Felicia Kingsley's Blog, page 4
November 18, 2020
Self-publishing: un editor serve proprio?

Potremmo concludere questo articolo con 2 sillabe: sì.
Lo so, sono dura, la mia risposta non piacerà a tanti ma la verità è una sola: il romanzo va editato prima della pubblicazione. SEMPRE. E da un professionista, aggiungerei.
"Ah, ma io ho fatto il controllo ortografico con Word", sento già rispondere. Meno male, dico io, il controllo ortografico con Word è il minimo. La brutta notizia è che correggere l'ortografia non vuol dire editare un testo.
"No, ma l'ho riletto/L'ho fatto leggere a un mio amico che a scuola era bravo in italiano". No, nemmeno questo vuol dire che il testo è editato.
Innanzitutto l'editor non è solo una persona brava in italiano (competenza che comunque dovrebbe possedere anche lo scrittore), è una persona esperta in editoria quindi analizza il romanzo non solo dal punto di vista della correttezza formale ma a trecentosessanta gradi, dalla struttura della storia, alla coerenza dei personaggi, agli effetti che loro o le loro azioni possono sortire sui lettori, ai meccanismi narrativi... tutte cose che, ve lo assicuro, un autore non può fare da solo.
Un editor che dopo aver letto il vostro romanzo vi dice: "Bello, ottimo lavoro, perfetto", senza farvi critiche, non è un buon editor. L'editor deve trovare tutti gli aghi nel vostro pagliaio. Un buon segno di editing fatto come dio comanda è se, dopo aver letto la mail dell'editor o averci parlato al telefono, piangete.
Un editor degno del suo nome vi darà tante di quelle correzioni strutturali che vi porteranno a riscrivere il vostro romanzo. Di che correzioni parlo: inizio lento (se l'azione parte al capitolo 6, vuol dire che abbiamo 5 capitoli di troppo), personaggi sbiellati (che dicono cose o compiono azioni non in linea con la loro caratterizzazione), personaggi o capitoli di troppo (che vanno tolti), finali che non chiudono tutti i cerchi e lasciano il lettore spaesato, dialoghi stereotipati e artefatti, voci narranti troppo simili tra loro o non convincenti (esempio: nei romanzi con doppio PoV, spesso i capitoli narrati dal pov di lui hanno voce e pensieri femminili, quindi il personaggio non è credibile), salti temporali confusionari etc. Tutte cose che, vi assicuro, l'autore non è capace di vedere (ma è normale, nessuno può editare sé stesso).
Molte persone evitano di rivolgersi a un editor proprio perché sono spaventate all'idea di dover rimettere mano al proprio lavoro... ma amici, Manzoni ha riscritto i Promessi Sposi tre volte! Se lui ha avuto l'umiltà di chinare la testa e lavorare, direi che noi non possiamo essere da meno.
Un romanzo non editato spesso è pieno di ingenuità che a un certo punto nauseano il lettore e noi non vogliamo correre il rischio che la nostra storia venga abbandonata a metà, giusto? Ecco, per evitare questo, dobbiamo passare il nostro lavoro sotto al microscopio dell'editor.
L'editor professionista, a meno che non lavoriate con una casa editrice, costa. Questa è un'altra brutta notizia, ma sono profondamente convinta di una cosa: pubblicare un romanzo è come programmare un viaggio. Se vuoi andare a New York, bisogna mettere da parte i soldi necessari per andare a NY. Se invece ci va bene Lido dei Preti, allora ci basta un budget ridotto.
Quindi se partiamo con l'aspettativa di vedere il nostro romanzo in testa alle classifiche, magari adocchiato da una grande CE, e raggiungere migliaia di lettori (ossia NY), dobbiamo pubblicare un prodotto che sia il più qualitativamente alto possibile. Questo include una spesa di editing, correzione, impaginazione e cover professionale.
Se invece non ci interessano gli ambiziosi motivi di cui sopra, ma vogliamo pubblicare così, per gioco. come va va, e anche se i romanzo rimane dimenticato nell'etere non è un problema, allora possiamo anche tagliare sulle spese e fare tutto home made.
Dipende sempre da dove si vuole provare ad arrivare.
E non dobbiamo essere autori spocchiosi, ossi rifiutare le note dell'editor in blocco, al grido di "Non capisci la mia arte, il romanzo è perfetto così", peggio di un autore che non edita, c'è solo un autore arrogante che non accetta suggerimenti.
October 15, 2020
Come capire se il tuo romanzo è buono o fa schifo.

Innanzitutto cominciamo con le cattive notizie, così da toglierci il pensiero.Hai presente quando metti l'ultimo punto, dopo l'ultima parola dell'ultima pagina, il momento in cui pensi: "Ho finito il romanzo"?Ecco: non hai finito il romanzo. Manco per niente.Credevi di dovergli solo dare una letta ed essere pronto per pubblicarlo, ma in realtà quello che hai davanti non è che la prima bozza.Un embrione passa diversi stadi prima di diventare un feto e poi un bambino pronto a nascere e così è per la prima bozza di un romanzo.Diciamo che in questo momento preciso, lo spermatozoo ha fecondato l'ovulo che è andato ad annidarsi nella parete uterina, dove resterà e si svilupperà per i successivi 9 mesi.Nove mesi. Nove.Mesi.Metafora per dire che il tuo romanzo deve stare lì, nel tuo cassetto (o nella cartella del tuo pc) mentre tu fai altro per molto mooolto tempo.Scordatene, dimenticatene, fai tabula rasa.Questo è il consiglio più scomodo per ogni autore all'esordio, l'ultima cosa che chi morde il freno vuole sentirsi dire, ma è la pura verità.Finita la prima bozza ci si sente come Di Caprio in Titanic, urlando: "Sono il re del mondooooo", ansiosi di dare il libro alle stampe e gettarsi tra le braccia della folla estasiata. Per la cronaca: il Titanic è affondato e Jack è morto.Salva quel cazzo di file e mettiti a fare giardinaggio, o un puzzle, impara a fare il sushi, ritinteggia casa, fai altro MA DIMENTICATI QUELLO CHE HAI SCRITTO.Perché?Perché quella prima bozza, credimi, fa acqua da tutte le parti; è superficiale là dove dovrebbe essere approfondita e allunga il brodo là dove non serve. Ci sono personaggi inutili, altri che compiono azioni fuori asse, battute che non fanno ridere, scene prevedibili, capitoli che non servono, domande che rimangono senza risposta.L'unico modo per vedere queste storture, oltre all'esperienza, è il tempo. Solo il tempo ci fa cadere il prosciutto dagli occhi.So queste cose perché ci sono passata con ben sei (quasi sette) romanzi. Nessuno è stato pubblicato alla prima stesura, e manco alla seconda.Appena finita la prima bozza si è troppo innamorati del proprio lavoro per accettare critiche da altri o farci autocritica da soli, ci sembra tutto perfetto, intoccabile, scolpito sulla pietra.Credetemi, dopo cinque mesi, riprenderete in mano il romanzo e vedrete da soli cosa non funziona, vi picchierete la mano in fronte davanti a certe ingenuità. E dopo altri quattro mesi, troverete altri errori.Hemingway diceva: "Scrivi da ubriaco, edita da sobrio"; questo non ha a che fare solo con l'alcool, dietro queste parole s'intende che la scrittura creativa è paragonabile all'ebbrezza da vino, è entusiasmo, è scrittura a caldo; l'editing invece è un intervento che si fa a freddo, con distacco emotivo dal testo.Ho riscritto tutti i miei libri non meno di tre volte, alcuni anche quattro.Lasciare passare il tempo è l'unico modo per rispettare il proprio lavoro, la fretta è sinonimo di vanità, mentre quando si lavora ci vuole umiltà.Solo dopo saprai se ciò che hai scritto è buono o fa schifo, lo vedrai con i tuoi occhi.
September 23, 2020
Quando per lui ero brutta (e me lo faceva notare)

Con l'avvicinarsi dei 33 anni (ormai manca meno di un mese) ho osservato il mio corpo notando come nel tempo sia cambiato: ora più che mai vedo come dal collo in giù io abbia preso la struttura fisica di mio padre. Se mai avesse avuto dei dubbi sulla sua genitorialità, gli basterebbe guardarmi di profilo per trovare la conferma che la genetica non mente. Spoiler: entrambi non abbiamo sedere.
Non ho sempre amato il mio corpo, ci sono stati periodi in cui l'avrei voluto diverso, ma un conto è essere critici con i propri occhi, un altro è quando le critiche vengono da fuori, soprattutto se non richieste. E da qualcuno da cui ci si aspetta sostegno.
Tocca andare indietro a tredici anni fa, fino al mio ragazzo dell'epoca. A 19/20 anni non si brilla per intelligenza e lungimiranza, ma lui era sottodotato di queste due qualità in maniera particolare e ne dava brillante sfoggio.
Esempio: passeggiando per il centro incrociamo una ragazza senza capelli e con una bandana in testa e lui, senza neanche attivare il ponte cervello-lingua, mi fa: "Oh, ma come cazzo va in giro quella lì, pelata!". Io, muta dallo sconcerto. "Ma non vedi che è bianca come un cencio e ha perso anche le sopracciglia?! Sta facendo la chemio, idiota! Come ti viene di dare giudizi sul suo aspetto?!", questo è stato il mio pensiero, ma l'ho taciuto, virando sul più politicamente corretto: "Forse sta facendo delle terapie".
Avrei dovuto capirlo in quel momento che la sua superficialità era drammaticamente dominante.
Ho glissato, almeno finché le sue considerazioni si sono spostate su di me. Rimarcava di continuo che il bello della coppia era lui. "E io?", gli chiedevo. "Tu sei quella intelligente". Non pensate che ci fosse stima in questa frase, era solo una conclusione tratta di default perché andavo all'università. Cosa che, per altro, mi si torceva contro nelle liti, perché se ne usciva con la battuta uguale e contraria: "Non credere di essere più intelligente di me solo perché vai all'università".
Comunque: la persona con cui stai dovrebbe avere gli occhi foderati del famoso prosciutto, aiutarti ad accrescere la tua autostima, sottolineare i pregi e ignorare i difetti, lui invece faceva l'opposto.
Dei due ero la brutta, ero la grassa, era quella di cui poteva criticare ogni mio dettaglio di vestiario.
In particolare mi è tornato in mente, stamattina, un episodio: un sabato sera dovevamo andare in discoteca e io avevo messo un paio di pantaloni rossi larghi (a campana, tipo) in seta. Armani, eh, mica Nonna Pina. Lui si è rifiutato di andare in discoteca finché non sono tornata a casa a cambiarmi.
"Perché sono brutti. Perché stai male. Perché ti fanno un culo come una barca. Perché i miei amici poi mi sfottono. Perché mi fai fare brutta figura". Insomma, danneggiavo la sua immagine.
Nel suo ruolo di bello (qualifica del tutto autoattribuita; ce ne sono di ben più belli, credetemi) si sentiva autorizzato a demolirmi ed era convinto che mi dovessi bere ogni critica come acqua fresca.
Con il senno di poi, non avrei dovuto sprecarci il mio tempo con una persona così, però mi è servito a imparare cosa non deve fare un uomo, cosa non deve fare NESSUNO con la persona con cui sta insieme.
Ne sono uscita con l'autostima demolita, ma almeno so riconoscere una persona tossica se la incontro.
Con questo post non volevo dirvi nulla di speciale, ma solo condividere un pezzo del mio passato perché, se capitasse a voi, ve la diate a gambe levate più in fretta di come ho fatto io. Il tempo è troppo prezioso per sprecarlo con delle teste di c@zzo.
July 22, 2020
Giù le mani dalla pancia di Gigi Hadid
July 9, 2020
Punti di vista: come si sceglie il narratore (PoV)?

Parliamo di punti di vista, da qui in avanti PoV (dall'inglese point of view).
Uno dei punti di partenza per scrivere un romanzo è la scelta del PoV.
Detta anche focalizzazione, il punto di vista è la prospettiva attraverso cui chi narra vede e racconta la storia.
Aldilà di quello che si possa pensare, la scelta del PoV non dipende dalla moda, da cosa piace al lettore, o sentirti in obbligo di narrare ogni romanzo con lo stesso PoV.
Il PoV dipende dalla storia, dalle informazioni che si vuole dare o che si vuole nascondere al lettore per rivelarle a un determinato punto della storia.
Quali sono i PoV più utilizzati per scrivere un romanzo?
Vediamoli, per capire meglio come scegliere quello che più si adatta alle nostre esigenze.
Prima persona singola
Tutto il romanzo è narrato dal punto di vista del protagonista, in prima persona, nel quale il lettore si identifica completamente poiché si vive, si sente e si vede in tutto "in diretta".
Anche le informazioni che abbiamo sono solo quelle in possesso del protagonista, quindi se qualche personaggio sta tramando alle sue spalle per danneggiarlo, sarà una cosa che scopriremo a fatto compiuto.
I tempi di narrazione possono essere il presente, quindi i fatti accadono via via che procede la storia, oppure al passato, come se il protagonista ci stesse raccontando oggi cose successe tempo addietro.
Prima persona multipla
Il più comune è il doppio PoV, dove a capitoli alterni, si switcha da un personaggio all'altro (esempio, uno narrato dal PoV di Lei, e quello successivo narrato dal PoV di lui). Questo caso funziona quando in realtà i protagonisti sono 2 e contribuiscono al 50-50 allo sviluppo della trama in modo attivo e, soprattutto, quando entrambi compaiono nella storia dall'inizio, avendo quasi scene concomitanti.
Questo PoV può adattarsi anche a 3, 4 personaggi, tenendo presente che, più aumentano i PoV, più aumentano le informazioni che si danno al lettore, quindi aumenta il rischio di contraddirsi.
Con il PoV multiplo c'è meno immedesimazione ma l'autore ha accesso a tutte le informazioni di tutti i personaggi, con il rischio di sapere in anticipo cosa succederà. Esempio: se scriviamo una storia con doppio PoV moglie e marito, nel pov maschile se lui la tradisce, è un segreto di cui veniamo a conoscenza subito, quindi quando la moglie lo scoprirà, per lei sarà una sorpresa ma non per noi.
Prima persona esterna
In questo caso, chi narra non è il protagonista delle vicende, ma un osservatore, tipo il migliore amico o il vicino. Un esempio di questo PoV è Il Grande Gatsby, in cui la storia è raccontata da Nick Carraway.
In questo caso non abbiamo immedesimazione e la narrazione è depurata dall'autoindulgenza che affligge i PoV in prima persona interna, dove il protagonista ci dà una visione parziale della storia.
Prima interna+ prima esterna
Si possono combinare questi due PoV quando il protagonista narra la sua vicenda in prima persona, poi racconta (in altri capitoli) le vicende dei suoi amici. Faccio esempio pratico spiccio non letterario: Sex & the City. Carrie è la protagonista e narratrice della sua storia personale, ma occasionalmente ci racconta anche di ciò che succede a Miranda, Charlotte e Samantha con la sua voce.
Terza persona singola
Il narratore è un personaggio esterno alla vicenda, il tempo di narrazione può essere al presente o al passato (a fatti già avvenuti), in questo caso si può scegliere quali informazioni dare al lettore e quali nascondere a seconda di come si vogliono gestire i colpi di scena.
Questo narratore (come se fosse una mosca) può decidere di seguire un personaggio solo o tutti per raccontare appunto scene scelte, chiave, che diano al lettore le informazioni che servono a far progredire la storia. Io ho usato questo narratore per Una Cenerentola a Manhattan, concentrandomi soprattutto sulle vicende della protagonista, ma spostandomi, all'occorrenza, sugli altri personaggi (quindi abbiamo focus su Jesse e a volte su Mathilda, su Deva e su Karl).
Perciò, quando mi viene chiesto perché non scrivo tutti i miei romanzi con il doppio PoV lui-lei "Perché ci piace tanto", la risposta è qui. Il narratore non si sceglie per compiacere il gusto dei lettori ma per gestire le informazioni contenute nella storia.
Può capitare di scrivere un romanzo in PoV in terza e poi accorgersi che non funziona e riscriverelo in prima, quindi per evitare questo lavoraccio è bene riflettere a priori su quale PoV sia più adatto alla storia e in questo, avere la sinossi già pronta, ci aiuta tanitssimo.
Questione di punti di vista: come si sceglie il narratore (PoV)?

Parliamo di punti di vista, da qui in avanti PoV (dall'inglese point of view).
Uno dei punti di partenza per scrivere un romanzo è la scelta del PoV.
Detta anche focalizzazione, il punto di vista è la prospettiva attraverso cui chi narra vede e racconta la storia.
Aldilà di quello che si possa pensare, la scelta del PoV non dipende dalla moda, da cosa piace al lettore, o sentirti in obbligo di narrare ogni romanzo con lo stesso PoV.
Il PoV dipende dalla storia, dalle informazioni che si vuole dare o che si vuole nascondere al lettore per rivelarle a un determinato punto della storia.
Quali sono i PoV più utilizzati per scrivere un romanzo?
Vediamoli, per capire meglio come scegliere quello che più si adatta alle nostre esigenze.
Prima persona singola
Tutto il romanzo è narrato dal punto di vista del protagonista, in prima persona, nel quale il lettore si identifica completamente poiché si vive, si sente e si vede in tutto "in diretta".
Anche le informazioni che abbiamo sono solo quelle in possesso del protagonista, quindi se qualche personaggio sta tramando alle sue spalle per danneggiarlo, sarà una cosa che scopriremo a fatto compiuto.
I tempi di narrazione possono essere il presente, quindi i fatti accadono via via che procede la storia, oppure al passato, come se il protagonista ci stesse raccontando oggi cose successe tempo addietro.
Prima persona multipla
Il più comune è il doppio PoV, dove a capitoli alterni, si switcha da un personaggio all'altro (esempio, uno narrato dal PoV di Lei, e quello successivo narrato dal PoV di lui). Questo caso funziona quando in realtà i protagonisti sono 2 e contribuiscono al 50-50 allo sviluppo della trama in modo attivo e, soprattutto, quando entrambi compaiono nella storia dall'inizio, avendo quasi scene concomitanti.
Questo PoV può adattarsi anche a 3, 4 personaggi, tenendo presente che, più aumentano i PoV, più aumentano le informazioni che si danno al lettore, quindi aumenta il rischio di contraddirsi.
Con il PoV multiplo c'è meno immedesimazione ma l'autore ha accesso a tutte le informazioni di tutti i personaggi, con il rischio di sapere in anticipo cosa succederà. Esempio: se scriviamo una storia con doppio PoV moglie e marito, nel pov maschile se lui la tradisce, è un segreto di cui veniamo a conoscenza subito, quindi quando la moglie lo scoprirà, per lei sarà una sorpresa ma non per noi.
Prima persona esterna
In questo caso, chi narra non è il protagonista delle vicende, ma un osservatore, tipo il migliore amico o il vicino. Un esempio di questo PoV è Il Grande Gatsby, in cui la storia è raccontata da Nick Carraway.
In questo caso non abbiamo immedesimazione e la narrazione è depurata dall'autoindulgenza che affligge i PoV in prima persona interna, dove il protagonista ci dà una visione parziale della storia.
Prima interna+ prima esterna
Si possono combinare questi due PoV quando il protagonista narra la sua vicenda in prima persona, poi racconta (in altri capitoli) le vicende dei suoi amici. Faccio esempio pratico spiccio non letterario: Sex & the City. Carrie è la protagonista e narratrice della sua storia personale, ma occasionalmente ci racconta anche di ciò che succede a Miranda, Charlotte e Samantha con la sua voce.
Terza persona singola
Il narratore è un personaggio esterno alla vicenda, il tempo di narrazione può essere al presente o al passato (a fatti già avvenuti), in questo caso si può scegliere quali informazioni dare al lettore e quali nascondere a seconda di come si vogliono gestire i colpi di scena.
Questo narratore (come se fosse una mosca) può decidere di seguire un personaggio solo o tutti per raccontare appunto scene scelte, chiave, che diano al lettore le informazioni che servono a far progredire la storia. Io ho usato questo narratore per Una Cenerentola a Manhattan, concentrandomi soprattutto sulle vicende della protagonista, ma spostandomi, all'occorrenza, sugli altri personaggi (quindi abbiamo focus su Jesse e a volte su Mathilda, su Deva e su Karl).
Perciò, quando mi viene chiesto perché non scrivo tutti i miei romanzi con il doppio PoV lui-lei "Perché ci piace tanto", la risposta è qui. Il narratore non si sceglie per compiacere il gusto dei lettori ma per gestire le informazioni contenute nella storia.
Può capitare di scrivere un romanzo in PoV in terza e poi accorgersi che non funziona e riscriverelo in prima, quindi per evitare questo lavoraccio è bene riflettere a priori su quale PoV sia più adatto alla storia e in questo, avere la sinossi già pronta, ci aiuta tanitssimo.
July 3, 2020
Vi spiego perché 365 days è un film femminista

Si è letto e sentito di tutto e di più su 365dni, il film di produzione polacca tratto dall'omonima serie di romanzi erotici di Blanka Lipinska, che ha scalato le classifiche mondiali di Netflix.
Non c'è paese dove è disponibile la piattaforma in cui 365dni non sia in top3.
E via che volano stracci.
Ho sentito gridare allo scandalo, gente che tuona a gran voce: "Dov'è il femminismo quando serve?!", "Che schifo, c'è tanto sesso!".
Anche io ho ricevuto diversi messaggi per sapere che opinione avessi in merito. Ci ho messo un po' a elaborare un pensiero, ma eccomi qua.
(Formulare una propria opinione richiede tempo e riflessioni, è normale che non sia un procedimento immediato. Anzi, io dubito molto di chi, appena accaduto un fatto, sforna subito il proprio pensiero perché sospetto che lo abbia preso in prestito da qualcun altro. Come diceva Henri Poincaré: "Dubitare di tutto, o credere a tutto, sono due soluzioni altrettanto comode, che ci dispensano entrambe dal riflettere" ).
Questo articolo potremmo anche intitolarlo Felicia Kingsley contro tutti.
Come andava preso 365 dni?
Come puro e semplice intrattenimento. 365 dni è un film molto onesto nella sua semplicità e anche nel suo essere a tratti grottesco: vuole intrattenere e basta. Si tratta di un film fatto per passarsi due ore e farsi qualche risata (e anche rifarsi gli occhi).
Non ti siedi davanti a 365 dni per ricevere chissà quale rivelazione trascendentale che ti cambi la vita, esattamente come non te la aspetti da un cinepanettone, da una parodia alla Scary Movie, o da uno sparatutto tipo John Wick.
Eppure la critica intera ha serrato i ranghi e si è scagliata con fiumi d'inchiostro contro questa pellicola manco fosse l'Anticristo.
Per me, fatica sprecata.
Cosa si doveva dire di 365 dni? Mah, che per una tizia che, un giorno, si sveglia in un castello sul mare, servita e riverita, con cene cucinate da chef stellati, shopping no limits e Michele Morrone disposto a soddisfare ogni suo desiderio sessuale, ho sentito di sequestri peggiori.
Ci si fa una risata e si va avanti con la propria vita.
E invece no, bisogna arrivare a insultare le donne perché guardano questo tipo di film.
Smontiamo le accuse una per una:
1 - "365 è pieno di sesso!".... ma dai? E' un film erotico, il sesso fa parte del genere quanto un omicidio in un giallo (eppure non ho mai sentito nessuno lamentarsi che nei gialli ci sono troppi morti". Stupirsi del sesso in un erotico è come andare a cena al sushi e lamentarsi del pesce crudo.
E, quanto alle scene di sesso, checchè se ne dica, sono ben fatte, al punto che ci si domanda se i due attori non lo stessero facendo davvero (spoiler: no).
2 - "365 è la copia di 50 sfumature!": chi ha detto questa frase, di sicuro non ha visto uno dei due film (o entrambi). 50 sfumature si basa su un contratto master-slave tra un CEO sadico e una ragazza vergine (sia sessualmente, che della vita in generale). In 365 di sado-maso neanche l'ombra, e Massimo (lo dice anche chiaramente) non la toccherà a meno che lei non voglia. In 50 sfumature il rapporto è regolato da un contratto; 365 è il retelling in chiave moderna (e zoppicante) della Bella e la Bestia.
Nota prettamente cinematografica: il film ha tante pecche, in primis un copione con battute improbabili che sfiorano il ridicolo, e scene che non hanno consecutio tra una e l'altra, lasciando allo spettatore un mucchio di interrogativi, ma questo esula dalle critiche fatte al film.
3 - "Gne gne gne, sembra che in Italia ci sia solo pizza e mafia": Perché? Gomorra e Romanzo criminale di cosa parlano? Di vecchietti che giocano a tressette col morto al bar bevendo la spuma? Non facciamo i finti perbenisti che vedono il danno d'immagine solo dove fa comodo. Dal punto di vista del marketing 365 dni è uno spottone dell'Italia niente male, con riprese mozzafiato delle coste e dei borghi del Mediterraneo (che, spoiler, è quello che all'estero vogliono vedere).
E poi, finalmente, anche noi riusciamo a esportare un sex symbol come Dio comanda in tutto il mondo. Era dai tempi del vecchio conio che la fama di un attore italiano non scavallava la dorsale alpina. Gli ultimi attori mozzafiato che ricordo sono Raul Bova e Garko, e son passati ormai trent'anni. Da allora, il deserto.
Lasciamo che le donne del globo ci invidino Michele Morrone.
4 - "365 giustifica l'abuso sulle donne": aridaje. Sempre con sta mania che i film devono essere educativi. Ma da quando? Chi? Perchè? Il cinema e la letteratura sono pieni di storie che non sono educative (uno a caso, Lolita. Al netto della qualità narrativa e concentrandoci sul contenuto, se 365 giustifica l'abuso sulle donne, allora Lolita, giustifica l'abuso su minore, visto che abbiamo un quarantenne che intesse una relazione con la figlia dodicenne - o 14enne, non ricordo, chiedo venia sono passati anni da quando l'ho letto - della moglie. Passo e chiudo).
A parte che, se c'è qualcuno che viene abusato in 365, quello è Massimo, non Laura. Sì, perchè dopo la faraonica maratona sessuale sullo yacht, dove lo fanno in cabina, sul fly, sotto il fly, a prua, a poppa, Laura ha il coraggio di dirgli: "Ho ancora voglia", e Massimo (che, ormai, ce lo avrà consumato tipo matitina dell'Ikea) la guarda con un'espressione del tipo: "Ancora?". E' lei quella da denunciare al MeeToo per abusi, non lui (battuta, ridere qui).
5 - "Le donne penseranno che sia giusto sottomettersi al volere degli uomini": ecco, questa è la critica più offensiva e antifemminista (così antifemminista che fa il giro e diventa maschilista) che si possa fare. In pratica, si sta dicendo che le donne sono così minorate da non distinguere la realtà dalla finzione e che quindi, poverine, bisogna farci il disegnino per spiegarci che quello che abbiamo visto non è la vita vera. Cari critici (e critiche), per vostra informazione, a noi donne nessuno deve spiegare nulla.
Sappiamo perfettamente distinguere la finzione dalla realtà, esattamente come gli uomini. Sì, perché non ho mai sentito nessun critico dire, dopo l'uscita di uno di quei film sparatutto grondanti pallottole e sangue che piacciono tanto ai maschietti, "bisogna spiegare agli uomini che la violenza è sbagliata e quello che vedono nei film non è la realtà".
Mi offende che si pensi che noi donne non abbiamo la stessa dotazione intellettuale per guardare un film senza capire che è solo un film.
A noi bisogna spiegare le cose.
Alla domanda "Dov'è il femminismo quando serve?", rispondo io. Non c'è.
Il femminismo è chiuso nei salotti a disquisire sulla desinenza delle professioni: ingegnerA, avvocatA, architettA (sappiate che se mi chiamate architettA, potrei gustarmi il vostro fegato con un piatto di fave e un bicchiere di Chianti); il femminismo si indigna se 365 dni è in testa alla classifica Netflix, ma non lo vedo a protestare per le cose che contano.
Non lo sento alzare la voce perché in Italia la pillola anticoncezionale non è mutuabile quando va assunta in caso di patologie ginecologiche e/o ormonali tipo l'endometriosi, però i farmaci per la disfunzione erettile la mutua li passa (qui l'articolo).
Pene moscio batte problemi ormonali, 1 a zero.
Questo è un finto femminismo di facciata che non mi piace e che sotto nasconde la ricerca di approvazione degli uomini.
L'approvazione degli uomini (e di nessun altro) non mi serve, e se voglio vedere 365 dni per divertirmi lo guardo, senza paura di essere giudicata. E fare ciò che vogliamo per il nostro piacere senza timore di giudizi, donne, è la cosa più femmimista che si possa fare.
In conclusione, 365 dni non è un film eccelso (come tanti altri che ce ne sono nella storia del cinema), che non pretende di lanciare messaggi di pace e amore, ma solo di intrattenere.
E, cari critici, dormite sereni. Una volta finito di vedere 365 dni le donne non vorranno diventare schiave degli uomini, ma solo di Michele Morrone.
July 2, 2020
Esordio: meglio romanzo autoconclusivo o saga?
In entrambi i casi la risposta può essere sì o no, quindi è il caso di fare una riflessione ampia.
Aldilà del contenuto, della bellezza della storia, quella qualità narrativa, la questione stand-alone/saga ha una natura prettamente commerciale.
Stand-alone è un romanzo indipendente, autoconclusivo, con una storia che inizia e finisce nello stesso libro. Possiamo considerarlo, editorialmente parlando, un figlio unico.
Poi ci sono le saghe, che possono essere composte da 2-3-4-X libri, con la storia che inizia nel primo e termina nel quintordicesimo, oppure una catena di sequel/prequel/spin-off strettamente collegati (che comunque non si possono leggere individualmente e in ordine sparso).
Per fare questa valutazione bisogna analizzare il pro e contro di entrambe le strade.
La saga.
Partiamo dal più difficile dei due. Intanto, una saga, prima ancora di essere scritta, VA PENSATA. Le saghe si pianificano (chiedete a George R.R. Martin), questo vuol dire che prima di scrivere dovete passare un bel po' di tempo a chiudere tutti i cerchi.
Il rischio numero uno di una saga non pianificata è quello di cadere nel tranello dell'allungamento del brodo: scrivi, scrivi ma la storia non va avanti, aumenta solo il numero di pagine.
La saga va pubblicata a stretto giro. Ogni libro finisce con un filo pendente, un cliffhanger, un evento che lascia il lettore sconvolto e senza risposte. Commercialmente parlando, la fame del lettore di avere il seguito tra le mani è cosa buona e giusta, e questa hype del "bisogno di sapere" fa tanto bene alle vendite. Il punto è che il chiodo va battuto finché è caldo, quindi una saga deve essere alimentata come una stufa a carbone, i libri devono uscire molto ravvicinati tra di loro altrimenti si rischia di perdere l'interesse del lettore.
Se sei lento a scrivere, la saga non fa per te. All'esordio hai bisogno di crearti un pubblico, non di farlo scappare.
Pro: se il primo libro parte bene, anche i successivi saranno attesi e comprati.
Contro: se il primo libro va male, o cestini la serie e ti butti su altro, o fai uscire i seguiti consapevole che forse non li leggerà nessuno.
Pro: una saga che va bene, diventa quasi un marchio (vedi Harry Potter, vedi 50 sfumature, vedi After...).
Contro: il lettore ti identifica con la saga e quando decidi di chiuderla e scrivere altro, il tuo pubblico non è detto che ti segua. E.L. James, con The Mister non ha avuto lo stesso sostegno ricevuto per 50 sfumature; sì, è andato bene, ma non c'è stato lo stesso affetto e lei resterà sempre l'autrice di 50 sfumature. Difficile scollarsi un'etichetta di dosso.
Pro: i lettori si fidelizzano.
Contro: con una saga non si acquisisce nuovo pubblico, si consolida solo quello che si ha già.
Lo stand alone
Sia che si tratti di pubblicare con casa editrice che self, il romanzo stand-alone dà molta libertà all'autore, e ha un procedimento in termini di stesura molto più breve.
Lo stand-alone ha un tasso di rischio più basso rispetto alla saga perché se il romanzo non è ben accolto, la pubblicazione successiva sarà una valida ripartenza. Un lettore deluso potrebbe comunque dare una seconda chance a una nuova storia, cosa che non farebbe con il seguito di una saga che non gli è piaciuta.
Lo stand alone non ti blinda, vuol dire che il lettore non ti identificherà per tutta la vita come "L'autore della saga AmbarabàCiccìCoccò" e avrai la possibilità di reinventarti a seconda delle idee che ti vengono, anche sperimentando cose che nei romanzi precedenti non hai mai fatto.
Pro: a ogni uscita, il tuo bacino lettori si allarga.
Contro: ogni nuova uscita è una scommessa.
Pro: non hai scadenze tassative di uscita per i sequel.
Contro: serve comunque già un altro romanzo pronto da far uscire sia nel caso il primo stand alone non funzioni, sia che venda bene, perché in questo caso, va coltivato l'interesse dei lettori verso ciò che fai.
Dunque, alla fine di questo articolo cosa è meglio per un esordio? A mio parere, soggettivo, individuale e personalissimo, direi che all'esordio sia meglio uscire con uno stand-alone, ma questo solo perché i contro di una saga mi sembrano più "pesanti" e difficili da recuperare, e il rischio di bruciarsi è maggiore.
Questo, però, ripeto, è il mio parere personale e ciascuno deve ponderare la propria posizione.
June 25, 2020
Ma quanto dev'essere lungo un romanzo?

Prima o poi, questa domanda ce la poniamo tutti.
Si tratta di un aspetto puramente tecnico che però ha una risposta, molto spesso, astratta, cioè: un romanzo non ha una lunghezza standard.
Di solito, ricevere questa risposta, per quanto giusta, ci mette più in crisi di prima.
Però, questo astrattismo ha un motivo di fondo insindacabile
Se ci fosse un numero limite massimo di pagine, che so, 500, capolavori come Guerra e pace non avrebbero mai visto la luce; idem se esistesse un tassativo numero minimo di pagine, tipo 200, Hemingway avrebbe dovuto buttare Il vecchio e il mare nel cestino.
Detto questo, a titolo totalmente indicativo , così per orientarsi e avere una bussola, possiamo darci dei riferimenti.
Innanzitutto, in editoria, l'unità di misura non sono le pagine.
Le pagine dipendono da quanto è grande il carattere di scrittura, lo spessore dell'interlinea, la grandezza dei margini laterali, superiori ed inferiori, quindi non è un metro affidabile.
In editoria si usano il numero di cartelle, il numero di battute (spazi inclusi) e il numero parole.
Se parlando con un editor, gli date questi parametri, capirà di che entità di lavoro si tratta il vostro romanzo.
Numero parole e numero battute sono un dato facilmente reperibile dentro a tutti i programmi di scrittura che potreste utilizzare, le cartelle (la più diffusa unità di misura) sono un dato ricavato.
Una cartella editoriale contiene 1800 battute, questo vuol dire che per sapere di quante cartelle è composto il vostro romanzo, dovete prendere il numero battute totale e dividerlo per 1800.
Esempio: romanzo di 486'000 battute/1800 = 270 cartelle.
Ma veniamo a questi famosi parametri indicativi (sottolineo e ripeto indicativi) che possono servire per capire quanto può essere lungo un progetto editoriale:
Racconto: dalle 7'000 alle 15'000 parole - dalle 40'000 alle 90'000 battute - 20/50 cartelle; in stampa dovrebbe essere tra le 25 e le 50 pagine (dipende dal formato e dalle norme di impaginazione dell'editore).Novella: dalle 17'000 alle 40'000 parole - tra le 100'000 e le 240'000 battute - 55/130 cartelle; in stampa dovrebbe venire tra le 60 e le 150 pagine (dipende dal formato e dalle norme di impaginazione dell'editore).Romanzo breve (e narrativa per ragazzi): dalle 45'000 alle 70'000 parole - tra le 270'000 e le 420'000 battute - 150/230 cartelle - in stampa dovrebbe essere tra le 150 e le 230 pagine (dipende dal formato e dalle norme di impaginazione dell'editore).Romanzo: dalle 73'000 alle 110'000 battute - tra le 430'000 e le 650'000 battute - 240/360 cartelle - in stampa dovrebbe essere tra le 280 e le 400 pagine (dipende dal formato e dalle norme di impaginazione dell'editore).
Non entro nel merito di saggistica, biografie, poesia e teatro perché sono generi su cui non ho le competenze per esprimermi.
"Ma se il mio romanzo è di 120'000 battute?", va bene lo stesso, i numeri che ho scritto sono indicativi, il che vuol dire che c'è ampio margine per muoversi al di fuori di questi.
Ciò detto, se il tuo romanzo è di un milione di battute, i casi sono due: puoi fare dei tagli perché, magari, alcune parti sono eccessivamente prolisse e nulla aggiungono alla trama (cosa che sarà l'editor a segnalarti); oppure è così denso di avvenimenti che, forse, è il caso di valutare di farne una dilogia o addirittura una trilogia.
Molti, dopo aver visto questi numeri, entrano in paranoia perché credevano di aver scritto tantissimo e invece si rendono conto di non essere nemmeno a metà. Don't worry, in questo caso, si prende la propria storia e si rivaluta il suo potenziale di sviluppo perché è probabile che si possa dire di più, mostrare di più, approfondire meglio situazioni e personaggi.
Scrivere è un lavoro di montaggio e smontaggio continuo, spesso frustrante, ma come ho già detto, se fosse facile, lo farebbero tutti.
June 19, 2020
L'odio-amore funziona sempre?

No.
Questo articolo potrebbe finire qui però, poi, questa rubrica perderebbe senso di esistere, perciò mi sembra il caso di contestualizzare questo "no".
L'odio-amore è una dinamica narrativa consolidata nel rosa; come si dice :"Senza conflitto, non c'è storia".
Ma attenzione a non prendere questa massima come un mantra, perché ci sono casi in cui l'odio come causa del conflitto c'entra come i cavoli a merenda.
Ci possono essere storie d'amore che funzionano con l'odio e altre che funzionano senza.
Il conflitto può essere dato da tante cose, ma questo lo vediamo dopo.
Nel più comune dei casi, un romance basato sull'odio amore funziona così: lei e lui sono colleghi, si odiano, per una causa di forza maggiore sono costretti a lavorare insieme e, nel tempo passato insieme, scatta l'amore.
La formula (colleghi che si odiano)+(lavorare insieme) = amore però non è un dogma incontestabile.
Quell'odio, motore scatenante della storia, non può essere un odio così, a casaccio; dev'essere un odio sensato.
Ho letto diversi romanzi, sia vecchi che freschi di stampa, sia self che editi, in cui mi trovavo a fissare la pagina chiedendomi: "Ma perché questi due si odiano?".
Perché la formula odio-amore funzioni deve poggiare su delle solide fondamenta; l'odio perché sì, solo perché la formula lo richiede, non è sufficiente.
Un odio nato da motivi fragili mette in pericolo la famosa sospensione dell'incredulità che è alla base della lettura.
Tra autore e lettore c'è un tacito patto di fiducia: il lettore non si fa domande perché sa che l'autore gli darà tutte le risposte.
Questo non lo dico io, lo dice anche Dan Brown, che non è proprio l'ultimo arrivato.
Quindi, quando decidiamo di scrivere una storia odio-amore dobbiamo essere certi che il lettore non metta minimamente in dubbio la solidità dell'odio tra i due protagonisti: deve essere chiara, cristallina e inattaccabile.
E non deve essere un odio per partito preso, perché uno dei due protagonisti ha deciso che deve odiare l'altro, altrimenti il personaggio passa per ottuso livello terrapiattismo.
Ora veniamo a quei casi di storie d'amore di successo senza la dinamica odio-amore.
Pretty Woman: sì, è un film e non un libro, ma quando faccio esempi, mi piace pensare in grande. Vivian e Luis si odiano? Assolutamente no. Anzi, sono complici! Sul tasso di successo di Pretty Woman non spreco parole, ma come esempio di storia d'amore senza hate2love parla da solo.Notting Hill: il goffo Will e la divina Anna si odiano? Neanche un po', ma che io sappia, questa pellicola è stata tutto meno che un fallimento.
Questi sono due esempi chiari del fatto che l'odio-amore non è l'unica chiave per scrivere romance.
Mi sembra di vedere le facce confuse di persone che si domandano: "Ma allora, la regola di no conflitto-no party è falsa!?".
Vi stupirò ma il conflitto è ben presente in entrambe queste storie (solo che non è un conflitto che si manifesta sotto forma di odio): il conflitto in Pretty Woman nasce dal contrasto tra l'estrazione sociale di Vivian, prostituta un po' grezza di Hollywood Boulevard, e Louis, big boss della finanza newyorkese, gentleman con la ventiquattrore che si muove nell'alta società.
E in Notting Hill? Will è un libraio impacciato con un negozio sull'orlo del fallimento, con diversi problemi di autostima e che a momenti pure sua sorella si scorda del suo compleanno; Anna Scott è la stella più brillante di Hollywood, tutti sanno chi è, tutti parlano di lei, tutti la vogliono. Il conflitto non è nell'odio, ma nel binomio nullità-celebrità.
Dunque, alla fine di questa disamina possiamo arrivare a 2 conclusioni:
si possono scrivere storie d'amore belle, senza che i due protagonisti si odino a tutti i costi;quando si scrive una storia odio-amore, l'odio dev'essere fortemente motivato.Quindi, occhio all'abuso dell'odio-amore. Se non ha senso rischia di rovinare la storia.
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