Marco Manicardi's Blog, page 3

July 18, 2024

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Published on July 18, 2024 02:15

July 7, 2024

7 luglio

Undici anni fa, avevo appena 34 anni, ero con mio nonno, Corrado, fuori da un bar dove i miei genitori avevano organizzato un piccolo rinfresco per festeggiare la laurea in Scienze dell’Educazione di mia sorella, all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nella sede di Reggio Emilia; mentre eravamo lì, io e mio nonno Corrado, che parlavamo del più e del meno, a un certo punto lui si era fatto un po’ pensieroso e mi aveva detto: «Oh, Marco, questa è la piazza dove hanno ammazzato quei manifestanti.»
«Sì, nel 1960,» gli avevo subito risposto io, prendendo l’occasione al volo, che mi piaceva sempre molto quando mio nonno cominciava a parlare delle sue cose passate, del PCI, delle manifestazioni, degli scioperi, eccetera, e dovevo aver anche provato a canticchiare il ritornello dei Morti di Reggio Emilia, così, per darmi un tono.
Lui aveva annuito, aveva alzato un braccio e aveva indicato un punto preciso della piazza.
«Io ero là,» mi aveva detto, «eravamo in fondo al corteo perché noi che venivamo dai paesi più lontani eravamo sempre gli ultimi. Non mi ricordo se ho sentito le schioppettate, ma mi ricordo che a un certo punto si son messi tutti a correre verso di noi, scappavano via.»

Delle volte coi nonni funziona così, quando invecchiano, che si ricordano le cose solo quando c’è qualcosa che gli accende una lampadina in testa che magari era spenta da un bel po’, perché che fosse stato lì il giorno della strage, mio nonno, Corrado, non me l’aveva mica mai detto.
Allora mi ero messo a fare un rapido calcolo: lui era del ’25, era nato in dicembre, i morti di Reggio Emilia erano del 7 luglio del 1960; quindi quel giorno là doveva avere appena 34 anni.
E mentre deglutivo e mi veniva la pelle d’oca, anche se era un giorno abbastanza caldo, mio nonno, Corrado, era già rientrato nel bar, al rinfresco della laurea di mia sorella in Scienze dell’Educazione all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nella sede di Reggio Emilia, per provare a mangiare un pasticcino o due in più, anche se gli avevano detto di limitarsi coi dolci per via del diabete, della pressione e di tutto il resto.
Ma era fatto così, mio nonno Corrado, era sempre stato un gran goloso.

(E anche questa è una cosa che posto tutti gli anni)

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Published on July 07, 2024 07:36

July 3, 2024

4 luglio: Softer Than Velvet (all’Osservatorio Astronomico di Scandiano)

L’11 dicembre del 1965 nel Summit High School Auditorium di Summit, New Jersey, USA, una band di quattro elementi salì sul palco per la prima volta. Avevano un nome strano e conturbante: VELVET UNDERGROUND.
In occasione 58esimo anniversario (e mezzo, circa) dal primo live dei Velvet Underground, il 4 luglio 2024, cioè domani, all’Osservatorio Astronomico Lazzaro Spallanzani di Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, Giancarlo Frigieri (noto cantautore locale) suonerà e canterà dal vivo brani dei Velvet Underground; al suo fianco, dove riuscirà ad appoggiare il cavalletto, Franco Ori (noto pittore locale) dipingerà dal vivo quadri a tema Velvet Underground, mentre, non troppo distante, tanto tiene poco posto, Marco Manicardi (poco noto lettore locale) leggerà brani da libri che parlano dei Velvet Underground.

Tutto ciò prende il nome particolarmente fantasioso di SOFTER THAN VELVET.
E queste sono alcune domande frequenti cui vogliamo rispondere prima di cominciare:

Sarà una cosa molto lunga? Un paio d’ore.
Ci saranno pezzi dalla carriera solista di Lou Reed? No.
E di John Cale? Neanche.
Farete ? Certo.
Dopo posso comprare i quadri di Franco Ori? Sì.
Sarà un bello spettacolo? Ve lo consigliamo.
C’è l’evento su facebook? Eccolo.
Bravi. Grazie.
Ciao.

***

Giancarlo Frigieri (www.miomarito.it) suona da quando ha imparato a farlo, la RAI aveva appena avviato ufficialmente le trasmissioni a colori.

Franco Ori (www.francori.it) dipinge da quando ha imparato a farlo, l’uomo non era ancora stato sulla Luna.

Marco Manicardi (marcomanicardi.altervista.org) legge da quando ha imparato a farlo, il muro di Berlino era ancora su.

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Published on July 03, 2024 09:49

June 27, 2024

Campani (2)

E in un libro (bellissimo) che si chiama Alzarsi presto. Il libro dei funghi (e di mio fratello), del 2023, di Sandro Campani, Sandro a un certo punto racconta di quando da piccoli con suo fratello Pietro stavano scappando da un cane che li inseguiva e che:

Ci mettiamo a correre con quanta ne abbiamo, solo che il cane ci corre dietro, e non si ferma all’angolo del muro, non si ferma neanche fuori dal suo vicolo, ci insegue nella stradina, che abbiamo preso in salita: un po’ perché è la direzione di casa, un po’ perché, con qualunque bestia, d’istinto preferisci essere in alto e lei in basso (è per questo, ad esempio, che fa così impressione che le vipere figlino sugli alberi, l’idea che i viperini gonfi di veleno possano caderti addosso da un ramo e morderti sul collo; a me e Pietro un giorno è anche successo, nel bosco di Riccovolto: non che ci siano caduti sul collo, ma vicino a noi, mentre sedevamo a mangiarci un panino, con la gerla dei funghi in mezzo ai piedi – sul terreno morbido abbiamo sentito Tt-tup!, un tonfetto disunito, ed erano due vipere che son strisciate via).

Ecco, questo scrive Sandro Campani in un libro (bellissimo) che si chiama Alzarsi presto. Il libro dei funghi (e di mio fratello)… solo che io, adesso, non andrò mai più in un bosco.

(Qui, se uno vuole, ci sono delle altre citazioni. E qui delle altre citazioni di Campani.)

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Published on June 27, 2024 07:15

June 7, 2024

Trentasette anni fa

Era il 7 giugno del 1987, avevo otto anni e dormivo dai nonni insieme a mio papà. Erano le quattro o le cinque del mattino, mi ero svegliato perché c’era del trambusto che veniva dal piano di sotto, ero sceso dal letto, mi ero infilato le ciabattine e affacciandomi alle scale avevo visto mio papà che era già vestito per uscire, stava prendendo le chiavi della macchina…

«Papà, posso venire anch’io?» Gli avevo chiesto.
«No,» aveva risposto mio papà, «devi andare a scuola, torna a letto.»
Qualche ora dopo ero in classe, in seconda elementare, erano gli ultimi giorni poi sarebbero iniziate le vacanze. Avevo aspettato che la maestra finisse di fare l’appello, poi avevo alzato la mano.
«Marco, cosa c’è?» Aveva chiesto la maestra.
«Devo dire una cosa,» Avevo risposto.
«Va bene, dilla pure.»
«Stanotte è nata mia sorella.»
E tutta la classe, mi ricordo, si era messa ad applaudire.

Dopo, al pomeriggio, mio papà era tornato a casa, aveva mangiato qualcosa, mi aveva caricato in macchina e mi aveva portato all’ospedale di Carpi. C’era da attraversare un corridoio che mi ricordo molto lungo, poi si entrava in una stanza divisa a metà da un vetro. Dall’altra parte del vetro c’erano due o tre incubatrici con dentro dei bambini molto ma molto piccoli. Io arrivavo a vederli solo in punta di piedi, col naso appiccicato al vetro, e mentre ero lì che guardavo senza saper bene come stare e cosa fare, mio papà con un dito mi aveva indicato una delle incubatrici.
«È quella lì,» aveva detto.

Allora non avevo ben capito il perché fossero tutti così agitati e pieni d’ansia, invece adesso, che sono papà anch’io, quando ci ripenso mi viene un po’ il magone. Mia sorella era un cosino piccolino, tutto scuro, quasi viola, rannicchiato a occhi chiusi dentro una teca di vetro. Era nata prima del previsto, un po’ troppo per poter essere fuori pericolo, e per qualche settimana andavamo là tutte le sere per vedere se tutto procedeva come doveva procedere. Cioè andavamo a vedere se era ancora viva.

E adesso mia sorella compie trentasette anni.
Io ne ho quarantacinque e pian piano va a finire che diventiamo coetanei.
Ci penso e mi viene da dire solo una cosa banalissima, ma che comunque è abbastanza vera e quindi la dico lo stesso, e cioè: «vacca d’un cane, come passa il tempo.»

Auguri, sorellina.
Avanti così.

(E anche questa, che mia sorella sia d’accordo o meno, è una cosa che posto tutti gli anni. E quella che segue è una foto di circa trent’anni fa, anno più o anno meno)

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Published on June 07, 2024 06:46

June 6, 2024

Delle citazioni


«È da SETTEMBRE che aspetto questo giorno!»

(il Miny, al risveglio per l’ultimo giorno di scuola)

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Published on June 06, 2024 08:53

June 1, 2024

Tondelli

E visto che ieri è successo che per un errore di Google Maps migliaia di auto sono uscite dall’Autostrada del Brennero a Vipiteno, intasando le strade secondarie verso l’Austria, mi è venuto in mente che in un racconto intitolato Autobahn, dentro a un libro che si chiama Altri libertini, del 1980, Pier Vittorio Tondelli dice che:

Correggio sta a cinque chilometri dall’inizio dell’autobrennero di Carpi, Modena che è l’autobahn più meravigliosa che c’è perché se ti metti lissù e hai soldi e tempo in una giornata intera e anche meno esci sul Mare del Nord, diciamo Amsterdam, tutto senza fare una sola curva, entri a Carpi ed esci lassù. Io ci sono affezionato a questo rullo di asfalto perché quando vedo le luci del casello d’ingresso, luci proprio da granteatro, colorate e montate sul proscenio di ferri luccicanti, con tutte le cabine ordinate e pulite che ti fan sentir bene anche solo a spiarle dalla provinciale, insomma quando le guardo mi succede una gran bella cosa, cioè non mi sento prigioniero di casa mia italiana, che odio, sì odio alla follia tanto che quando avrò tempo e soldi me ne andrò in America, da tutt’altra parte s’intende, però è sempre andar via.

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Published on June 01, 2024 01:15

May 1, 2024

Hobsbawm

E in un saggio intitolato Il Primo maggio: nascita di una ricorrenza, del 1990, dentro a un libro che si chiama Gente non comunedel 1998 o del 2000, Eric John Ernest Hobsbawm dice che:

I socialisti italiani, vivamente consapevoli del fascino spontaneo della nuova Festa del lavoro agli occhi di una popolazione in gran parte cattolica e analfabeta, usarono l’espressione «Pasqua dei lavoratori» almeno a partire dal 1892, e simili analogie diventarono correnti in campo internazionale dalla seconda metà degli anni Novanta. È facile capirne il motivo. La somiglianza del nuovo movimento socialista con un movimento religioso e perfino, nei primi anni eroici della Festa del lavoro, con un movimento di rinascita religiosa a tinte messianiche, era evidente. E per certi versi, uguale era la somiglianza dei leader, attivisti e propagandisti di quel movimento con una gerarchia ecclesiastica, o almeno con un ordine missionario. Possediamo uno straordinario volantino del 1898 proveniente da Charleroi, in Belgio, riproducente quella che può essere solo definita una predica da Primo maggio; nessun’altra etichetta sarebbe adeguata. Fu stilato dai, o a nome dei, dieci deputati e senatori del Parti Ouvrier Belge – atei dal primo all’ultimo, senza dubbio – sotto il duplice motto «Lavoratori di tutto il mondo unitevi (Karl Marx)» e «amatevi gli uni con gli altri (Gesù)». Qualche citazione dà un’idea del contenuto:

È questo [così inizia] il tempo primaverile e festivo in cui la perpetua evoluzione della natura rifulge in tutta la sua gloria. Come la natura, riempitevi di speranza e preparatevi a una Nuova Vita.

Dopo qualche riga di raccomandazioni morali («Abbiate rispetto di voi stessi: guardatevi dalle bevande che ubriacano e dalle passioni degradanti», e così via) e buoni propositi socialisti, la predica si concludeva con un brano di sapore millenaristico:

Presto le frontiere si dissolveranno! Presto finirà il tempo di guerre ed eserciti! Ogni volta che praticherete le virtù socialiste della Solidarietà e dell’Amore, farete sì che questo futuro sia più vicino. E allora, nella pace e nella gioia, verrà un mondo in cui il socialismo trionferà, una volta compreso il dovere sociale di tutti di favorire il pieno sviluppo personale di ciascuno.

[…] Diversamente da altre ricorrenze, comprese molte manifestazioni più o meno ritualizzate del movimento operaio tenutesi in precedenza, il Primo maggio non commemorava niente, almeno al di fuori dell’influsso anarchico che mirava a collegarlo all’episodio degli anarchici di Chicago del 1886. Non verteva su niente fuorché sul futuro, che, al contrario di un passato che niente aveva avuto in serbo per il proletariato se non tristi esperienze («Du passé faisons table rase» cantava non per caso l’Internazionale), prometteva l’emancipazione. Inoltre «il movimento» non offriva, come invece la religione, ricompense dopo la morte ma una Nuova Gerusalemme su questa Terra.

(È una cosa che posto tutti gli anni, quando mi ricordo, e questa è la prima volta che la leggo anche a voce alta, perché è un anno un po’ così. Buon Primo maggio)

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Published on May 01, 2024 02:19

April 26, 2024

È il 26 aprile

È il 26 aprile e sono ancora antifascista, pensa te.

(Una citazione di simonerossi che posto tutti gli anni)

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Published on April 26, 2024 00:42

April 25, 2024

Ci vuole del coraggio

Mio nonno, Corrado, eran già dei mesi che stava in prigione, ma ultimamente se la passava meglio. Meglio di qualche mese prima, quando c’era quell’aguzzino fascista a comandare la galera, un tipo sadico e cattivo che ammazzava i prigionieri a suon di botte, uno al giorno, tutti i giorni.

Mio nonno, Corrado, quando è arrivato in prigione, l’han chiamato subito nel piazzale insieme con tutti gli altri carcerati. Li hanno messi in fila, e uno sì e uno no venivano marchiati con una spennellata di vernice nera sul petto. Poi il capo fascista ha detto Quelli senza spennellata facciano un passo avanti. Ma mio nonno, che la spennellata ce l’aveva, è rimasto fermo lì dov’era. Quelli senza spennellata, invece, li han messi contro a un muro e li hanno fucilati, così, al volo, per dimezzare i letti occupati in galera in un colpo solo. Con voialtri, aveva detto poi il fascista, con voialtri cominciamo da domani, uno alla volta. E così han fatto, dal giorno dopo. Ogni giorno ne moriva uno di botte. Mio nonno racconta che ha visto i suoi due compagni di cella morire, prima uno poi l’altro, massacrati dalla testa ai piedi, e il terzo giorno toccava a lui.

Il terzo giorno, la mattina presto, nella cella di Corrado, mio nonno, che aveva diciotto o diciannove anni, è arrivato il prete e gli ha dato l’estrema unzione. Poi sono arrivati tre fascisti e han cominciato a picchiarlo. Pim pum pam, in faccia, pim pum pam, nelle gambe, pim pum pam, nella pancia, pim pum pam, sulle braccia, pim pum pam, calci nei reni, pim pum pam, pim pum pam. Mio nonno dice che era lì che si lasciava picchiare, e a un certo punto non sentiva più niente, sperava solo di morire alla svelta. E invece.

E invece non è mica morto, perché proprio in quel momento lì, mentre lo stavano ammazzando, pensa che culo, sono arrivati i partigiani ad attaccare la prigione e i fascisti son corsi fuori coi fucili spianati lasciando mio nonno sanguinante e svenuto sul pavimento.

Tre giorni dopo, quando si è svegliato, era in ospedale. L’attacco dei partigiani era stato respinto, ma qualcosa doveva essere successo, perché adesso, così gli dicevano, adesso il capo fascista era un altro, uno che, dicevano, ma lo dicevano sottovoce, era amico dei partigiani e trattava bene i prigionieri, anche se era comunque un fascista. Mio nonno, Corrado, lì per lì, ha pensato Grazie al cielo anche se era ateo, ed è stato un mese sul letto dell’ospedale, aspettando che le croste nella pancia si cicatrizzassero e i lividi in testa sparissero, e si faceva le sigarette con la carta di giornale, svuotando dei mozziconi trovati per terra che gli portavano le infermiere. Da quella volta dice che non ha mai smesso di fumare perché tanto, per lui, dai diciannove in poi eran tutti anni regalati.

E quindi un mese dopo, uscito dall’ospedale, mio nonno, Corrado, è tornato in prigione, nella cella di prima, quella dove il prete gli aveva dato l’estrema unzione. Solo che era diverso, stavolta, invece di un crostino di pane e una ciotola d’acqua sporca al giorno, il capo fascista gli faceva portare un crostino di pane e mezzo e dell’acqua pulita. E poi la sera, dopo che erano diventati un po’ confidenti, gli chiedeva se non aveva voglia di accompagnarlo fuori a cena, là, nel bordello, nella casa di piacere, e di riportarlo a casa e tornarsene in cella, perché il capo fascista, di lui, di Corrado, si fidava.

E così mio nonno, senza neanche capire il perché, quasi tutte le sere usciva dalla cella, andava in una casa di piacere col capo fascista della prigione, si sedeva su una seggiola e aspettava che il suo carceriere finisse quello che doveva fare. Poi, quando aveva finito, lo riportava a letto, sorreggendolo fino alla prigione perché veniva sempre fuori ubriaco, e dopo, messo a letto il suo carceriere, mio nonno tornava nella sua cella a dormire, chiudendosi la porta dietro le spalle. Stava lì ad aspettare chissà cosa, ma era appena guarito e non sapeva cosa fare, così, nell’immediato, e quindi tornava nella sua cella, ché aveva anche una gran voglia di riposarsi, dopo tutte quelle botte.

Questa cosa qui, quella di mio nonno che tutte le sere portava il fascista a puttane e lo riportava a letto, è durata quasi un mese.

Poi una sera, mentre mio nonno, Corrado, era lì seduto sulla solita sedia con le mani sulle ginocchia a guardarsi intorno nella casa di piacere, ad aspettare che il suo carceriere finisse quello che doveva fare, sono arrivate tre donnine mezze nude, tre puttane, e han cominciato a parlare con lui. Lui, mio nonno, che era timidissimo, almeno con le donne, non sapeva cosa dire. Però notava che i discorsi delle tre donnine si stavano spostando dalle moine sempre più verso il politico.

Sai Corrado, gli han detto a un certo punto, sai che quello che c’era prima a capo della prigione, quello che ammazzava di botte voi prigionieri, ne ha ammazzati venti, in quel modo lì? Eh, lo so bene, rispondeva mio nonno, anche con me c’era quasi riuscito. Sai Corrado, continuavano le tre donnine, sai che adesso sappiamo il nome e il cognome e se vuoi te lo diciamo così puoi vendicarti? Oh, non lo so mica io, rispondeva ancora mio nonno, non capisco e diciamo che non voglio capire. Dai Corrado, han detto quelle facendosi serissime tutto d’un colpo, Corrado, domani sera, tu, quando porti qui quel puttaniere fascista, vieni con noi che andiamo a fare una cosa. Ma non lo so, ha detto mio nonno allarmato, non lo posso mica fare di andare dove mi pare, sono in galera. Sì che puoi, Corrado, gli hanno risposto le donnine, ci pensiamo noi, te non preoccuparti.

Quella notte lì, mio nonno, dopo aver messo a letto il fascista ubriaco come al solito ed essere tornato in cella come al solito, dice che non riusciva a prendere sonno.

La sera dopo, infatti, ha riaccompagnato il suo carceriere nella casa di piacere. Lui, il fascista, gli ha detto Aspettami qui, ed è andato a fare le sue cose. Intanto mio nonno si è seduto sulla seggiola ad aspettare, ma non era mica tranquillo, gli tremavano un po’ le gambe. E poi sono arrivate le tre donnine, le tre puttane della sera prima, l’hanno abbracciato e gli han detto Corrado, vieni con noi, usciamo qui di dietro. E sono usciti, tutti e quattro. Lì dietro c’era un camion di quelli dell’esercito, solo che dentro non c’erano i fascisti, ma dei partigiani vestiti da fascisti. Appena hanno visto mio nonno, in silenzio, gli han dato una divisa fascista e l’han caricato sul camion. Salta su, gli han detto.

Mio nonno è saltato su, e dentro c’era proprio quel sadico del suo aguzzino di una volta, quello che voleva ammazzarlo di botte, legato dalla testa ai piedi e con qualche livido sulla faccia, gli avevano tappato la bocca. Mio nonno, Corrado, dice che ci è rimasto di pietra.

Poi il camion è partito. Nel tragitto erano tutti agitati, ma non è successo niente. Passa il primo posto di blocco e niente, tutto a posto, i documenti erano in regola. Passa il secondo posto di blocco, e tutto a posto anche lì, tutto in regola. Finché, arrivati in mezzo ai campi, i partigiani han preso il fascista, l’hanno slegato e gli hanno dato una pala.

Scava, gli hanno gridato. E lui, il fascista, s’è messo a scavare. E intanto piangeva.

Finito il buco, l’hanno messo in ginocchio. Corrado, han detto i partigiani a mio nonno mettendogli in mano una pistola, Corrado, adesso pensaci tu, vendicati.

Mio nonno racconta che ha preso in mano la pistola, l’ha guardata, è rimasto lì cinque minuti in silenzio e il cuore gli stava venendo fuori dalla bocca. Ha fatto un respiro e ha guardato il fascista in ginocchio che piangeva e tirava su col naso. Non sapeva cosa fare.

No, non me la sento, ha detto coi partigiani, davvero, non ci riesco.

Loro, senza perder tempo, gli han detto Va bene, Corrado, allora vai via e torna a casa a nasconderti, subito.

E mio nonno, Corrado, ha tirato un altro respiro, si è cambiato i vestiti e si è incamminato al buio in mezzo ai campi, piano piano, un tumulto in testa e le gambe che tremavano, si è acceso una sigaretta fatta con la carta di giornale che aveva trovato in tasca. Da lontano ha sentito una schioppettata, poi tutto è ritornato in silenzio.

***

Sai Marco, mi ha sempre raccontato, perché coi nonni funziona così, quando invecchiano, succede sempre che ti raccontano la stessa storia una decina di volte e tutte le volte è come se fossero lì a raccontarti quella storia per la prima volta, secondo loro. Sai Marco, mi diceva sempre, ci vuole del coraggio a sparare a una persona, e io, quella volta lì, il coraggio non ce l’ho avuto.

Io lo ascoltavo sempre come se fosse stata la prima volta che me lo raccontava. E non gliel’ho mai detto, a mio nonno, ma quando penso al coraggio, la prima immagine che mi viene in mente è la sua, è mio nonno, Corrado, con le mani in tasca, una notte di tanti anni fa, da solo, coi pensieri in testa come un tumulto, la tremarella nelle gambe e una sigaretta fatta con la carta di giornale in bocca. Il coraggio, per me, è mio nonno, Corrado, che cammina per tornare a casa. Perché delle volte ci vuole del coraggio, penso, ci vuole del coraggio anche a non averne, del coraggio.

(È una cosa che avevo scritto su Barabba nel 2011, che era finita su un libro che si chiamava Schegge di Liberazione e che il 25 aprile, ormai, posto tutti gli anni. Grushenka dice che è la mia My Way)

Buon 25 aprile.

(Signore, se ci sei, fa’ che la sua anima, se ce l’aveva, sia andata in paradiso, se c’è)

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Published on April 25, 2024 00:02