Moony Witcher's Blog, page 37

June 13, 2012

Storia catastrofica di te e di me di Jess Rothenberg

Storia catastrofica di te e di me di Jess Rothenberg

Editore Einaudi

Pagine 352

Prezzo € 18.00 brossura/ € 9.99 ebook


«E lui ti dice che sei bella e tutt’a un tratto lo sei.

Ma ho una notizia da darvi: è un gran casino, in realtà, un gigantesco incubo che vi esploderà in mano. Non avete idea del pasticcio in cui vi siete ficcate. L’amore non è un gioco.

Le persone ci si tagliano le orecchie.

Ci si buttano dalla Torre Eiffel, oppure vendono tutto quello che hanno per trasferirsi tipo in Alaska e vivere con gli orsi grizzly, e poi finiscono sbranate e nessuno le sente urlare aiuto. Ecco com’è: innamorarsi è piú o meno come essere divorati da un grizzly.

E credetemi, io lo so».


Brie muore all’improvviso. A sedici anni.

Col cuore, letteralmente, spezzato in due.

Nell’istante esatto in cui si sente dire da Jacob che non la ama piú.

Ma questo è solo l’inizio della storia.

Dal suo punto di osservazione in Paradiso Brie finalmente capisce un sacco di cose.

Che il matrimonio dei suoi sta proprio andando a rotoli.

Che il fratello Jack non riesce a perdonarle di essere morta.

Ricominciare da capo quando si ha il cuore a pezzi non è facile. Specie in un posto tutto nuovo. Ma una figura davvero celestiale comparirà presto ad accompagnare Brie nel suo paradisiaco futuro.

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Published on June 13, 2012 03:19

June 11, 2012

Evelyn Starr 2. La Regina dei Senzastelle di Luca Azzolini e Francesco Falconi

Evelyn Starr 2. La regina dei Senzastelle

Francesco Falconi e Luca Azzolini

Piemme, Il Battello a Vapore

Pagine 272

Prezzo € 17,00


Il Natale è alle porte e Ithil Runa è coperta da un manto di neve. Dopo il suo primo viaggio nelle terre incantate del Mullagh Maat, la vita di Evelyn sembra tornata alla normalità tra la scuola, il saggio di danza e le uscite con gli amici. Ma, al di là dell’Arco d’Avorio, forze oscure tramano per preparare il ritorno di Murigen, la perfida Regina dei Senzastelle. Il 21 dicembre, durante la notte più lunga dell’anno, un’eclisse di luna oscurerà il cielo e, in quel preciso istante, il Patto d’Argento sarà più debole. È l’occasione che Murigen stava aspettando da anni per oltrepassare l’Arco d’Avorio e riconquistare il suo regno. Evelyn sarà così costretta a tornare nel Mullagh Maat insieme all’amico Zak e al fidato Stillygan per recuperare il Gioiello della Luce. Ma un nuovo nemico, dal cuore nero come l’ombra, è pronto a mettersi sulla sua strada: il Principe dei Senzastelle, che nasconde un terribile segreto capace di far vacillare ogni certezza di Evelyn…


——

Il primo volume…


Evelyn Starr. Il diario delle due lune

Francesco Falconi e Luca Azzolini

Piemme, Il Battello a Vapore

Pagine 336

Prezzo € 17,00


Evelyn Starr ha tredici anni, vive a Ithil Runa con la madre Meb e la bisnonna Geraldine e divide il suo tempo tra la scuola, le lezioni didanza e le amiche. La sua famiglia però nasconde un segreto: appartiene alla stirpe dei Guardiani delle Nebbie e custodisce l’accesso a un luogo magico, perennemente avvolto dalla nebbia. È il Regno Grigio, dove si aggirano esseri fatati e animali parlanti che cambiano forma dall’alba al tramonto. Evelyn ancora non lo sa, ma è proprio lei l’ultima erede dei Guardiani, l’unica che possa impedire l’avanzata dei Senzastelle e della loro oscura Regina. Insieme al suo nuovo amico Zak, un ragazzo lupo che non ricorda il proprio passato, e ll’eccentrico furetto Stillygan, Evelyn affronterà il viaggio più avventuroso della sua vita: oltre i confi ni della Città Proibita, dentro la Montagna Cava, nelcuore del Palazzo di Ghiaccio, per sconfiggere il crudele Signore delle Nebbie…

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Published on June 11, 2012 00:07

June 4, 2012

L’ABETE DEI SOGNI di Sonia Scalia. Primo livello – Corso Adulti

L’abete dei sogni

di Sonia Scalia

Primo livello – Corso Adulti

Le parole del mister aleggiavano come stelle filanti nella testa di Leo. Era su di giri. Il ragazzo sapeva che i sacrifici immensi a cui si era sottoposto in quegli ultimi due anni, lo avrebbero portato al traguardo che si era prefisso. I suoi genitori per primi lo avevano incoraggiato a perseverare. La corsa prima di andare a scuola, e i pomeriggi estenuanti ad allenarsi in pista, correndo i 400 metri in tempi sempre minori, finalmente, gli avrebbero permesso di partecipare alle Olimpiadi giovanili che si sarebbero disputate in giugno. Leo voleva urlare di felicità. Per questo, mentre tornava a casa dagli allenamenti, si diresse su per la collina. In cima alla quale lo aspettava un vecchio amico solitario: il maestoso abete. Quello era un posto davvero speciale per Leo. Con quell’abete era cresciuto. Aveva pianto e riso. Sfogato momenti tristi e condiviso quelli belli. L’abete gli faceva compagnia quando salutava la partenza dei genitori. E allo stesso tempo il loro arrivo in automobile. Nel prato, sotto quell’ombrello di rami e foglie aveva imparato a camminare e a correre. Correre: la ragione della sua vita. Come poteva dimenticarlo. Era grato allo spirito di quell’albero che lo vegliava e gli dava la forza di credere in se stesso. Lo sentiva come uno di famiglia.

Nel cielo scesero intanto i fili rosa del tramonto filtrando tra le foglie dorate che pendevano dai rami.

D’un tratto, da dietro il tronco massiccio spuntò Bimba, il pastore tedesco del signor Kadinski. Con un balzo gli andò incontro agitando festante la sua pettorina rossa con impressa una croce bianca.

Il cane pareva volesse festeggiarlo. Leo si chinò e gli strinse le braccia attorno al collo. Poi insieme scivolarono nel secco tappeto autunnale. Leo rise. Il suo sogno stava per coronarsi. E proprio quel pomeriggio il mister glielo aveva ribadito di fronte l’intera scolaresca. Che emozione! Aveva detto che se c’era qualcuno che poteva vincere quella competizione, di sicuro era Leonardo Mancini. Lo attendevano dei mesi faticosi ma lui non avrebbe ceduto alla stanchezza. Nonostante la giovane età, Leo aveva le idee ben chiare riguardo la sua carriera di atleta. Aveva ereditato la tenacia di sua madre e la caparbietà del padre. E nulla gli avrebbe impedito di salire sul podio della più importante manifestazione riservata ai minori di quattordici anni.

<> La voce di Orlando Kadinski lo riscosse da tanti sogni di gloria. Era davanti al suo cavalletto, la tavolozza dei colori in mano. Anche lui trascorreva parecchie ore in quel luogo magico.

Leo si avvicinò al pittore. Bimba lo seguì a ruota e di corsa andò a sfregare il musetto nei pantaloni del padrone come a volerlo tranquillizzare.

<> chiese Kadinski, gli occhiali scuri sul naso. Era intento a sfregare le dita impiastricciate sulla tela. <>

Leo abbozzò un sorriso in segno di saluto. Ormai si era abituato ai modi un po’ scorbutici del vecchio Orlando. Di sicuro amava l’abete tanto quanto lui. Altrimenti, pur essendo suo vicino di casa, com’è che lo aveva incontrato sempre e soltanto lassù. In quel preciso momento, Leo portò una mano alla fronte, che stupido si disse ripensando al signor Kadinski, lui non poteva vedere il suo cenno.

<> si annunciò Leo a voce alta. E quando giunse alle sue spalle, sporse la testa per osservare meglio il quadro. Il ragazzo sgranò gli occhi mentre stupefatto si soffermava sui dettagli. Il dipinto presentava la scena di un picnic. C’era una bambina che frugava curiosa dentro un cestino portando un toast alla bocca, mentre una coppia di adulti era beatamente seduta accanto a un cane munito di collarino, lo stesso di Bimba, e godeva del paesaggio all’ombra del grande abete. La veduta era mozzafiato, forse ancora più bella della realtà. Minuscole stradine s’inerpicavano lungo il pendio, sormontando le colline e circondando i magnifici vigneti della zona. E in effetti, assaporata con gli occhi la bellezza del quadro, Leo poté respirarne perfino i sapori. Erano lì, tutt’attorno a lui. L’agrodolce della vendemmia, la corteccia legnosa, l’aria frizzante portata dal tramonto e non ultimo, il muschio bianco del dopobarba del pittore accompagnato dal respiro pesante del cane.

Il pittore silenzioso, occhio e croce sessantenne, non badò all’intrusione del ragazzo e proseguì nella rifinizione dell’opera. Intinse i polpastrelli nel colore e con tocchi decisi ne marcò i giochi di ombre e di luce. A dire il vero, Leo ebbe la sensazione che Kadinski stesso fosse finito dentro quel quadro e stesse godendo di quell’intima scena familiare.

<> lo disturbò Leo. Abitavano a due passi l’uno dall’altro per questo aveva pensato di fare strada insieme e chiacchierare un po’.

Orlando Kadinski arricciò il naso.

<> gli rimbrottò contro. <>

Il ragazzo non se la prese. Sapeva, quanto fosse suscettibile il suo vicino. E comunque, Bimba lo marcava stretto senza perderlo di vista un istante. Dunque Leo li salutò entrambi, e prima di andare via, fece una pausa ai piedi dell’abete. Ne accarezzò un ramoscello bisbigliando qualcosa poi si affrettò a rincasare.

Ridisceso il pendio, pur se ancora distante da casa, Leo riconobbe la sagoma pacioccona della badante. Lo aspettava all’ingresso mentre impagliava dei fiaschi. I lampioni illuminavano a giorno l’intero caseggiato mettendo in risalto i colori sgargianti della veste della donna. Aveva un turbante verde in testa e indossava delle stole gialle, verdi e arancioni sovrapposte, lunghe fino ai piedi.

< > le disse varcata la soglia di casa.

<> fu la risposta compiaciuta della badante. Adorava quel ragazzino. Lo aveva cresciuto fin dalle fasce donandogli un po’ di sano temperamento marocchino. <>.

Leo non se lo fece ripetere due volte. Sollevò la cornetta del telefono e prese un blocnotes su cui erano appuntate una sfilza di date relative alla tournèe dei suoi genitori: erano entrambi musicisti.

<> e fece scivolare il dito sulla riga accanto alla data. Ci trovò il numero della stanza di hotel in cui Anna e Carlo Mancini soggiornavano. Lo compose. Era elettrizzato al pensiero di informarli della grande notizia. Chissà quanto sarebbero stati orgogliosi del loro unico figlio. Al quarto squillo ancora nessuna risposta.

Maddy gli diede una pacca premurosa. Leo sorrise. Li avrebbe richiamati più tardi. Carlo e Anna suonavano rispettivamente la tromba e il pianoforte nella famosa Orchestra Sinfonica Galaxy. Facevano tappa in tutti i maggiori teatri del mondo lavorando 300 giorni su 360. Tornavano nella loro casa a Settignano in Toscana poco prima del Natale, e nel periodo estivo, tra giugno e luglio. Erano due persone straordinarie perciò Leo li amava esattamente com’erano. E sebbene ne avvertisse la mancanza, il ragazzo li sentiva molto vicini. Anche perché Anna e Carlo gli telefonavano quotidianamente e pretendevano di sapere ogni cosa, sia bella che brutta lo riguardasse. Inoltre, poteva contare sul loro appoggio e sostegno in qualsiasi circostanza. La decisione di accettare una lunga tournèe in giro per il mondo, lavorando tanto distante dal figlio, per diversi mesi all’anno, non era stata delle più facili. Ma lasciandolo con Maddy gli davano l’opportunità di avere una vita più stabile. Tra l’altro, Maddy, la donna marocchina che se ne occupava, lo trattava con amore come fosse figlio suo.

<> interruppe il filo dei suoi pensieri la donna portando a tavola la cena etnica. Utilizzava questo nomignolo come gli altri abitanti del paese, per riferirsi all’abete alto pressappoco cinquanta metri.

<> le rispose Leo.

<> mormorò Maddy e di proposito lasciò cadere la conversazione. Non le andava di rattristare Leo, felice com’era.

Quella sera Leo riprovò a chiamare la sua famiglia ma senza successo. Il concerto immaginò si fosse protratto più a lungo nell’ovazione del pubblico ai musicisti. Sorrise all’idea e si ripromise di telefonare l’indomani dopo la scuola. Non vedeva l’ora di raccontare tutto ai suoi genitori. Ma il ragazzo non poteva di certo prevedere cosa stava per succedere. Quella telefonata non ci sarebbe mai stata e forse il suo sogno, infranto per sempre.

Il mattino seguente Leo di buon umore si recò a scuola. Le lezioni si susseguirono piacevoli. Nessuna interrogazione a sorpresa. E agli allenamenti superò se stesso, riuscì a bruciare un altro secondo durante il giro in pista. Era al settimo cielo.

Con lo zaino in spalla, traboccante di gioia si accinse ad attraversare la strada e imboccare il sentiero. Voleva andare all’abete, per ringraziare il suo angelo custode e rendere partecipe pure Kadinski, che in fondo, pur cercando di mostrarsi indifferente, pareva gradire molto la sua compagnia e lo ascoltava a cuore aperto, e Leo aveva proprio voglia di parlare all’infinito.

Il ragazzo ancora sul ciglio della strada alzò gli occhi al cielo. Coltri di nuvole lo oscurarono. Un acquazzone era in arrivo. In lontananza udì un clacson strombazzare. Si voltò a sinistra e vide un furgone azzurro lanciato a gran velocità. Sbandava e frenava a più riprese invadendo anche la corsia opposta. Poi parve riprendere il controllo. D’un tratto però puntò dritto verso Leo. I suoi muscoli si paralizzarono. Uno stridio di pneumatici e nel giro di pochi secondi quel furgone gli piombò contro. Il ragazzo emise un urlo e poi nulla. Come coriandoli sparsi per terra, i sogni di Leo gli piovvero addosso allagando di tristezza la sua vita. Nel frattempo la pioggia scrosciante né colpì il corpo svenuto a causa del violento impatto.

Subito accorse gente da ogni dove e immediati arrivarono i soccorsi.

In seguito Leo ebbe difficoltà a ricordare l’incidente ma da subito si rese conto che il dolore lancinante alle sue gambe lo avvertiva di un danno assai serio.

Furono i suoi genitori a raccontargli l’accaduto. Appresa la notizia avevano preso il primo volo per la Toscana. Da loro seppe che quel giorno un uomo di mezza età si era addormentato alla guida del suo furgone. Non sapeva dire per quanto tempo, forse pochi attimi, ma appena riaperti gli occhi se l’era ritrovato davanti. L’uomo era stato dimesso pochi giorni dopo l’incidente con delle contusioni al viso e al braccio. Leo invece, e di questo era esausto, aveva passato due mesi in un letto d’ospedale. Dopodiché, dimesso su una sedia a rotelle.

Adesso se ne stava per conto suo nella casa di Settignano ed evitava di parlare della sua carriera e della competizione di giugno. Si sentiva deluso come se lo spirito dell’abete che lo aveva protetto fino ad allora, d’un tratto si fosse accanito contro di lui affinché non realizzasse i suoi sogni.

<> lo chiamò la madre. Anna e Carlo erano costretti a ripartire tra meno di una settimana. La tournée era stata sospesa in quei mesi. E sebbene non volessero distaccarsi da lui, il medico li aveva rincuorati che Leo avrebbe ripreso l’uso delle gambe. La colonna vertebrale non aveva riportato danni. L’immobilità di Leo era dunque temporanea, causata dal contraccolpo subito nell’urto. Forse uno spirito invisibile lo aveva protetto. La questione era quella di credere di nuovo in se stesso.

Leo spalancò gli occhi alla vista di Orlando Kadinski preceduta da un tuffo d’angelo da parte di Bimba. Era bello rivederli.

<> Era la prima volta che il pittore lo chiamava così. Aveva una voce gentile, di cui, Leo si sentì scocciato. Non voleva essere compatito. Ora che il suo sogno di partecipare alle Olimpiadi Giovanili era andato in fumo. Poi colto dalla rabbia si rese conto di come lui e il suo vicino di casa non fossero invece, più simili di quanto pensasse. Ricordò la reazione di Kadinski quando, l’ultima volta in cui si erano visti, lui si era offerto di accompagnarlo. Si era sentito compatito perché cieco? E ora chi è che si sentiva compatito, lui?

<> fece a tempo a dire Leo mentre rotolava abbracciato a Bimba sul pavimento.

Anna preoccupata si precipitò pronta a tirarlo su, ma Leo stava ridendo, finalmente. E Bimba abbaiava divertita.

Da quel giorno e nella settimana che precedette la partenza dei suoi genitori, Leo e Kadinski passarono parecchio tempo insieme diventando praticamente inseparabili. Pian piano tra loro si delineò un rapporto di fiducia e di amicizia, e le parole che scambiavano aumentarono di numero. Leo oramai manovrava la carrozzina come un pilota di formula uno, e pareva non volesse più distaccarsene. Perciò Kadinski che lo guardava con gli occhi dell’anima, quando giunse la partenza di Anna e Carlo, approfittò per ricondurlo all’abete. Li avrebbe ritrovato la forza di credere in se stesso.

Pur se in carrozzina Leo s’inoltrò per il sentiero. Il signor Kadinski lo aspettava con Bimba sotto l’abete. L’automobile dei genitori percorse un tratto di strada e due mani si protesero dal finestrino. Leo era in cima alla collina e si sbracciò per salutarli come faceva prima dell’incidente.

<> gli chiese il pittore e gli poggiò una mano sulla spalla.

<> rispose Leo colto alla sprovvista da quella domanda. Continuò ad agitare le braccia per essere sicuro che Anna e Carlo potessero vederlo.

<> proseguì duro il pittore . <> Kadinski stava cercando di smuoverlo. Di farlo riflettere, di fargli capire che ognuno di noi è responsabile della propria vita. Ma non poteva prevedere che a riflettere sarebbe stato pure lui.

<>.

Orlando, come se il ragazzino in qualche modo avesse riaperto una ferita troppo profonda, stupito e allo stesso tempo commosso dall’incapacità di quel tredicenne di provare una qualsiasi forma di collera nei confronti dei genitori, si lasciò andare al fluire dei ricordi. Abbattendo un muro di silenzi innalzato da dieci lunghissimi anni.

<>

Pur se non comprendeva le sue parole, Leo lo ascoltò senza fiatare. Temeva di interrompere la complicità di cui il pittore lo stava rendendo partecipe.

<> gli disse con un sorriso e accarezzò il muso di Bimba.

<> rispose piano e fece una pausa per farlo continuare. Era bello ascoltarlo.

<> Il signor Kadinski tremava e per evitare che Leo se ne accorgesse riprese la tavolozza dei colori. Questa volta la tela posta sul cavalletto raffigurava il Principe.

<> si premurò di ricordargli Leo.

<> Il pittore pronunciò secche queste ultime parole lasciando cadere il discorso.

Soltanto ora Leo capiva quell’uomo tanto solo, il perché non si fidasse di nessuno. Stava male per la figlia. Non le perdonava quel colpo basso. Intanto immerso nelle sue riflessioni il ragazzo si rese conto che sulla tela del pittore c’era, identico all’originale, l’abete. In tutta la sua maestosità.

<> cercò di spiegarsi Leo.

<> domandò Orlando. <>.

In quel preciso istante Leo si abbrancò a Kadinski.

<> urlò con quanto fiato in gola. E piangendo tentò di sollevarsi. Ma le sue gambe si rifiutavano di reggerlo. Erano pesanti. Ebbe la sensazione di sprofondare. La testa girava.

Il pittore lo incitava a non mollare. <>

Le palpitazioni accelerarono e Leo barcollante si aggrappò alla camicia di Kadinski, tenne duro.

Voleva camminare. Voleva correre. Voleva vivere. Voleva sognare.

Quella fu la prima volta che Leo riuscì a mettersi in piedi. Le lacrime rigarono anche il viso del pittore che lo tenne a lungo stretto in un abbraccio paterno. Leo provò una gioia indescrivibile. Comprese finalmente cos’era la forza che emanavano i quadri di Kadinski, lui viveva dentro quei sogni. Ed era arrivato il momento di farli diventare realtà.

A casa, Leo raccontò a Maddy, e ai suoi genitori per telefono, degli insegnamenti di Kadinski, il suo continuo incoraggiamento e soprattutto dei progressi della giornata. Seppe in cuor suo, che presto avrebbe camminato e perché no, sarebbe tornato in pista tra i favoriti. Quella pista dove un tempo si allenava per partecipare alle Olimpiadi. Poteva farcela.


La primavera a Settignano sbocciò in un’esplosione di fiori, piante e colori. Grazie all’aiuto del vicino, Leo non si era arreso. Aveva creato per se il futuro più bello che un ragazzo potesse desiderare. L’immaginazione trasformava la realtà e lui ora lo sapeva. Ora che faceva lunghe passeggiate in compagnia di Kadinski e corse furibonde con Bimba. Aveva ripreso gli allenamenti e presto sarebbe tornato in forma e forse, ancora più veloce di prima. La carrozzina era solo un ricordo.

In giugno a Roma si tennero le Olimpiadi. Leo pur partecipando non vinse ma era felice uguale. Lui era un’atleta. E dopo tutto quello che aveva passato, ora ci credeva davvero. D’altro canto, i suoi tredici anni gli permettevano di riprovarci l’anno successivo.

Di ritorno a Settignano, in una splendida mattina soleggiata, il paese organizzò una festa in suo onore. Tutti volevano festeggiarlo. Parteciparono anche Anna e Carlo Mancini tornati dalla tournèe; Maddy che preparò dei gustosissimi dolci a base di riso e cannella; i compagni di scuola, gli insegnanti, l’allenatore di atletica e pure Kadinski e Bimba, nemmeno loro vollero perdersi la festa.

E Leo, era molto riconoscente a Orlando Kadinski, perciò aveva in serbo qualcosa di molto speciale per lui. Qualcosa che doveva ancora diventare realtà.

D’improvviso Bimba sparì tra la folla. Il pittore la chiamò senza ricevere in cambio nessuna risposta.

<> fece Leo. <> Poi lo prese sottobraccio e insieme imboccarono il sentiero che portava alla collina.

Il corteo li seguì. Con in coda la banda musicale al completo risalirono l’altura fino all’abete. In pochi minuti un serpente di gente festante approdò sulla collina del Principe.

Di colpo quel nugolo di persone si zittì. Davanti ai loro occhi si presentarono, disposti gli uni vicini agli altri, una varietà di teli multicolore. Tavoli imbanditi di cibo, toast ripieni e caraffe piene fino all’orlo di succo d’uva e di mela. E sull’abete, i compaesani del pittore, vi appesero dei fogli dentro cui ognuno aveva scritto il proprio sogno.

Quello sarebbe stato un picnic davvero speciale per Kadinski e un giorno memorabile per l’intero paese.

D’improvviso un cane abbaiò. Una, due, tre volte. Kadinski lo riconobbe, era Bimba. La teneva al guinzaglio una donna bionda sulla ventina.

<> lo chiamò, baciandolo sulla guancia. <>.

Orlando Kadinski era commosso. Le sue labbra tremolavano.

<>

<> fece il pittore e puntò l’indice verso Leo come se potesse vederlo. Dopo dieci interminabili anni Kadinski riabbracciò la figlia. Quel tredicenne lo aveva aiutato a realizzare il suo sogno.

Poi il pittore addentò un toast, e col cuore pieno di felicità ammise a se stesso che quello era il sogno più bello che avesse mai fatto. Era la realtà.

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Published on June 04, 2012 06:40

IO SONO IMMORTALE di Alessio Scalia. Primo Livello Adulti. Corso di scrittura online

IO SONO IMMORTALE

di Alessio Scalia

Primo Livello – Corso Adulti

Accarezzai i capelli lisci e biondi di Gabriel mentre sorrideva estasiato. A cinque anni è più che normale esplodere di gioia anche per una piccola escursione nel bosco. Eppure, ogni volta, quella sua reazione spontanea mi provocava sentimenti dolci e conditi di vero amore.

“Tornate presto!” disse Sasmira, dando un bacio a lui e uno a me. Era una Venere con capelli lisci neri, un fisico sottile e il nasino all’insù. Le dicevo spesso che assomigliava ad una fata, e lei ogni volta reagiva sollevando gli angoli della bocca, compiaciuta. Dopo essere stata afflitta da una lunga malattia nella zona del basso ventre, Sasmira aveva creduto di non poter avere figli, perciò ne aveva desiderato uno con tutto il cuore. Quel bambino, nato come per magia, l’aveva resa mamma e adesso eravamo la famiglia più felice del nostro villaggio.

Come quasi tutte le mattine io e Gabriel ci recavamo nel bosco. Il piccolo adorava raccogliere viole profumate per poi regalarle alla sua adorata mamma. Gli piaceva posarle delicatamente tra la sua chioma scura e osservarla incantato. A dire il vero anch’io la preferivo con un fiore fresco in testa. Gli donava davvero.

Presi in braccio Gabriel e lo portai a cavalcioni sulle mie spalle possenti per farlo sentire un vero gigante.

“Corri papà” urlò divertito.

Da grande voleva diventare un guerriero di un metro e novanta tutto muscoli come me, suo padre. Il mio viso, così come il corpo, mostrava i segni delle dure battaglie che avevo combattuto. Ma dopo la nascita di quell’angioletto avevo detto basta. Non potevo più rischiare di perdere la vita e lasciare soli moglie e figlio. Già da tre anni mantenevo fede alla mia promessa.

Intanto, alzai gli occhi e notai che il cielo era sereno e una leggera brezza smuoveva le foglie degli alberi. Il sole, ancora debole, batteva sulla pelle in modo piacevole e confortante.

L’incontro inaspettato con uno scoiattolo impressionò piacevolmente Gabriel.

“Che bello, guarda!” gongolò stupefatto, indicando il roditore che sgattaiolava.

Dopo cinque minuti di marcia in allegria e spensieratezza, mi decisi a mettere giù il piccolo e subito cominciò a scalpitare tra l’erba. Un tappeto di viole si presentò davanti ai nostri occhi. Gabriel spalancò la bocca in un sorriso puro e si chinò a raccoglierne qualcuna, ma all’improvviso lo vidi flettere le gambe e crollare a terra sovrastato dall’erba alta. Non si rialzò più.

“Gabriel!” urlai precipitandomi a raccoglierlo. Lo presi tra le braccia. Era privo di conoscenza, gli occhi serrati. Vederlo conciato a quel modo orribile mi terrorizzò a morte e pensando subito al peggio portai l’orecchio al suo torace. Il cuore batteva ancora, grazie al cielo.

Tornai di corsa al villaggio con Gabriel tra le mani e mi diressi in casa di Igan, lo stregone. Era l’unico che conosceva i segreti della guarigione e l’unico che poteva aiutarmi.

Intanto Gabriel in preda agli spasmi sudava freddo, il viso violaceo, le labbra pallide.

“Cos’è successo?” chiese lo stregone, lasciandomi entrare.

“Non lo so! È piombato al suolo di soppiatto e non si è più rialzato!” spiegai con la voce incrinata. Adagiai quel piccolo corpicino privo di energia su un letto.

Dopo una lunga visita e vari controlli Igan, si accarezzò la barba bianca chiaramente preoccupato.

“Ha pochissime speranze di sopravvivere!” disse cupo.

In quel momento era come se il mondo mi fosse crollato addosso. Non potevo accettare un verdetto del genere, mai!

Mio figlio Gabriel aveva contratto un virus sconosciuto. Per Dio, morire a cinque anni!

“Dobbiamo salvarlo!” esclamai determinato. Gabriel era ciò che di più caro avevo al mondo, non potevo perderlo.

Igan inumidì una panno nell’acqua tiepida e glielo poggiò sulla fronte, poi si voltò verso di me con lentezza.

“C’è solo un modo, Tancan” mi rivelò in tono spento. “Devi portarmi la pianta notturna!”

Quella pianta magica era in grado di guarire un umano da qualsiasi malattia. Lo sapevano tutti. Era l’unica via di salvezza per la creatura innocente.

“Dove posso trovarla?” chiesi, pronto a tutto pur di restituirgli la possibilità di vivere.

“L’unico posto dove cresce… è la caverna di Sibila: la Donnaragno!” rispose con un fil di voce.

Deglutii sconvolto.

“Maledizione!” borbottai tra i denti. Strinsi i pugni con forza fino a farli tremare.

Si diceva che quel mostro spietato, uccidesse chiunque tentasse di estirpare la pianta notturna dalla sua tana, anche i guerrieri più valorosi. Nessuno era riuscito a sopravvivere contro quella belva sanguinaria, proprio nessuno, e adesso toccava a me…

Sì, ero abile con la spada, ma non credo sarebbe bastato a darmi la vittoria, avevo bisogno di qualcos’altro, ma cosa?

Sasmira, intanto, informata da qualcuno, con il volto in lacrime e pallido, piombò in casa dello stregone. Aveva il fiatone ed era visibilmente scombussolata.

“Gabriel! Piccolo mio!” farfugliava. Le accarezzò il viso in preda alla disperazione più totale. Lui, sdraiato sul lettino, con il corpo inerme non rispondeva e respirava malamente.

Io sono il padre, ed è mio dovere tentare il tutto per tutto, pensai. Gli restavano solo due miseri giorni di vita.

Prima di lanciarmi in quella missione suicida, decisi ancora una volta di chiedere aiuto al saggio stregone.

“Igan ti prego” implorai. “Donami un grande potere. Devo sconfiggere Sibila. Farò tutto ciò che vuoi”.

Lo stregone mi fissò con i suoi occhi neri e penetranti, poi, con tutta calma bevve un sorso di tisana bollente da una tazza di porcellana bianca. Infine propose: “Ti offro l’immortalità. Ma… voglio in cambio le tue ricchezze. È un rito troppo pericoloso quello che dovrò fare per aiutarti e potrei anche morire”.

“Non puoi concederla a mio figlio, l’immortalità?”

Igan scosse la testa.“No! Questo tipo di magia è troppo potente. Lo ucciderebbe all’istante!”

Non avevo scelta. “Accetto!” dissi.

Monete e averi in confronto alla vita del mio bambino non valevano un bel nulla.

Lo stregone si spostò rapidamente in una stanza dove c’erano una miriade di vasi e alcune sedie in legno massiccio. Io ovviamente lo seguii.

“Siediti Tancan!” ordinò con voce pacata. “Rilassati e respira profondamente”.

Mi lasciai cadere su una di quelle sedie dure e scomode.

Igan scelse accuratamente un vaso in ceramica decorato e, dopo aver recitato una breve preghiera, vi immerse una mano.

“Questa è una polvere magica, è il corpo di tre guerrieri invincibili: Iderc, Etni, Ossets” dichiarò. Poi estrasse le dita impregnate di grigio e le strofinò sulla mia fronte, invocando più volte: “Spiriti dei guerrieri, donate l’immortalità a Tancan, ora! Spiriti dei guerrieri, donate l’immortalità a Tancan, ora!” E ogni volta alzava il volume della voce fino a urlare a squarciagola. Gli tremavano le mani, il viso diventò rosso porpora, sembrava fare uno sforzo immane.

A un tratto sentii un brivido freddo scorrermi lungo la spina dorsale e una potente energia vibrare nel mio corpo. Ero diventato immortale!

Igan tirò un sospiro di sollievo. “Bene!” sussurrò chinando il capo. Con la manica della tunica si asciugò la fronte imperlata di sudore.

Potevo partire per la missione.

Tornai da Sasmira per avvisarla del viaggio che avrei dovuto intraprendere. Era ancora china sul letto a cullare il suo bambino malato.

“Ti prego!” supplicò mia moglie speranzosa. “Torna vivo e portaci la pianta notturna!”

“Sta tranquilla” risposi stringendola a me. “Sono immortale adesso!”

Sasmira mi lanciò un’occhiata perplessa, però non disse nulla. Era troppo sconvolta e stremata per fare domande. E comunque lei non era al corrente del patto che avevo fatto con lo stregone.

Uscii da quella casa armato fino ai denti e a passo deciso mi incamminai verso il bosco, quando la sera calò all’improvviso.

Il cielo era una distesa oscura priva di stelle. L’aria gelida mi penetrava le ossa e il vento ululava. Dopo aver marciato per un’ora e superato un labirinto di alberi e fitti cespugli, finalmente giunsi alla caverna di Sibila.

L’ingresso era un enorme fenditura a forma di piramide.

Entrai senza esitare.

All’interno regnava l’oscurità, quindi accesi la torcia e aguzzai la vista. Determinato, avanzai lungo quel varco roccioso e mi ritrovai a calpestare un tappeto di ciottoli bianchi. Le pareti invece, erano umide, spigolose e rivestite da una sostanza biancastra appiccicaticcia.

La mente si affollò di pensieri angoscianti che mi facevano scoppiare le tempie. Non potevo essere sconfitto. Non potevo morire. Gabriel aveva bisogno di me e soprattutto della pianta notturna.

Sono immortale e invincibile, mi dissi, traboccante di coraggio.

C’era silenzio, un silenzio inquietante. L’aria puzzava di marcio e corpi in decomposizione. Infatti, sparsi per terra in un ammasso nauseabondo, scorsi scheletri umani, teste mozzate, corpi sbrindellati e fiumi di sangue. Soffocai un conato di vomito.

Sperai di trovare subito quello che cercavo e andarmene prima che la bestia mi vedesse.

Udii un rumore sinistro provenire dal profondo della grotta. Il cuore prese a martellarmi sul petto.

Poi, un sibilo terrificante echeggiò nelle pareti rocciose e il rumore di passi strascicati mi fece rabbrividire.

Un ombra sovrumana si stava avvicinando minacciosa.

Era Sibila. Aveva otto zampe piene di peli acuminati, e il volto… il volto era quello di una donna rugosa con capelli bianchi simili a ragnatele. Una fila di denti aguzzi e sporchi fuoriusciva dalle sue fauci gocciolanti di bava biancastra. Dagli occhi rosso sangue saettavano lampi maligni.

Era orrenda! Un mostro!

In quell’attimo sentii emergere dentro di me una forza immensa. Impugnai l’elsa della spada e feci vorticare la lama in avanti in segno di avvertimento.

“Come osi disturbare la mia quiete?” sibilò la bestia ibrida, sferrando il primo micidiale attacco. Si muoveva più veloce di quanto immaginassi.

Rapido mi spostai a sinistra schivandola, feci mulinare la spada in una rotazione da manuale e con un colpo perfetto gli mozzai una zampa. Rivoli di sangue e gemiti acuti.

“Sono immortale!” dichiarai in tono solenne “Stammi lontano o morirai! Mi serve solo la pianta per mio figlio!”

Ostinata, Sibila spalancò le fauci e spruzzò fili di fitta ragnatela collosa che si attorcigliarono al mio corpo, braccandomi. Tentai disperatamente di liberare un braccio, ma niente. Gemevo. Ero in trappola.

Sibila zampettava lentamente verso di me con espressione trionfante, pronta a sferrare l’attacco mortale.

Dimenandomi come un forsennato riuscii miracolosamente a sbloccare il braccio destro, sollevai la spada e trafissi quel volto terrificante. Dopo un urlo lancinante, il corpo orripilante crollò a terra, privo di vita.

“C’è l’ho fatta” esultai dentro di me.

Raccolsi la pianta notturna e cominciai a correre più forte che potevo verso la via del ritorno.

Giunsi al villaggio vittorioso.

Lo stregone selezionò accuratamente le foglie dell’arbusto magico e creò un intruglio verdastro. Lo spalmò sul torace nudo di Gabriel che, dopo un’ora finalmente riaprì gli occhi. Il colore della sua pelle tornò roseo e il respiro regolare. Sasmira e io scoppiammo a piangere. Abbracciammo il bambino come se fosse rinato. Fu una gioia immensa rivederlo sorridere e parlare.

“Mio figlio è salvo!” dissi allo stregone. “Sono immortale! Prendi pure le mie ricchezze”.

Lo stregone rise. “Tancan non sei immortale!” rispose. “Ma avevi bisogno che lo credessi”.

Rimasi allibito da ciò che udirono le mie orecchie.

“ Cos’era allora quella polvere grigia?” chiesi.

Lui si accarezzò la barba con aria di mistero. “ Come ti ho già detto era la polvere magica dei tre guerrieri invincibili, Iderc, Etni, Ossets. E se pronunci questi nomi al contrario diventano una frase: Credi In te Stesso!”

“Papà domani andiamo nel bosco a raccogliere viole e vedere scoiattoli?” ci interruppe Gabriel già in forze.

Mia moglie fece un sorriso gioioso e gli strinse le manine.

“Certo”risposi io accarezzando la fronte al mio angioletto. “E passeremo anche a salutare lo stregone Igan. Sai, grazie alla sua saggezza siamo di nuovo una famiglia felice”.

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Published on June 04, 2012 06:35

May 31, 2012

Torna in libreria il terribile Tomatito!

L’Isola Scogliosa

Teo Benedetti

Il terribile Tomatito #2

Editore Fanucci, collana Junior

Pagine 132

Prezzo € 4.90, brossura


Per diventare un vero pirata ed essere accettato dalla ciurma di Terrore Barbuto è arrivato il momento per Tomatito di affrontare la sua seconda missione. Questa volta lo attende una prova più dura: con la supervisione dell’esperto timoniere Rollo Reel e l’aiuto dei marinai della Pan Bagnato, dovrà affrontare le infide onde del Mar Biancastro per imparare a condurre una nave. E se questo non bastasse, come prova della sua impresa, Tomatito dovrà tornare dalla traversata con un esemplare di Primula Gagliarda, un bellissimo fiore che cresce unicamente sulla leggendaria Isola Scogliosa, al centro del Mar Biancastro e battuta senza sosta da tempeste e marosi. Riuscirà il testardo e coraggioso Tomatito a portare a termine quest’avventura? Tutto dipenderà anche da un buffo e inusuale aiutante trovato al mercato di Port Asperge…


_________


Il primo libro delle avventure di Tomatito:


La Via del Pirata

Il terribile Tomatito #1

Editore Fanucci, collana Junior

Pagine 124

Prezzo € 4.90, brossura


LE AVVENTURE IN MARE DEL GIOVANE TOMATITO, ALLE PRESE CON I PIÙ PERICOLOSI PIRATI D’OLTREOCEANO!

Tomas De La Suerte y Vamonos detto Tomatito, decide di imbarcarsi di nascosto su una nave: vuole fare il marinaio e vivere le avventure che solo la vita in mare sa regalare. Il mercantile è un caos, la stiva in cui è nascosto ospita settanta cuccioli di razza che non smettono un attimo di abbaiare e ringhiare… Ma proprio quando si intravede la terra all’orizzonte, una ciurma di pirati si avvicina al mercantile e sferra un rapido attacco… improvvisamente la nave è in mano ai pirati! Il loro capo, Terrore Barbuto, e un omaccione pericoloso… che ne sarà di Tomatito? Riuscirà a mettersi in salvo e sfuggire dalle grinfie di Terrore Barbuto? Oppure diventerà anche lui un pirata?

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Published on May 31, 2012 08:00

May 29, 2012

Niente è a caso di Anna Maria Benone

Un nuovo romanzo breve, a conclusione del percorso di tre livelli dei corsi online di scrittura di Moony. Questa volta la corsista che raggiunge il traguardo è Anna Maria Benone. Congratulazioni!


Niente è a caso

Anna Maria Benone

Terzo livello adulti

Corso di scrittura online



Il racconto è anche scaricabile qui Niente è a caso

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Published on May 29, 2012 07:33

May 24, 2012

Intervista a Moony

Il sito La zona morta intervista Moony e parla dei nuovi progetti e novtità:


ATTUALMENTE TI STAI OCCUPANDO DEL PROGETTO “LITTLE DREAMERS”, CHE COMPRENDE UN SITO INTERATTIVO, UNA SERIE DI ALBI A FUMETTI E UNA COLLANA DI LIBRI PER UN PUBBLICO YOUNG-ADULT. VUOI RACCONTARCI DI COSA SI TRATTA E COME È NATO IL TUTTO?


È un’esperienza bellissima. Tutto è nato dopo un incontro con Joe Casini e il suo staff. C’è stata subito intesa e così è nato il progetto “Little Dreamers”. Un’idea nuova per dar voce a esordienti capaci e talentuosi. Certo, in questo momento dove il mercato editoriale sente la crisi economica, realizzare un nuovo progetto è proprio una sfida. Ma noi siamo convinti che i lettori apprezzeranno. Non solo, pensiamo che sia giusto trovare nuovi scrittori e nuovi illustratori. Credere nel futuro non ci spaventa.


IN QUESTI ANNI DI ATTIVITÀ HAI SEMPRE AVUTO UNA PREDILEZIONE PER IL FANTASTICO. CHE SIGNIFICATO HA PER TE QUESTA TEMATICA?


Il mio fantasy non è classico. Anzi. Direi che ogni trama ha un senso profondo filosofico. Il mio intento è ideare storie che incuriosiscano, che accendano l’immaginazione. Senza creatività non c’è neppure umanità. Per questo amo inventare e fantasticare.


Il resto dell’intervista qui

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Published on May 24, 2012 06:30

May 21, 2012

L’Isola del Vento di Monica Cucinelli

Ecco il racconto di Monica a conclusione del corso di scrittura per adulti -terzo livello- di Moony.

Congratulazioni quindi a Monica per il traguardo raggiunto!


L’Isola del Vento

Monica Cucinelli

Terzo livello adulti

Corso di scrittura online


Il racconto è anche scaricabile QUI.

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Published on May 21, 2012 07:52

May 15, 2012

La chimera di Praga di Laini Taylor

La Chimera di Praga di Laini Taylor

Daughter of Smoke and Bone #1 | www.lachimeradipraga.com

Pagina Fan su FB | Book Trailer

Fazi

Pagine 388

Prezzo € 14.90 rilegato


Karou ha 17 anni, è una studentessa d’arte e per le strade di Praga, la città dove vive, non passa inosservata: i suoi capelli crescono di un naturale blu acceso, la sua pelle è ricoperta da un’intricata filigrana di tatuaggi e parla una straordinaria quantità di lingue. Spesso scompare per giorni, e nessuno sospetta che durante quelle assenze vada in giro per il mondo a compiere missioni per Sulphurus, il demone chimera che l’ha adottata alla nascita. Karou non sa nulla delle proprie origini, né possiede ricordi dei suoi veri genitori, e una strana sensazione di vuoto, di memoria perduta agita i suoi pensieri e i suoi sogni senza mai abbandonarla. Così la sua quotidianità praghese, dominata dalla passione per il disegno, è intervallata da improvvisi ed esotici viaggi che la conducono fin dentro i più fumosi vicoli della medina di Marrakesh. Chi è dunque questa giovane e talentuosa avventuriera? Quale mondo si cela in quei disegni di corpi metà animali e metà umani che costellano i suoi fogli? Arriverà una guerra, spietata e senza tempo, a svelare la natura di Karou e della sua famiglia e a farle conoscere il vero amore, tanto passionale quanto contrastato. Il risultato sarà un racconto ricco di atmosfere, in cui figure di antiche religioni si fonderanno con la tradizione magica del vecchio mondo.

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Published on May 15, 2012 07:21