Csaba Dalla Zorza's Blog, page 1451

July 16, 2021

Le Storie Siamo Noi, Francesca: «Io, vittima di pedopornografia»

La storia di Francesca è una di quelle che non vorremmo mai ascoltare. Ma esistono e vanno raccontate perché non accada più. Il suo racconto.

«Ero una minuta bimbetta dai codini biondi, dal carattere mansueto e taciturno. All’età di 4 anni non solo ho cominciato ad andare all’asilo, ma sono rimasta implicata in una rete pedopornografica. Sono stata oggettificata, usata, comprata e venduta.

Ho vissuto l’umiliazione di stare in fila con altre bambine nell’attesa di venire scelta per soddisfare la cupidigia dell’adulto di turno. Insieme ad altri coetanei ho girato dei filmini dove veniva impresso su pellicola il mio stupro. A causa di questo trauma, ancora oggi fatico a guardare le fotografie dove sono ritratta. Sto ancora lavorando per sdoganare questa mia percezione legata al passato e reclamare la mia stessa immagine. Ho vissuto l’inferno ed è tutto inciso sulla mia pelle, a volte sento ancora le grosse mani di quegli uomini addosso. Mi hanno seviziata ripetutamente, vendendomi e scambiandomi per soldi, il tutto per una disgustosa smania di potere.

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Per anni la mia mente mi ha protetta, rimuovendo il ricordo di quei corpi appiccicosi intrecciati con il mio. Dimenticare capita a molti bambini abusati, è questione di sopravvivenza. Per riportare tutto alla luce mi è servita una terapia psicologica costituita dall’ E.M.D.R, attraverso il rilassamento oculare, riusiamo a ricordare e rivivere momenti del nostro passato, ma con la consapevolezza e gli strumenti di un adulto. È un po’ come guardare un film dell’orrore senza volume: resta comunque spaventoso, eppure diventa tollerabile quel tanto da riuscire ad analizzarlo per quello che è stato. 

Rivivere parti di questa esperienza è stato come cadere nell’oblio di un vortice buio e nero. Ti tormenti con il falso pensiero che non ne uscirai mai e che sentirai per tutta la vita quelle mani frugare nelle mutandine, fortunatamente con il tempo ho appreso dei meccanismi funzionali che mi hanno permesso di imparare a convivere con il mio vissuto, non posso dire di aver dimenticato, non sarebbe giusto, ma posso affermare che ho trovato un sano equilibrio per accettarmi insieme al mio trauma.

 Elaborate molte delle ombre del passato, ho sentito il bisogno di trasformare questa brutta storia in qualche cosa di bello, per dare un senso a questa crudele follia. Così dopo una lunga ricerca ho trovato un luogo adatto a me, l’associazione Meti. Io qui ho trovato la mia casa ed insieme ad altre persone con il mio stesso vissuto cerco di creare nuove vie per ricondurci al nostro io, per sentirci meno soli e soprattutto per uscire dal silenzio omertoso che circonda questo tipo d’abusi. Se vogliamo sconfiggere questa piaga, dobbiamo creare ponti d’ascolto che permettano di far conosce a tutti le dinamiche che vengono utilizzate per circuire un bambino»

Potete scriverci la vostra storia via Whatsapp qui: +393472156843

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Published on July 16, 2021 22:00

Jennifer Aniston, che non ha più paura di mangiare pane e pasta

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Cresciuta da una madre dallo stile di vita super healthy (in tempi in cui l’essere healthy nemmeno andava di moda), Jennifer Aniston è rimasta per decenni a distanza di sicurezza da pane, pasta e pizza. L’attrice californiana, che per i nostalgici di «Friends» resterà per sempre Rachel Green, ha sempre raccontato di seguire una dieta low carbs, dunque a basso contenuto di carboidrati e con una quota proteica importante. Questo fino a qualche tempo fa: al tabloid americano «People», infatti, la star ha racccontato di aver iniziato a consumare pane, pasta e pizza, pur con moderazione.

JENNIFER ANISTON E I CARBOIDRATI, COSA POSSIAMO IMPARARE
Jennifer Aniston ha aspettato i 52 anni per ri-avvicinarsi ai carboidrati. «Ho iniziato a concedermi un piatto di pasta o un panino, quando mi va. Semplicemente non esagero con le quantità», ha raccontato. Così facendo, l’attrice ha scoperto di amare parecchio i carboidrati. Come non capirla? Come ricorda la dietista Anna Cossovich, consulente nutrizionale di Pesoforma, «è importante garantirsi a ogni pasto tutti i macronutrienti necessari all’organismo, da cui il consiglio di non eslcudere drasticamente i carboidrati dalla propria dieta, fonte energetica importante. Semplicemente la preferenza dovrebbe andare ai carboidrati sotto forma di cereali, meglio se integrali, come pasta, riso, orzo, farro grano saraceno e sorgo, ricchi di fibre e più digeribili e leggeri. Ma il vero rischio per la silhouette non è tanto rappresentato dal piatto di pasta in sé, ma dal tipo di condimento e dalle porzioni, quelli sì da monitorare, specie se siete a dieta. Inoltre è importante accompagnare i carboidrati a proteine magre, di origine vegetale o animale, e a ortaggi in abbondanza, crudi o cotti al vapore o saltati nel wok. Così facendo eviterete spiacevoli sorprese sulla bilancia e picchi glicemici, senza dover rinunciare al piacere di pane, pasta e pizza».

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Published on July 16, 2021 22:00

Assicurazioni, come funzionano le nuove polizze «on demand»

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In un mercato che supera i 1.300 miliardi di euro, noi europei riserviamo dai nostri risparmi circa 2 mila euro ogni anno per il pagamento delle coperture assicurative e sappiamo bene che le polizze tradizionali prevedono solitamente lunghe procedure burocratiche, premi annuali spesso molto costosi e impegni contrattuali anche piuttosto lunghi. A riguardo però, è la Mobile Bank N26 a proporre in collaborazione con Simplesurance, una rivoluzione nel settore assicurativo annunciando il debutto delle polizze «on demand»: una soluzione completamente digitale che permette ai clienti della banca di sottoscrivere polizze assicurative direttamente tramite l’app dedicata della banca, in modo facile, veloce ma soprattutto più conveniente.

«Quando si tratta di assicurazioni, i consumatori oggi devono ancora fare i conti con processi e procedure burocratiche complesse e obsolete. Il settore è pronto da tempo per il cambiamento, ora siamo in grado di offrire una soluzione digitale one-stop per le esigenze assicurative dei nostri clienti» dichiara Valentin Stalf, cofondatore di N26. La nuova proposta, infatti, prevede che gli utenti possano attivare o disattivare i piani e avviare richieste di rimborso direttamente dall’app dedicata o dal sito ufficiale della banca e, in caso di recesso anticipato di una copertura annuale, ottenere il rimborso del periodo residuo e per il quale non si è usufruito della polizza.

Dalla casa ai viaggi e dagli animali domestici alla vita, durante l’estate le polizze «on demand» prenderanno in considerazione diverse esigenze comuni dei clienti che potranno sottoscrivere un’assicurazione a partire da 3 o 4 euro al mese. Ciò nonostante, questa novità arriva nel mercato con una soluzione dedicata all’oggetto che maneggiamo maggiormente durante la giornata, il nostro smartphone, per il quale possiamo richiedere un indennizzo in caso di incidenti, danni – anche quelli causati da liquidi – e furto.

«L’assicurazione smartphone, lanciata lo scorso 18 maggio, è una polizza che copre i costi di riparazione o di sostituzione dello smartphone in caso di smarrimento, danni o furto. Il cliente sottoscrive la polizza e paga un premio ricorrente, l’assicuratore copre le spese per sostituire o riparare il cellulare. La copertura danni assicura contro danni come la rottura dello schermo, danni causati da liquidi ed errori operativi. La copertura furto prevede un indennizzo o la sostituzione del dispositivo» afferma Andrea Isola, General Manager di N26 Italia e Southeast Europe, e continua «Tuttavia, questo è il primo di una serie di prodotti pianificati per i clienti della banca che da questa estate in poi riguarderanno anche laptop, smartwatch e tablet, le assicurazioni per la casa, la vita, i viaggi, la responsabilità civile, la bicicletta, l’elettronica e gli animali domestici. I prezzi saranno sempre molto competitivi, con premi che partono da pochi euro al mese».

Ma per quale motivo i clienti dovrebbero sottoscrivere una polizza su richiesta anziché una tradizionale? È sempre Andrea Isola a spiegare: «Flessibilità, trasparenza, convenienza e comodità di avere tutto sempre a portata di mano nella propria app, con soluzioni attivabili in pochi clic e senza scartoffie da compilare, sia in fase di apertura che di recesso e reclamo. Inoltre, non è necessario rifare i processi di on boarding perché si passerà attraverso il proprio account N26 con i propri dati già trasmessi in fase di apertura del conto. Il prezzo è più competitivo rispetto alle polizze ‘’tradizionali’’ e la garanzia di affidabilità, oltre che da N26, è data anche dal partner Simplesurance, uno dei leader del settore insurtech in Europa, che condivide la nostra natura dinamica e il nostro animo tech».

Volete scoprire come gestire le polizze «on demand» da smartphone? Nella gallery tutte le informazioni necessarie.

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Published on July 16, 2021 21:40

Cannes 2021, Tilda Swinton: «Ecco perchè mi sento libera e felice»

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Sembra una visione: multiforme, imprevedibile ed eterea. Tilda Swinton continua a sorprendere e incantare il Festival di Cannes 2021 con le molteplici trasformazioni su grande schermo (oltre che sul red carpet). L’ultimo, in ordine temporale, dei film presentati sulla Croisette, Memoria, chiude la sua lunga, anzi lunghissima presenza professionale all’evento francese che ha compreso anche un appassionato talk al femminile su invito di Salma Hayek per Women in Motion di Kering. In Memoria, ambientato in Colombia, interpreta una donna inglese a Medellin che gestisce un negozio di fiori. Momentaneamente a Bogotà per visitare in ospedale la sorella malata, si accorge ben presto che qualcosa non va e che quel momento potrebbe cambiarle la vita. Il racconto, scritto e diretto dal thailandese Apichatpong Weerasethakul, vanta un’incredibile impatto emotivo e visivo. Oltre che sociale, visto che il cast sul tappeto rosso della premiere ha sfoggiato la bandiera colombiana con la scritta SOS per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle morti dei giovani per strada durante le proteste per i diritti umani attualmente in corso. Durante l’incontro con la stampa estera l’attrice ha davvero mandato una lettera d’amore a questo Paese poeticissimo che ha ospitato le riprese del film.

Tilda Swinton in una scena del film Memoria

Oggi indossa i colori della bandiera colombiana, rosso, giallo e blu. Cosa rappresentano per lei?
«È come se avessi sul petto un’enorme fotografia della troupe con cui abbiamo lavorato per Memoria e che non può essere oggi a Cannes con noi, ma è vicina al cuore, la amo e le dedico un pensiero speciale. È una comunità giovanissima che ama il cinema come me, un’atmosfera straordinaria che ha trasformato immediatamente un gruppo di estranei in membri di una famiglia. Questi ragazzi sono così devoti all’arte che mi sembrano quasi kamikaze».

Ha trovato insomma l’abito perfetto per esprimere questi sentimenti.
«In realtà l’ho fatto creare appositamente. Ho chiesto che i colori fossero cambiati e richiamassero la Colombia. È un altro dei privilegi della mia vita, avere amici stilisti che si offrono di vestirmi in queste occasioni».

Di che cos’altro è grata alla vita? Solo a Cannes ha presentato una rosa di storie diverse tra loro e tutte incredibili.
«È vero, ogni film è diverso e unico, si crea un microcosmo particolare e per Memoria era palpabile l’energia artistica. Davvero mi sembrava di essere a casa, tra la mia gente, nella mia tribù, tra fratelli e sorelle nell’arte. La Colombia ha uno spirito vivo e vibrante».

Quando l’ha scoperto?
«Il regista mi ha mandato un messaggino da Cartagena quando l’ha visitata anni fa e anch’io ho deciso di andarci per capire cosa abitasse il posto. L’ho capito subito: qui i luoghi parlano con le persone, ne permeano l’anima».

Quando avete iniziato a parlare del film?
«Non abbiamo mai parlato della trama nello specifico, ma dell’atmosfera che ci aspettavamo di trovare nel progetto, una specie di limbo psicologico di persone che, per motivi diverse, si sentono staccate dal mondo».

Una scena di Memoria

In che senso?
«Il mio alter ego è una donna straniera, ma anche una turista, una viaggiatrice del mondo, di lei si sa che è vedova ma non si capisce in che fase del lutto si trovi».

Quale domanda si è fatta?
«Volevo capire cosa si prova ad essere quasi sospesi nel mondo, viverlo senza non esserne davvero parte. Jessica a me sembra davvero sott’acqua».

Perché Apichatpong Weerasethakul è il tocco perfetto per la storia?
«Ogni regista ha un suo “frame”, una sua cornice, e io sono fortunata che un talento eccezionale abbia voluto avermi in quel quadro. È lì che entra in scena la magia, succede qualcosa di incredibile, un ritmo quasi musicale che prende vita e io, come se non avessi una forma, mi lascio plasmare».

Ha detto precedentemente che, in maniera voluta, della donna che interpreta nel film non sa quasi nulla. Perché?
«Perché trovo liberatorio non conoscere le risposte o, meglio ancora, dire: “Non lo so”. Questa è libertà vera».

Ha imparato un po’ di spagnolo?
«Quello che chiamo “spagnolo cinematografico”, ma quando in Spagna ho ripetuto quelle parole mi hanno detto che si sentiva fortissimo la cadenza colombiana e io ne ero alquanto orgogliosa. Potersi esprimere nella lingua che non è la tua è un regalo, perché ti devi sforzare per essere compresa e sai che potrebbe non succedere affatto».

Si dice che lei sia così brava a cambiare pelle nei ruoli perché è una dea aliena e libera.
«In effetti questo film riguarda proprio il concetto di essere alieni e liberi da preconcetti. A me sembra di camminare sulla neve fresca, togliendo di mezzo gli ostacoli ma senza mai guardare altrove che non sia avanti a te. Continui a camminare in maniera pura, senza barriere, in uno spazio libero. E ieri, alla prima del film, il pubblico si è unito ai nostri passi, si è lasciato andare, ha accettato la sfida. Cosa c’è di meglio?».

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Published on July 16, 2021 21:35

Gabriele Costanzo e Francesca Quattrini si sono lasciati: parola di mamma Maria De Filippi

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La rottura non è stata annunciata con un post Instagram, dei tanti ormai firmati di comune accordo da coppie decise a promettersi stima reciproca. Maria De Filippi ha fatto le veci del figlio, Gabriele, e, in un’intervista, ne ha reso nota la fine della relazione.

«È tornato single», ha esordito la conduttrice Mediaset a Oggi, spiegando «Come per molti ragazzi, il lockdown è stato fatale. La convivenza forzata ha fatto saltare tanti equilibri. Temevo tornasse a vivere da noi. Il fatto che sia rimasto a vivere da solo denota maturità. Ha preso una bella batosta, ma ora lo vedo bene. Ha solo un difetto: è un po’ tirchio», ha continuato Maria De Filippi, sancendo così la fine della relazione fra Gabriele Costanzo e Francesca Quattrini, di professione stylist.

La coppia è stata fotografata la prima volta nel marzo 2019, sulle spiagge di Fregene. Da allora, sono stati diversi i selfie pubblicati online, dove i due non hanno mai perso la voglia di raccontare il proprio amore. Francesca Quattrini, studentessa all’Istituto Europeo di Design, e Gabriele Costanzo, oggi ventinovenne, sembravano destinati ad una relazione lunga e solida. Ma la pandemia avrebbe fatto emergere un’incompatibilità di fondo, di fronte alla quale i due avrebbero deciso di lasciarsi.

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Published on July 16, 2021 03:48

Il rito dell’aperitivo con vista sul Lago di Como

Un palazzo di charme affacciato sull’acqua, con 192 stanze decorate da antichi stucchi, specchi, affreschi e maestose colonne. E una terrazza panoramica che è il fiore all’occhiello della struttura situata in una delle zone più suggestive della Lombardia. La cornice perfetta per trascorrere una serata all’insegna della spensieratezza e del buon vino godendo al tempo stesso di una vista da sogno. Meritati attimi di puro relax da regalarsi dopo tanti mesi difficili, nei quali anche il Grand Hotel Cadenabbia è dovuto rimanere chiuso. Un momento che ha messo in crisi un intero settore, che ora guarda con fiducia al futuro. Come afferma il general manager Flavio Tagliasacchi, infatti «ci sono buoni presupposti per una stagione estiva che ci faccia riassaporare la normalità che tanto ci è mancata in quest’ultimo anno. Proprio in questi giorni rileviamo un ottimo riscontro in termini di prenotazione principalmente da parte dei mercati europei che si stanno progressivamente aprendo. Le richieste riguardano i mesi prettamente estivi ma stiamo già ricevendo prenotazioni anche per il prossimo anno».

La vista dalla terrazza del’Hotel.

Un trend positivo che non poteva che riportare ottimismo e voglia di ricominciare ad accogliere gli ospiti negli spazi suggestivi rimasti vuoti troppo a lungo. Con un’iniziativa d’eccezione: ogni venerdì, a partire dalle 18, l’albergo apre al pubblico la sua terrazza, situata al quarto piano, dove sarà possibile bere un drink accompagnato da un dj set e da una ricca proposta gastronomica. Oltre agli amouse bouche preparati dallo chef, sarà possibile optare per una formula barbecue con carne e verdure grigliate al momento. Per chi desiderasse trattenersi a cena, infine, è possibile riservare un tavolo al ristorante della struttura per gustare i suoi deliziosi piatti gourmet.

La piscina del Grand Hotel Cadenabbia.

Il modo perfetto per concludere la giornata, magari trascorsa prendendo il sole nella bella piscina aperta al pubblico, immersa nel verde di giardino silenzioso. Il luogo perfetto dove concedersi una nuotata per poi rilassarsi ammirando le bellezze del territorio.

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Published on July 16, 2021 03:47

L’amore tra Eros Ramazzotti e Marta Delogu? «Siamo solo veri amici»

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I patiti del gossip avevano già dato la loro benedizione, via social, alla nuova coppia più succulenta dell’estate: quella formata da Eros Ramazzotti, 57 anni, con la studentessa e modella Marta Delogu, 22. Peccato che la nuova coppia non esista. Sì, i due sono in vacanza insieme in Grecia, peraltro in compagnia di Gabrio Tullio e Raffaela Maria, i bambini che Eros ha avuto dall’ex Marica Pellegrinelli. Ma quello che ai più era sembrato un bel ritratto di famiglia è semplice amicizia.

Lo ha chiarito la stessa Delogu, stufa dei chiacchiericci, con un seccatissimo post sulle sue Storie Instagram: «Solo due parole per commentare quello che state leggendo in questi giorni: fake news. Mi meraviglio di tutte le persone che credono a questo tipo di gossip, mi dispiace per le vostre chiacchiere ma si tratta solo si una vera amicizia. Oltretutto non mi capacito della cattiveria di certe persone riguardo la notizia, mi colpisce in particolar modo che la maggior parte dei commenti sia da parte di donne».

Eros, da parte sua, finora non si è proprio dato la pena di commentare il presunto flirt con Marta. D’altronde da quando nel 2019 ha rotto con la Pellegrinelli alle voci sulle sue nuove (inesistenti) fiamme ha fatto il callo: «Negli ultimi quattro mesi, secondo una certa stampa rosa, avrei avuto ben quattro fidanzate, una ogni trenta giorni», aveva sbottato sui social lo scorso ottobre.

In primis era stato accostato alla Miss Italia Carolina Stramare, ma lui ci aveva scherzato su postando su Instagram una foto di famiglia in bianco e nero: «Ecco, la mia nuova fidanzata. Lei è Miss Nonna», scriveva a margine dell’immagine, «il mondo è allo sbando ma teniamo duro». In effetti Eros ha tenuto duro anche quando gli sono state accostate la conduttrice Roberta Morise e l’ex tronista Sonia Lorenzin.

Poi nel luglio 2020 si era parlato di un flirt con Veronica Montali, ex allieva di «Amici»: «Con lei ci conosciamo da anni, ma non c’è un legame affettivo di altra natura», aveva precisato il cantante a Dagospia: «Siamo in un Paese in cui basta abbracciare una persona per scoprirsi fidanzati il giorno successivo su certi giornali».

Ramazzotti ha un ottimo motivo per smentire le bufale sulla sua vita sentimentale: i suoi figli. In particolare la primogenita Aurora avuta da Michelle Hunziker: «Ogni due settimane mi attribuiscono un nuovo flirt. Mia figlia legge, viaggia molto in internet, capita che legga una cosa così e mi venga a fare domande. E cosa le dico? Non posso mettere piede fuori casa che mi fanno le foto e mi attribuiscono una nuova fiamma. Non si può far niente, non c’è rimedio. Se fossi da solo, se non avessi i figli, me ne fregherebbe poco. È pubblicità», ha ammesso Eros. Che ha poi ricordato: «Quando ho conosciuto Marika l’ho subito presentata ad Aurora. Ma tutte le altre storie e le cose che ho avuto prima me le sono tenute per me. È giusto che sia io a decidere quando dire ai miei figli chi è la mia nuova compagna».

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Published on July 16, 2021 03:45

Ddl Zan, Barbara Masini: «Quando capì di me, mia madre mi disse: “Ho paura per te”»

«Quando capì di me, mia madre mi disse: “Ho paura per te”». È cominciato così l’intervento commosso della senatrice di Forza Italia, Barbara Masini, durante la discussione sul disegno di legge Zan in Parlamento.

«Tutti i genitori hanno paura per i propri figli. Per il loro futuro, per la loro salute, per un incidente, per una casualità amara del destino. Ma non tutti sono costretti ad avere paura per una società immatura, che ritiene che tuo figlio o tua figlia possano o debbano essere un soggetto più vulnerabile per quello che è», ha continuato». A voi tutti auguro di poter guardare negli occhi i vostri cari. Quelli di oggi e quelli di domani, e anche quelli che un domani saranno diversi dai vostri desideri. E poter dire loro: “Io, nel mio piccolo, ti ho protetto dalla paura”».

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Barbara Masini, che solo di recente ha fatto coming out, è favorevole al ddl, anche se con qualche riserva. «La maggioranza degli italiani si dice favorevole a questa legge anche così com’è, pur con tutte le criticità alcune oggettive, e fra questi ci sono anche elettori di centrodestra», ha spiegato. «Per il mio partito si parla del 48% di favorevoli, saranno di più o di meno ma il punto è rispondere a chi crede che una posizione come la mia non sia in linea con un certo elettorato e invece lo è». E ancora: «Giunti a questo punto, sarebbe una grande sconfitta vedere ancora una volta un disegno di legge che in 25 anni, tutte le volte che si è tentato un iter legislativo, non l’ha mai terminato, affossato nei due rami del Parlamento».

Il dibattito sul ddl Zan sarà ripreso la prossima settimana, martedì 20 luglio, alle 16,30. Lo stesso giorno Nella stessa giornata, alle 12, è stato fissato anche il termine per la presentazione degli emendamenti.

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Published on July 16, 2021 02:48

Libero De Rienzo, la nostra intervista inedita all’attore scomparso

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Era il 29 gennaio del 2020. Incontravo Libero De Rienzo a Roma, in un bistrot vicino a casa sua. Un bistrot nel quale si muoveva con la confidenza di chi è evidentemente di casa. Abbiamo pranzato, con calma. Con quei tempi romani a cui i milanesi non sono abituati. Tempi – e bicchieri di vino, per me – che aiutano la chiacchiera. Persino la confidenza. Anche quando è un’intervista. Alla fine voleva pagarlo lui, il conto.«Ma no, ma come, non si è mai visto!». «E allora ti faccio fare lo sconto, aspé».

Poi sono arrivati il Covid, il lockdown, le tante emergenze che conosciamo. E quest’intervista è rimasta solo un lungo file audio nel mio telefono. Capita, anche con le interviste alle quali tieni molto, che per un motivo o per l’altro non riescano a vedere la luce.
Oggi Libero De Rienzo è scomparso, stroncato da un infarto a soli 44 anni. Spero che quest’intervista, che trascrivo così come era stata preparata per il magazine, restituisca almeno l’ombra della sua gentilezza, della sua ironia e della sua umanità. Del suo essere un uomo per bene. Della luce che gli accendeva gli occhi nel parlare, con un pudore raro, dei suoi figli.

 

C’è poco da fare: lo guardi, e dietro le occhiaie, dono delle recenti «60 ore consecutive di veglia», ritrovi il Bart del cult generazionale Santa Maradona. Libero De Rienzo non è cambiato poi molto. Il sole ci bacia, al tavolino del bistrot del quartiere Aurelio. Anche se è gennaio, stiamo fuori, così che possa fumare. «L’alcol, invece, non mi è mai piaciuto molto. Per me una tonica che sappia di mare, grazie».

Venti anni di carriera, eppure Vanity non l’ha mai intervistata.
«Non ho mai fatto interviste per i settimanali».

E perché?
«Non le faccio».

Come mai? Più che altro, come mai fa questa?
«Perché mi è stato molto simpatico al telefono».

Era ora, comunque. In un messaggio mi ha scritto: “Faccio una vita un po’ movimentata”.
«La mia compagna e io non stiamo per più di due settimane nello stesso posto; appena possibile ce ne andiamo a Procida. Il primogenito è cresciuto con la faccia rivolta al mare. Fa benissimo».

Ha dichiarato, anni fa, di volerne 16, di figli.
«Mi ero fumato una canna. È appena arrivata la seconda, due bastano. È bellissima. E non è vero che lo sono tutti i bambini: per lo più assomigliano a Churchill».

I suoi figli hanno nomi poetici come lei e suo padre Fiore?
«Preferisco non dirlo. Ma a me questo nome serve solo per capire se, chi mi chiama, mi conosce nella vita o solo per lavoro. Per gli amici sono Picchio».

Anche lei…
«Io arrivo molto prima di Favino».

Si dice che i figli cambino la vita.
«Tu gliela cambi. Non hanno mica chiesto niente, loro. Comunque sì: vai meno al cinema».

Per un attore è grave.
«Eh sì. Anche se poi, in realtà, tutti ‘sti bei film, non mi pare che…».

E a parte il cinema?
«Trovo disgustoso questo leitmotiv che sta girando, secondo il quale i figli sarebbero un problema».

Serve coraggio, oggi, per metterli al mondo?
«Forse, ma ragionando così avrebbero dovuto smettere di farne anche nel 1915. Noi li facciamo nascere e poi, male che vada, diventano Ken Shiro in un mondo post atomico e rompono il culo a tutti».

Nel migliore dei casi.
«Eh sì, e se no… succeda quel che succeda. Io più che dargli ascolto cultura e amore, non posso fare».

Si comincia già a farlo quando sono piccolissimi?
«Certo, mio figlio a 4 anni e mezzo sa già leggere e scrivere, ha imparato da solo».

E cosa scrive?
».Dai suoni sa riconoscere le lettere e scrive cose. E’ appassionato di squali. Ne sa riconoscere 380 tipi diversi, e sa tutto della loro vita».

Avrà preferenze tra i due? C’è sempre un figlio preferito.
«La piccola io ancora non l’ho capita… E’ ancora tutta allattamento e mamma. Lo scambio inizia solo nel momento dell’aggancio oculare. Quello è figo».

Picchio da bambino. Come era?
«Sul set già a 4 anni, per un film di ragazzini che trovano un tesoro etrusco a Cerveteri».

Ovviamente non si ricorda nulla.
«Scherza? Trovai per terra il mio primo coltellino, un Opinel. Ne ho molti, non giro mai senza. Mio nonno diceva che un gentiluomo deve sempre averne uno con sé, per risolvere i piccoli problemi. E un fazzoletto, per le signore».

Piccoli problemi…
«Sì, mica devo ammazzare qualcuno».

Quindi è un gentiluomo.
«È un termine un po’ in disuso, ma sì, mi piace la gentilezza».

Il set l’ha folgorata?
«Ne ho frequentati molti da piccolo con il mio papà, che faceva da aiuto a Citto Maselli. Una volta a piazza Navona, di notte, mi sono perso. Giravo, giravo, fino a che vidi una luce argentina enorme, e attorno tutti questi omoni, macchinisti e attrezzisti che mi si passavano l’uno con l’altro: di chi è ‘sto pupo? Il regista ha iniziato a urlare col megafono: il bambino Picchio cerca il papà!».

Le piace stare al centro dell’attenzione.
«No, mi piace l’aspetto circense del cinema. Occupiamo i posti, ci spostiamo di continuo…».

In cv ha anche un indimenticabile spot per gli spaghetti. Era un ragazzino occhialuto insopportabile.
«Mi diedero del “fustino”. Quando a 17 anni ti dicono ti do 8 milioni per un giorno di lavoro, be’, è un bel prendere. Anche se era in quel posto orrendo dove stava Berlusconi, Cologno Monzese».

Per quei soldi si poteva anche fare una gita a Cologno Monzese.
«Sì, e poi era un’occasione per vedere la Pietà Rondanini a Milano. Milano mi piace molto, ma alle volte ho un po’ di problemi coi milanesi».

La prima volta che l’ho vista al cinema è stata in A ma soeur! di Catherine Breillat. Era nudo e con un’evidente erezione.
«Il signore che aveva disegnato Alien mi fece una specie di protesi cava dentro la quale mettere il mio. Era in scala uno a uno, non abbiamo barato».

Imbarazzante?
«Anche divertente. Giravo sul set in accappatoio con questo coso di fuori, sbattendolo addosso alle signore: oh pardon, excuse-moi!».

Ha lavorato anche come apritore di ostriche.
«Per imparare il francese per il film. Avevo appena finito il liceo, con molto dolore, e piuttosto che frequentare l’Institut francais pour italienne, mi trovai un lavoro in un chiosco».

Perché “con molto dolore”?
«Perché la scuola è come l’esercito».

Bisogna pur studiare, no?
«Sì, sì. Ma a casa, facevo tutto da solo».

Sembra ostile alle regole.
«A quelle sbagliate. Non tollero quando l’autorità prende il posto dell’autorevolezza».

I registi coi quali ha lavorato erano più autorevoli o autoritari?
«Con registi stronzi non ho mai lavorato. Certo, Avati è uno tosto».

Quali sono le figure autoritarie che non sopporta?
«Io credo che le cose vadano fatte assieme. Certo, c’è un comandante che conosce la rotta, perché ha la bussola. Ma c’è modo e maniera. Il set è una famiglia temporanea. Il padre che ti dà ordini senza spiegarti perché ti fa venire voglia di andartene da casa».

Suo padre com’è?
«Ha fatto una vita strana. Ha praticamente inventato Chi l’ha visto?, passando tre quarti della sua carriera per strada a salvare la gente».

Era un eroe, per lei?
«No, piuttosto avevo paura: fece in tv nome e cognome di Michele Greco, il “papa”, un mafioso che scioglieva i bambini nell’acido. Capivo che era pericoloso».

Nel 2002 vinse il David. Nel discorso sul palco parlò della situazione drammatica della Mezzaluna Rossa palestinese, aggiungendo, in sala stampa: “Questo non è antisemitismo”. Come si spiega i recenti episodi di enti ebraismo?
«Stiamo vivendo un momento di abbrutimento orizzontale, su tutti i livelli. Da chi sta sulle sedie del potere, a chi sta nei giornali, a chi sta per strada. Mi fanno ridere i fascisti, non si rendono nemmeno conto delle stronzate che dicono».

Fanno anche paura.
«Ci meritiamo sempre il periodo storico nel quale viviamo. Forse è anche colpa mia se ‘sta gente è così. Da piccolo frequentavo lo stadio, e ho visto un grande movimento di proselitismo delle destre sui giovani. Il calcio è una malattia mentale, in questo paese».

Non le interessa più?
«Da qui non può vedere la vastità di quanto non me ne freghi un cazzo».

Che sport le piace adesso?
«Quelli che hanno a che fare con l’acqua».

Ha fatto una sola regia, Sangue, nel 2005. Come mai?
«Mi ha traumatizzato la distribuzione: da 150 a 8 copie. Mi ha fatto male. Non riesco a concepire il cinema come intrattenimento».

E cos’è, allora?
«Ricerca. Scuotimento di coscienze».

Ma ha fatto anche film di puro intrattenimento.
«Come attore. Ma quello è il mio lavoro, ci campo».

Mi fa una classifica dei suoi tre film a cui è più legato?
«Vuoi più bene a mamma o a papà? Ma a Fortapàsc sono affezionato. Spesso non li rivedo i miei film, non lo so bene. Sai quando senti la tua voce in segreteria? Ecco, aggiungici la faccia…».

Ma il cinema può anche aiutare…
«Terapeuticamente, dice? Io al trucco scappo. Della bellezza non me ne può fregare di meno». 

Avrebbe dichiarato che quasi tutti i giorni desidera smettere di fare l’attore.
«Vero. Vorrei fare il direttore della fotografia, ma gli attori non possono».

È vero che nel cinema italiano siete tutti un po’ amici?
«Non so, io ne ho due di attori amici. Sono un po’ fuori dai giri».

Peccato.
«Va be’, ma a me piace la falegnameria, la moto… Mi faccio i cazzi miei».

Falegnameria?
«Non sono un ebanista eh. Armadietti, la cucina…».

Ho letto che ha fatto molti traslochi. Ogni volta si costruisce la cucina?
«Ma no, di solito mi muovo con un libro».

Quale?
«È una cosa intima. Se ne dovessi salvare tre: Perturbamento di Thomas Bernhard, Ventimila leghe sotto i mari e l’Odissea».

Il mare, ancora. Sarà mica la voglia inconscia di tornare nell’utero materno…
«Non credo: è l’inizio di tutto, probabilmente anche la fine di tutto. Uno spazio dove non hai condizionamenti, ci sei tu e l’acqua e basta».

Libero è anarchico?
«No, sono un comunista».

Anche oggi?
«Sì, se si votasse domani voterei Potere al popolo».

Ha una faccia da eterno ragazzo – mi permetta – un po’ cazzone.
«Mi fa piacere».

Si sente grande oggi?
«Mi sento dannatamente vecchio. Ho fatto un patto con mia moglie: ogni volta che fa un figlio io metto 5 chili in 5 anni, e lei rimane identica. Sembra che li abbia fatti io, i figli».

Ha dichiarato che non si potrebbe mai innamorare di un’attrice, perché pensano solo alla carriera.
«Mi sembra una gran banalità».

Non è vero, quindi?
«Sì che lo è. Però non si dovrebbe dire. Sono stato con un’attrice, ma mi lasciò in tronco. quando Mel Gibson venne a fare i provini per The Passion, lo incontrai. Abbiamo fatto una scommessa: se avessi avuto più oggetti di lui nelle tasche – perché le mie tasche sono sempre piene – mi avrebbe preso per il film. Vinsi e mi proposi per il ruolo di Dio Immanente: non mi si vede mai, sto sempre presente lì vicino alla macchina da presa. Ovviamente non feci il film, e la mia fidanzata mi lasciò pensando che non fossi abbastanza ambizioso».

Il film non era granché.
«E poi la storia era già spoilerata».

A una donna, invece, consiglierebbe di innamorarsi di un attore?
«Senta, non li conosco bene gli attori io. So che Luca Marinelli, Elio Germano sono persone straordinarie e attori incredibili… degli altri non saprei dirle. Un attore che mi ha stupito davvero è Ricky Memphis: quando è sul set, ci è del tutto, ti fa dimenticare la macchina da presa. Al di là del fatto che magari non possa fare tutti i ruoli del mondo…».

Lei pensa di potere fare tutti i ruoli?
«Penso di non poterne fare nessuno, non capisco perché mi chiamino…».

Sembra quasi voglia tenere una certa distanza tra sé e il lavoro d’attore.
«Sono cresciuto col cinema americano e francese degli anni 50, 60 e 70. Una volta che hai visto Il cacciatore, ma cosa credi di poter fare di meglio?».

Come attore crede di essere migliore dei film che ha fatto?
«No, sono un professionista. Rispetto il lavoro degli altri e do il massimo».

Pensa che Bart di Santa Maradona sia stato un po’ la faccia della generazione dei 40enni di oggi?
«Marco Ponti l’aveva capita questa cosa. Era in contemporanea con L’ultimo bacio. Aveva capito che non era ancora stato fatto un film sui trentenni precari, e che c’era bisogno di fare un film orizzontale, dove non succedeva niente se non la vita delle persone. È stato molto divertente».

Crede che quel personaggio fosse il simbolo di una generazione?
«Recentemente ho scoperto di sì. C’è gente che mi ha detto di aver chiamato suo figlio Bart…».

Che cosa ne pensa degli scandali sessuali che hanno travolto il cinema hollywoodiano, ma anche quello italiano?
«Se ti chiedono la foto delle tette e la mandi, se vai a fare un provino a casa di un regista e non hai sei anni, be’… sai benissimo che cosa stai facendo. E poi in Italia non sono stati nemmeno fatti i nomi dei veri misogini che conoscono tutti, e che pretendono prestazioni alla luce del sole. C’è andato di mezzo il povero Fausto Brizzi, che è uno al quale piace fare l’amore…».

Tutto questo non è servito a niente, dunque?
«Certo che sì. Gli esquimesi hanno 15 parole per il ghiaccio, in Amazzonia 25 per il verde. Noi ne abbiamo 27 per dire prostituta, puttana, mignotta, mentre il maschio al massimo è un casanova. Un cambiamento culturale attorno alla figura della donna era necessario. Ma tutta sta pantomima è fumo negli occhi. Io al massimo ho visto, piuttosto, ragazze legittimamente pronte a tutto per un ruolo. Libero scambio tra consenzienti, cazzi loro. È una questione di onestà intellettuale: questo sistema l’hanno creato, assieme, uomini e donne».

Ma sono sempre gli uomini in posizione dominante.
«A me è successo almeno 5 o 6 volte di essere oggetto di un interesse eccessivo».

E come l’ha gestito?
«Dicendo di no. Con educazione, anche se qualcuna si è incazzata. Se vuole è stato divertente, perché si è sempre trattato di donne molto belle, che non concepivano l’ipotesi che uno non le desiderasse».

E perché non le desiderava?
«Perché sono innamorato della donna mia. Troppo semplice?».

Mai fatti complimenti che avrebbero potuto essere male interpretati?
«Impossibile. Io faccio il baciamano e dico: la trovo bene, madame».

Smetto quando voglio, ma non solo: nella sua filmografia il ruolo del pusher è ricorrente. Una coincidenza?
«Da ragazzo ho provato qualche droga. Per sperimentare le possibilità della testa, per conoscere il mondo… se sei una persona colta, le canne devi fartele».

Se i suoi figli, domani, venissero a dirle che si sono fatti una canna?
«Gli direi che glielo trovo io il fumo buono».

Non si incazzerebbe nemmeno un po’?
«Io non credo alla storia che sia un tunnel che ti porta all’eroina. I koala sono strafatti di eucalipto dalla mattina alla sera. Se lo fanno i koala, voglio dire…».

Su Instagram ha solo 3593 follower. Pochini.
«Me l’ha aperto un’amica solo poco tempo fa».

Però segue 442 profili.
«Ma è sempre la mia amica…».

Dicono tutti così. Segue Guillermo Mariotto.
«Non so chi sia».

La Nasa.
«Be’, è figa».

Segue Michelle ma non Barack Obama.
«La mia amica è un po’ pazzerella».

Pippo Baudo.
«Che gli vuoi dire a Pippo?».

Segue anche Wes Anderson, Ferzan Ozpetek e Martin Scorsese.
«Ferzan è un cineasta appassionato e una mente brillante. Però non capisco perché, una volta sdoganato il fatto che esista una cultura LGBTQ, poi si debbano fare sempre film su quello».

Segue anche Kabir Bedi, Sandokan.
«Grande, ci ho lavorato».

E poi segue Rocco Siffredi.
«Veramente?! Mi sembra un po’ difficile…».

Infatti, non è vero. A Picchio non la si fa.

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Published on July 16, 2021 02:44

Pandora Signature: lo stile sofisticato dei gioielli minimal

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Sottili, lineari e speciali: sono gli aggettivi perfetti per descrivere i nuovi gioielli che sono entrati a far parte della collezione Signature di Pandora e che hanno già conquistato le stelle dei social.

Ci sono bracciali rigidi dalle linee essenziali, anelli sinuosi e orecchini rifiniti a mano in materiali di alta qualità. Le colorazioni? Quelle delle finiture metalliche più classiche, che non passeranno mai di moda. Gioielli senza tempo dal grande fascino che entreranno a far parte di quella piccola cerchia di accessori che amiamo portare sempre con noi. Perché raccontano del nostro stile con semplicità ed eleganza.

FASHION TIPS: COME RENDERE UNICO IL TUO STILE
La prima che ci svela i suoi segreti è Nisi, digital content creator e influencer, che ha scelto tra tutti il suo gioiello Signature: il bracciale rigido nei tre diversi colori. Come li indossa? In modo originale: sopra alle maniche della giacca. Aggiungendo così al suo capo di abbigliamento un dettaglio prezioso, quasi couture.

Un’idea che ci piace, perché rappresenta al meglio il concetto che sta dietro a questa collezione di gioielli dal design pulito. Ovvero, la libertà di espressione dello stile personale: c’è chi ne indosserà tanti insieme, chi solamente uno. Oppure chi punterà sul solo mix di gioielli in oro giallo. Tutto dipende solo ed esclusivamente da voi. I gioielli Signature seguiranno la vostra creatività e saranno la firma glamour del vostro look.

Nisi indossa i bracciali Pandora SignatureNisi indossa i bracciali Pandora Signature

«Ho sempre amato mixare – racconta Nisi – e giocare con diversi metalli. Il design del loro nuovo bracciale è allo stesso tempo pulito e audace e completa il mio stile personale».

Nisi indossa i bracciali Pandora SignatureNisi indossa i bracciali Pandora Signature

Ma non è solo lei ad aver scelto i bangles Pandora Signature. Anche l’imprenditrice digitale Alyssa Coscarelli e la fashion editor Lauren Caruso hanno indossato e raccontato il loro stile mostrandoci  le composizioni che hanno creato per queste foto con i nuovi bracciali, orecchini e anelli del brand.

Alyssa Coscarelli e Lauren Caruso interpretano i gioielli Pandora SignatureAlyssa Coscarelli e Lauren Caruso interpretano i gioielli Pandora Signature

«In questi giorni in cui stiamo rivalutando i nostri guardaroba per ritornare ‘alla vita normale’ – racconta Alyssa – la versatilità è fondamentale. Non sono più attratta da gioielli troppo elaborati o con design troppo particolari ma piuttosto da gioielli senza tempo che so che indosserò sempre».

Alyssa Coscarelli con i bracciali Pandora SignatureAlyssa Coscarelli con i bracciali Pandora Signature

E Lauren continua: «I nuovi bracciali sono l’accessorio perfetto per un blazer di colore neutro ma sono un passepartout e possono essere indossati con qualcosa di più casual come un jeans e una maglietta. Amo il fatto che siano disponibili nei tre metalli così posso mixarli e abbinarli tra loro in base a come mi sento».

Lauren Caruso indossa i gioielli Pandora SignatureLauren Caruso indossa anelli e bracciali Pandora Signature

Eleganza, minimalismo e versatilità sono le parole che vengono più spesso ripetute dalle nostre social celebs quando chiediamo loro di raccontarci di più sui gioielli che prediligono. Tutte hanno avuto un vero colpo di fulmine per i bangles nei tre metalli. E come dargli torto? Con la loro allure Nineties hanno conquistato anche noi.

Bracciali Pandora SignatureBracciali Pandora Signature

Scoprite la collezione Pandora Signature attraverso le immagini dei look di Nisi, Alyssa e Laura. Le foto in cui indossano e interpretano bracciali, orecchini e anelli le trovate tutto nella gallery in alto.
E voi quale gioiello preferite?

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Published on July 16, 2021 02:25

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Csaba Dalla Zorza
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