Alberto Prunetti's Blog, page 5
January 19, 2011
Autodenuncia. All’attenzione dell’assessore alla cultura (sic) Raffaele Speranzon
Sono Alberto Prunetti, traduttore in italiano di un libro argentino, la “Patagonia rebelde”, che negli anni dell’ignobile golpe militare argentino del 1976 è stato ritirato da ogni biblioteca e libreria e bruciato nelle pubbliche piazze da una soldataglia rispettosa di “patria, onore e famiglia”. Come traduttore e scrittore, deve farmi difetto la fantasia, perché non ero arrivato a pensare che anche le opere che ho curato e scritto potessero correre un giorno rischi simili, oggi e in Italia.
La informo che come curatore de “L’arte della fuga” (Stampa Alternativa, 2005) – una antologia contenente ampi inediti in italiano di un’opera di Cesare Battisti – e in quanto autore de “Il fioraio di Perón” (Stampa Alternativa, 2009) – introdotto da Massimo Carlotto, da lei inserito in una lista nera di scrittori – mi considero complice di tutto quanto ai suoi occhi possa contribuire a qualificarmi “persona sgradita”.
Mai suo,
Alberto Prunetti
Autodenuncia. All'attenzione dell'assessore alla cultura (sic) Raffaele Speranzon
Sono Alberto Prunetti, traduttore in italiano di un libro argentino, la "Patagonia rebelde", che negli anni dell'ignobile golpe militare argentino del 1976 è stato ritirato da ogni biblioteca e libreria e bruciato nelle pubbliche piazze da una soldataglia rispettosa di "patria, onore e famiglia". Come traduttore e scrittore, deve farmi difetto la fantasia, perché non ero arrivato a pensare che anche le opere che ho curato e scritto potessero correre un giorno rischi simili, oggi e in Italia.
La informo che come curatore de "L'arte della fuga" (Stampa Alternativa, 2005) – una antologia contenente ampi inediti in italiano di un'opera di Cesare Battisti – e in quanto autore de "Il fioraio di Perón" (Stampa Alternativa, 2009) – introdotto da Massimo Carlotto, da lei inserito in una lista nera di scrittori – mi considero complice di tutto quanto ai suoi occhi possa contribuire a qualificarmi "persona sgradita".
Mai suo,
Alberto Prunetti
Pietra, carta e forbice: torna la censura nel basso impero italiano
La mail che mi arriva devo leggerla tre volte. Ormai sono abituato alla demenza della cronaca italiota, ma questa uscita, che qualcuno ha localizzato in coordinate culturali che stanno tra Hitler e Fracchia, mi ha lasciato sorpreso: un assessore alla cultura prepara una lista di epurazione di scrittori italiani affinché i loro libri siano tolti dalle biblioteche del sistema bibliotecario veneto e lascia intendere che ci saranno opportune pressioni per chi non si conformerà alla direttiva fascista. L'eroe del giorno è tale Raffaele Speranzon, uomo di destra che, sentitosi giustificato dall'overdose di odio contro Cesare Battisti, ha proposto di radiare dalle biblioteche venete tutti gli scrittori che appoggiano la causa dell'esule "rifugiato" in un carcere brasiliano.
Mi era già capitato di avere a che fare con libri bruciati nelle pubbliche piazze. Ne ho tradotto anche uno, che negli anni dell'ignobile golpe militare argentino del 1976 era stato ritirato da ogni biblioteca e libreria e bruciato nelle strade da una soldataglia rispettosa di "patria, onore e famiglia". Eppure deve farmi difetto la fantasia, perché non ero arrivato a pensare che anche le opere degli scrittori che sento a me più affini, nella lettura e nel mio lavoro culturale, potessero correre quella stessa sorte, oggi e in Italia.
Di più. Come curatore de "L'arte della fuga" (Stampa Alternativa, 2005) – un'antologia contenente ampi inediti in italiano di un'opera di Cesare Battisti – e in quanto autore de "Il fioraio di Perón" (Stampa Alternativa, 2009) – introdotto da Massimo Carlotto, che Speranzon ha inserito nella sua lista nera – posso rischiare di vedere radiate anche le mie pubblicazioni.
Per il momento, la sparata dell'assessore all'incultura sembra ridimensionarsi. Si tratta forse di una mossa di distrazione, com'è tutto il caso Battisti, per spostare i fari dell'opinione pubblica sui veri problemi della gente (precariato, ristrutturazione del capitale a colpi di ricatto) e su quelli del governo (in piena fase di basso impero). O magari per non dare troppo lustro alla catena di insurrezioni popolari che una dopo l'altra vede un gran numero di nazioni, ultima la Tunisia, coinvolte nella critica diretta delle classi dominanti.
Però può anche darsi, e la cronaca recente ce lo insegna, che passo dopo passo la destra al potere stia affermando pratiche autoritarie sempre più stringenti. La sensazione è che l'assessore veneto si sia mosso su linee guida che probabilmente passeranno in maniera più informale, magari senza risalto mediatico, approfittando della ricattabilità del precariato del personale bibliotecario, o di un senso comune sempre più orientato verso sentimenti tutt'altro che nobili.
Per questo è opportuno rintuzzare ogni momento di restrizione di pratiche di libertà. Altro che assalto al cielo: ormai bisogna lottare anche per tenere i libri in biblioteca. Qui non è in discussione il caso Battisti, perché non si sta parlando di Battisti ma della possibilità stessa di dire quel che si vuole, di poterlo scrivere e di consegnare i propri scritti a quei cantieri di memoria collettiva che sono le biblioteche. Dietro questo caso c'è la necessità di estendere pratiche di libertà che sembravano assodate e che invece, una dopo l'altra, vengono smantellate: tutela e protezione del lavoro, diritti della sanità, adesso anche la possibilità di esprimere le proprie idee. Questa è la faccia della contemporaneità in cui viviamo. I tanto deprecati "anni di piombo", come li ha impropriamente ribattezzati una storiografia che ci ha consegnati al berlusconismo, erano quelli in cui un operaio poteva comprarsi la casa e mandare un figlio all'università, perché lavorasse (se ne aveva voglia) coi libri invece che col cannello e la saldatrice. Libri che ora un Torquemada di provincia al terzo spritz pretende di mettere all'indice con conseguente proscrizione degli autori.
Più concretamente, l'invito che rivolgo è quello di far circolare quanto successo, di evitare che pratiche censorie si riproducano in altre regioni, di dialogare con i bibliotecari per denunciare opere di intimidazione ai loro danni nelle prassi di incremento dei fondi bibliotecari. A lungo certe sparate fasciste o leghiste sono state interpretate come risibili postumi di sbronze padane. In realtà, sono state spesso lungimiranti operazioni per costituire un senso comune imbarbarito, accidioso e ostile. Alla logica della chiusura identitaria, della memoria falsificata dalla tradizione, bisogna rilanciare con una campagna che difenda il lavoro culturale (quello degli scrittori, dei lettori, dei bibliotecari e degli editori). Un lavoro di cui c'è un bisogno enorme, in un paese in cui un assessore alla cultura pratica la censura, il ministro delle pari opportunità è un esempio concreto di antifemminismo e quello dell'Istruzione distrugge l'università.
December 3, 2010
L’anarchismo nel tango è qualcosa che si è voluto nascondere
Segnalo un articolo su tango e anarchismo. Apparso originariamente su Pagina/12, è stato tradotto da Maria Rosaria Bucci e pubblicato su L’Argentina, il blog degli italiani d’Argentina d’ultima generazione: http://www.largentina.org/2010/12/03/lanarchismo-nel-tango-e-qualcosa-che-si-e-voluto-nascondere/
[Tango e anarchismo: un binomio poco conosciuto che lo storico Osvaldo Bayer, studioso dell'emigrazione libertaria di origine italiana in Argentina, ha riportato alla luce in un evento di tango ospitato dalla Repubblica della Boca. Bayer è l'autore della biografia dell'anarchico italiano Severino Di Giovanni, una figura romantica che è quasi una leggenda in Argentina. In Italia Di Giovanni e Osvaldo Bayer sono entrambi quasi sconosciuti, eppure di recente di Bayer è stata tradotta in italiano la “Patagonia rebelde”, mentre lo scrittore è stato proiettato come personaggio di fantasia in due romanzi: “Millennium 2” di Manuel Vázquez Montalbán e “Il fioraio di Perón” di Alberto Prunetti. Sul tango anarchico riportiamo la traduzione di un articolo, curata da Maria Rosaria Bucci, tratto da Pagina/12.] A.P.
L’anarchismo nel tango è qualcosa che si è voluto nascondere, di Cristian Vitale (da Pagina/12)
Tango e anarchismo. La novità è che Osvaldo Bayer e Pablo Bernaba, bandoneista e grande compositore del Quinteto Negro La Boca, hanno scritto una milonga sulla figura di Severino Di Giovanni. E l’hanno presentato per la prima volta nella cornice di un festival con connotazioni che fanno al caso loro: da un lato, una presa di posizione ferma contro le chiusure sistematiche che l’amministrazione di Maurizio Macrí sta esercitando sopra i luoghi in cui si suona musica dal vivo per un pubblico popolare. Dall’altro, la concretezza del festival in un quartiere in cui tutto si è mescolato e continua a mescolarsi: il tango, il porto, l’anarchismo, l’immigrazione, la cultura, l’arte e, sintomaticamente, il club di calcio più popolare del paese, in cui l’uomo-chiusura ha cominciato la carriera che lo ha portato al potere. “Il governo di Macrí si è intestardito nel chiudere soprattutto i luoghi di tango per i settori popolari. Perciò la parola d’ordine è “Il tango non si chiude”. All’improvviso, tutto ha cominciato a combaciare, no?… La Boca, gli immigrati, il tango, gli anarchici, la cultura popolare e la pretesa di distruggerla allo stesso tempo”, comincia Bernaba sulle coordinate centrali del 1° Festival di Tango nella Repubblica della Boca, dove domenica 21 novembre sono confluiti – liberamente e gratuitamente- il Quinteto Negro La Boca, María Volonté, Gabriela Elena Trío, la Orquesta Típica La Vidú, Los Borquéz, Dema e la Orquesta Petitera, Juan Vattuone, la Orquesta Tipica Esquina Sur e l’ Alan Haksten Grupp, tra gli altri, con milonghe, kermesse, mostre e dibattiti, come quelli condotti dallo stesso Bayer e Javier Campos, intitolato “Tango e anarchismo”. “ Più tardi suoneremo la milonga di Severino con il Qinteto e Alejandro Guyot, di 34 Puñaladas, dal vivo”, annuncia il musicista poco prima dell’evento.
Da chi è partita l’idea di fare una milonga per Severino Di Giovanni?
Pablo Bernaba: Beh, il libro che Osvaldo ha scritto su di lui ha abbracciato più di una generazione, ed è stato con la conoscenza di questo personaggio che io e molti altri abbiamo imparato ad amare attraverso questa opera . Nel mio ruolo di musicista, nelle mie azioni estetico-politiche, mi è sembrato un gran gesto rendergli omaggio e ovviamente ho pensato che la cosa migliore fosse chiedere a Osvaldo di scrivere le parole. Lui ha accettato molto volentieri. Mi ha passato subito un paio di bozzetti per il tipo di tango che avevo pensato all’inizio, perché l’idea era che le parole mi avrebbero ispirato la musica, e non il contrario. Mi ha passato un paio di testi, ho cominciato a studiare i ritmi che venivano maggiormente usati dagli anarchici di inizio secolo per le loro composizioni e mi sono accorto che la milonga era la più appropriata. Ed è diventata una milonga.
Osvaldo Bayer: La verità è che la milonga era il genere che piaceva di più agli anarchici, che la apprezzavano molto più del tango, e quello che abbiamo dovuto fare è stato riconoscerlo. Io ho scritto qualcosa, ci siamo incontrati molte volte per calcolare insieme le sillabe, cercare di adattarle alla melodia. Così è nata la nostra milonga.
È il suo esordio come “compositore”? Si può parlare di un Bayer paroliere di tango e milonghe adesso?
O.B.: (Ride, pensa). Guardi, ho 83 anni e ho fatto così tante cose nella vita che neppure me le ricordo, ma credo che sia la prima volta che compongo un testo. Quello che avevo già fatto è stata una canzone per i contadini fucilati in Patagonia, ma poi è arrivato l’esilio, ho dovuto lasciare tutte le carte qui e sono andate perse. In ogni caso, con i famosi tangheri Héctor Alterio e Virgilio Expósito ho fatto un disco con tutte le canzoni anarchiche storiche, che ha avuto molto successo e che vende ancora. È il disco che contiene il racconto di Héctor Alterio, con musica presa da vecchie incisioni o registrata di nuovo attraverso vecchi payadores, perché agli anarchici piaceva molto anche la payada.
Osvaldo Bayer e Pablo Bernaba - Foto tratta dall’articolo originale.
Qual è stata insomma la su partecipazione in questa opera? Perché si può dire che il debutto è stato con il testo di Severino…
O.B.: È un fatto storico, il racconto che poi narra Alterio. Ho unito il tango con le marce anarchiche, i canti criolli e le payadas. Li ho collocati nella loro epoca. Quel disco si chiamò Viva l’anarchia ed è uscito nel 1974… È un materiale che si trova alla Federazione Libertaria Argentina, si può trovare là.
P. B.: Osvaldo fa luce su di questo e va bene, perché non sono i testi più conosciuti, né quelli che poi sono rimasti nel tango. È una storia che non si racconta ma che è esistita, e si riscrive tutti i giorni. Stiamo facendo tornare a galla quello che è rimasto e stiamo aggiungendo nuovi significati al tango libertario.
Libertario e viscerale, nel caso della milonga inedita che Bayer non vede l’ora di ascoltare. “Suonala, dai forza”, insiste con il giovane suonatore di bandoneon che si nega immediatamente. “No, non c’è nessuno che canti”, risponde. E aumenta l’ansia dello storico. La sequenza è nella sua casa di Monroe e Arcos, che il suo amico Osvaldo Soriano battezzò “Il Tugurio” – così lo indica un cartello sulla porta d’entrata – e quello che appare è il testo, un messaggio di piuma e fuoco che parla di Di Giovanni come “quell’eroe dimenticato” del quale il popolo ha pianto la morte. Del suo amore per América Scarfó e del tiranno che lo ha ucciso. “Che casino succederà quando si diffonderà!”, si augura Bernaba. “Faccio un esempio, ho fatto un omaggio al Che (“Tango per Guevara”), che non viene trasmesso. Mi hanno anche infamato su Facebook perché sembra che non si possa mettere la politica nel tango.” “Non credo che succederà un casino”, interviene Bayer. “La storia di Severino è molto vecchia, e la gente non lo conosce.” “Sì – replica Bernaba- ma nel testo c’è la parola dinamite, (risate), dinamite e cuore! E da questo non si scappa. Qualcosa sta cambiando, ma il pubblico del tango è molto reazionario.”
Quali saranno gli assi portanti del dibattito, aldilà dell’impronta di Severino e l’esordio della sua milonga?
O.B.: Calerò il pubblico in quell’epoca, perché oggi pochissimi sanno che cosa è stato l’anarchismo, no? L’importanza che hanno avuto gli anarchici alla Boca, come erano organizzati, quali erano le differenze con i socialisti e, più tardi nel ’19, con il comunismo. E come si organizzarono le società operaie dei vari mestieri… E per finire, una panoramica generale sulla cultura inclusa quella anarchica, perché nei locali c’era sempre posto per una biblioteca, per opere di teatro e per le assemblee. Gli anarchici erano tipi molto popolari, tant’è che all’inizio, quando la gente cominciò a giocare a calcio, loro dicevano che era un gioco stupido di undici idioti che correvano dietro un oggetto rotondo (risate), ma poi, quando si accorsero che i preti si impossessarono della palla e che facevano giocare i ragazzi nell’atrio delle chiese, capirono che dovevano fare qualcosa, e crearono il club Mártires de Chicago, che oggi è l’Argentinos Juniors…che paradosso, no?
Hanno cambiato idea…
O. B.: L’hanno fatto perché altri si stavano impossessando del club e vollero dire “guardate che non siamo anarchici, siamo argentini” (risate). Ma il punto è che gli anarchici non solo si misero nel calcio ma anche nella musica popolare, e non solo nelle marce… Gli piacevano molto anche le payadas criolle. Avevano payadores che cantavano dei problemi dei lavoratori. Prima delle assemblee, c’era sempre un criollo che parlava delle ragioni dello sciopero. Era molto bello. Qui ho un canzoniere anarchico con poesie di Evaristo Carriego, Ricardo Gutiérrez e molti altri dedicati non solamente agli immigrati, ma anche ai criollos morti o arrestati con nomi inconfondibili: Zoilo, Toribio.
In termini di tango o musica popolare, è chiaro che l’impronta libertaria non è stata quella che l’industria ha preso come paradigma. Se c’è qualcosa con cui il tango non viene identificato è con le idee anarchiche.
O. B.: Perché i grandi poeti non scrivevano con un linguaggio da battaglia, diciamo. Erano esistenzialisti, parlavano della donna, queste cose.
P. B.: E comunque, molti di quelli che scrivevano, dei grandi poeti come i fratelli Expósito, avevano genitori anarchici. Hanno scritto un testo che si chiama “Guerra alla borghesia”, ma ovviamente, l’opera più conosciuta di Virgilio sarà sempre “Arancio in fiore”. Nella storia sempre resta qualcosa, che è quello che si prende, e sembra che il resto non esista, ma la produzione tanghera dell’epoca era talmente popolare, c’erano talmente tanti autori anonimi e tango-amatori che l’anarchismo non poteva rimanere in disparte. Il problema è che si è nascosto, o che si è portata alla luce solo l’altra parte. Per questo è importante puntare i riflettori su questo lato, e credo che questo festival, per il posto in cui si svolge e per la sua sua parola d’ordine, sia il luogo chiave su cui accendere questi riflettori.
L'anarchismo nel tango è qualcosa che si è voluto nascondere
Segnalo un articolo su tango e anarchismo. Apparso originariamente su Pagina/12, è stato tradotto da Maria Rosaria Bucci e pubblicato su L'Argentina, il blog degli italiani d'Argentina d'ultima generazione: http://www.largentina.org/2010/12/03/lanarchismo-nel-tango-e-qualcosa-che-si-e-voluto-nascondere/
[Tango e anarchismo: un binomio poco conosciuto che lo storico Osvaldo Bayer, studioso dell'emigrazione libertaria di origine italiana in Argentina, ha riportato alla luce in un evento di tango ospitato dalla Repubblica della Boca. Bayer è l'autore della biografia dell'anarchico italiano Severino Di Giovanni, una figura romantica che è quasi una leggenda in Argentina. In Italia Di Giovanni e Osvaldo Bayer sono entrambi quasi sconosciuti, eppure di recente di Bayer è stata tradotta in italiano la "Patagonia rebelde", mentre lo scrittore è stato proiettato come personaggio di fantasia in due romanzi: "Millennium 2" di Manuel Vázquez Montalbán e "Il fioraio di Perón" di Alberto Prunetti. Sul tango anarchico riportiamo la traduzione di un articolo, curata da Maria Rosaria Bucci, tratto da Pagina/12.] A.P.
L'anarchismo nel tango è qualcosa che si è voluto nascondere, di Cristian Vitale (da Pagina/12)
Tango e anarchismo. La novità è che Osvaldo Bayer e Pablo Bernaba, bandoneista e grande compositore del Quinteto Negro La Boca, hanno scritto una milonga sulla figura di Severino Di Giovanni. E l'hanno presentato per la prima volta nella cornice di un festival con connotazioni che fanno al caso loro: da un lato, una presa di posizione ferma contro le chiusure sistematiche che l'amministrazione di Maurizio Macrí sta esercitando sopra i luoghi in cui si suona musica dal vivo per un pubblico popolare. Dall'altro, la concretezza del festival in un quartiere in cui tutto si è mescolato e continua a mescolarsi: il tango, il porto, l'anarchismo, l'immigrazione, la cultura, l'arte e, sintomaticamente, il club di calcio più popolare del paese, in cui l'uomo-chiusura ha cominciato la carriera che lo ha portato al potere. "Il governo di Macrí si è intestardito nel chiudere soprattutto i luoghi di tango per i settori popolari. Perciò la parola d'ordine è "Il tango non si chiude". All'improvviso, tutto ha cominciato a combaciare, no?… La Boca, gli immigrati, il tango, gli anarchici, la cultura popolare e la pretesa di distruggerla allo stesso tempo", comincia Bernaba sulle coordinate centrali del 1° Festival di Tango nella Repubblica della Boca, dove domenica 21 novembre sono confluiti – liberamente e gratuitamente- il Quinteto Negro La Boca, María Volonté, Gabriela Elena Trío, la Orquesta Típica La Vidú, Los Borquéz, Dema e la Orquesta Petitera, Juan Vattuone, la Orquesta Tipica Esquina Sur e l' Alan Haksten Grupp, tra gli altri, con milonghe, kermesse, mostre e dibattiti, come quelli condotti dallo stesso Bayer e Javier Campos, intitolato "Tango e anarchismo". " Più tardi suoneremo la milonga di Severino con il Qinteto e Alejandro Guyot, di 34 Puñaladas, dal vivo", annuncia il musicista poco prima dell'evento.
Da chi è partita l'idea di fare una milonga per Severino Di Giovanni?
Pablo Bernaba: Beh, il libro che Osvaldo ha scritto su di lui ha abbracciato più di una generazione, ed è stato con la conoscenza di questo personaggio che io e molti altri abbiamo imparato ad amare attraverso questa opera . Nel mio ruolo di musicista, nelle mie azioni estetico-politiche, mi è sembrato un gran gesto rendergli omaggio e ovviamente ho pensato che la cosa migliore fosse chiedere a Osvaldo di scrivere le parole. Lui ha accettato molto volentieri. Mi ha passato subito un paio di bozzetti per il tipo di tango che avevo pensato all'inizio, perché l'idea era che le parole mi avrebbero ispirato la musica, e non il contrario. Mi ha passato un paio di testi, ho cominciato a studiare i ritmi che venivano maggiormente usati dagli anarchici di inizio secolo per le loro composizioni e mi sono accorto che la milonga era la più appropriata. Ed è diventata una milonga.
Osvaldo Bayer: La verità è che la milonga era il genere che piaceva di più agli anarchici, che la apprezzavano molto più del tango, e quello che abbiamo dovuto fare è stato riconoscerlo. Io ho scritto qualcosa, ci siamo incontrati molte volte per calcolare insieme le sillabe, cercare di adattarle alla melodia. Così è nata la nostra milonga.
È il suo esordio come "compositore"? Si può parlare di un Bayer paroliere di tango e milonghe adesso?
O.B.: (Ride, pensa). Guardi, ho 83 anni e ho fatto così tante cose nella vita che neppure me le ricordo, ma credo che sia la prima volta che compongo un testo. Quello che avevo già fatto è stata una canzone per i contadini fucilati in Patagonia, ma poi è arrivato l'esilio, ho dovuto lasciare tutte le carte qui e sono andate perse. In ogni caso, con i famosi tangheri Héctor Alterio e Virgilio Expósito ho fatto un disco con tutte le canzoni anarchiche storiche, che ha avuto molto successo e che vende ancora. È il disco che contiene il racconto di Héctor Alterio, con musica presa da vecchie incisioni o registrata di nuovo attraverso vecchi payadores, perché agli anarchici piaceva molto anche la payada.
Osvaldo Bayer e Pablo Bernaba - Foto tratta dall'articolo originale.
Qual è stata insomma la su partecipazione in questa opera? Perché si può dire che il debutto è stato con il testo di Severino…
O.B.: È un fatto storico, il racconto che poi narra Alterio. Ho unito il tango con le marce anarchiche, i canti criolli e le payadas. Li ho collocati nella loro epoca. Quel disco si chiamò Viva l'anarchia ed è uscito nel 1974… È un materiale che si trova alla Federazione Libertaria Argentina, si può trovare là.
P. B.: Osvaldo fa luce su di questo e va bene, perché non sono i testi più conosciuti, né quelli che poi sono rimasti nel tango. È una storia che non si racconta ma che è esistita, e si riscrive tutti i giorni. Stiamo facendo tornare a galla quello che è rimasto e stiamo aggiungendo nuovi significati al tango libertario.
Libertario e viscerale, nel caso della milonga inedita che Bayer non vede l'ora di ascoltare. "Suonala, dai forza", insiste con il giovane suonatore di bandoneon che si nega immediatamente. "No, non c'è nessuno che canti", risponde. E aumenta l'ansia dello storico. La sequenza è nella sua casa di Monroe e Arcos, che il suo amico Osvaldo Soriano battezzò "Il Tugurio" – così lo indica un cartello sulla porta d'entrata – e quello che appare è il testo, un messaggio di piuma e fuoco che parla di Di Giovanni come "quell'eroe dimenticato" del quale il popolo ha pianto la morte. Del suo amore per América Scarfó e del tiranno che lo ha ucciso. "Che casino succederà quando si diffonderà!", si augura Bernaba. "Faccio un esempio, ho fatto un omaggio al Che ("Tango per Guevara"), che non viene trasmesso. Mi hanno anche infamato su Facebook perché sembra che non si possa mettere la politica nel tango." "Non credo che succederà un casino", interviene Bayer. "La storia di Severino è molto vecchia, e la gente non lo conosce." "Sì – replica Bernaba- ma nel testo c'è la parola dinamite, (risate), dinamite e cuore! E da questo non si scappa. Qualcosa sta cambiando, ma il pubblico del tango è molto reazionario."
Quali saranno gli assi portanti del dibattito, aldilà dell'impronta di Severino e l'esordio della sua milonga?
O.B.: Calerò il pubblico in quell'epoca, perché oggi pochissimi sanno che cosa è stato l'anarchismo, no? L'importanza che hanno avuto gli anarchici alla Boca, come erano organizzati, quali erano le differenze con i socialisti e, più tardi nel '19, con il comunismo. E come si organizzarono le società operaie dei vari mestieri… E per finire, una panoramica generale sulla cultura inclusa quella anarchica, perché nei locali c'era sempre posto per una biblioteca, per opere di teatro e per le assemblee. Gli anarchici erano tipi molto popolari, tant'è che all'inizio, quando la gente cominciò a giocare a calcio, loro dicevano che era un gioco stupido di undici idioti che correvano dietro un oggetto rotondo (risate), ma poi, quando si accorsero che i preti si impossessarono della palla e che facevano giocare i ragazzi nell'atrio delle chiese, capirono che dovevano fare qualcosa, e crearono il club Mártires de Chicago, che oggi è l'Argentinos Juniors…che paradosso, no?
Hanno cambiato idea…
O. B.: L'hanno fatto perché altri si stavano impossessando del club e vollero dire "guardate che non siamo anarchici, siamo argentini" (risate). Ma il punto è che gli anarchici non solo si misero nel calcio ma anche nella musica popolare, e non solo nelle marce… Gli piacevano molto anche le payadas criolle. Avevano payadores che cantavano dei problemi dei lavoratori. Prima delle assemblee, c'era sempre un criollo che parlava delle ragioni dello sciopero. Era molto bello. Qui ho un canzoniere anarchico con poesie di Evaristo Carriego, Ricardo Gutiérrez e molti altri dedicati non solamente agli immigrati, ma anche ai criollos morti o arrestati con nomi inconfondibili: Zoilo, Toribio.
In termini di tango o musica popolare, è chiaro che l'impronta libertaria non è stata quella che l'industria ha preso come paradigma. Se c'è qualcosa con cui il tango non viene identificato è con le idee anarchiche.
O. B.: Perché i grandi poeti non scrivevano con un linguaggio da battaglia, diciamo. Erano esistenzialisti, parlavano della donna, queste cose.
P. B.: E comunque, molti di quelli che scrivevano, dei grandi poeti come i fratelli Expósito, avevano genitori anarchici. Hanno scritto un testo che si chiama "Guerra alla borghesia", ma ovviamente, l'opera più conosciuta di Virgilio sarà sempre "Arancio in fiore". Nella storia sempre resta qualcosa, che è quello che si prende, e sembra che il resto non esista, ma la produzione tanghera dell'epoca era talmente popolare, c'erano talmente tanti autori anonimi e tango-amatori che l'anarchismo non poteva rimanere in disparte. Il problema è che si è nascosto, o che si è portata alla luce solo l'altra parte. Per questo è importante puntare i riflettori su questo lato, e credo che questo festival, per il posto in cui si svolge e per la sua sua parola d'ordine, sia il luogo chiave su cui accendere questi riflettori.
December 2, 2010
Un mio scatto su Yallees
Un ritratto di un contadino maremmano intento ad ascoltare i maggerini e i contrasti in ottava rima. Era il primo maggio del 2009: http://yallees.com/2010/12/02/alberto-prunetti-contadino-della-maremma/
November 23, 2010
"Il fioraio di Perón" recensito da Marco Philopat
Una recensione del fioraio sul numero di novembre di Pulp. Il pdf si trova qui: http://potassa.noblogs.org/files/2010/11/fioraio_philopat_pulp.pdf
November 22, 2010
Il ricordo del fioraio di Perón
[Riprendo questo articolo dal blog degli immigrati italiani d'Argentina d'ultima generazione, con cui ho cominciato a collaborare come tano momentaneamente esule in Italia: http://www.largentina.org/2010/11/21/il-ricordo-del-fioraio-di-peron/]
Albertito sta fatto una meraviglia, pare che avesse più di tre anni, sicuro che state contentissimi con il piccolo berbante. La zia tiene tutte le fotografii i cuando viene in casa gli altri nipoti di parte di Lei ci li inzegna a tutti dandoci spiegazioni che il ragazzino della foto è il figlio della figlia di la sorella di Cosimo, così che è conosciuto da tutti i cuasi tutti diceno che non pare italiano, diceno che tiene faccia di argentino, di questa America povera.
Ecco cosa scriveva di me, argentinizzandomi, il mio tio-abuelo, il prozio d'America, il fratello di mia nonna, zio Cosimo d'Argentina che da molti anni chiamo "il fioraio di Peron". Cosimo Quartana (anzi, Cusumano, perché cambiò nome quando prese la cittadinanza argentina) con l'ortografia aveva sempre fatto a pugni e l'innesto dell'italiano sullo spagnolo creò la strana creatura linguistica a cui rimase fedele per tutta la vita. Lo chiamano il cocolice, che è il modo di parlare degli italiani d'Argentina. La mia foto doveva essere arrivata a Buenos Aires nel 1976 perché sono nato nel 1973 e al momento dello scatto avevo solo tre anni. La dittatura militare, l'ultima e la più feroce, celebrava il suo primo mese di esistenza e si riprometteva di far diventare quell'America sempre più povera. Cosimo, il fioraio, invece di anni ne aveva settanta.
Era venuto al mondo nel 1906 in una famiglia di fiorai siciliani. Il mio bisnonno materno, che poi era il padre del fioraio, aveva un negozio di fiori e un vivaio a Paceco, vicino a Trapani. In casa tutti sapevano intrecciare ghirlande. I bambini andavano nei campi a cercare talee di piante selvatiche. Il vecchio le metteva a dimora e le innestava in una porzione di feudo che aveva comprato. Cosimo era un decoratore eccezionale. Se la cavava anche nel vivaio, ma conservava il suo talento per le composizioni. Si stancò presto di trascinare a dorso d'asina carretti carichi di fiori sulla strada polverosa che portava dal negozio al feudo. Assieme al vecchio aveva scavato un pozzo, aveva costruito un forno per il pane, aveva dato linfa a un giardino pieno di aranci e limoni.
Ma i rapporti tra padre e figlio peggiorarono. Tutti parlavano di quella città immensa dall'altro lato dell'oceano, dove ci si perdeva per tornare un giorno carichi di ricchezze. Decise di mollare tutto e non ancora ventenne si imbarcò per Buenos Aires. Mia nonna, la sorella del fioraio, lo salutò quando lei aveva sei anni.
Cosimo in Argentina trovò l'America. Diventò molto ricco con un negozio di fiori, il più importante di Buenos Aires, secondo lui. Alla fine degli anni Quaranta intrecciava fiori per un cliente speciale: il presidente Perón. Proprio così: era stato nominato addetto al decoro floreale della sala del governo della Casa Rosada. Don Cosimo era il fioraio di Perón.
Ma Cosimo aveva lavorato per la Casa Rosada anche prima del peronismo. Lo raccontava lui stesso in una delle lettere spedite alla sorella: Per molti anni sono stato dentro la casa di governo facendo li ornamentazioni di fiori i ho ricevuto felicitazioni i abbracci di Monsegnor Pacelli, di Presidenti di diversi nazioni in speciale il du Brasile, credo perché ci ho fatto la ornamentazione coi colori nazionale di Argentina y Brasile. Anche quando a venuto Pacelli in Argentina per il congreso eucaristico la ornamentazione la ho fatto formando la bandiera papale i sai cosa es fare tutto quello con fiore naturale– qui solo io li ho fatto…
Il Congresso Eucaristico fu celebrato nel 1934, quando il cardinal Pacelli – futuro Pio XII – fece la sua apparizione a Buenos Aires tra i fiori di Cosimo Guarrata. Erano gli anni della cosiddetta "Década infame": l'Argentina conobbe la dittatura militare del generale Uriburu, salito al potere nel 1930 con un colpo di stato e morto di lì a poco, non prima di aver ceduto il bastone del comando a un altro infausto ufficiale. Gli italiani continuavano a costruire case di lamiera alla Boca, l'anarchico Di Giovanni sfidava il plotone d'esecuzione in una squallida caserma, Carlos Gardel, la voce più bella del tango, si spegneva drammaticamente in un incidente aereo a Medellín, in Colombia.
Una storia, una vita che andava raccontata. Anche perché me lo immaginavo, quel fioraio, che invecchiava nei sotterranei della Rosada mentre i presidenti e i colpi di stato si alternavano, e lui doveva fare ogni volta nuovi allestimenti. Me lo immaginavo con la frente marchita, con la Sicilia e il ricordo di Perón nel cuore, anche quando il nome di Perón neanche si poteva pronunciare. È così che ho deciso di andare a visitare l'hotel de los immigrantes a Puerto Madero, dove venivano accolti gli immigrati. E poi la Boca, e i conventillos di Santelmo. Memorizzavo, fotografavo, cercavo gli scenari per il romanzo. Su lui ho trovato quasi niente. Negli annuari delle personalità emigrate in Argentina ci sono centinaia di ingegneri, avvocati e commendadori, non quel vecchio tano che ha sempre fatto a cazzotti con lo spagnolo. Solo un indirizzo (anzi, due: casa e vivaio, probabilmente) in una guida telefonica del 1950: Flor Arenales 1499 e Charcas 1452.
Tornato in Italia mi sono riletto decine di volte le sue lettere, che molti anni prima mia madre aveva depositato presso l'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, specializzato in storie di emigrazione. La mia fonte principale è stata sua sorella, mia nonna, che ancora oggi a 92 anni mi racconta le storie di un passato quasi secolare sbucciando i mandarini accanto alla stufa in legna. Ho rimesso assieme i suoi ricordi con quei foglietti sottili scritti in cocoliche dal fioraio, ho aggiunto le mie immagini di Baires e la Storia, quella ufficiale e quella dei subalterni, in conflitto, mescolando reportage e narrativa. Il risultato è un romanzo: Il fioraio di Peron.
November 21, 2010
Due volte Marilù Oliva: "Tú la pagáras" e "Cent'anni di Márquez"
Ho tra le mani due opere di Marilù Oliva, comparse quest'anno a distanza di pochi mesi. La prima è il noir "Tú la pagáras" (Roma, Elliot, 2010), la seconda il saggio "Cent'anni di Márquez" (Bologna, CLUEB, 2010).
Il primo che ho letto è il noir. Un noir ha – spesso in maniera centrale, talvolta in modo più marginale – a che fare con un crimine. Ma il crimine non è sempre un fatto di sangue, un episodio specifico di violenza. A volte criminose sono le azioni di un gruppo di attori sociali, o addirittura l'organizzazione di gruppi di potere, legali o meno, occulti o meno, che agiscono in una società. Su questo punto tornerò tra poche righe.
Innanzitutto voglio dire subito che il bel romanzo di Marilù Oliva ha tanti meriti. Potrei sottolineare almeno tre carte che mi sembrano determinanti: la fluidità della lettura (il libro si beve, letteralmente), la tensione dei dialoghi, mai artificiosi e spesso magistralmente tessuti per fare da contrappunto alla prosa narrativa, e infine la capacità dell'autrice di lavorare sull'idioletto della criminologia, cioè sul lessico tecnico di chi si occupa di medicina legale e di tanatologia.
Aggiungerei, a corollario del primo punto (la fluidità della lettura), una considerazione: se la lettura è fluida, è perché la scrittura è elaborata. Dietro a una lettura fluida si legge anche il lavoro tutt'altro che semplice di levigazione, di smerigliatura, di raffinazione, perché dal grossolano emerga il sottile. Un'alchimia che è riuscita benissimo alla Oliva.
Il punto di vista che vorrei invece evidenziare sul romanzo, e ritorno al punto con cui ho aperto la mia recensione, è invece quello dell'atto criminoso che situa "Tú la pagáras" come un'opera di noir.
La mia ipotesi è che l'assassinio che apparentemente fa da cardine al libro sia soltanto pretestuale. Ovvero che sia un espediente narrativo, funzionante ma non determinante nell'eviscerazione (passi il termine da macelleria) dei valori ideologici connotati dal testo. Vorrei avanzare questa ipotesi: che il crimine che la Guerrera si trova davanti, e sicuramente fin dall'inizio la vede nei panni della vittima, è quello del precariato lavorativo, del ricatto, del licenziamento, del mobbing, della minaccia, dell'orario di lavoro che continua anche fuori dalla redazione. La morte del ballerino di salsa sarebbe, almeno nella mia lettura, un pre-testo che innesca un'indagine giornalistica in cui la protagonista esibisce la criminosità del lavoro culturale in cui è inserita in maniera subalterna. Criminosità che tracima dalla redazione del piccolo foglio bolognese e investe le forme in cui una società irrispettosa di ogni diritto ci costringe a lavorare ogni giorno. È questo il crimine che la Guerrera si trova di fronte ogni giorno, attorno al quale l'autrice ha tessuto la trama narrativa del suo testo. Un crimine che avvelena la vita della protagonista del romanzo e la paralizza in una situazione di tensione. Tensione che risolverà superando la prova del drago e trovando un lavoro in un importante quotidiano. Ma qui finisce la fiction… la realtà sa essere spesso più amara.
Veniamo al secondo volume. Tra i riferimenti letterari citati esplicitamente in "Tú la pagáras" ci sono due autori di rilievo della letteratura latinoamericana del meraviglioso: Miguel Ángel Asturias, citato in esergo al romanzo, e Gabriel García Márquez, evocato dalla Guerrera prima durante un litigio e poi nel corso di una spiegazione sulla salsa in cui si cita un libro letto due volte, i "Cent'anni di solitudine", appunto. Dopo solo pochi mesi dal licenziamento del suo romanzo Marilù Oliva ha potuto esplicitare questa passione in senso argomentativo.
L'ha fatto in un saggio monografico dedicato allo scrittore colombiano, di cui l'autrice racconta vita e opere con tanta facilità da far volare le pagine come nella sua precedente prova narrativa. Il saggio non vuole essere un lavoro di critica, magari di quelli che nell'editoria anglosassone si qualificano come "ultimate". Non si tratta infatti di un testo che pretende nelle sue 139 pagine di analizzare in maniera esaustiva l'opera dello scrittore colombiano. È solo un atto d'amore verso un autore su cui la Oliva ha speso evidentemente tante ore di passione come lettrice, che adesso omaggia con un testo che è un vero "invito alla lettura" dell'opera di Gabo, quasi un volume propedeutico di avvicinamento per chiunque voglia sgombrare il campo e metterne a fuoco la vita e le opere prima di perdersi nella suo Macondo. Ma anche un testo che permette di comprendere la tensione che conduce Marilù Oliva alla scrittura. Non a caso, subito dopo l'introduzione di Omero Ciai – tra i pochi giornalisti italiani che siano riusciti a intervistare negli ultimi anni l'aracatese – c'è una citazione che Oliva ha messo in evidenza: "Che razza di mistero è quello che fa sì che il semplice desiderio di raccontare storie si trasformi in una passione tale che un essere umano è capace di morirne, di morire di fame o di freddo o di quel che sia pur di fare una cosa che non si può né vedere né toccare e che, in fin dei conti, in realtà, non serve a nulla…". Parole di Garcia Márquez, tratte da "Come si scrive un racconto", che ci illuminano di una smania di raccontare che l'autrice deve probabilmente aver fatto propria. Parole che mi hanno fatto venire in mente quelle, ancora più drammatiche, del giornalista e scrittore argentino Rodolfo Walsh, che definì la scrittura come un "violento oficio". Garcia Maquez aveva ribattezzato Walsh "el hombre que se adelantó a la CIA", perché l'argentino riuscì a sventare un progetto statunitense di invasione militare di Cuba negli anni Sessanta decodificando, con l'aiuto di un manuale di enigmistica e criptografia comprato in un'edicola, un progetto segreto dei servizi americani. Erano gli anni in cui a Cuba il futuro guerrigliero Masetti aveva fondato l'agenzia Prensa Latina e aveva voluto come collaboratori due personaggi come Gabo e Walsh. Gente che quando non scriveva era capace di far fallire progetti quali quelli dell'invasione di Cuba. Altro che scrittura che non serve a nulla…
In conclusione, per dare un'idea di quanto la lettura di questo saggio sia appassionante, aggiungo solo questo particolare: volevo leggerlo come faccio di solito con i saggi, ovvero sottolineando abbondantemente, prendendo appunti ai margini del testo. Bene: me ne sono dimenticato. Il saggio infatti si legge come un racconto: aspetti di sapere cosa succede nella pagina successiva e gli appunti rimangono prigionieri nella matita. Magia della scrittura di una lettrice di realismo magico.
Un articolo su Cosimo Quartana, il fioraio di Perón
Solo dopo aver pubblicato il mio romanzo "Il fioraio di Perón" ho scoperto l'esistenza di un articolo, su una rivista locale della provincia di Trapani, dedicato alla storia del fioraio siciliano che lavorò alla Rosada. In realtà l'autore della nota si è basato solo sulle lettere del fioraio, depositate in fotocopia presso l'Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano. A quanto si legge nell'articolo, i parenti del lato siciliano del fioraio non hanno aggiunto alcuna informazione rilevante, anche se hanno segnalato un cugino omonimo che era emigrato nell'<>, cioè negli USA. Le foto di corredo si rferiscono appunto a quest'altro Cosimo Quartana. Da parte mia ho avuto il vantaggio di avere lettere, una fotografia e tanti ricordi da parte della sorella del fioraio, che poi era mia nonna. Oltre ad aver fatto una passeggiata fino a mi Buenos Aires querido
Riporto il pdf di questo articolo comparso nel 2008: http://potassa.noblogs.org/files/2010/11/quartana.pdf