Scrivere per …

Per Graham Greene è una forma di terapia. Ha scritto Mario Andrea Rigoni: “Non scrivere nè per te nè per gli altri, nè per l’oggi nè per il domani, nè per il guadagno nè per la gloria: insegui il tuo piccolo assoluto”. Cos’è il “piccolo assoluto”? Il “piccolo assoluto” è come una “terapia”, un concetto di grande profondità poetica e filosofica.
Rappresenta quella dimensione intima e personale della scrittura che trascende le motivazioni esteriori, il successo, il riconoscimento, l’utilità immediata, per attingere a qualcosa di più essenziale e duraturo. Il “piccolo” non indica qui una diminuzione di valore, ma piuttosto l’intimità, la specificità, la concretezza dell’esperienza individuale.
È “piccolo” perché appartiene alla sfera del particolare, del vissuto personale, delle risonanze private che ogni scrittore porta dentro di sé. Non è l’Assoluto metafisico con la A maiuscola, ma un assoluto alla portata umana, incarnato nelle piccole epifanie del quotidiano.
Questo concetto richiama la tradizione della poesia pura, ma anche l’idea che la vera letteratura nasca da una necessità interiore irrinunciabile. È quell’elemento che rende autentica la scrittura: non la conformità a mode letterarie o aspettative del mercato, ma la fedeltà a una voce propria, a una verità personale che chiede di essere detta.
Il “piccolo assoluto” è dunque ciò che rimane quando si tolgono tutte le sovrastrutture: l’essenza stessa del perché si scrive, quella spinta originaria che non ha bisogno di giustificazioni esterne perché trova in se stessa la propria ragion d’essere.
È il nucleo irriducibile dell’esperienza poetica, quello che fa sì che certe parole, certi versi, certe immagini abbiano una necessità assoluta proprio nella loro apparente piccolezza.
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