Sarinys
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L'ombra del tortu...
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Sole nero
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by Rebecca Roanhorse (Goodreads Author)
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Roberto Bolaño
“Il giorno in cui non lo si vide più a passeggio per le vie di Concepción con i suoi libri sotto il braccio, sempre correttamente vestito (al contrario di Stein, che si vestiva come un barbone), diretto alla Facoltà di Medicina o a fare la coda davanti a qualche teatro o cinema, quando si volatilizzò, insomma, nessuno ne sentì la mancanza. Molti si sarebbero rallegrati della sua morte. Non per questioni strettamente politiche (Soto era simpatizzante del Partito Socialista, ma niente di più, simpatizzante, nemmeno un elettore fedele, io direi che era un sinistroide pessimista) ma per ragioni di natura estetica, per il piacere di vedere morto chi è più intelligente e più colto di te ed è privo dell’astuzia sociale di nasconderlo. Scriverlo adesso sembra una bugia. Ma era così, i nemici di Soto sarebbero stati capaci di perdonargli persino la sua mordacità; quello che non gli perdonarono mai fu l’indifferenza. L’indifferenza e l’intelligenza.”
Roberto Bolaño, Distant Star

Jon Krakauer
“In quella primavera del 1996, sulle pendici dell'Everest, non mancavano i sognatori: le credenziali di molti aspiranti scalatori della montagna erano esili quanto le mie, se non di più. Quando per ciascuno di noi veniva il momento di valutare le proprie possibilità e di soppesarle contro la sfida formidabile rappresentata dalla montagna più alta del mondo, a volte si aveva l'impressione che metà della popolazione del campo base soffrisse di delusione clinica. Forse, però, non sarebbe dovuta essere una sorpresa: l'Everest ha sempre attirato come una calamita ciarlatani, cacciatori di pubblicità, inguaribili romantici e altri individui con una presa non troppo salda sulla realtà.”
Jon Krakauer, Into Thin Air: A Personal Account of the Mt. Everest Disaster

Mary Gaitskill
“Quando ero piccola mia madre mi lesse una storia su una ragazzina cattiva. La lesse a me e a mia sorella: ce ne stavamo rannicchiate contro il suo corpo sedute sul divano, mentre lei leggeva ad alta voce un libro che teneva sulle ginocchia. La luce della lampada splendeva su di noi, avvolte da una coperta. La ragazza della storia era bella e crudele. Sua madre era povera, perciò la mandava a lavorare per una famiglia di persone ricche che la viziavano e la coccolavano, ma le dicevano anche di andare a trovare la madre. Lei però si sentiva troppo importante, e si limitava a farsi vedere. Un giorno quella gente ricca la mandò a casa con una pagnotta per la madre, ma quando la ragazza si trovò davanti a una pozzanghera di fango, per non sporcarsi le scarpe ci buttò il pane, e ci mise i piedi sopra. La pagnotta affondò come in una palude, e lei affondò con essa, scendendo giù giù fino a un mondo popolato di demoni e creature orribili. Dal momento che era bella, la regina dei demoni ne fece una statua per donarla al suo bisnipote. La ragazza venne coperta da serpenti e melma, intrappolata e circondata dall’odio di ogni altra creatura. Soffriva la fame, ma non riusciva a mangiare il pane che non le si staccava dai piedi, e poteva sentire quello che la gente diceva di lei: un ragazzo che passava di lì aveva visto che cosa le era successo e lo aveva raccontato a tutti, e tutti dicevano che se lo meritava, persino sua madre diceva che se lo meritava. La ragazza non poteva muoversi, ma anche se avesse potuto avrebbe finito per torcersi di rabbia. “Non è giusto!”, urlò mia madre, facendo il verso alla ragazza cattiva.
Io me ne stavo seduta contro mia madre mentre ci raccontava la storia, e forse per questo mi sembrò di non sentirla semplicemente con le orecchie: la sentii nel suo corpo. Sentivo una ragazza che voleva essere troppo bella. Sentivo una madre che voleva amarla. Sentivo un demone che voleva torturarla. E li sentivo così strettamente mescolati dentro di me che non c’era modo di separare tutte quelle emozioni. La storia mi terrorizzò e mi misi a piangere. Mia madre mi prese tra le sue braccia. “Aspetta”, disse, “la storia non è finita: lei sarà salvata dalle lacrime di una bambina innocente come te”. Mia madre mi baciò sulla fronte per poi finire di raccontare la storia. E io l’ho dimenticata per molto, molto tempo.”
Mary Gaitskill, Veronica

J.G. Ballard
“«Eniwetok e il luna park». Può sembrare strana l'accoppiata fra il luogo dove fu fatto il primo test della bomba H, nelle isole Marshall, e la fiera dei divertimenti di Parigi, così amata dai surrealisti. Ma l'interminabile serie di telegiornali dedicati alle esplosioni nucleari che vedemmo negli anni sessanta (una vera e propria istigazione all'immaginazione psicotica che autorizzava qualsiasi cosa) aveva davvero un'aria carnevalesca. Stanley Kubrick colse perfettamente questa caratteristica dei media nel finale del suo Dottor Stranamore. Mi immagino questi pazienti fare ogni sforzo, a imitazione di Warhol, nel mescolare Freud e Liz Taylor, rifugiandosi immancabilmente a casa ai primi segni di crollo nervoso del proprio dottore. Originariamente la dedica di La mostra delle atrocità avrebbe dovuto essere «Ai pazzi». A loro devo tutto.”
J. G. Ballard

Zadie Smith
“Uno dei più grandi sogni di autenticità dell’avanguardia è questa possibilità di diventare criminali, di condividere la sorte di Genet e John Fante, dei freak, dei perduti, degli emarginati. (Con la notevole eccezione di J.G. Ballard, autore di quello che è forse il miglior romanzo britannico d’avanguardia, La mostra delle atrocità, che allevò da solo tre figli nella tranquillità domestica di una villetta bifamiliare di Shepperton.) Per l’avanguardia inglese, l’esperienza di vita estrema è diventata un marchio di autenticità letteraria: il fatto che Alexander Trocchi e Anna Kavan facessero uso di droga è, per i loro lettori, almeno altrettanto importante della loro prosa.”
Zadie Smith, Changing My Mind: Occasional Essays

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