La Stamberga dei Lettori discussion

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L'idiota
Discussioni letterarie
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Settimo GdL: L'idiota di Fedor Dostoevskij

A mia discolpa va detto che sono stata obbligata a stare sul divano tutto il sabato pomeriggio con mia grande tristezza, come potete immaginare ;)


E' diventato veramente stancante. Per fortuna il Kindle mi assicura che mancano 'solo' cinquanta pagine alla fine, spero di finirlo tra oggi e domani.
So che il mio apporto a questa discussione è stato quasi nullo, ma realmente, oltre a manifestazioni di noia e dolore non riesco a trovare nulla da dire su questo romanzo che pure ha entusiasmato molti di voi. Il mio rapporto coi russi è sempre stato un po' difficoltoso, ma L'idiota è precisamente quanto non sopporto in un romanzo: conversazioni leziose e nonsense, personaggi impazziti che gesticolano e gridano ridendo e piangendo e tu vorresti distribuire ceffoni e calci in culo a destra e a manca, un povero cristo (è il caso di dirlo) che fa da capro espiatorio per tutti loro e tu vorresti prendere a ceffoni anche lui per svegliarlo. Mi rendo conto che parlare in questi termini di un classicone è blasfemo, ma io mi sono sentita proprio in questo modo.
So che il mio apporto a questa discussione è stato quasi nullo, ma realmente, oltre a manifestazioni di noia e dolore non riesco a trovare nulla da dire su questo romanzo che pure ha entusiasmato molti di voi. Il mio rapporto coi russi è sempre stato un po' difficoltoso, ma L'idiota è precisamente quanto non sopporto in un romanzo: conversazioni leziose e nonsense, personaggi impazziti che gesticolano e gridano ridendo e piangendo e tu vorresti distribuire ceffoni e calci in culo a destra e a manca, un povero cristo (è il caso di dirlo) che fa da capro espiatorio per tutti loro e tu vorresti prendere a ceffoni anche lui per svegliarlo. Mi rendo conto che parlare in questi termini di un classicone è blasfemo, ma io mi sono sentita proprio in questo modo.
Mia, intendi, Slela? Non credo, o almeno spero di no, studio letteratura, leggo classici da quando ero ragazzina, e ho sempre cercato di spaziare in tutte le culture e di calarmi nel contesto in cui i loro romanzi più importanti sono stati scritti.
Forse, questo sì, sapendo ben poco della storia e della cultura russa i loro romanzi mi appaiono molto più estranei di quanto per me possano esserlo i classici inglesi, spagnoli, francesi, tedeschi, giapponesi.
Forse, questo sì, sapendo ben poco della storia e della cultura russa i loro romanzi mi appaiono molto più estranei di quanto per me possano esserlo i classici inglesi, spagnoli, francesi, tedeschi, giapponesi.

Io per esempio, leggo i contemporanei per vedere se davvero valgono qualcosa e i classici per scoprire perché sono grandi. Ma anche quando un libro cosiddetto classico non mi piace (e ci sono!) posso riconoscere senza problemi (e pregiudizi) la loro valore.
No, Slela, non disprezzo affatto Dostoevskij (non so davvero cosa posso aver scritto per fartelo pensare!), e non l'ho preso come un rimprovero :) Peraltro non ho pregiudizi, il libro l'ho letto senza avere alcuna idea preconcetta e dello stesso autore "Le notti bianche" mi era anche piaciuto. E' solo che questo libro non mi è piaciuto affatto, non l'ho ben compreso (lo ammetto) e ho detestato dall'inizio fino alla fine tutti i personaggi.

Anche se con qualche distinguo, perché io sono il primo ad ammattere di essere in generale poco avvezzo ai classici e abbastanza impreparato e, chissà, non ancora pronto o maturo per classici come quelli russi.
Per me è ancora troppo poco, pochissimo per giudicare Dostoevskij, di cui non ho letto nient'altro, però posso dire di non condividere la tesi di fondo di questo suo romanzo e tutta la sua morale. Tesi di fondo che non mi attrae, non mi convince, e trovo sia anche espressa male.
Discorso in parte simile e in parte no ho fatto per Tolstoj e la sua Anna. Anche lì il messaggio di fondo non mi piaceva, ma ho riconosciuto la grandezza del suo autore. In quel caso ho dato tre stelle volendolo trattare come un romanzo qualunque, limitandomi a esprimere dissenso per la tesi di fondo e noia per le lunghe digressioni evitabili. Ma la storia c'è, è bella e si fa seguire. Conclusione che al momento attuale non posso trarre per Dostoevskij.

Se ti può consolare lo stesso autore considera L'Idiota il suo romanzo meno riuscito, così come un sacco di critici (russi) condannarono il libro alla sua uscita.


Le parti che mi sono piaciute di più (e anche tanto) sono il capitolo con cui inizia la parte terza e quello con cui inizia la quarta: mi piace l'ironia con cui sono descritte le situazioni (ad esempio la signorina di buona famiglia che si taglia i capelli, si mette gli occhiali blu, si dichiara nichilista e per questi soli fatti si considera tale oppure la distinzione tra i due tipi di uomini comuni) e questo mi fa pensare che il problema forse è proprio questo libro e non Dostoevskij in generale.
Sino a ora dei russi ho letto, oltre a Dostoevskij , Tolstoj (Anna Karenina) e Pasternak (Il dottor Zivago). "Anna Karenina" non mi è piaciuto molto perché non ne condivido il messaggio e perchè non sopporto il personaggio di Anna, ma ho apprezzato comunque lo stile; "Il dottor Zivago" invece è uno dei miei libri preferiti.


Posso comprendere il suo travaglio interiore, ma il romanzo resta, sul piano narrativo, assai poco felice. Sempre, naturalmente, a mio modesto modo di vedere.

Sebbene più che plausibile, condivido solo in parte la tua osservazione. Tenendo conto del quadro storico e delle vicissitudini di Dosty, il romanzo ha comunque una valenza che va al di là del significato religioso e ne abbraccia uno che è sì più immanente ma più "sociale".
La mia impressione è che Dosty, prima di essere un uomo di fede, è essenzialmente un russo e che queste due cose non possono essere scisse facilmente o considerate in maniera slegata. Un uomo innamorato della sua terra e che fa parte di quella intellighenzia (non a caso è una parola russa, intelligencija) liberale che avversa il regime zarista. Poi viene condannato e graziato, ed allora si converte. Cosa lo colpisce di più della grazia/della morale cristiana? Il perdono, quello che lui subisce che è anche la linea guida del comportamente del principe (compassione = perdono). A me sembra che, da amante della sua terra, quello che affascina Dosty è il messaggio sociale del Cristo con cui egli stesso tende ad identificarsi (tanto che arriverà a dire "se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità"). La mia sensazione è che Dosty veda una possibilità di salvezza della propria patria nel messaggio morale cristiano, inteso come comportamente sociale e non (solo) come intendimento religioso. Ma questa possibilità, alla prova dei fatti, si scontra contro la realtà. Se fai caso, in quello che è l'acme del romanzo a mio parere, il discorso sulla figura del Cristo e sulla patria sono legati a doppia mandata. Non si parla della salvezza dell'umanità, si parla della salvezza della Russia. E' la spiegazione offertaci dell'ateismo e del socialismo è tutta psicologica e per nulla religiosa. Il cattolicesimo tradito fallisce nella sua funzione sociale e crea per reazione l'ateismo e il socialismo che si basano sul materialismo (e per traslato sull'egoismo individuale). La figura del principe (view spoiler) alla fine del romanzo non sono (solo) la "morte di una fede", ma bensì la "morte di una società". Società, quella russa, che è diventata impermeabile al messaggio sociale cristiano.
Non è un caso secondo me che negli anni prima della stesura del romanzo, Dosty fonda la rivista Vremya nella quale cerca di perorare la sua (cito da Wiki, non il massimo ma va bene alla bisogna :P) "idea russa, ovvero della necessità di riavvicinare l'intellighenzia alle sue radici nazional-popolari... ...e si contrappone apertamente alle correnti occidentaliste e radicali". Che poi è l'idea di cui è foriero il principe nel suo accalorato discorso. Quello che voglio dire è che L'idiota è stato scritto sì in un momento di scoramento, ma secondo me non va inteso come un fatto dubitativo di fede (Dosty continuerà a scrivere grandi romanzi "morali"), quanto lo scoramento per il modello in cui si è riposto le proprie speranze. Non è un caso che all'equivalenza Cristo = Idiota, si possa affiancare quella Idiota = Dosty (entrambi soffrono di epilessia), il fallimento dell'idiota è la presa di coscienza da parte di Dosty che la sua amata patria è destinata ad una rovinosa caduta.
Ovvio che oltre la lettura storico-sociale vi è quella "universale" che può essere ricondotta al tema della fede. E qua mi rendo conto che il romanzo, considerato sotto questa luce, possa essere poco interessante. Così come, secondo me, per goderne appieno serve essere un minimo addentro alle "cose russe".
P.S: l'idea dell'uomo puro, del Cristo, è un'idea che ritorna nella letteratura russa, anche in scrittori totalmente atei (all'equivalenza Dosty = Idiota = Cristo, si potrebbe affiancare quella dell'ateo Bulgakov = Maestro = Cristo).


Di più, tutto come Bulgakov (eccellente il paragone!) l'accento cade sulla parte umana di Cristo, ma la figura del principe glissa impercettibilmente verso l'immagine del cavaliere della trista figura.

Molto interessante, Giuseppe. E' più gradevole leggere la tua analisi che non il romanzo. :-)

Non mi dire così che veramente non la smetto più :P
Già mi girano in testa tutta una serie di idee sulla figura di Ippolit su cui Dosty si focalizza in maniera squilibrata (pagine e pagine su un personaggio che poi risulta essere ininfluente ai fini della trama) @_@

Ippolit è però colui che richiama l’attenzione sulla “bellezza” (“È vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la «bellezza»?”) e Dosty aveva appunto detto “Da tempo mi tormentava un’idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un’idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest’idea è raffigurare un uomo assolutamente buono (lo splendore della bellezza). Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d’oggi soprattutto”.
Inoltre è anche quello che, con il tentativo di suicidio e con l’idea che non vale la pena “vivere per qualche settimana”, si oppone all’immagine del condannato a morte che vive gli ultimi minuti come se fossero l’eternità che il principe richiama in più occasioni.
Per non parlare del suo dialogo con Granja (o come cavolo si scrive 'sto nome).
E a te, cosa frulla per il capino al riguardo? :-)

anche io: ho letto solo il primo capitolo della quarta parte.

Ho finalmente terminato l'impresa. Ma che finale... la morale è: (view spoiler) ? XD
Comunque, che lettura terrificante che è stata. Mi spiace non poter partecipare alla discussione sui significati e quant'altro, ma per me è stata una lotta tra limiti: i limiti, per me evidenti, di un romanzo che si pone in un certo modo rispetto al lettore e gli propina qualcosa in un solo modo, e i limiti di un lettore che non riesce (non riesce, non può, non vuole e soprattutto non vede perché dovrebbe) adattarsi a quei limiti.
Elaborerò un giudizio altamente schietto, privo di compromessi, umoristico e blasfemo, ma anticipo già che il voto sarà il minimo assoluto.



La cosa che mi ha colpito del personaggio di Ippolit è che è l'unico insieme al principe a considerare il quadro. E rispetto al principe fa considerazioni simili ma con esiti diversi. Infatti ne rimane soggiogato, considerando la fragilità dell'esistenza in balia della natura e (da bravo nichilista) incanala il tutto in un'idea distruttiva: i pensieri di omicidio e di suicidio. In particolare il suo tentato suicidio è una ribellione all'ordine delle cose. E' il voler affermare che si è padroni della propria vita e della propria esistenza. Ma questa affermazione, specchio dell'amor proprio del personaggio e di quello che Dosty attribuiva ai nichilisti/atei/socialisti, è effimera, così come il tentativo di suicidarsi di Ippolit. Le sue idee sono velleitarie, insomma una "pistola scarica". Ora, la mia personale idea (e qua mi lancio in congetture forse troppo ardite), è che, come il personaggio di Rogozin è l'antipodo del principe nel suo sentimento (passione vs. com-passione), Ippolit è il suo antipodo nella sfera razionale (la ragione distruttiva nichilista vs. la ragione cristiana). Ippolit è un idiota anch'egli nel ribellarsi e non capire la caducità dell'esistere (da quello che ho capito Dosty è uno dei padri dell'esistenzialismo). Ma, e qua mi lancio nel vuoto, Ippolit è un altro alter ego di Dosty. E' come se rappresentasse il Dosty pre-arresto, quello che frequentava i circoli socio-utopisti. E' come se Dosty sapesse che una parte di "se" è condannata a morire. Il che spiegherebbe perché, come dici giustamente tu, tocca un nervo scoperto e perché dedica tanto ad un personaggio che è ininfluente ai fini della trama.

Oh là, grazie Giuseppe. Mi chiedevo appunto se la pistola che fa cilecca fosse voluta o casuale. Ma consideravo il problema dal punto di vista sbagliato: anche se fosse stata carica, avrebbe fatto cilecca comunque (sarebbe solo stato meno plausibile il risultato), perché è simbolica e non reale come mi ostinavo a pensarla.
Di nuovo, devo dire che trovo più interessante leggere le tue considerazioni che non il romanzo. Hai messo a fuoco molti problemi che non avevo affatto notato. E avrei anche una richiesta, a questo punto, se non è di troppo impiccio :-) : Nastas'ja Filippovna. Perché coopera così tanto per distruggere il principe? Perché sa che non lo potrà mai avere e, dunque, se non lo può avere lei non lo deve avere nessuno, persino a costo di morire?

Finalmente ho terminato questa lettura-via crucis (per rimanere in tema)!
Pure io penso che le considerazioni di Giuseppe sono più interessanti del romanzo. Come mia abitudine sto leggendo la prefazione alla mia edizione (Einaudi) alla fine del romanzo e anche nelle parole del suo autore trovo osservazioni molto interessanti che mi aiutano a inquadrare meglio tutta la vicenda di Myskin e a evidenziare un livello simbolico che io da sola non sono riuscita a cogliere.
Tutto questo però non cambia il fatto che questo libro non mi è piaciuto quasi per nulla; fanno eccezione alcuni passaggi (quelli sulla pena di morte e sulla società russa) che però non sono sufficienti a riscattare la mia esperienza di lettura, che rimane una via crucis senza resurrezione finale.

Hyppolyte può essere visto come un nichilista e forse Dostoyevsky ha messo un po' della sua personalità in lui, ma il suo vero ruolo (e per questo non è per nulla un personaggio non importante nell'evoluzione della trama) è di rappresentare una delle varie attitudini nei confronti della morte, il grande tema del romanzo. Poiché il principe si lancia in una questua per trovare il senso della morte che intorbida la sua serenità. L'attitudine diffidente di Hyppolyte è il suo modo di lottare contro la stessa organica paura di morte e il suo suicidio fallito dimostra solo che il libero arbitro e un'illusione, che non c'è grandezza in morte solo un mostro (il mostro del suo sogno) che spia nel buio.


O più che altro è un: ti stimo per averci trovato così tanti lati positivi e per averli saputi esporre così bene :D

Il personaggio di Nastas'ja è quello più complesso e che faccio più fatica ad inquadrare. La sua particolarità è, a mio avviso, che è l'unico personaggio a capovolgere la dinamica usuale dei rapporti con il principe. Come il principe, grazie alla sua innocenza, inquadra gli altri personaggi in maniera obiettiva ma al tempo stesso risulta illegibile da questi (è un idiota non c'è razionalità nei suoi comportamenti), così Nastas'ja capisce al volo chi si trova davanti ma confonde il principe, per il quale, per gran parte del romanzo è semplicemente una "pazza". Poi non penso che voglia distruggere il principe. Ella vuole per lui il migliore dei futuri, ma come dice non mi ricordo più, il suo disegno di farlo cadere nelle braccia di Aglaja (per poi rovinarne l'unione) è più dettato da un moto di gelosia che altro.
In più, ha il tratto comune con Ippolit dell'autodistruzione.

Invece io in Nastas'ja ho trovato un certo accanimento contro il principe, che non sono riuscita a capire se sia conscio o inconscio. Per tutto il corso del romanzo mi ha dato l’impressione che volesse essere da lui amata/desiderata, per cui gli si fa dappresso, lo tocca e poi fugge, aspettandosi però di essere rincorsa. Solo che, quando si volta, si accorge che il principe non la sta inseguendo affatto. Solo Rogožin lo fa.
Certamente, Nastas'ja è in sé un personaggio tragico e “tragediatore”. Non per nulla tutte le sue apparizioni sono quanto di più teatrale il romanzo offra.
Resta poi il problema del rapporto del principe con le donne. Il principe è in grado di amare una donna? Intendo in senso personale e carnale. A me pare proprio di no. E’ questo che suscita il “dispetto” sia di Nastas'ja, sia di Aglaja?

Ecco, proprio così, Sakura, hai colto il punto. Ho apprezzato la profondità e la chiarezza con cui Giuseppe ha espresso le proprie opinioni in merito al romanzo, che sono state comunque di stimolo, anche per chi, come me, non lo ha gradito più di tanto, per continuare a rifletterci sopra. Che è poi, in fondo, il motivo per cui leggiamo tutti assieme un'opera.
@Stela
Chissà, darling, magari se lo rileggerò in futuro, ricordando questa discussione, ci saranno più probabilità che lo comprenda meglio. :-))

Ahahaha, dubito (che lo rileggerai, ovviamente :)))
Hai ragione - il principe è asessuato (invece Herman Hesse vedeva in questo il solo paragone con Cristo). Le donne lo amano per la sua bontà e purezza ma lui ama in loro la Bellezza, che salverà il mondo. Secondo me, Aglaya fa più male al principe che Nastasia e lo comprende molto meno

Never say never, dear. ;-))
Non mi pare che il principe sia amato dalle donne "per la sua bontà e purezza", bensì per la sua irraggiungibilità/imperscrutabilità. Il principe è, in questo senso, una vera sfida.
E non mi sembra che lui ami le donne per la loro "bellezza". Se gli avessero proposto di sposare un cespo di lattuga, avrebbe detto di sì comunque. Avrebbe detto di sì anche se a chiederlo in sposo fosse stato Rogožin. E, in certo senso, quest’ultimo caso avviene. La “passione” e la “com-passione”, come le ha definite Giuseppe, finiscono effettivamente per “sposarsi” tramite l’omicidio perpetrato da Rogožin e la pazzia in cui ricade il principe. Il precedente scambio delle croci è stato come lo scambio degli anelli nuziali.
La visione di Dosty è di un pessimismo totale. Non che possa dargli torto, in effetti.

E poi, non ho detto che il principe ama la loro bellezza (questo sarebbe superficiale e un po' ridicolo; e poi, che c'entra il matrimonio? Il principe dice chiaramente che non ama Natasha con passione ma la sposa perché lei lo vuole*) ma che ama la Bellezza rappresentata da loro - la bellezza come la salvatrice di questo mondo, come l'opposto della morte (la sola che lo spaventa, per cui non trova spiegazione né giustificazione). È questa la tragedia, è per questo che il principe impazzisce - per rendersi conto che non c'è via d'uscita, che questo mondo è irrimediabilmente condannato
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*comunque non dimentichiamo che non aveva offerto matrimonio a Maria, in Svizzera, anche sé la sua situazione non fosse molto diversa di quella di Nastasia.

Non a caso, il principe rimane colpito la prima volta da Nastas'ja quando la vede dipinta nel quadro.

Già. Ed è proprio allora che Adelaide (se non sbaglio) dice (e il principe concorda) che una bellezza così può riscattare il mondo.
Madonnina, mi state facendo venire "l'ansia da prestazione". :-D
Vado a leg..."
Neanche io ho cominciato la quarta parte. Forse stasera o domani!