità è più complicata, ma il succo è che il risultato non è mai maggior della velocità della luce. Non c'è verso. Persino se v=w=c, il risultato totale è soltanto c. (Se volete vedere la formula e divertirvi con i numeri, usate Wolfram Alpha.)
Ma la botta definitiva deve ancora arrivare. A un certo punto, Einstein usa le trasformazioni di Lorentz per calcolare l'energia necessaria ad accelerare una particella di massa m, inizialmente in quiete, fino alla velocità v. Nella fisica classica, questa energia si ottiene moltiplicando la massa per il quadrato della velocità da raggiungere e dividendo il risultato per due. Nulla vi impedisce di superare la velocità della luce, a patto di avere abbastanza energia da spendere. (Provate a calcolare.)
In relatività ristretta, la formula si complica, ed è questa che vi frega. (Anche in questo caso, potete usare Wolfram Alpha.) Quando v=c, spunta fuori una divisione per 0. E, come si sa, dividere per 0 dà un risultato infinito. Non importa quanta energia abbiate a disposizione, e quanto piccola sia la massa della particella da accelerare: man mano che vi avvicinate alla velocità della luce, c, avrete bisogno di sempre maggiore energia. Non ce la farete mai.
Arrivato a questo punto (l'articolo è "L'elettrodinamica dei corpi in movimento", del 1905) Einstein commenta: "Velocità superiori a quella della luce non hanno alcuna possibilità di esistenza". Fine della storia.
(Dei rapporti di causa effetto, magari parliamo un'altra volta.)





Published on September 28, 2011 00:26
September 27, 2011
Sandage su Prometeo
Nel numero 115 di Prometeo, insieme a molte altre belle cose, c'è anche un mio articolo su Allan Sandage, l'erede di Edwin Hubble scomparso lo scorso anno.





Published on September 27, 2011 04:22
September 25, 2011
Avete votato?
No, dico, non è che distratti da questa cosa dei neutrini avete dimenticato di votare Keplero come migliore blog tecnico-divulgativo ai Macchianera Blog Awards 2011? Per farlo dovete andare a questo link ed esprimere una preferenza per ogni categoria, cosa che vi prenderà pochissimo tempo, soprattutto se non avete idea per chi votare nelle altre categorie (basta applicare il cosiddetto metodo stocastico). C'è tempo solo fino a questo mercoledì, 28 settembre. Dopo di che, non è che potrete votare dal futuro, eh.





Published on September 25, 2011 23:24
September 24, 2011
E quindi?
E quindi l'articolo con i risultati di Opera è apparso su arXiv, il seminario c'è stato, e ognuno ha avuto modo di farsi un'idea. Non definitiva, ci mancherebbe: l'esperimento è complesso e, come dicevo ieri, l'unica vera conferma (o smentita) può venire da altri esperimenti analoghi. Quello che si può dire per il momento è che le misure sono state presentate con tutto il rigore del caso, e se c'è qualche errore sperimentale deve essere uno di quelli subdoli, che si nascondono molto bene.
Che succede adesso? Quello che succede sempre nella scienza. Comincerà un processo estenuante, che potrà andare avanti per molto tempo. I fisici sperimentali cercheranno di escludere tutte le cause che potrebbero aver prodotto un risultato del genere, e i fisici teorici cercheranno di inventare modelli che possano interpretarlo. Calma, quindi. Nessuno si è convinto dal giorno alla notte che i neutrini vadano più veloci della luce. Nemmeno gli autori dello studio, che concludono così (la traduzione è mia):
Vi dico la verità: io faccio il tifo perché la cosa sia vera. Sarebbe uno di quegli shock cognitivi che rimettono in moto tutto. Non nel senso ingenuo che "Einstein aveva torto", no: quella è una cosa che piace tanto ai crackpot e ai titolisti. Non è quello il punto. Il punto è che bisognerà farsi venire delle idee: e le idee sono il carburante di questo mestiere. E qui (contrariamente a certe interpretazioni semplicistiche che si sono lette in giro, del tipo "ma sì, sostituiamo la velocità della luce con quella dei neutrini, e via") di cose da spiegare ce ne sarebbero così tante che si potrebbe andare avanti per anni. È solo un tipo di neutrino a viaggiare (eventualmente) più velocemente della luce, o tutti quanti? E che massa ha? Bisogna introdurre termini correttivi alle equazioni della relatività o c'è in ballo qualche effetto completamente nuovo (qualcuno parla di scorciatoie nelle dimensioni extra)? Come mai i neutrini che arrivano dalle supernovae non hanno mai manifestato un comportamento del genere? C'è una dipendenza dall'energia? Che succede ai rapporti di causa/effetto? Siamo appena all'inizio.
L'altra cosa che mi auguro è che questa faccenda, che sta provocando così tanto interesse anche fuori dalla comunità scientifica, serva a far capire un po' meglio come funziona la scienza. È una roba che ti esalta ma che allo stesso tempo richiede pazienza e disciplina, e uno scetticismo spietato, soprattutto verso le ipotesi che ci piacciono di più: "immaginazione con la camicia di forza" come diceva Feynman. Non cambia tutto in una notte, ma quando cambia, cambia tutto davvero.
Che succede adesso? Quello che succede sempre nella scienza. Comincerà un processo estenuante, che potrà andare avanti per molto tempo. I fisici sperimentali cercheranno di escludere tutte le cause che potrebbero aver prodotto un risultato del genere, e i fisici teorici cercheranno di inventare modelli che possano interpretarlo. Calma, quindi. Nessuno si è convinto dal giorno alla notte che i neutrini vadano più veloci della luce. Nemmeno gli autori dello studio, che concludono così (la traduzione è mia):
Nonostante la grande significatività delle misure riportate qui e la stabilità dell'analisi, l'impatto potenzialmente enorme dei risultati motiva la prosecuzione dei nostri studi in modo da poter investigare possibili effetti sistematici sconosciuti che potrebbero spiegare l'osservazione anomala. Deliberatamente, non tentiamo nessuna interpretazione teorica o fenomenologica dei risultati.Mi è tornato in mente un altro articolo, quello di Penzias e Wilson del 1965, in cui si annunciava la scoperta della radiazione cosmica di fondo. Anche lì c'era una lista di effetti strumentali che erano stati esclusi uno dopo l'altro. E anche lì gli autori si limitavano a riportare le misure, senza azzardare una possibile interpretazione teorica. In quel caso finì con un Nobel; in questo caso si vedrà. Ma non vi aspettate una soluzione veloce.
Vi dico la verità: io faccio il tifo perché la cosa sia vera. Sarebbe uno di quegli shock cognitivi che rimettono in moto tutto. Non nel senso ingenuo che "Einstein aveva torto", no: quella è una cosa che piace tanto ai crackpot e ai titolisti. Non è quello il punto. Il punto è che bisognerà farsi venire delle idee: e le idee sono il carburante di questo mestiere. E qui (contrariamente a certe interpretazioni semplicistiche che si sono lette in giro, del tipo "ma sì, sostituiamo la velocità della luce con quella dei neutrini, e via") di cose da spiegare ce ne sarebbero così tante che si potrebbe andare avanti per anni. È solo un tipo di neutrino a viaggiare (eventualmente) più velocemente della luce, o tutti quanti? E che massa ha? Bisogna introdurre termini correttivi alle equazioni della relatività o c'è in ballo qualche effetto completamente nuovo (qualcuno parla di scorciatoie nelle dimensioni extra)? Come mai i neutrini che arrivano dalle supernovae non hanno mai manifestato un comportamento del genere? C'è una dipendenza dall'energia? Che succede ai rapporti di causa/effetto? Siamo appena all'inizio.
L'altra cosa che mi auguro è che questa faccenda, che sta provocando così tanto interesse anche fuori dalla comunità scientifica, serva a far capire un po' meglio come funziona la scienza. È una roba che ti esalta ma che allo stesso tempo richiede pazienza e disciplina, e uno scetticismo spietato, soprattutto verso le ipotesi che ci piacciono di più: "immaginazione con la camicia di forza" come diceva Feynman. Non cambia tutto in una notte, ma quando cambia, cambia tutto davvero.





Published on September 24, 2011 00:39
September 22, 2011
Più veloci della luce?
Come ormai avrete letto un po' ovunque, un esperimento che si chiama Opera avrebbe osservato un fascio di neutrini percorrere la distanza tra il CERN e il Gran Sasso (730 chilometri) impiegando 60 miliardesimi di secondo in meno di quanto ci avrebbero messo viaggiando alla velocità della luce (ovvero 2,4 millisecondi). Siccome c'è questo piccolo dettaglio che la velocità della luce, secondo la teoria della relatività di Einstein, è un limite fisico invalicabile, capite bene che la conclusione della faccenda è piuttosto sconvolgente.
La notizia girava come sussurro tra i fisici già da qualche giorno. C'è un seminario programmato per le 16 del 23 (lo si potrà guardare in streaming qui), ma le agenzie hanno cominciato a battere la notizia con molte ore di anticipo. Il che dimostra che in effetti esistono cose che arrivano prima di quando dovrebbero; ma non chiarisce se anche i neutrini si comportano davvero così. Aspettiamo di avere maggiori dettagli e di provare a capire meglio, prima di trarre conclusioni, tenendo presente che se la cosa fosse confermata sarebbe molto grossa. Cosa servirebbe per confermarla? L'ideale sarebbe un esperimento indipendente che trovi gli stessi risultati, come sempre in fisica. (Per inciso, nel 2007, un esperimento americano chiamato MINOS aveva trovato risultati che potrebbero essere letti in modo simile, ma con un livello di confidenza troppo basso.) Intanto però si può cominciare facendosi un'idea precisa del modo in cui sono stati ottenuti questi risultati dal team di Opera. E state certi che nei prossimi giorni i dati e le conclusioni verranno passati al setaccio dalla comunità mondiale.
Detto questo, che implicazioni avrebbe la cosa? Innanzitutto, non mi pare del tutto esatto dire, come si sente in queste ore, che la relatività di Einstein verrebbe messa in discussione. La relatività si basa semplicemente sul postulato che la velocità della luce sia la stessa per ogni osservatore, e questo resterebbe valido. Dopo di che, una delle sue conclusioni è che nessun corpo dotato di massa possa superare la velocità della luce nel vuoto, perché l'energia richiesta sarebbe infinita. Ma ciò non toglie che si possano immaginare particelle che abbiano sempre una velocità maggiore della luce. Particelle del genere - i tachioni - sono in effetti state ipotizzate teoricamente, ma sono considerate altamente problematiche per una serie di ragioni. Intanto, dovrebbero avere massa immaginaria (non chiedetemi cosa voglia dire, non si sa). Poi, la loro velocità dovrebbe diminuire all'aumentare dell'energia (e, simmetricamente alle particelle "normali", ci vorrebbe un'energia infinita per frenarle al di sotto della velocità della luce). Ma soprattutto succederebbero cose molto strane con la causalità: detto grossolanamente, i tachioni potrebbero viaggiare all'indietro nel tempo.
Einstein o non Einstein, comunque, è chiaro che se fosse accertato che i neutrini viaggiano più velocemente della luce ci sarebbero da riscrivere i libri di fisica. Peraltro, l'idea che i neutrini possano essere tachioni non è nuova, come dimostra questo articolo del 1985.
Ripeto, se la cosa si dimostrasse vera sarebbe esaltante e rivoluzionaria. Ma proprio per questo bisognerà essere più attenti che mai a non sottovalutare possibili errori e spiegazioni alternative.
Perdonatemi la facile battuta: cerchiamo di non correre troppo.
La notizia girava come sussurro tra i fisici già da qualche giorno. C'è un seminario programmato per le 16 del 23 (lo si potrà guardare in streaming qui), ma le agenzie hanno cominciato a battere la notizia con molte ore di anticipo. Il che dimostra che in effetti esistono cose che arrivano prima di quando dovrebbero; ma non chiarisce se anche i neutrini si comportano davvero così. Aspettiamo di avere maggiori dettagli e di provare a capire meglio, prima di trarre conclusioni, tenendo presente che se la cosa fosse confermata sarebbe molto grossa. Cosa servirebbe per confermarla? L'ideale sarebbe un esperimento indipendente che trovi gli stessi risultati, come sempre in fisica. (Per inciso, nel 2007, un esperimento americano chiamato MINOS aveva trovato risultati che potrebbero essere letti in modo simile, ma con un livello di confidenza troppo basso.) Intanto però si può cominciare facendosi un'idea precisa del modo in cui sono stati ottenuti questi risultati dal team di Opera. E state certi che nei prossimi giorni i dati e le conclusioni verranno passati al setaccio dalla comunità mondiale.
Detto questo, che implicazioni avrebbe la cosa? Innanzitutto, non mi pare del tutto esatto dire, come si sente in queste ore, che la relatività di Einstein verrebbe messa in discussione. La relatività si basa semplicemente sul postulato che la velocità della luce sia la stessa per ogni osservatore, e questo resterebbe valido. Dopo di che, una delle sue conclusioni è che nessun corpo dotato di massa possa superare la velocità della luce nel vuoto, perché l'energia richiesta sarebbe infinita. Ma ciò non toglie che si possano immaginare particelle che abbiano sempre una velocità maggiore della luce. Particelle del genere - i tachioni - sono in effetti state ipotizzate teoricamente, ma sono considerate altamente problematiche per una serie di ragioni. Intanto, dovrebbero avere massa immaginaria (non chiedetemi cosa voglia dire, non si sa). Poi, la loro velocità dovrebbe diminuire all'aumentare dell'energia (e, simmetricamente alle particelle "normali", ci vorrebbe un'energia infinita per frenarle al di sotto della velocità della luce). Ma soprattutto succederebbero cose molto strane con la causalità: detto grossolanamente, i tachioni potrebbero viaggiare all'indietro nel tempo.
Einstein o non Einstein, comunque, è chiaro che se fosse accertato che i neutrini viaggiano più velocemente della luce ci sarebbero da riscrivere i libri di fisica. Peraltro, l'idea che i neutrini possano essere tachioni non è nuova, come dimostra questo articolo del 1985.
Ripeto, se la cosa si dimostrasse vera sarebbe esaltante e rivoluzionaria. Ma proprio per questo bisognerà essere più attenti che mai a non sottovalutare possibili errori e spiegazioni alternative.
Perdonatemi la facile battuta: cerchiamo di non correre troppo.





Published on September 22, 2011 15:34
Io non te lo chiedo, tu non spiegarmelo
Andando un po' a spanne, si potrebbe dire che la principale differenza fra fantasy e fantascienza sia questa: la fantascienza deve raccontare le sue storie restando nel recinto della plausibilità scientifica.
Naturalmente, la plausibilità scientifica (e, anzi, la plausibilità tout court) non basta a rendere interessante una narrazione. Le regole che fanno funzionare una storia sono drammatiche, non scientifiche. E i criteri di verità in base a cui si giudica un fatto scientifico e una creazione artistica sono completamente diversi. Uno può appassionarsi al viaggio ultraterreno di Dante senza credere minimamente nell'aldilà (eppure credendoci completamente, mentre legge la Commedia).
Allora, ci si può appassionare a una storia di dèi nordici senza credere che esistano davvero martelli magici? Certo. C'è bisogno di sapere che il martello magico è stato forgiato "nel cuore di una stella morente"? O che gli dèi della mitologia scandinava vengono da un pianeta che fa parte di una rete di nove mondi collegati tra loro da ponti di Einstein-Rosen (tecnicamente, un wormhole)? Ne dubito.
La sto prendendo alla lontana, ma forse a questo punto avrete capito che ho da poco visto Thor, il film tratto dal fumetto della Marvel. E mentre apprezzo (e invidio anche un po') la recente tendenza delle produzioni hollywoodiane di assoldare scienziati come consulenti per evitare errori grossolani o per aumentare il livello di credibilità scientifica di un film o di una serie tv, credo che in certi casi ci sia il rischio di andare oltre. Una volta varcata la soglia che separa il fantasy dalla fantascienza, le regole cambiano. E se mi spieghi una cosa poi mi devi spiegare tutto.
Così, sebbene Thor funzioni decentemente sul piano drammatico, mentre lo guardavo non riuscivo a non essere distratto dalle spiegazioni lasciate a metà. Ok, Bifröst è un ponte di Einstein-Rosen, ma perché ha l'aspetto di un arcobaleno ghiacciato che somiglia pericolosamente a uno dei percorsi di Super Mario Galaxy? Vabbene, Asgard è un pianeta, ma perché sembra una montagna poggiata su una galassia? D'accordo, il martello sembra magico perché "qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia" (courtesy Arthur C. Clarke) ma di cosa è fatto esattamente, e perché nessuno può sollevarlo, neanche lo stesso Thor quando cade in disgrazia con Odino? Ma soprattutto: sono tutti gonfiati a steroidi, immortali, e parlano inglese shakesperiano, su quel pianeta? Una volta attivato il meccanismo della curiosità (ehi, non sono stato io a iniziare), è difficile fermarsi.
Il rischio, quando si tirano in ballo superflue spiegazioni semi-scientifiche, è che quella che potrebbe essere una bella fiaba diventi una ridicolaggine alla Von Daniken. (Per inciso, è più o meno la stessa ragione per cui la Trilogia "fantascientifica" di C.S. Lewis è notevolmente meno riuscita delle sue Cronache di Narnia. E non c'è bisogno che dica "midi-chlorian", vero?).
In ogni caso, non vorrei sembrare troppo severo: i titoli di coda di Thor mi sono piaciuti molto.
Naturalmente, la plausibilità scientifica (e, anzi, la plausibilità tout court) non basta a rendere interessante una narrazione. Le regole che fanno funzionare una storia sono drammatiche, non scientifiche. E i criteri di verità in base a cui si giudica un fatto scientifico e una creazione artistica sono completamente diversi. Uno può appassionarsi al viaggio ultraterreno di Dante senza credere minimamente nell'aldilà (eppure credendoci completamente, mentre legge la Commedia).
Allora, ci si può appassionare a una storia di dèi nordici senza credere che esistano davvero martelli magici? Certo. C'è bisogno di sapere che il martello magico è stato forgiato "nel cuore di una stella morente"? O che gli dèi della mitologia scandinava vengono da un pianeta che fa parte di una rete di nove mondi collegati tra loro da ponti di Einstein-Rosen (tecnicamente, un wormhole)? Ne dubito.
La sto prendendo alla lontana, ma forse a questo punto avrete capito che ho da poco visto Thor, il film tratto dal fumetto della Marvel. E mentre apprezzo (e invidio anche un po') la recente tendenza delle produzioni hollywoodiane di assoldare scienziati come consulenti per evitare errori grossolani o per aumentare il livello di credibilità scientifica di un film o di una serie tv, credo che in certi casi ci sia il rischio di andare oltre. Una volta varcata la soglia che separa il fantasy dalla fantascienza, le regole cambiano. E se mi spieghi una cosa poi mi devi spiegare tutto.
Così, sebbene Thor funzioni decentemente sul piano drammatico, mentre lo guardavo non riuscivo a non essere distratto dalle spiegazioni lasciate a metà. Ok, Bifröst è un ponte di Einstein-Rosen, ma perché ha l'aspetto di un arcobaleno ghiacciato che somiglia pericolosamente a uno dei percorsi di Super Mario Galaxy? Vabbene, Asgard è un pianeta, ma perché sembra una montagna poggiata su una galassia? D'accordo, il martello sembra magico perché "qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia" (courtesy Arthur C. Clarke) ma di cosa è fatto esattamente, e perché nessuno può sollevarlo, neanche lo stesso Thor quando cade in disgrazia con Odino? Ma soprattutto: sono tutti gonfiati a steroidi, immortali, e parlano inglese shakesperiano, su quel pianeta? Una volta attivato il meccanismo della curiosità (ehi, non sono stato io a iniziare), è difficile fermarsi.
Il rischio, quando si tirano in ballo superflue spiegazioni semi-scientifiche, è che quella che potrebbe essere una bella fiaba diventi una ridicolaggine alla Von Daniken. (Per inciso, è più o meno la stessa ragione per cui la Trilogia "fantascientifica" di C.S. Lewis è notevolmente meno riuscita delle sue Cronache di Narnia. E non c'è bisogno che dica "midi-chlorian", vero?).
In ogni caso, non vorrei sembrare troppo severo: i titoli di coda di Thor mi sono piaciuti molto.





Published on September 22, 2011 01:41
September 21, 2011
Arretrati
A questo link c'è la puntata di Radio Tre Scienza di venerdì scorso, in cui sono intervenuto per parlare dell'incerto destino del James Webb Space Telescope (ne avevo scritto per il Post).





Published on September 21, 2011 00:55
September 8, 2011
I cervelli di Boltzmann
Scommetto che non vi siete mai posti il problema, ma sentite qua: tutto quello che pensate di sapere, di ricordare, di sperimentare, potrebbe essere nient'altro che un'illusione elaborata da un network cognitivo sbucato spontaneamente dal disordine. Un cervello assemblatosi grazie a un moto casuale di particelle, magari l'unico cervello dell'intero universo, impegnato a elaborare un mondo che vi si presenta perfettamente coerente - dalle teorie fisiche che lo descrivono, alle frasi che state leggendo in questo momento sullo schermo - ma che non è altro che apparenza momentanea. Per quanto ne sapete, potreste essere nient'altro che una fluttuazione casuale emersa da un precedente stato di alta entropia.
Che ve ne pare? Sembra l'estremo delirio di un solipsista, o fantascienza stile Matrix. Ma è un'idea che risale al diciannovesimo secolo, e per l'esattezza a Ludwig Boltzmann. Il quale, come tutti i suoi contemporanei, era convinto che l'universo dovesse essere esistito da sempre. La cosa, però, lo metteva di fronte a un paradosso: come mai l'universo non aveva già da tempo raggiunto uno stato di morte termica, senza organizzazione e senza ordine - una situazione noiosa e sempre uguale a se stessa, ben diversa da quella che osserviamo?
Boltzmann immaginò che una possibile soluzione fosse nascosta nelle pieghe del caso. Con un'eternità a disposizione, anche da un sistema in equilibrio può di tanto in tanto saltare fuori un'isola ordinata. Se una scimmia che picchia sui tasti di un computer, avendo abbastanza tempo a disposizione, può scrivere per puro caso una terzina dantesca, allora il moto casuale di un insieme di atomi può, aspettando per l'eternità, dare vita a una regione con le caratteristiche che osserviamo nel nostro universo. Per improbabile che possa essere, abbiamo tutto il tempo che vogliamo perché la cosa si realizzi.
Il problema di questa soluzione è che si scontra con le osservazioni. Sarebbe infatti molto più probabile l'emergere spontaneo dal caos di qualcosa di meno complesso di un intero universo: che so, un divano, o un unico pianeta abitato fluttuante in mezzo al nulla. Oppure un cervello galleggiante nello spazio. Sarebbe quindi molto più "naturale" ritrovarsi a essere uno di questi cervelli solitari, piuttosto che un osservatore che vede intorno a sé un intero universo dotato di ordine e struttura, anche in zone che vengono esplorate per la prima volta. Il che ha portato i fisici a scartare l'ipotesi che l'universo sia una fluttuazione e a ricercare la causa dell'ordine nelle condizioni iniziali da cui tutto quello che osserviamo ha avuto origine.
L'argomento dei cervelli di Boltzmann è però risbucato fuori recentemente, quando i cosmologi hanno iniziato a interessarsi a modelli che prevedono una proliferazione di universi che va avanti all'infinito (come nell'inflazione caotica di Linde o nel multiverso di Susskind). Calcoli alla mano, in molti di questi modelli l'osservatore "tipico" (qualunque cosa voglia dire, e c'è molto disaccordo sulla definizione) dovrebbe essere proprio uno di questi cervelli che emerge momentaneamente dal caos. Il che porta a sospettare che ci sia qualcosa che non va.
Ma, ehi, un momento: chi mi garantisce che in effetti tutto l'ordine e struttura che osservo, tutti i ricordi e le cose che ho imparato, non siano i prodotti mentali di un cervello galleggiante nel nulla, piuttosto che una proprietà del mondo esterno? Nessuno, in effetti. Così come nessuno può escludere di vivere in una simulazione creata da un'intelligenza superiore o di essere il sogno di una farfalla. (A questo punto, di solito, interviene una squadra di filosofi in tenuta antisommossa.) Sembra solo un'ipotesi estremamente artificiosa e improbabile, oltre che completamente instabile dal punto di vista cognitivo (perché se le mie memorie sono false, lo sono anche le conclusioni che ne traggo). Molto meglio prendere l'universo per quello che sembra, e provare a capirlo, se ci riusciamo.
Che ve ne pare? Sembra l'estremo delirio di un solipsista, o fantascienza stile Matrix. Ma è un'idea che risale al diciannovesimo secolo, e per l'esattezza a Ludwig Boltzmann. Il quale, come tutti i suoi contemporanei, era convinto che l'universo dovesse essere esistito da sempre. La cosa, però, lo metteva di fronte a un paradosso: come mai l'universo non aveva già da tempo raggiunto uno stato di morte termica, senza organizzazione e senza ordine - una situazione noiosa e sempre uguale a se stessa, ben diversa da quella che osserviamo?
Boltzmann immaginò che una possibile soluzione fosse nascosta nelle pieghe del caso. Con un'eternità a disposizione, anche da un sistema in equilibrio può di tanto in tanto saltare fuori un'isola ordinata. Se una scimmia che picchia sui tasti di un computer, avendo abbastanza tempo a disposizione, può scrivere per puro caso una terzina dantesca, allora il moto casuale di un insieme di atomi può, aspettando per l'eternità, dare vita a una regione con le caratteristiche che osserviamo nel nostro universo. Per improbabile che possa essere, abbiamo tutto il tempo che vogliamo perché la cosa si realizzi.
Il problema di questa soluzione è che si scontra con le osservazioni. Sarebbe infatti molto più probabile l'emergere spontaneo dal caos di qualcosa di meno complesso di un intero universo: che so, un divano, o un unico pianeta abitato fluttuante in mezzo al nulla. Oppure un cervello galleggiante nello spazio. Sarebbe quindi molto più "naturale" ritrovarsi a essere uno di questi cervelli solitari, piuttosto che un osservatore che vede intorno a sé un intero universo dotato di ordine e struttura, anche in zone che vengono esplorate per la prima volta. Il che ha portato i fisici a scartare l'ipotesi che l'universo sia una fluttuazione e a ricercare la causa dell'ordine nelle condizioni iniziali da cui tutto quello che osserviamo ha avuto origine.
L'argomento dei cervelli di Boltzmann è però risbucato fuori recentemente, quando i cosmologi hanno iniziato a interessarsi a modelli che prevedono una proliferazione di universi che va avanti all'infinito (come nell'inflazione caotica di Linde o nel multiverso di Susskind). Calcoli alla mano, in molti di questi modelli l'osservatore "tipico" (qualunque cosa voglia dire, e c'è molto disaccordo sulla definizione) dovrebbe essere proprio uno di questi cervelli che emerge momentaneamente dal caos. Il che porta a sospettare che ci sia qualcosa che non va.
Ma, ehi, un momento: chi mi garantisce che in effetti tutto l'ordine e struttura che osservo, tutti i ricordi e le cose che ho imparato, non siano i prodotti mentali di un cervello galleggiante nel nulla, piuttosto che una proprietà del mondo esterno? Nessuno, in effetti. Così come nessuno può escludere di vivere in una simulazione creata da un'intelligenza superiore o di essere il sogno di una farfalla. (A questo punto, di solito, interviene una squadra di filosofi in tenuta antisommossa.) Sembra solo un'ipotesi estremamente artificiosa e improbabile, oltre che completamente instabile dal punto di vista cognitivo (perché se le mie memorie sono false, lo sono anche le conclusioni che ne traggo). Molto meglio prendere l'universo per quello che sembra, e provare a capirlo, se ci riusciamo.





Published on September 08, 2011 05:54
September 2, 2011
Mi tocca fare campagna elettorale
Pare che questo blog sia finito inopinatamente tra i candidati al premio come miglior blog tecnico-divulgativo nei Macchianera Blog Awards (per gli amici, MBA) 2011. A questo punto bisogna crederci: perché Keplero trionfi sgominando l'agguerrita concorrenza non dovete fare altro che votarlo (e farlo votare), compilando la scheda che trovate a questo link (occhio, bisogna esprimere obbligatoriamente una preferenza in ogni categoria: non è difficile).





Published on September 02, 2011 09:17