Federica D'Ascani's Blog, page 5
June 3, 2015
Le ultime ore dell'Angelo - Sesto capitolo
Abbiamo saltato la puntata del mercoledì, causa festa della Repubblica, ma eccoci al consueto appuntamento con Milena e la sua vita tutta da comprendere e valutare. Una delle serial killer più discusse del panorama italiano moderno racconta di sé attraverso le pagine di un ipotetico diario.
-Dannazione! Anche il traffico ci mancava, stamattina!Marisa abbandonò la testa al sedile, reclinandola leggermente all'indietro. Inspirò profondamente per poi sbuffare l'aria dalla bocca semichiusa. Solitamente non era una gran scocciatura, per lei, rimanere imbottigliata tra le macchine. Le piaceva aver tempo per ascoltare la sua musica preferita, cantando le canzoni che conosceva a memoria. Quella mattina però, complice anche l'incubo notturno, aveva una gran fretta di arrivare al lavoro per sincerarsi che andasse tutto bene. Non era tipa da credere nei segnali dal cielo, ma lo stato d'animo con il quale si era svegliata l'aveva spossata psicologicamente, portandola persino a credere di avere uno strano presentimento. Per tentare di allontanare quei brutti pensieri, si rimise a cantare a squarciagola e fu solo per puro caso che sentì il suo cellulare squillare. Abbassò di colpo la radio e afferrò il telefono prima che la chiamata si interrompesse. Guardò il display e corrucciò la fronte, curiosa e disorientata. Antonio non l'aveva mai chiamata di prima mattina. Forse non l'aveva proprio mai chiamata, a ben pensarci.-Pronto? -Marisa? -Sì, Antonio, dimmi- rispose, ascoltando il tono sommesso del collega, un crampo allo stomaco a sottolineare il suo famoso presentimento. Con la coda dell'occhio vide i lampeggianti della municipale occhieggiare e inspirò velocemente. D'un tratto cancellò i suoi pensieri negativi e concentrò la sua attenzione sulla multa che desiderava evitare con tutte le sue forze.-Fai in fretta, che sto guidando- sibilò a bassa voce, come se gli agenti potessero sentirla a quattro macchine di distanza. Razionalmente sapeva che era impossibile che la notassero, ma era più forte di lei. Nonostante fosse della polizia, risentiva sempre di quella specie di potere che gli altri avevano in quei frangenti. -Stai venendo a lavoro?-Certo, perché?-Perché... Non hai sentito il telegiornale?-No, che è accaduto? Cos'è che dovrei sapere?-Non so se sia una buona idea dirtelo per telefono...-Antonio, se mi fermano perché sto parlando al telefono con te, la multa me la paghi tu!- esclamò, cercando di appiattirsi contro il sedile il più possibile.-Scusa, ma l'auricolare?-L'ho dimenticato a casa- rispose, lanciando nervose occhiate allo specchietto retrovisore. -E allora cosa vuoi da me? Non è colpa mia!-Insomma, vuoi dirmi cosa diamine è successo? Perché mi hai chiamata?-Hai rintracciato la madre di Milena?-Oddio, no, non ci sono riuscita... Quella donna sembra sia introvabile. Ho provato a chiamarla a casa, ma non mi ha mai risposto... Perché? Antonio, mi stai innervosendo.-Si è ammazzata stanotte.-La madre di Milena?- domandò sconvolta, dimenticando completamente la volante.-No, Marisa. Milena si è impiccata nella sua cella. Avevi ragione tu...
-Sto arrivando- concluse la telefonata, lapidaria. Avvertì un brivido lungo la schiena, ripensando al suo incubo. Rimase in silenzio nel suo abitacolo, sperando che il traffico iniziasse a diminuire la sua intensità. Ascoltò distrattamente le voci sommesse della radio, assorta nella sua tristezza. Non avrebbe potuto far nulla per lei, ma si sentì in colpa ugualmente.
-Dannazione! Anche il traffico ci mancava, stamattina!Marisa abbandonò la testa al sedile, reclinandola leggermente all'indietro. Inspirò profondamente per poi sbuffare l'aria dalla bocca semichiusa. Solitamente non era una gran scocciatura, per lei, rimanere imbottigliata tra le macchine. Le piaceva aver tempo per ascoltare la sua musica preferita, cantando le canzoni che conosceva a memoria. Quella mattina però, complice anche l'incubo notturno, aveva una gran fretta di arrivare al lavoro per sincerarsi che andasse tutto bene. Non era tipa da credere nei segnali dal cielo, ma lo stato d'animo con il quale si era svegliata l'aveva spossata psicologicamente, portandola persino a credere di avere uno strano presentimento. Per tentare di allontanare quei brutti pensieri, si rimise a cantare a squarciagola e fu solo per puro caso che sentì il suo cellulare squillare. Abbassò di colpo la radio e afferrò il telefono prima che la chiamata si interrompesse. Guardò il display e corrucciò la fronte, curiosa e disorientata. Antonio non l'aveva mai chiamata di prima mattina. Forse non l'aveva proprio mai chiamata, a ben pensarci.-Pronto? -Marisa? -Sì, Antonio, dimmi- rispose, ascoltando il tono sommesso del collega, un crampo allo stomaco a sottolineare il suo famoso presentimento. Con la coda dell'occhio vide i lampeggianti della municipale occhieggiare e inspirò velocemente. D'un tratto cancellò i suoi pensieri negativi e concentrò la sua attenzione sulla multa che desiderava evitare con tutte le sue forze.-Fai in fretta, che sto guidando- sibilò a bassa voce, come se gli agenti potessero sentirla a quattro macchine di distanza. Razionalmente sapeva che era impossibile che la notassero, ma era più forte di lei. Nonostante fosse della polizia, risentiva sempre di quella specie di potere che gli altri avevano in quei frangenti. -Stai venendo a lavoro?-Certo, perché?-Perché... Non hai sentito il telegiornale?-No, che è accaduto? Cos'è che dovrei sapere?-Non so se sia una buona idea dirtelo per telefono...-Antonio, se mi fermano perché sto parlando al telefono con te, la multa me la paghi tu!- esclamò, cercando di appiattirsi contro il sedile il più possibile.-Scusa, ma l'auricolare?-L'ho dimenticato a casa- rispose, lanciando nervose occhiate allo specchietto retrovisore. -E allora cosa vuoi da me? Non è colpa mia!-Insomma, vuoi dirmi cosa diamine è successo? Perché mi hai chiamata?-Hai rintracciato la madre di Milena?-Oddio, no, non ci sono riuscita... Quella donna sembra sia introvabile. Ho provato a chiamarla a casa, ma non mi ha mai risposto... Perché? Antonio, mi stai innervosendo.-Si è ammazzata stanotte.-La madre di Milena?- domandò sconvolta, dimenticando completamente la volante.-No, Marisa. Milena si è impiccata nella sua cella. Avevi ragione tu...
-Sto arrivando- concluse la telefonata, lapidaria. Avvertì un brivido lungo la schiena, ripensando al suo incubo. Rimase in silenzio nel suo abitacolo, sperando che il traffico iniziasse a diminuire la sua intensità. Ascoltò distrattamente le voci sommesse della radio, assorta nella sua tristezza. Non avrebbe potuto far nulla per lei, ma si sentì in colpa ugualmente.
Published on June 03, 2015 21:55
May 27, 2015
Le Ultime ore dell'angelo - Quinto capitolo
Il diario di Milena prosegue. Questa volta i suoi pensieri condurranno il lettore nella mente della depressione, nel fulcro centrale di ciò che provoca i pensieri impuri che poi determinano taluni comportamenti.Pavia, in un qualsiasi giorno di febbraio 1979
Sono ubriaca. Sono intossicata di pillole e vino e non mi rendo neanche conto di che giorno sia. Nulla ha più senso da quando se ne è andato. Mi ha lasciata sola con suo figlio a ricordarmi che LUI era la cosa migliore che mi fosse capitata. Io, da sola, non sarò in grado di prendermi cura di Dario. Non capirò mai in che maniera essergli utile. Come lo manderò a scuola? Come lo potrò amare se non riesco neanche ad amare me stessa? Io mi odio per aver permesso alla mia mente di pensare di poter essere felice. Il risveglio è stato peggiore. Non poteva durare un eterno, la mia felicità. Il problema è che adesso sono costretta a trovare una soluzione. Fossi stata da sola mi sarei certamente uccisa, ma con Dario non posso. Non posso lasciarlo alla mercé del mondo. Sarebbe indirizzato ai miei genitori ed è l'ultima cosa che desidero. Dario imparerebbe solo a odiare le donne, utilizzandole a suo piacimento nella stessa maniera in cui agisce suo nonno. Perché non è morto lui? Perché Dio si è preso mio marito e non si è preso mio padre? Cosa diavolo ho fatto per meritare un destino simile? Non potrò mai avere il controllo della mia vita. E ho iniziato a urlare. Dario si è spaventato, ma non mi è interessato e ho continuato. E poi mi sono schiaffeggiata. E poi mi sono anche graffiata, chiedendo perché. È il Signore a decidere i miei giorni. Evidentemente devo solo soccombere alla violenza e all'alcol. Io, che avevo giurato di non toccare un goccio di quella merda bevuta da mio padre, sono seduta accanto a tre bottiglie di vino e una di grappa. Una grappa scadente che somiglia all'alcol che utilizzo per pulire i vetri. Devo cercare un lavoro e devo farlo in fretta. Dario cresce e ha bisogno di nuovi vestiti. Deve andare a scuola, diplomarsi e avere un futuro scintillante. Non deve soffocare con me, nel mio mare di pasticche e alcol. Il dottore mi ha prescritto gli ansiolitici pregandomi di utilizzarli con parsimonia. Mi sono fatta una grassa risata, prima di andar via dal suo studio. Come si fa a dire a una donna che ha appena perso la cosa più importante della sua vita di non abusare dell'unica sostanza in grado di farle dimenticare il mondo e la sua sofferenza? Ho un figlio... Mi ha ricordato che ho un figlio. La mia risata è diventata ancora più sguaiata. Cosa crede, che non lo sappia? È per non vedere lui che bevo. È per non scorgere il riflesso di suo padre che ho bisogno delle mie pasticche. Io non sarò mai in grado di vivere senza LUI. LUI era tutto, per me. Al funerale è venuta quella buona a nulla della sua ex moglie. Lui sarebbe stato contento, per quanto era buono, ma io non lo sono stata. La moglie sono e resterò per sempre io. LUI era il mio amore e Dio me lo ha portato via... Perché?
*
Non riesco più a capire che anno è. Raramente sono completamente lucida, ma è proprio ciò che voglio. Essere sobria non fa più per me. Mi ricorda che c'è una vita orrenda che mi aspetta, priva di amore e di quel contatto fisico che attendo e che non arriva. Per cercare di portare da mangiare a Dario sto facendo di tutto. La cassiera, la donna delle pulizie, la governante... Purtroppo non riesco quasi mai a conservare il posto di lavoro perché la maggior parte delle volte arrivo ubriaca o stordita dalle pillole. Oppure urlo se mi fanno incazzare. La gente non vuol capire che non lo faccio con cattiveria o per mancanza di responsabilità. Se bevo e mi impasticco è per dimenticare e non pensare a LUI e a tutto ciò da cui mi ha salvata. Non tornerò mai più lucida. Mai più.
*
Ho conosciuto un uomo, Mario. Fa il camionista e ha due occhi da perdercisi. Ha le mani forti, da lavoratore, e una parlantina che mi ha riportato quasi ai vecchi tempi, quando c'era LUI. Mi ha baciata il primo giorno che ci siamo presentati ed è stato un bacio ruvido, carnale, prepotente. Mi sono sentita desiderata. Mi ha abbracciata forte, tanto quasi da lasciarmi i segni, e lì ho capito di aver bisogno di un uomo che sappia e voglia proteggermi. Ho deciso di smettere di bere. Ho gettato via anche le mie pasticche. Non voglio più stordirmi. Fino a che Mario è accanto a me, LUI rimane in disparte. C'è sempre ed è ombra che veglia su di me, ma desidera la mia felicità e io ho deciso di concedermi il lusso di provare ad averla di nuovo. Per me, ma soprattutto per Dario. Il mio bambino merita un padre. Mario potrebbe essere quello giusto. Anche per me.
*
Mi sono sposata! Dio, ancora non ci credo, ma è tutto vero! Sono sobria da mesi, ormai, e sono sposata! Mario è... Forte. Sa come si tratta una moglie ed è geloso quel tanto che basta per farmi capire che vuole solo me. Ha problemi sul lavoro ed è stato costretto a cambiarlo già due volte. Dice che c'è un po' di crisi, povero. Sistemerà ogni cosa, ne sono certa. Beve per dimenticare, e chi può capirlo meglio di me? So cosa significa non riuscire a vedere positivo, ma sono certa che grazie al mio amore riuscirà a credere di nuovo in se stesso. Mi sono lasciata convincere anche a frequentare il suo gruppo politico. Non condivido tutto quello che dicono, ma per lui sono disposta anche ad abbracciare la causa della Lega. In fin dei conti a me non interessa la politica, ma se diventare attivista aiuterà Mario, lo farò.
*
Sono incinta. Non dovrei, ma ho ricominciato a bere. Mario non se ne è reso conto ed è meglio così. Dice che non gli piacciono le donne ubriache e l'ultima volta che mi ha sentita puzzare di alcol mi ha dato uno sganassone in modo che capissi che queste cose non si fanno. Ma io sono stupida, lo riconosco. Ha ragione lui quando dice che non sono capace di far nulla. Non riesco a rimanere sobria per tanto tempo e chi ci rimette è la famiglia e la casa. Ieri, per esempio, quando è tornato dal bar ha notato subito che i piatti erano ancora da lavare. Le urla si sono sentite fin su in paradiso. Mi ha ripetuto che questa casa somiglia a un porcile e ha ragione. Non mi curo e di conseguenza non curo neanche la casa. Neanche mio figlio riesco più a governare. Ci ha pensato Mario a dirgli di cominciare ad andare a lavoro. Abbiamo bisogno di soldi e finché non si sistema la situazione per Mario, è lui che se ne dovrà occupare. È giovane, ma è forte ed è ora che si assuma le responsabilità del suo ruolo. È un uomo e deve iniziare a comportarsi di conseguenza. Io non posso andare a lavorare, devo stare in casa. Mario ha paura che lo tradisca e in fondo sui luoghi di lavoro è sempre più facile cadere in tentazione. Inoltre non riesco a fare neanche quel minimo che mi viene richiesto, figurarsi essere assunta da qualcuno. Non se ne parla, non ne sarei più capace. Una volta, magari. Quando c'era LUI. Ma con LUI era tutta un'altra cosa. Avevo una complicità differente. Ci intendevamo, ci amavamo. Non che io e Mario non ci amiamo, per carità, ma ho talmente tanti pensieri, in testa, che preferisco eclissarmi dalla realtà e rifugiarmi nello stordimento del vino. Devo stare attenta, però, a non farmi scoprire, altrimenti saranno guai.
*
La mia bimba è nata. Vorrei poter dire che è bella, che la amo più della mia vita, ma non riesco. Sono troppo intontita. Mario mi ha scoperta a bere e mi ha picchiato forte pur di farmi smettere. Ora poi, che è nata la piccola, le mie responsabilità sono cresciute e non sono in grado di far fronte a nulla. La bimba mi toglie l'anima, tanto da non riuscire neanche a lavare i piatti. Mi tiene sveglia di notte, quindi durante il giorno ho sempre sonno. Mario non vuole sentire ragioni e pretende che io pulisca casa. Ma non riesco. Non sono in grado. Sono una fallita. Non so come abbia fatto a ridurmi in questo stato, ma sono una nullità completa. Voglio morire e lasciare andare ogni pensiero alla deriva. Per questo bevo. Ho ricominciato con gli antidepressivi, mi faranno bene.
*
Sono passati solo due anni dalla prima gravidanza. Voglio piangere e urlare. Urlare, sì, è quello di cui ho bisogno. La mia è una vita che non vale la pena vivere. Non così. Non così... Picchiata, seviziata, umiliata. Mario è un bastardo e io non riesco a ribellarmi. Sono sempre troppo ubriaca. Ora, però, ho iniziato a urlargli contro, quando iniziamo a litigare. Tanto verrò picchiata ugualmente, quindi tanto vale dirgli ciò che penso in quel momento...Sono di nuovo incinta e questa volta non avrei proprio voluto che accadesse. Mi ha presa con la forza più volte e ora ne pago le conseguenze. Non riesco a stare dietro alla prima, figuriamoci ora con una nuova gravidanza! Dario ha iniziato a lavorare, lasciando definitivamente la scuola. Era dotato, mi spiace. Dorme in garage, in modo da non sporcare troppo casa che già versa in condizioni disastrose, dato che non riesco a far fronte a nulla. Mario è stato categorico e, per quanto io non sia d'accordo, non ho le forze per dire la mia. La piccola continua a scambiare il giorno per la notte e io sono distrutta. Ho sonno, ma non posso riposare. Mario è via tutto il giorno, ma rincasa alle ore più disparate e se per caso mi trova a dormire sono guai. Non vuole che riposi il giorno. Dice che non do il buon esempio alla bimba e che è colpa mia se rimane sveglia di notte. Cerco sempre di non farla urlare, ma se sta male è impossibile. La odio, a volte, perché vengo picchiata quando lo sveglia con il suo pianto. Mario ha bisogno di riposare e per questo si arrabbia tanto se viene svegliato malamente. Non so se riuscirò a reggere ancora la pressione a cui sono sottoposta. Non so se sarò in grado di essere ancora una brava moglie. Per ora sono diventata il nulla che cammina. Ha ragione lui, sono un fallimento fuori e dentro il letto.Ma lui rimane un bastardo.
*
Oggi ho commesso un grave errore e sono stata punita per questo. Mi sembra di aver sposato mio padre, con la differenza che a bere sono io. Mario è tornato per le quattro, oggi, e mi ha trovata sul divano. Dormivo, però era vero che avevo bevuto. Questa mattina, ma avevo bevuto. Be', adesso sono una cartina geografica piena di lividi viola e gialli. Il problema è che ho paura che abbia fatto male al feto e non glielo potrei perdonare. Se fa male a me va bene, me lo merito. Però il piccolo nella mia pancia non ha commesso nessun errore, è il frutto di ciò che lui ha voluto fare a me. Non so cosa fare. Non posso andare in ospedale a farmi controllare, altrimenti renderei noti i miei lividi e Mario passerebbe dei guai che merita, ma che non si può permettere. Dovrei denunciarlo, ma la colpa di tutto è anche mia. Non so cosa fare.
*
L'ho denunciato. Sì, l'ho denunciato e neanche me ne sono resa conto. Ieri sera ho sentito dei crampi fortissimi allo stomaco. Mi sono messa talmente tanta paura che ho chiamato l'ambulanza. Potevo perdere il bambino, che adesso ho saputo essere un'altra femminuccia. Quando sono arrivati i medici mi hanno trovata piegata in due, sulla porta. Li ho visti impallidire, guardandomi, e ho pensato che le mie condizioni erano disperate. Non avevo considerato gli occhi pesti e la mano fasciata, cosa che invece hanno subito notato loro. La denuncia è partita d'ufficio, anche perché sono in stato di gravidanza avanzato. Ho provato a dire di no, ma alla fine ho soprasseduto e taciuto. Ero troppo debole. Oppure ho tentato di distaccarmi dal ricordo che avevo di mia madre? E se le azioni di Mario, come hanno sostenuto in ospedale, sono davvero sbagliate? Se io non meritassi tutto quello che mi fa? Non lo so... Insomma, io ho bevuto in gravidanza. Sono io che ho messo in pericolo la mia bambina, prima ancora che lo facesse lui con le sue punizioni. Di una cosa sono certa: io non sono una brava moglie e una brava madre, ma lui è uguale a mio padre. Lui è uguale a mio padre e io voglio solo morire.
*
Sono di nuovo in ospedale. Questa volta perché mi sono tagliata i polsi. Dopo la denuncia, Mario si è arrabbiato talmente tanto che l'ho scontata per settimane... Non ne potevo più e l'unica maniera per non ascoltare più quelle urla è stato tagliarmi le vene. Devo aver sbagliato qualcosa, perché sono ancora qui. Ora che sono in grado di ragionare, però, ringrazio il cielo. La mia bambina ha rischiato di morire con me. Ho visto Mario piangere, forse per la prima volta. Forse mi ama davvero. Dove avevo la testa? Sono incinta e ho messo a repentaglio la vita della mia piccolina per un capriccio! Sono pessima. Sono un fallimento!
Published on May 27, 2015 10:21
May 20, 2015
Le ultime ore dell'angelo - il quarto capitolo
Eccoci al nostro appuntamento del mercoledì!. Esiste l'empatia? Marisa sembra proprio conviverci e non proprio in maniera serena. Che sia accaduto qualcosa a una delle sue detenute? Continua la storia romanzata di Milena Quaglini, l'angelo sterminatore.

Sognare la morte non era mai un buon modo per risvegliarsi al mattino. Marisa lo sapeva benissimo, dato il suo lavoro. Aveva sempre pensato, anzi, che se fosse vissuta in America, lavorando magari nel braccio della morte, sarebbe crepata di infarto prima dei cinquanta anni a causa di qualche incubo. Avere a che fare con donne omicide ogni giorno portava la sua mente a elaborare i pensieri vissuti durante il giorno. Nonostante questo, però, adorava la sua mansione e, soprattutto, stimava molte delle donne rinchiuse dentro quel posto. Per lo meno nella sezione che le era sta assegnata. Molte delle detenute, infatti, erano prima di tutto vittime. Vittime di uomini violenti. Vittime della società retrograda. Vittime di un sistema che non funzionava e per il quale anche lei si batteva strenuamente ogni singolo giorno. Vittime di abusi genitoriali, cresciute nella convinzione di non valere nulla. Il loro essere omicide, il più delle volte, era semplicemente l'evoluzione di qualcosa che aveva lavorato per anni, logorandole dall'interno mentre esteriormente il sorriso dipingeva i loro volti. Non si era mai sentita di condannare le sue detenute. Tranne ovviamente rari casi. Sparuti e comunque derivanti da situazioni pregresse altamente claustrofobiche e deliranti. Sospirando si alzò dal letto, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di allontanare i miasmi notturni. Aveva sognato Milena impiccata nella cella. Accanto ai fantasmi di tutte le sue vittime. Sorridenti davanti alla disfatta dell'angelo sterminatore. Ricordò di aver gridato, tanto che tossicchiando sentì la gola dolerle. Portò una mano sotto il mento a massaggiare l'area, come se in quel modo potesse alleviare il fastidio. Si recò in bagno e si custodì, sempre con il cervello sintonizzato sulle vicende oniriche. Così vivide da sembrare reali. Così intense da stringerle il nodo nello stomaco. Un nodo che non andava mai via del tutto, durante il suo turno di lavoro, ma che col tempo era riuscita ad allentare per poter respirare la tristezza altrui senza subirne gli effetti nefasti. Quando entrò in macchina accese la radio, girando la chiave nel quadro. Appena ascoltò la voce della giornalista, però, decise di cambiare subito stazione. Aveva bisogno di rilassare i muscoli e di distendere la mente e l'unica maniera che conosceva era quella di cercare una musica nota e cantarci dietro. A squarciagola. Magari ballando anche. Non era raro intercettare gli sguardi divertiti dei passanti, increduli nell'osservare una donna in divisa alle prese con qualche mossa strana di qualche improbabile ballo inventato. Addirittura, qualche giorno prima, si era sentita apostrofare da un signore sui sessanta, durante uno dei suoi acuti.
-Gente allegra, Dio l'aiuta!- le aveva detto, facendola arrossire, sorridere e continuare a cantare quasi galvanizzata da quel gesto di attenzione inaspettata. Mise la freccia, sempre pigiando il tasto per la ricerca manuale, e si immise pigramente nel traffico cittadino. Al primo semaforo, quando dovette fermarsi, intercettò la voce di Giorgia e bloccò le dita. “Nessun dolore” era appena iniziata e, pensando a Milena, iniziò a cantare con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Sognare la morte non era mai un buon modo per risvegliarsi al mattino. Marisa lo sapeva benissimo, dato il suo lavoro. Aveva sempre pensato, anzi, che se fosse vissuta in America, lavorando magari nel braccio della morte, sarebbe crepata di infarto prima dei cinquanta anni a causa di qualche incubo. Avere a che fare con donne omicide ogni giorno portava la sua mente a elaborare i pensieri vissuti durante il giorno. Nonostante questo, però, adorava la sua mansione e, soprattutto, stimava molte delle donne rinchiuse dentro quel posto. Per lo meno nella sezione che le era sta assegnata. Molte delle detenute, infatti, erano prima di tutto vittime. Vittime di uomini violenti. Vittime della società retrograda. Vittime di un sistema che non funzionava e per il quale anche lei si batteva strenuamente ogni singolo giorno. Vittime di abusi genitoriali, cresciute nella convinzione di non valere nulla. Il loro essere omicide, il più delle volte, era semplicemente l'evoluzione di qualcosa che aveva lavorato per anni, logorandole dall'interno mentre esteriormente il sorriso dipingeva i loro volti. Non si era mai sentita di condannare le sue detenute. Tranne ovviamente rari casi. Sparuti e comunque derivanti da situazioni pregresse altamente claustrofobiche e deliranti. Sospirando si alzò dal letto, stropicciandosi gli occhi nel tentativo di allontanare i miasmi notturni. Aveva sognato Milena impiccata nella cella. Accanto ai fantasmi di tutte le sue vittime. Sorridenti davanti alla disfatta dell'angelo sterminatore. Ricordò di aver gridato, tanto che tossicchiando sentì la gola dolerle. Portò una mano sotto il mento a massaggiare l'area, come se in quel modo potesse alleviare il fastidio. Si recò in bagno e si custodì, sempre con il cervello sintonizzato sulle vicende oniriche. Così vivide da sembrare reali. Così intense da stringerle il nodo nello stomaco. Un nodo che non andava mai via del tutto, durante il suo turno di lavoro, ma che col tempo era riuscita ad allentare per poter respirare la tristezza altrui senza subirne gli effetti nefasti. Quando entrò in macchina accese la radio, girando la chiave nel quadro. Appena ascoltò la voce della giornalista, però, decise di cambiare subito stazione. Aveva bisogno di rilassare i muscoli e di distendere la mente e l'unica maniera che conosceva era quella di cercare una musica nota e cantarci dietro. A squarciagola. Magari ballando anche. Non era raro intercettare gli sguardi divertiti dei passanti, increduli nell'osservare una donna in divisa alle prese con qualche mossa strana di qualche improbabile ballo inventato. Addirittura, qualche giorno prima, si era sentita apostrofare da un signore sui sessanta, durante uno dei suoi acuti.
-Gente allegra, Dio l'aiuta!- le aveva detto, facendola arrossire, sorridere e continuare a cantare quasi galvanizzata da quel gesto di attenzione inaspettata. Mise la freccia, sempre pigiando il tasto per la ricerca manuale, e si immise pigramente nel traffico cittadino. Al primo semaforo, quando dovette fermarsi, intercettò la voce di Giorgia e bloccò le dita. “Nessun dolore” era appena iniziata e, pensando a Milena, iniziò a cantare con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Published on May 20, 2015 08:22
May 13, 2015
Il terzo capitolo de Le ultime ore dell'angelo
Ed eccoci entrare nella vita di Milena... Le sue giornate iniziano a prendere una forma, nei ricordi, e la brutalità della sua adolescenza colpisce quasi come un pugno in pieno volto.
Pavia 07 Ottobre 1976
Ho deciso. Sì, lo farò stasera, appena quel bastardo andrà a dormire. Non posso più sopportare le botte. Lo odio con tutta me stessa e odio mia madre per permettergli di comportarsi in questa maniera. Una vigliacca che non riesce a tenere a bada suo marito non è una donna. È una debole che non ha a cuore le sorti delle sue figlie. Diamine, siamo sue figlie e permette a lui di fare... Dio, non riesco neanche a dirlo. Sono passati anni dalla prima volta e, come allora, non riesco proprio a guardarmi allo specchio dopo che mi... Sto piangendo, ma non devo. Non devo darla vinta a un mostro. Ho chiesto a mia sorella di venire via con me, ma è troppo uguale a mamma. Lei rimarrà qui a farsi massacrare, ma io no. Io non posso davvero continuare in questa maniera. La bottiglia conta più di noi e la cosa è ormai fuori controllo.Ho deciso che lo farò stanotte. Stanotte quando sarà buio pesto. Uscirò dalla finestra, mia sorella mi reggerà il gioco. Almeno questo ha accettato di farlo. Una volta uscita lei dovrà mettere un po' in disordine la camera, facendo credere che qualcuno sia venuto a prendermi. Non voglio che quel bastardo creda che lei è mia complice. Siamo ben coscienti che questo accadrà in ogni caso, ma se ho anche un minimo di possibilità di evitare che la picchi, lo farò. No, non posso rimanere. Ci ho pensato, in verità. Se rimanessi qui continuerei a pregare Dio di portarsi via quell'essere ogni notte, subendo le sue angherie sperando in un colpo apoplettico fulminante tra un ceffone e l'altro. No, non posso proprio permettermi di rimanere a farmi ammazzare da quello squilibrato. Lui e la bottiglia sono una cosa sola. Se non c'è il vino si attacca alla grappa. Se non c'è la grappa cerca l'amaro... Spende più soldi per il suo vizio che per darci da mangiare. Lo scorso anno ho cercato un lavoretto estivo per riuscire a pagarmi qualcosa in più, ma erano talmente tante le volte che uscivo con gli occhi pesti che ho dovuto rinunciare anche a quello. Mi hanno insegnato a non dire parolacce, ma confesso che le ho costantemente sulla punta della lingua. Spero solo che Dio mi guardi da lì e mi dia una mano, che mi aiuti in questa impresa. Con il mio diploma spero veramente di riuscire a trovare un buon impiego. Magari a Lodi... Insomma, mi sento carica! Questa notte, notte fonda per star più sicura, scapperò da questo inferno, portando con me soltanto la voglia di essere una buona madre per i miei figli. Perché avrò dei figli e li amerò al massimo delle mie possibilità. Troverò un uomo completamente diverso da mio padre e con lui costruirò un futuro radioso. Dicono che a diciannove anni sia normale vedere rosa, ma chi dice questo non conosce la storia della mia vita. Io sono sempre stata abituata a vedere tutte le sfumature del nero e del viola, come i lividi che ho indossato negli anni... Credo sia giunto il momento di cambiare mentalità e di sperare. Che Dio mi aiuti a essere diversa da mia madre, una donna inetta in completa balìa di quel mostro. Non riesco a non odiarla e forse detesto più lei che lui. Non riesco a essere indulgente verso una persona che ha messo al mondo dei figli lasciandoli, poi, alla mercé della bestialità umana. Ho dei vaghi ricordi di mio padre sobrio e sorridente. Sorridente e non divertito. Sono cose diverse, per chi è capace di discernere i particolari. Quando ero piccola mio padre non beveva. Era violento, a volte lo sentivo litigare con mamma, ma non con noi. Con me e mia sorella era dolce e affettuoso. Era mio padre, quello che poi è mutato. È sembrato quasi come in quel film che hanno fatto al cinema poco tempo fa. “L'Invasione degli ultracorpi”... Sembra quasi che un alieno si sia impossessato del corpo e della mente di mio padre, scalzando la sua personalità e decretando la nostra infelicità. Chissà, forse crescendo siamo diventate più simili a mia madre di quanto io stessa riesca a rendermi conto e lui ha iniziato a odiarci di conseguenza. Non lo so. So soltanto che sono pronta ad andare via. Via da questo paesino dove tutti mormorano e nessuno agisce per aiutare il prossimo. Via da questa famiglia stretta nella convinzione che l'uomo sia l'essere più importante al mondo. Via da tutto questo. Via!
…
La verità è un'altra e io non riesco neanche ad ammetterlo con me stessa. L'ho conosciuto, l'ho amato e ho deciso di partire con LUI. Se non fosse stato per LUI io non avrei mai trovato il coraggio di andare via da qui. La realtà è che mio padre ha troppo potere su di me e se non fosse stato per Lui io avrei di certo agito come mia sorella. Sarei rimasta a guardare la mia vita accartocciarsi come una foglia. Proprio come fa mia madre da una vita. Geloso, ossessivo e violento con chiunque in casa, devo dire che mia madre subisce più di tutte. Non riesco a capire perché accetti e permetta tutto questo. Perché non è mai scappata via? Perché non ci ha mai portato via da qui? Forse anche lei avrebbe avuto bisogno di un LUI per agire come sto per fare io... Debole. Non posso davvero non odiarla. Non voglio diventare come lei. Forse la odio perché sono molto più simile a lei di quanto non desideri... Quando la guardo negli occhi sento il calore dell'affetto invadermi, ma dopo ogni sberla non provo nulla altro che rabbia. Finirà. Con LUI finirà e io sarò finalmente felice. Scappo e via!
10 Novembre 1976
Non sono mai stata così felice come ora. Ho LUI e tutto è diverso. Completamente diverso. Sembrano trascorsi secoli dalla mia fuga... Non ho nostalgia di nessuno, tanto meno della mia famiglia. La mia famiglia, adesso, è LUI. Solo LUI e i bimbi che arriveranno. Perché arriveranno e sarà stupendo! Non so come confessarglielo, in verità, ma credo che uno sia già in cantiere. Mi sento strana, ho costantemente la nausea e... Be', è una sensazione strana, spaventosa e bellissima nello stesso tempo. Chissà se lui sarà felice come me? Parla sempre di una famiglia futura, ma ora, nel presente, la desidera con la stessa foga? Spero di sì. È divorziato, ha una famiglia alle spalle e non deve essere per nulla facile ricostruire tutto dal principio. Ma lo amo anche per questo. Perché ha deciso di lasciare tutto, aiutarmi nell'evasione del mio inferno personale e costruire qualcosa di importante con me, fidandosi. La cosa che più mi rende gioiosa è proprio il fatto chesi fidi di me. Mi tratta come una regina e non sono per nulla abituata, tanto che a volte mi sento quasi in imbarazzo. È proprio un grand uomo e spero la nostra felicità non abbia mai fine. Dio, quante volte ho ripetuto la parola “felice”? Tantissime, ma non riesco proprio a contenermi. Mi sento come una bimba davanti alla sua torta di compleanno, con tutti i regali da scartare. L'emozione martellante nel petto e la luce negli occhi, sento che potrei volare o essere invincibile, accanto a Lui. E poi è stupendo, affettuoso, amorevole come mai nessuno. Credo sarà un ottimo padre. LUI sarà un ottimo padre e io mi impegnerò a essere altrettanto brava come madre. Sperando che l'eredità dei miei genitori non venga a bussare alle porte della mia anima. Non sopporterei di diventare come mia madre. Ma questo pericolo, a ben pensarci, non esiste. Perché LUI non è come quel bastardo. Di conseguenza io non sarò costretta a nessuna scelta difficoltosa. Dio, vorrei urlare per la contentezza! Credo proprio di essere incinta. Como sembra un'ottima città per costruire una famiglia e nessuno mormora dietro alle spalle, come invece accadeva a casa mia. No, qui sono la Milena Quaglini che nessuno conosce. I genitori di questa Milena non sono vigliacchi, gelosi, ossessivi o deboli. I genitori di Milena non la picchiano e non stanno a guardare silenti. Questa Milena sorride, ha il volto pulito e candido. La Milena di Como non deve coprirsi per celare i lividi, non deve andare in giro con le maniche lunghe, nonostante il caldo, per non far vedere al resto del mondo i suoi problemi familiari. Questa Milena Quaglini del padre, ormai, ha solo il cognome. Ma è il suo, non di altri, e se lo tiene ben stretto. Perché questo cognome, Quaglini, associato al nome è la testimonianza che si può uscire da un inferno conservando solo il buono del proprio modo di essere. Devo ringraziare LUI se Milena è finalmente libera di dipingere come ama, se è libera di lavorare e di sorridere dal mattino alla sera. Amo quest uomo e lui ama me. Non potrei desiderare altro.
07 Settembre 1980
Dario è stupendo. Più lo osservo giocare con le sue macchinine, più vedo suo padre nei lineamenti, nei gesti, nel modo di sorridere. Di me ha preso il sorriso, ma da LUI... Amo entrambi come se dovesse scoppiarmi il cuore da un momento all'altro. Dopo tanto soffrire, finalmente, sono giunta all'estasi. Forse potrei morire anche domani, perché ho conosciuto cosa significa amore. E non esiste alcol, non esistono ceffoni, non esistono calci. Non discutiamo neanche, io e LUI. LUI, che mi ha salvata da morte certa. Morte dell'anima, sicuramente, ma forse anche fisica. Ho sentito mia madre per telefono tre giorni fa, dopo anni, e la sua voce incrinata mi ha dato un colpo al cuore. Mi ha detto di star bene. Non ci credo. Il suo tono di voce era così triste, stanco e demoralizzato. Ancora beve, mio padre, e ancora le picchia. Lei e mia sorella sono in una prigione e non riescono a dire basta. Non riescono a evadere dal loro carcere e io non posso far nulla. Ho tentato di convincerla a parlare, a sfogarsi. Per farle rendere conto di ciò che vive. Nulla. Io, semmai quell'uomo tentasse un giorno di mettermi ancora le mani addosso... Penso che sarei capace di ucciderlo. Ho una rabbia dentro, nei suoi confronti, che non riesco a contenerla... Sì, potrei ucciderlo. Per ciò che ha fatto a me e a loro. Ma mia madre non ha parlato, ha continuato a dire che va tutto bene. E mia sorella in casa non c'era, quindi non so come possa stare. Intanto guardo Dario e ringrazio il cielo di essere uscita da lì. E ringrazio il cielo di avermi fatto conoscere LUI. Solo così sono riuscita a scappare. E a essere felice come ho sempre desiderato. Adoro tutto di questa mia nuova famiglia. Cosa poter chiedere di più? Meritavo anche io l'amore e adesso lo so. Perché mi è stato donato. Trascorrerò il resto della mia vita a ringraziare LUI di avermi fatto conoscere queste emozioni entusiasmanti. Vivrò di LUI e per LUI.
Pavia 07 Ottobre 1976
Ho deciso. Sì, lo farò stasera, appena quel bastardo andrà a dormire. Non posso più sopportare le botte. Lo odio con tutta me stessa e odio mia madre per permettergli di comportarsi in questa maniera. Una vigliacca che non riesce a tenere a bada suo marito non è una donna. È una debole che non ha a cuore le sorti delle sue figlie. Diamine, siamo sue figlie e permette a lui di fare... Dio, non riesco neanche a dirlo. Sono passati anni dalla prima volta e, come allora, non riesco proprio a guardarmi allo specchio dopo che mi... Sto piangendo, ma non devo. Non devo darla vinta a un mostro. Ho chiesto a mia sorella di venire via con me, ma è troppo uguale a mamma. Lei rimarrà qui a farsi massacrare, ma io no. Io non posso davvero continuare in questa maniera. La bottiglia conta più di noi e la cosa è ormai fuori controllo.Ho deciso che lo farò stanotte. Stanotte quando sarà buio pesto. Uscirò dalla finestra, mia sorella mi reggerà il gioco. Almeno questo ha accettato di farlo. Una volta uscita lei dovrà mettere un po' in disordine la camera, facendo credere che qualcuno sia venuto a prendermi. Non voglio che quel bastardo creda che lei è mia complice. Siamo ben coscienti che questo accadrà in ogni caso, ma se ho anche un minimo di possibilità di evitare che la picchi, lo farò. No, non posso rimanere. Ci ho pensato, in verità. Se rimanessi qui continuerei a pregare Dio di portarsi via quell'essere ogni notte, subendo le sue angherie sperando in un colpo apoplettico fulminante tra un ceffone e l'altro. No, non posso proprio permettermi di rimanere a farmi ammazzare da quello squilibrato. Lui e la bottiglia sono una cosa sola. Se non c'è il vino si attacca alla grappa. Se non c'è la grappa cerca l'amaro... Spende più soldi per il suo vizio che per darci da mangiare. Lo scorso anno ho cercato un lavoretto estivo per riuscire a pagarmi qualcosa in più, ma erano talmente tante le volte che uscivo con gli occhi pesti che ho dovuto rinunciare anche a quello. Mi hanno insegnato a non dire parolacce, ma confesso che le ho costantemente sulla punta della lingua. Spero solo che Dio mi guardi da lì e mi dia una mano, che mi aiuti in questa impresa. Con il mio diploma spero veramente di riuscire a trovare un buon impiego. Magari a Lodi... Insomma, mi sento carica! Questa notte, notte fonda per star più sicura, scapperò da questo inferno, portando con me soltanto la voglia di essere una buona madre per i miei figli. Perché avrò dei figli e li amerò al massimo delle mie possibilità. Troverò un uomo completamente diverso da mio padre e con lui costruirò un futuro radioso. Dicono che a diciannove anni sia normale vedere rosa, ma chi dice questo non conosce la storia della mia vita. Io sono sempre stata abituata a vedere tutte le sfumature del nero e del viola, come i lividi che ho indossato negli anni... Credo sia giunto il momento di cambiare mentalità e di sperare. Che Dio mi aiuti a essere diversa da mia madre, una donna inetta in completa balìa di quel mostro. Non riesco a non odiarla e forse detesto più lei che lui. Non riesco a essere indulgente verso una persona che ha messo al mondo dei figli lasciandoli, poi, alla mercé della bestialità umana. Ho dei vaghi ricordi di mio padre sobrio e sorridente. Sorridente e non divertito. Sono cose diverse, per chi è capace di discernere i particolari. Quando ero piccola mio padre non beveva. Era violento, a volte lo sentivo litigare con mamma, ma non con noi. Con me e mia sorella era dolce e affettuoso. Era mio padre, quello che poi è mutato. È sembrato quasi come in quel film che hanno fatto al cinema poco tempo fa. “L'Invasione degli ultracorpi”... Sembra quasi che un alieno si sia impossessato del corpo e della mente di mio padre, scalzando la sua personalità e decretando la nostra infelicità. Chissà, forse crescendo siamo diventate più simili a mia madre di quanto io stessa riesca a rendermi conto e lui ha iniziato a odiarci di conseguenza. Non lo so. So soltanto che sono pronta ad andare via. Via da questo paesino dove tutti mormorano e nessuno agisce per aiutare il prossimo. Via da questa famiglia stretta nella convinzione che l'uomo sia l'essere più importante al mondo. Via da tutto questo. Via!
…
La verità è un'altra e io non riesco neanche ad ammetterlo con me stessa. L'ho conosciuto, l'ho amato e ho deciso di partire con LUI. Se non fosse stato per LUI io non avrei mai trovato il coraggio di andare via da qui. La realtà è che mio padre ha troppo potere su di me e se non fosse stato per Lui io avrei di certo agito come mia sorella. Sarei rimasta a guardare la mia vita accartocciarsi come una foglia. Proprio come fa mia madre da una vita. Geloso, ossessivo e violento con chiunque in casa, devo dire che mia madre subisce più di tutte. Non riesco a capire perché accetti e permetta tutto questo. Perché non è mai scappata via? Perché non ci ha mai portato via da qui? Forse anche lei avrebbe avuto bisogno di un LUI per agire come sto per fare io... Debole. Non posso davvero non odiarla. Non voglio diventare come lei. Forse la odio perché sono molto più simile a lei di quanto non desideri... Quando la guardo negli occhi sento il calore dell'affetto invadermi, ma dopo ogni sberla non provo nulla altro che rabbia. Finirà. Con LUI finirà e io sarò finalmente felice. Scappo e via!
10 Novembre 1976
Non sono mai stata così felice come ora. Ho LUI e tutto è diverso. Completamente diverso. Sembrano trascorsi secoli dalla mia fuga... Non ho nostalgia di nessuno, tanto meno della mia famiglia. La mia famiglia, adesso, è LUI. Solo LUI e i bimbi che arriveranno. Perché arriveranno e sarà stupendo! Non so come confessarglielo, in verità, ma credo che uno sia già in cantiere. Mi sento strana, ho costantemente la nausea e... Be', è una sensazione strana, spaventosa e bellissima nello stesso tempo. Chissà se lui sarà felice come me? Parla sempre di una famiglia futura, ma ora, nel presente, la desidera con la stessa foga? Spero di sì. È divorziato, ha una famiglia alle spalle e non deve essere per nulla facile ricostruire tutto dal principio. Ma lo amo anche per questo. Perché ha deciso di lasciare tutto, aiutarmi nell'evasione del mio inferno personale e costruire qualcosa di importante con me, fidandosi. La cosa che più mi rende gioiosa è proprio il fatto chesi fidi di me. Mi tratta come una regina e non sono per nulla abituata, tanto che a volte mi sento quasi in imbarazzo. È proprio un grand uomo e spero la nostra felicità non abbia mai fine. Dio, quante volte ho ripetuto la parola “felice”? Tantissime, ma non riesco proprio a contenermi. Mi sento come una bimba davanti alla sua torta di compleanno, con tutti i regali da scartare. L'emozione martellante nel petto e la luce negli occhi, sento che potrei volare o essere invincibile, accanto a Lui. E poi è stupendo, affettuoso, amorevole come mai nessuno. Credo sarà un ottimo padre. LUI sarà un ottimo padre e io mi impegnerò a essere altrettanto brava come madre. Sperando che l'eredità dei miei genitori non venga a bussare alle porte della mia anima. Non sopporterei di diventare come mia madre. Ma questo pericolo, a ben pensarci, non esiste. Perché LUI non è come quel bastardo. Di conseguenza io non sarò costretta a nessuna scelta difficoltosa. Dio, vorrei urlare per la contentezza! Credo proprio di essere incinta. Como sembra un'ottima città per costruire una famiglia e nessuno mormora dietro alle spalle, come invece accadeva a casa mia. No, qui sono la Milena Quaglini che nessuno conosce. I genitori di questa Milena non sono vigliacchi, gelosi, ossessivi o deboli. I genitori di Milena non la picchiano e non stanno a guardare silenti. Questa Milena sorride, ha il volto pulito e candido. La Milena di Como non deve coprirsi per celare i lividi, non deve andare in giro con le maniche lunghe, nonostante il caldo, per non far vedere al resto del mondo i suoi problemi familiari. Questa Milena Quaglini del padre, ormai, ha solo il cognome. Ma è il suo, non di altri, e se lo tiene ben stretto. Perché questo cognome, Quaglini, associato al nome è la testimonianza che si può uscire da un inferno conservando solo il buono del proprio modo di essere. Devo ringraziare LUI se Milena è finalmente libera di dipingere come ama, se è libera di lavorare e di sorridere dal mattino alla sera. Amo quest uomo e lui ama me. Non potrei desiderare altro.
07 Settembre 1980
Dario è stupendo. Più lo osservo giocare con le sue macchinine, più vedo suo padre nei lineamenti, nei gesti, nel modo di sorridere. Di me ha preso il sorriso, ma da LUI... Amo entrambi come se dovesse scoppiarmi il cuore da un momento all'altro. Dopo tanto soffrire, finalmente, sono giunta all'estasi. Forse potrei morire anche domani, perché ho conosciuto cosa significa amore. E non esiste alcol, non esistono ceffoni, non esistono calci. Non discutiamo neanche, io e LUI. LUI, che mi ha salvata da morte certa. Morte dell'anima, sicuramente, ma forse anche fisica. Ho sentito mia madre per telefono tre giorni fa, dopo anni, e la sua voce incrinata mi ha dato un colpo al cuore. Mi ha detto di star bene. Non ci credo. Il suo tono di voce era così triste, stanco e demoralizzato. Ancora beve, mio padre, e ancora le picchia. Lei e mia sorella sono in una prigione e non riescono a dire basta. Non riescono a evadere dal loro carcere e io non posso far nulla. Ho tentato di convincerla a parlare, a sfogarsi. Per farle rendere conto di ciò che vive. Nulla. Io, semmai quell'uomo tentasse un giorno di mettermi ancora le mani addosso... Penso che sarei capace di ucciderlo. Ho una rabbia dentro, nei suoi confronti, che non riesco a contenerla... Sì, potrei ucciderlo. Per ciò che ha fatto a me e a loro. Ma mia madre non ha parlato, ha continuato a dire che va tutto bene. E mia sorella in casa non c'era, quindi non so come possa stare. Intanto guardo Dario e ringrazio il cielo di essere uscita da lì. E ringrazio il cielo di avermi fatto conoscere LUI. Solo così sono riuscita a scappare. E a essere felice come ho sempre desiderato. Adoro tutto di questa mia nuova famiglia. Cosa poter chiedere di più? Meritavo anche io l'amore e adesso lo so. Perché mi è stato donato. Trascorrerò il resto della mia vita a ringraziare LUI di avermi fatto conoscere queste emozioni entusiasmanti. Vivrò di LUI e per LUI.
Published on May 13, 2015 00:18
May 6, 2015
Le Ultime ore dell'angelo -secondo capitolo
Eccoci, come promesso, al secondo capitolo della storia romanzata di Milena Quaglini, la serial killer di Vigevano.
-Fammi capire bene. La tua serial killer è rimasta sola e tu sei preoccupata? È una serial killer, dannazione!-Non farmi la morale, è completamente inutile. Sono preoccupata perché sua madre e sua sorella non si sono presentate neanche oggi. Se rimarrà sola temo possa fare qualche idiozia.-E di cosa ti preoccupi? Che non venga accolta nelle sfere celesti?-Ma sei proprio idiota, quando ti ci metti!La poliziotta Marisa Tringale era una donna decisa e forte, soprattutto in carcere dove riusciva a tirare fuori le unghie pur di farsi rispettare dalle detenute. Ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato quindi e che, invece, contraddistingueva l'animo della donna, era un temperamento estremamente sensibile che la faceva propendere per i casi più difficili. Le classiche “cause perse”. Diede le spalle al collega, una voragine nello stomaco a sottolineare il nervosismo che si era fatto strada durante lo scambio di battute. Contrasse la mascella, afferrando la sua borsa, e allargò le narici come era solita fare ogni volta che la rabbia prendeva il sopravvento. Tentò di arginare il fiume in piena che minacciava la diga del suo autocontrollo con scarso risultato. Lanciò la borsa sulla sedia e si rivolse di nuovo verso Antonio. Quando vide il sorriso di provocazione dipinto sul volto dell'uomo temette di impazzire per l'ira.-Mentre tu rimani qui a fare lo stronzo, quella poveretta sta meditando di ammazzarsi. Lo sai questo, vero? Ha già tentato il suicidio, in passato. Addirittura mentre era incinta!-E allora?- incalzò Antonio, senza perdere la sua espressione divertita.-Come diamine fai a essere così...-Così distaccato dagli affari di una donna che non conosco e che non tengo a conoscere? Io divido il lavoro dagli affetti e dovresti farlo anche tu. Quella poveraccia ha avuto una vita di merda, ma la colpa non è né mia né tua. È nata nella famiglia sbagliata e ha conosciuto le persone sbagliate. Ha compiuto la sua scelta per non subire altre vessazioni. Lo ha fatto come tante altre prima di lei. Certo, ben poche sono diventate serial killer, ma posso comprendere la psicologia criminale di cui si son fatte maestre. Il discorso è, però, che non devi farti coinvolgere emotivamente da questa storia. È finita. Il caso è chiuso, lei è stata condannata. Punto! Tu non c'entri nulla, con lei. Il tuo compito è solo quello di far rispettare le regole e mantenere la disciplina nelle celle. Nulla di più. Non puoi farti trasportare da tutte le galeotte presenti al Piccolini. -Non è vero- ribatté, allora, Marisa -non è vero. Non può essere vero. Come puoi rimanere indifferente a una storia simile?-Io non sono indifferente, cerco di non pensarci. E, ripeto, dovresti farlo anche tu.-Sei impossibile!-esclamò la donna, riprendendo la sua borsa, questa volta decisa ad abbandonare l'ufficio del collega.-Ma vorresti essere come me...- sorrise ancora Antonio, unendo le mani in grembo e sporgendo il torace contro la scrivania. Marisa si fermò, lo fissò con l'espressione seria tipica del suo carattere, quindi si sciolse in un sorriso di resa incondizionata.-Sì, a volte mi piacerebbe, lo ammetto. Ma a volte!- si affrettò a precisare, prima che l'uomo ribattesse in proprio favore.-Dato, comunque, che non sono fatta come te, vado a cercare la madre di Milena. Non hanno portato neanche i suoi figli!-Be', il grande non è che abbia bisogno di essere accompagnato... E poi tu sei una semplice guardia carceraria. Dove vai? -Punto primo, Dario è un ragazzo con mille pensieri, che è stato vessato dal padre adottivo... Insomma, non ha una forte personalità Ma ama sua madre, ne sono convinta. Punto secondo, so dove abita quella donna e so dove potrei trovarla. E che sono una semplice guardia non significa nulla. Sai che se mi metto in testa una cosa difficilmente desisto. Comunque... - cercò di concludere, mettendosi la borsa in spalla -io adesso vado. Ci vediamo domani. E spero vivamente che riuscirai a toglierti quel sorrisino stampato dalla faccia. Non lo sopporto.Marisa uscì dall'ufficio con la testa tra le nuvole, già proiettata con la mente ai suoi prossimi spostamenti, lasciando Antonio ancora sorridente. Non era come diceva lui, Marisa ne era più che convinta.-No, non è come dice lui- ripeté, infatti, a voce alta entrando nell'ascensore. Milena aveva sofferto e, per quanto la legge fosse contro di lei, chiunque poteva concordare sul fatto che ogni suo omicidio aveva una valida giustificazione. Non si deve uccidere, non si deve farlo per nessuna ragione al mondo. Ma come reagire ad anni di soprusi, violenze fisiche e psicologiche? Marisa rabbrividì, pensando a cosa sarebbe stata in grado di fare lei nella stessa situazione. Avrebbe ucciso? Salì in macchina, lanciando la borsa sul sedile del passeggero, quindi chiuse la portiera e guardò davanti a sé. Il vetro era sporco di terra e calcare. Schioccò le labbra, socchiudendo gli occhi e battendo una mano sullo sterzo, quindi girò la chiave nel quadro e mise in moto la sua Ka.Avrebbe ucciso?-Forse sì- mormorò, mettendo la freccia e uscendo dal parcheggio.
*
Rincasò tardi, a causa del traffico e delle sue infruttuose ricerche, e rabbrividì. Nonostante si trovassero a Ottobre, le temperature si erano abbassate notevolmente. Specialmente di sera. Erano appena le otto, ma fuori c'era un buio profondo, tanto da far rimpiangere l'estate appena trascorsa. Si fece una rapida doccia, si vestì ed estrasse la pizza surgelata acquistata proprio per far fronte a una di quelle sere noiose e sonnolente. Dopo averla riscaldata, si sedette a tavola e mangiò in silenzio, senza accendere la televisione. Assorta nei suoi pensieri, chiuse gli occhi, già annebbiati dalla stanchezza. Milena era sola, nella sua cella, sicuramente alle prese con le voci del suo passato. Nonostante quello che continuava a sostenere Antonio, non riusciva a rimanere distaccata dalla triste storia di quella donna. Milena era stata violentata fisicamente e psicologicamente fin dall'infanzia. Abituata a vedere e a vivere un rapporto sbilanciato tra uomo e donna, come quello tra i suoi genitori, aveva ben presto accettato il suo ruolo di essere inferiore. Avrebbe potuto salvarsi, se solo il suo primo marito fosse rimasto in vita. -Evidentemente il suo destino era quello di soffrire...- esclamò ad alta voce, masticando l'ultima fetta di margherita. Comprese tutta la durezza della sua frase e il perverso significato. Non poteva esistere un Dio in grado di accettare tutto quel delirio. Eppure era accaduto. Che Dio non fosse mai esistito? Oppure, come sosteneva Milena stessa da qualche mese, c'era ma era troppo indaffarato per occuparsi di lei? Marisa si alzò, mise le posate nel lavabo e si versò un bicchiere di birra. Non era riuscita a trovare sua madre. Né sua sorella. Le bambine, poi, non aveva proprio idea di dove fossero. Aveva tentato di parlare con Dario, ma anche quel tentativo era stato inutile. Il ragazzo non ne aveva voluto sapere. Eppure gli occhi rossi avevano raccontato tutto l'amore taciuto per sua madre. Eppure le mani tremanti avevano narrato una paura simile alla sua. Milena si sarebbe uccisa. Prima o poi lo avrebbe fatto. Marisa posò malamente il bicchiere di vetro accanto alle posate, quindi spense la luce in cucina e si diresse sul divano. Avrebbe visto qualche film in televisione per distrarsi. A quel pensiero si sentì ancora più meschina.
La verità, nuda e cruda, la colpì in pieno petto. Lei poteva concedersi il lusso di accendere e spegnere l'interruttore fisso su Milena. Milena il suo incubo lo avrebbe continuato a vivere sempre. Marisa sperò che cessasse dopo la morte.
-Fammi capire bene. La tua serial killer è rimasta sola e tu sei preoccupata? È una serial killer, dannazione!-Non farmi la morale, è completamente inutile. Sono preoccupata perché sua madre e sua sorella non si sono presentate neanche oggi. Se rimarrà sola temo possa fare qualche idiozia.-E di cosa ti preoccupi? Che non venga accolta nelle sfere celesti?-Ma sei proprio idiota, quando ti ci metti!La poliziotta Marisa Tringale era una donna decisa e forte, soprattutto in carcere dove riusciva a tirare fuori le unghie pur di farsi rispettare dalle detenute. Ciò che nessuno si sarebbe mai aspettato quindi e che, invece, contraddistingueva l'animo della donna, era un temperamento estremamente sensibile che la faceva propendere per i casi più difficili. Le classiche “cause perse”. Diede le spalle al collega, una voragine nello stomaco a sottolineare il nervosismo che si era fatto strada durante lo scambio di battute. Contrasse la mascella, afferrando la sua borsa, e allargò le narici come era solita fare ogni volta che la rabbia prendeva il sopravvento. Tentò di arginare il fiume in piena che minacciava la diga del suo autocontrollo con scarso risultato. Lanciò la borsa sulla sedia e si rivolse di nuovo verso Antonio. Quando vide il sorriso di provocazione dipinto sul volto dell'uomo temette di impazzire per l'ira.-Mentre tu rimani qui a fare lo stronzo, quella poveretta sta meditando di ammazzarsi. Lo sai questo, vero? Ha già tentato il suicidio, in passato. Addirittura mentre era incinta!-E allora?- incalzò Antonio, senza perdere la sua espressione divertita.-Come diamine fai a essere così...-Così distaccato dagli affari di una donna che non conosco e che non tengo a conoscere? Io divido il lavoro dagli affetti e dovresti farlo anche tu. Quella poveraccia ha avuto una vita di merda, ma la colpa non è né mia né tua. È nata nella famiglia sbagliata e ha conosciuto le persone sbagliate. Ha compiuto la sua scelta per non subire altre vessazioni. Lo ha fatto come tante altre prima di lei. Certo, ben poche sono diventate serial killer, ma posso comprendere la psicologia criminale di cui si son fatte maestre. Il discorso è, però, che non devi farti coinvolgere emotivamente da questa storia. È finita. Il caso è chiuso, lei è stata condannata. Punto! Tu non c'entri nulla, con lei. Il tuo compito è solo quello di far rispettare le regole e mantenere la disciplina nelle celle. Nulla di più. Non puoi farti trasportare da tutte le galeotte presenti al Piccolini. -Non è vero- ribatté, allora, Marisa -non è vero. Non può essere vero. Come puoi rimanere indifferente a una storia simile?-Io non sono indifferente, cerco di non pensarci. E, ripeto, dovresti farlo anche tu.-Sei impossibile!-esclamò la donna, riprendendo la sua borsa, questa volta decisa ad abbandonare l'ufficio del collega.-Ma vorresti essere come me...- sorrise ancora Antonio, unendo le mani in grembo e sporgendo il torace contro la scrivania. Marisa si fermò, lo fissò con l'espressione seria tipica del suo carattere, quindi si sciolse in un sorriso di resa incondizionata.-Sì, a volte mi piacerebbe, lo ammetto. Ma a volte!- si affrettò a precisare, prima che l'uomo ribattesse in proprio favore.-Dato, comunque, che non sono fatta come te, vado a cercare la madre di Milena. Non hanno portato neanche i suoi figli!-Be', il grande non è che abbia bisogno di essere accompagnato... E poi tu sei una semplice guardia carceraria. Dove vai? -Punto primo, Dario è un ragazzo con mille pensieri, che è stato vessato dal padre adottivo... Insomma, non ha una forte personalità Ma ama sua madre, ne sono convinta. Punto secondo, so dove abita quella donna e so dove potrei trovarla. E che sono una semplice guardia non significa nulla. Sai che se mi metto in testa una cosa difficilmente desisto. Comunque... - cercò di concludere, mettendosi la borsa in spalla -io adesso vado. Ci vediamo domani. E spero vivamente che riuscirai a toglierti quel sorrisino stampato dalla faccia. Non lo sopporto.Marisa uscì dall'ufficio con la testa tra le nuvole, già proiettata con la mente ai suoi prossimi spostamenti, lasciando Antonio ancora sorridente. Non era come diceva lui, Marisa ne era più che convinta.-No, non è come dice lui- ripeté, infatti, a voce alta entrando nell'ascensore. Milena aveva sofferto e, per quanto la legge fosse contro di lei, chiunque poteva concordare sul fatto che ogni suo omicidio aveva una valida giustificazione. Non si deve uccidere, non si deve farlo per nessuna ragione al mondo. Ma come reagire ad anni di soprusi, violenze fisiche e psicologiche? Marisa rabbrividì, pensando a cosa sarebbe stata in grado di fare lei nella stessa situazione. Avrebbe ucciso? Salì in macchina, lanciando la borsa sul sedile del passeggero, quindi chiuse la portiera e guardò davanti a sé. Il vetro era sporco di terra e calcare. Schioccò le labbra, socchiudendo gli occhi e battendo una mano sullo sterzo, quindi girò la chiave nel quadro e mise in moto la sua Ka.Avrebbe ucciso?-Forse sì- mormorò, mettendo la freccia e uscendo dal parcheggio.
*
Rincasò tardi, a causa del traffico e delle sue infruttuose ricerche, e rabbrividì. Nonostante si trovassero a Ottobre, le temperature si erano abbassate notevolmente. Specialmente di sera. Erano appena le otto, ma fuori c'era un buio profondo, tanto da far rimpiangere l'estate appena trascorsa. Si fece una rapida doccia, si vestì ed estrasse la pizza surgelata acquistata proprio per far fronte a una di quelle sere noiose e sonnolente. Dopo averla riscaldata, si sedette a tavola e mangiò in silenzio, senza accendere la televisione. Assorta nei suoi pensieri, chiuse gli occhi, già annebbiati dalla stanchezza. Milena era sola, nella sua cella, sicuramente alle prese con le voci del suo passato. Nonostante quello che continuava a sostenere Antonio, non riusciva a rimanere distaccata dalla triste storia di quella donna. Milena era stata violentata fisicamente e psicologicamente fin dall'infanzia. Abituata a vedere e a vivere un rapporto sbilanciato tra uomo e donna, come quello tra i suoi genitori, aveva ben presto accettato il suo ruolo di essere inferiore. Avrebbe potuto salvarsi, se solo il suo primo marito fosse rimasto in vita. -Evidentemente il suo destino era quello di soffrire...- esclamò ad alta voce, masticando l'ultima fetta di margherita. Comprese tutta la durezza della sua frase e il perverso significato. Non poteva esistere un Dio in grado di accettare tutto quel delirio. Eppure era accaduto. Che Dio non fosse mai esistito? Oppure, come sosteneva Milena stessa da qualche mese, c'era ma era troppo indaffarato per occuparsi di lei? Marisa si alzò, mise le posate nel lavabo e si versò un bicchiere di birra. Non era riuscita a trovare sua madre. Né sua sorella. Le bambine, poi, non aveva proprio idea di dove fossero. Aveva tentato di parlare con Dario, ma anche quel tentativo era stato inutile. Il ragazzo non ne aveva voluto sapere. Eppure gli occhi rossi avevano raccontato tutto l'amore taciuto per sua madre. Eppure le mani tremanti avevano narrato una paura simile alla sua. Milena si sarebbe uccisa. Prima o poi lo avrebbe fatto. Marisa posò malamente il bicchiere di vetro accanto alle posate, quindi spense la luce in cucina e si diresse sul divano. Avrebbe visto qualche film in televisione per distrarsi. A quel pensiero si sentì ancora più meschina.
La verità, nuda e cruda, la colpì in pieno petto. Lei poteva concedersi il lusso di accendere e spegnere l'interruttore fisso su Milena. Milena il suo incubo lo avrebbe continuato a vivere sempre. Marisa sperò che cessasse dopo la morte.
Published on May 06, 2015 06:06
April 28, 2015
Le ultime ore dell'angelo - Primo capitolo
Da oggi pubblicherò un racconto a puntate, scritto ispirandomi alla vita della serial killer Milena Quaglini. La sua storia mi ha colpita nel profondo, essendo un vissuto estremamente simile a quello di tante poveracce vessate in continuazione dalla povertà mentale di chi gravita loro attorno. Ho immaginato cosa debba esser stata la sua mente nei momenti antecedenti al primo omicidio. Sarà una storia triste, intervallata da sprazzi di gioia effimera. Credo sia bene che la gente capisca e comprenda cosa si cela dietro ad alcuni gesti reputati "sconsiderati". Fermatevi a comprendere l'animo umano. Vi va di leggere il primo capitolo de "Le ultime ore dell'angelo"? E andiamo, allora!
Vigevano 16 Ottobre 2001
Le ultime parole. Le ultime parole prima di andare via. Spero di non trovare mio padre, quando arriverò lì, non potrei proprio sopportare di dover iniziare tutto di nuovo. Una volta ho sentito un prete che declamava la bontà del Signore, il fatto che in Paradiso si è tutti uguali e si può essere felici. Ho ascoltato quel prete, sperando che un po' di quella felicità Dio la riservasse per me anche in terra. A essere sincera me ne ha donata un po'.Poca, per la verità. Il tempo di dare alla luce Dario. Ma la realtà, nuda e cruda, è che Dio si è completamente dimenticato di me e dei miei bambini. La mia felicità è stata un caso, non un suo volere. Perché, se avesse guardato dalla nostra parte, ogni tanto, si sarebbe reso conto della merda in cui ci ha confinati. Io mi sono sempre comportata in conseguenza alla sua dimenticanza.Il destino. Forse esiste. Forse non è Dio a governare ogni cosa, ma solo il destino, il fato, la sorte. E se non ci fosse nulla, dopo la morte? Tanto meglio, non sarei costretta a ricordare, ogni santo minuto, lo schifo in cui sono vissuta. Gli antidepressivi, l'alcool... Non sono mai serviti a molto, ma almeno attutivano un po' le sue grida... Un po', perché in fondo quelle ce le ho sempre in fondo alle orecchie. Al cuore. Sono anni che non lo vedo, che non lo sento, ma ascolto sempre le sue urla, i suoi strepiti. E finché non morirò, non avranno fine.
Le ultime parole.Le ultime parole prima di andare via. Voglio allontanarmi dal fantasma di Mario, prima, e anche da quello di Angelo. Il vecchio se è morto non è stata colpa mia. Non del tutto, per lo meno. Quel porco schifoso ha tentato in ogni maniera di mettermi le mani addosso e la lampada, a fracassargli la testa, se l'è meritata. Però lo vedo, così come vedo gli altri, la notte quando chiudo gli occhi. Al contrario di ciò che pensano gli altri, però, non vedo i loro corpi lividi, preda del senso di colpa. No.Ciò che vedo io sono i loro corpi riversi su di me, i loro membri flaccidi che cercano in ogni modo di profanarmi. Ciò che avverto sulla pelle non sono brividi di freddo, ma di paura per ciò che mi è accaduto e ciò che rivivo a causa loro. Nessuno mi ha voluta ascoltare, e anche Licia, nonostante faccia finta di avermi presa a cuore, mi guarda come fossi una semplice omicida. La verità è che lei credeva fossi una povera donna vittima di abusi, la prima volta. Già la seconda ha modificato il suo modo di parlarmi e osservarmi, per poi evitare completamente il contatto fisico con me. Non ha empatia, come sostiene. No, il mio avvocato mi crede colpevole e io lo so. E sono colpevole, altrimenti non mi troverei in questa cella. Ma colpevole di cosa? Di essermi difesa? Di aver tentato di salvare da quei grandissimi porci i miei figli? Dario è il più grande, è ormai un ometto e può camminare da solo, ma le mie bimbe hanno conosciuto la violenza e sono marchiate. E avrebbero fatto la mia stessa fine se non avessi dato loro l'esempio. Ho subito, in silenzio. Ora basta. Ora sarò io ad avere il controllo sulle mie azioni. Sarò io a decidere come morire. Nessuno mi picchierà più. Nessuno cercherà ancora di violare il mio corpo. E una volta giunta dall'altra parte troverò il modo di vegliare sulle mie bambine. Dario è grande. Dario è un uomo e somiglia in maniera sconvolgente a suo padre. Dio, come lo amavo. È stata LUI la mia breve parentesi di felicità. Dio mi ha concesso solo LUI, portandomelo via quando avevo iniziato di nuovo a credere nella bontà degli uomini. Ma gli uomini non sono buoni. Gli uomini vogliono solo possedere e abusare. E picchiare. E bere. E io ho detto basta.Mi hanno soprannominata “ L'angelo sterminatore” e “La Giustiziera” e forse sono proprio questo. Ma non dispenso giustizia per amore del prossimo. Non sono un angelo della morte perché c'è un bene supremo che richiede il tributo di sangue. Non sono psicopatica, nonostante mi abbaino condotta quasi alla pazzia... Non ho questo animo nobile come molte donne vorrebbero, così da immolarmi a martire. No. Io ho tentato di resistere, ho tentato di essere paziente con i miei uomini. Alla fine, però, ho ceduto.Ho dovuto cedere: sono umana! Cristo, possibile che la gente non comprenda il potere delle parole? Io ho dovuto difendermi... Ma ho ecceduto, secondo il giudice, e quindi eccomi qui.
Le ultime parole.Le ultime parole prima di intraprendere il mio viaggio. Mi spiace solamente di non essere stata io a spedire l'origine di tutti i miei mali dove avrebbe meritato. Mi spiace solo di non aver picchiato selvaggiamente quell'essere che ha reso il mio mondo un inferno. Eppure... Eppure, forse, dovrei ringraziarlo. Sì, perché senza lui non avrei conosciuto il mio unico amore. Non avrei vissuto quei momenti che ora stento a ricordare. Momenti di puro idillio. Non mi pesa star qui dentro, non è questo ciò che mi condurrà altrove. Non è la costrizione di non poter più vedere il sole. Non è la mancanza della pioggia sulla pelle o la smania di respirare l'aria fresca novembrina. No.La cosa che non posso più sopportare è il non poter annegare nel mio vino per giungere a LUI. L'unica maniera, per me, di ricongiungermi all'unico uomo che mi abbia mai amata. Qui mi hanno tolto questa possibilità e senza il mezzo necessario al mio viaggio mentale, io non ricordo quasi nulla. Guardo Dario, quando viene a trovarmi, e vedo un riflesso di ciò che ho desiderato, ma non vedo LUI. Ciò che mi manca davvero è il volto sicuro e dolce di mio marito. L'unico marito che io possa riconoscere come tale. Mario è stato un errore. È stato un surrogato di ciò che avrei voluto e pur di stare con lui ho intossicato il mio corpo. Ecco ciò che mi spinge verso l'ignoto. E le voci. Non posso dimenticarle. Perché mi martellano il cervello in continuazione e ripetono quanto io non valga nulla. Non ho più le mie medicine e non posso placarle. Non c'è rimedio e io non voglio più ascoltare il rombo della paura che echeggia nelle mie orecchie da mattina a sera. Perché tutte le voci che ascolto, verso sera, si uniscono per dare origine al ricordo peggiore della mia vita. Tutte le parole cattive, verso sera, si sovrappongono fino a dar vita a un rumore assordante, insostenibile e impossibile da ignorare. Io non voglio più sentire la voce di mio padre. Non voglio più avvertire le sue mani sul mio corpo. Io, questa notte, volerò verso vita nuova e nessuno potrà fermarmi. Non ho voluto salutare Roberto e non me ne pento. L'addio sarebbe stato troppo straziante per entrambi. E poi avrei dovuto attendere la sua risposta e non posso aspettare ancora a lungo. Ho aspettato anche troppo. Se questa decisione io l'avessi maturata anni fa, non avrei commesso tutto ciò per cui sono stata accusata. Non avrei fatto conoscere ai miei figli il terrore della violenza. I miei figli non sarebbero neanche mai nati. Non rimpiango di averli avuti, ma sarebbe stato meglio per loro se non li avessi concepiti. Spero che i miei errori non ricadano su di loro. Ma la colpa è mia. È stata mia e sempre lo sarà. Alla fine sono io ad aver ripreso da mamma, non mia sorella. Strano, da piccola ero convinta del contrario. Ho trovato uomini uguali a mio padre e mi sono fatta trattare nella stessa maniera in cui lui trattava lei. È straziante e triste, ma è la verità. E non le ho detto nulla di tutto questo. Le ho detto solo che mi hanno rovinato la vita, lei e papà, e che è per questo motivo che ho raggiunto il punto mentale di non ritorno. Se avessero consentito a farmi coltivare la mia passione, la pittura, amandomi come gli altri fanno con i loro figli... Forse avrei imparato anche io ad amare il mio prossimo. Eppure mio marito l'ho amato perdutamente e sono stata ricambiata con la stessa intensità fino alla sua morte. Forse la sua perdita ha cancellato quel barlume di umanità che mi era rimasto dentro. Forse la sua morte ha risvegliato tutto l'odio che ho imparato a coltivare, dosare e a elargire. Odio tutto e tutti. Ma soprattutto odio me.
Odio me.
Vigevano 16 Ottobre 2001
Le ultime parole. Le ultime parole prima di andare via. Spero di non trovare mio padre, quando arriverò lì, non potrei proprio sopportare di dover iniziare tutto di nuovo. Una volta ho sentito un prete che declamava la bontà del Signore, il fatto che in Paradiso si è tutti uguali e si può essere felici. Ho ascoltato quel prete, sperando che un po' di quella felicità Dio la riservasse per me anche in terra. A essere sincera me ne ha donata un po'.Poca, per la verità. Il tempo di dare alla luce Dario. Ma la realtà, nuda e cruda, è che Dio si è completamente dimenticato di me e dei miei bambini. La mia felicità è stata un caso, non un suo volere. Perché, se avesse guardato dalla nostra parte, ogni tanto, si sarebbe reso conto della merda in cui ci ha confinati. Io mi sono sempre comportata in conseguenza alla sua dimenticanza.Il destino. Forse esiste. Forse non è Dio a governare ogni cosa, ma solo il destino, il fato, la sorte. E se non ci fosse nulla, dopo la morte? Tanto meglio, non sarei costretta a ricordare, ogni santo minuto, lo schifo in cui sono vissuta. Gli antidepressivi, l'alcool... Non sono mai serviti a molto, ma almeno attutivano un po' le sue grida... Un po', perché in fondo quelle ce le ho sempre in fondo alle orecchie. Al cuore. Sono anni che non lo vedo, che non lo sento, ma ascolto sempre le sue urla, i suoi strepiti. E finché non morirò, non avranno fine.
Le ultime parole.Le ultime parole prima di andare via. Voglio allontanarmi dal fantasma di Mario, prima, e anche da quello di Angelo. Il vecchio se è morto non è stata colpa mia. Non del tutto, per lo meno. Quel porco schifoso ha tentato in ogni maniera di mettermi le mani addosso e la lampada, a fracassargli la testa, se l'è meritata. Però lo vedo, così come vedo gli altri, la notte quando chiudo gli occhi. Al contrario di ciò che pensano gli altri, però, non vedo i loro corpi lividi, preda del senso di colpa. No.Ciò che vedo io sono i loro corpi riversi su di me, i loro membri flaccidi che cercano in ogni modo di profanarmi. Ciò che avverto sulla pelle non sono brividi di freddo, ma di paura per ciò che mi è accaduto e ciò che rivivo a causa loro. Nessuno mi ha voluta ascoltare, e anche Licia, nonostante faccia finta di avermi presa a cuore, mi guarda come fossi una semplice omicida. La verità è che lei credeva fossi una povera donna vittima di abusi, la prima volta. Già la seconda ha modificato il suo modo di parlarmi e osservarmi, per poi evitare completamente il contatto fisico con me. Non ha empatia, come sostiene. No, il mio avvocato mi crede colpevole e io lo so. E sono colpevole, altrimenti non mi troverei in questa cella. Ma colpevole di cosa? Di essermi difesa? Di aver tentato di salvare da quei grandissimi porci i miei figli? Dario è il più grande, è ormai un ometto e può camminare da solo, ma le mie bimbe hanno conosciuto la violenza e sono marchiate. E avrebbero fatto la mia stessa fine se non avessi dato loro l'esempio. Ho subito, in silenzio. Ora basta. Ora sarò io ad avere il controllo sulle mie azioni. Sarò io a decidere come morire. Nessuno mi picchierà più. Nessuno cercherà ancora di violare il mio corpo. E una volta giunta dall'altra parte troverò il modo di vegliare sulle mie bambine. Dario è grande. Dario è un uomo e somiglia in maniera sconvolgente a suo padre. Dio, come lo amavo. È stata LUI la mia breve parentesi di felicità. Dio mi ha concesso solo LUI, portandomelo via quando avevo iniziato di nuovo a credere nella bontà degli uomini. Ma gli uomini non sono buoni. Gli uomini vogliono solo possedere e abusare. E picchiare. E bere. E io ho detto basta.Mi hanno soprannominata “ L'angelo sterminatore” e “La Giustiziera” e forse sono proprio questo. Ma non dispenso giustizia per amore del prossimo. Non sono un angelo della morte perché c'è un bene supremo che richiede il tributo di sangue. Non sono psicopatica, nonostante mi abbaino condotta quasi alla pazzia... Non ho questo animo nobile come molte donne vorrebbero, così da immolarmi a martire. No. Io ho tentato di resistere, ho tentato di essere paziente con i miei uomini. Alla fine, però, ho ceduto.Ho dovuto cedere: sono umana! Cristo, possibile che la gente non comprenda il potere delle parole? Io ho dovuto difendermi... Ma ho ecceduto, secondo il giudice, e quindi eccomi qui.
Le ultime parole.Le ultime parole prima di intraprendere il mio viaggio. Mi spiace solamente di non essere stata io a spedire l'origine di tutti i miei mali dove avrebbe meritato. Mi spiace solo di non aver picchiato selvaggiamente quell'essere che ha reso il mio mondo un inferno. Eppure... Eppure, forse, dovrei ringraziarlo. Sì, perché senza lui non avrei conosciuto il mio unico amore. Non avrei vissuto quei momenti che ora stento a ricordare. Momenti di puro idillio. Non mi pesa star qui dentro, non è questo ciò che mi condurrà altrove. Non è la costrizione di non poter più vedere il sole. Non è la mancanza della pioggia sulla pelle o la smania di respirare l'aria fresca novembrina. No.La cosa che non posso più sopportare è il non poter annegare nel mio vino per giungere a LUI. L'unica maniera, per me, di ricongiungermi all'unico uomo che mi abbia mai amata. Qui mi hanno tolto questa possibilità e senza il mezzo necessario al mio viaggio mentale, io non ricordo quasi nulla. Guardo Dario, quando viene a trovarmi, e vedo un riflesso di ciò che ho desiderato, ma non vedo LUI. Ciò che mi manca davvero è il volto sicuro e dolce di mio marito. L'unico marito che io possa riconoscere come tale. Mario è stato un errore. È stato un surrogato di ciò che avrei voluto e pur di stare con lui ho intossicato il mio corpo. Ecco ciò che mi spinge verso l'ignoto. E le voci. Non posso dimenticarle. Perché mi martellano il cervello in continuazione e ripetono quanto io non valga nulla. Non ho più le mie medicine e non posso placarle. Non c'è rimedio e io non voglio più ascoltare il rombo della paura che echeggia nelle mie orecchie da mattina a sera. Perché tutte le voci che ascolto, verso sera, si uniscono per dare origine al ricordo peggiore della mia vita. Tutte le parole cattive, verso sera, si sovrappongono fino a dar vita a un rumore assordante, insostenibile e impossibile da ignorare. Io non voglio più sentire la voce di mio padre. Non voglio più avvertire le sue mani sul mio corpo. Io, questa notte, volerò verso vita nuova e nessuno potrà fermarmi. Non ho voluto salutare Roberto e non me ne pento. L'addio sarebbe stato troppo straziante per entrambi. E poi avrei dovuto attendere la sua risposta e non posso aspettare ancora a lungo. Ho aspettato anche troppo. Se questa decisione io l'avessi maturata anni fa, non avrei commesso tutto ciò per cui sono stata accusata. Non avrei fatto conoscere ai miei figli il terrore della violenza. I miei figli non sarebbero neanche mai nati. Non rimpiango di averli avuti, ma sarebbe stato meglio per loro se non li avessi concepiti. Spero che i miei errori non ricadano su di loro. Ma la colpa è mia. È stata mia e sempre lo sarà. Alla fine sono io ad aver ripreso da mamma, non mia sorella. Strano, da piccola ero convinta del contrario. Ho trovato uomini uguali a mio padre e mi sono fatta trattare nella stessa maniera in cui lui trattava lei. È straziante e triste, ma è la verità. E non le ho detto nulla di tutto questo. Le ho detto solo che mi hanno rovinato la vita, lei e papà, e che è per questo motivo che ho raggiunto il punto mentale di non ritorno. Se avessero consentito a farmi coltivare la mia passione, la pittura, amandomi come gli altri fanno con i loro figli... Forse avrei imparato anche io ad amare il mio prossimo. Eppure mio marito l'ho amato perdutamente e sono stata ricambiata con la stessa intensità fino alla sua morte. Forse la sua perdita ha cancellato quel barlume di umanità che mi era rimasto dentro. Forse la sua morte ha risvegliato tutto l'odio che ho imparato a coltivare, dosare e a elargire. Odio tutto e tutti. Ma soprattutto odio me.
Odio me.
Published on April 28, 2015 00:53
April 9, 2015
Prime due di una serie di uscite mozzafiato
Il fatto è questo, gente: Dunwich ci dà dentro e lo fa in maniera sistematica e certosina. Abituati come ci hanno a leggere piccole perle, il mese di Aprile promette faville: credetemi!
Iniziamo con le prime due succosissime uscite...
R'Lyeh di Daniele Picciuti (serie Chtulhu Apocalypse)

R'lyeh
È trascorso un anno dalla scomparsa di Carlo Stein e Seth Parker, saliti a bordo del brigantino fantasma Mary Celeste e mai più tornati. Eva Ronchi, ex assistente di Stein, ora ha un altro lavoro e si è lasciata tutto alle spalle. Fino a quando fa la sua comparsa il professor Brandellini, sedicente membro di un Ordine segreto, a chiedere il suo aiuto per ritrovare i compagni perduti. Eva commette l'errore di accettare e, assieme a una squadra speciale altamente addestrata, si ritrova coinvolta in una lotta alla sopravvivenza nelle viscere di un’isola non segnata sulle mappe, dal cui abisso emerge il cupo lamento di R’lyeh e dei suoi terrificanti abitanti.
«Lovecraft era uno di noi. Non era uno scrittore visionario né un pazzo divorato dagli incubi. O meglio, non era sempre stato così. Gli incubi vennero quando non riuscì più a gestire il suo ruolo di Custode. Lui entrò in contatto con entità... occulte. Vide cose che una mente umana non può sopportare e, per riuscire a non impazzire, decise di scriverne. Mettere su cartale sue storie in qualche modo lo salvò dalla pazzia.»
Suzie Moore e il nuovo viaggio al centro della Terra di Anita Book

Suzie Moore
Suzie Moore non è una ragazza come tutte le altre. Si veste in modo strano, è cinica e odia le persone. È nata in Illinois ma vive a Roma, dopo che la sua famiglia è morta tragicamente in una bufera di neve. Ama la musica ma non la scuola. Tuttavia proprio un libro cambierà per sempre la sua vita. Nascosto nel computer del preside della Scuola Americana di Roma, troverà un misterioso file che le darà accesso a un mondo di fantasia: quello descritto da Jules Verne nel suo Viaggio al Centro della Terra. Vivrà così un'avventura incredibile, al fianco del folle professor Lidenbrock e del giovane nipote Axel, il cui fascino metterà in crisi persino il suo cuore. Da Amburgo all'Islanda, dalla vetta del monte Sneffels alle profondità della Terra e là, dove Jules Verne non è mai andato e dove il confine trafinzione e realtà è un orizzonte quasi invisibile. E mentre la vita di tutti i giorni continua a scorrere, tra scuola e amici, delusioni e piccole e grandi conquiste, qualcosa dentro di lei - in un mondo diverso - le darà le giuste lezioni per superare le sue paure.
Iniziamo con le prime due succosissime uscite...
R'Lyeh di Daniele Picciuti (serie Chtulhu Apocalypse)

R'lyeh
È trascorso un anno dalla scomparsa di Carlo Stein e Seth Parker, saliti a bordo del brigantino fantasma Mary Celeste e mai più tornati. Eva Ronchi, ex assistente di Stein, ora ha un altro lavoro e si è lasciata tutto alle spalle. Fino a quando fa la sua comparsa il professor Brandellini, sedicente membro di un Ordine segreto, a chiedere il suo aiuto per ritrovare i compagni perduti. Eva commette l'errore di accettare e, assieme a una squadra speciale altamente addestrata, si ritrova coinvolta in una lotta alla sopravvivenza nelle viscere di un’isola non segnata sulle mappe, dal cui abisso emerge il cupo lamento di R’lyeh e dei suoi terrificanti abitanti.
«Lovecraft era uno di noi. Non era uno scrittore visionario né un pazzo divorato dagli incubi. O meglio, non era sempre stato così. Gli incubi vennero quando non riuscì più a gestire il suo ruolo di Custode. Lui entrò in contatto con entità... occulte. Vide cose che una mente umana non può sopportare e, per riuscire a non impazzire, decise di scriverne. Mettere su cartale sue storie in qualche modo lo salvò dalla pazzia.»
Suzie Moore e il nuovo viaggio al centro della Terra di Anita Book

Suzie Moore
Suzie Moore non è una ragazza come tutte le altre. Si veste in modo strano, è cinica e odia le persone. È nata in Illinois ma vive a Roma, dopo che la sua famiglia è morta tragicamente in una bufera di neve. Ama la musica ma non la scuola. Tuttavia proprio un libro cambierà per sempre la sua vita. Nascosto nel computer del preside della Scuola Americana di Roma, troverà un misterioso file che le darà accesso a un mondo di fantasia: quello descritto da Jules Verne nel suo Viaggio al Centro della Terra. Vivrà così un'avventura incredibile, al fianco del folle professor Lidenbrock e del giovane nipote Axel, il cui fascino metterà in crisi persino il suo cuore. Da Amburgo all'Islanda, dalla vetta del monte Sneffels alle profondità della Terra e là, dove Jules Verne non è mai andato e dove il confine trafinzione e realtà è un orizzonte quasi invisibile. E mentre la vita di tutti i giorni continua a scorrere, tra scuola e amici, delusioni e piccole e grandi conquiste, qualcosa dentro di lei - in un mondo diverso - le darà le giuste lezioni per superare le sue paure.
Published on April 09, 2015 00:23
March 19, 2015
Ma sapete che sono usciti i nuovi libri Dunwich?
Eccoci di consueto con l'appuntamento libri... Lo so, sono una pelandrona con le recensioni, ma il vampirotto mi reclama, l'editing ha ingranato e dovrei anche scrivere qualche libricino mio: ma ce la posso fare! :D Allora, nuove succulente uscite ci aspettano in quel di Amazon (o dovunque vogliate, i Dunwich son dappertutto!) E andiamo con la carrellata:
Il Braccio mutante della legge (Infernal Beast Vol. 4) di Samuele Fabbrizzi
Il Braccio mutante della legge

Anno 34 dopo Pioggia.
Il Texas sta cercando di riprendersi dalla catastrofe. Alcune
città sono riuscite a far fronte ai danni, altre sono state
evacuate e abbandonate allo stato selvaggio.
Non esiste più un governo centrale. Il dollaro è stato sostituito
da una nuova valuta, il Tony Romo (ex giocatore dei Dallas
Cowboys). La tecnologia moderna si basa per lo più sul
vapore. In tutte le città si respira un clima dittatoriale,
in cui l’aristocrazia, in particolar modo i sindaci, hanno pieno
potere sulla plebe. In seguito alla pioggia di meteoriti, agenti
cancerogeni e ancora sconosciuti hanno inquinato l’aria e
mutato un gran numero di animali fuori dai centri urbani. Le cause restano ancora un mistero. I cittadini sono costretti a
indossare maschere antigas nei luoghi aperti. Particolari
generatori a vapore si occupano delle sterilizzazioni. Un
fenomeno diffuso fra i ricchi gentiluomini texani è il
collezionismo dei mutanti da esporre e far combattere nelle
arene. I giochi sono divenuti sinonimo di potere.
La Cisterna di Nicola Lombardi
La Cisterna

Nuovo Ordine Morale. Una feroce dittatura militare. Un nuovo sistema carcerario estremo in cui le Cisterne rappresentano il terribile strumento per una radicale epurazione della società. Giovanni Corte, giovane pieno di speranze, conquista l’ambito ruolo di Custode della Cisterna 9, nella quale dovrà trascorrere un anno. E comincia così per lui un cammino - inesorabile, claustrofobico, allucinante - lungo gli oscuri sentieri dell’anima umana, verso il cuore buio di tutti gli orrori che albergano fuori e dentro ciascuno di noi.
D'Ambra e d'Ombra (Moon Witch 2) di Davide Camparsi
D'Ambra e d'Ombra

Celestine Seymour da qualche tempo fa strani sogni nei quali rivive i drammatici eventi accaduti a Salem nel 1692, durante la caccia alle streghe. Incubi costellati di tradimenti, inganni e corruzione. Di giorno, invece, nella sua casa di Stirling, in Scozia, all’interno del ciondolo d’ambra ereditato dalla madre intravede qualcosa di altrettanto inquietante e ancora più incredibile.
Una guerra tanto segreta quanto mortale è in atto tra le donne che vengono chiamate streghe e la misteriosa Inquisizione del Labirinto.
Richard, il giovane parroco di St. Mary, vecchio amico d’infanzia, e la donna enigmatica e selvaggia che le appare in alcune visioni divengono i suoi confidenti mentre il dubbio la rode e la sua sanità mentale vacilla.
Celestine dovrà capire chi sono gli amici e i nemici, se prendere parte a questa battaglia o diventarne vittima, mentre vicino al suo cuore, il ciondolo d’ambra palpita sempre più impetuoso. Sfidandola a correre libera sotto la luna.
Insomma, ragazzuoli, anche questo mese abbiamo abbastanza per cui gioire di cui godere...
Il Braccio mutante della legge (Infernal Beast Vol. 4) di Samuele Fabbrizzi
Il Braccio mutante della legge

Anno 34 dopo Pioggia.
Il Texas sta cercando di riprendersi dalla catastrofe. Alcune
città sono riuscite a far fronte ai danni, altre sono state
evacuate e abbandonate allo stato selvaggio.
Non esiste più un governo centrale. Il dollaro è stato sostituito
da una nuova valuta, il Tony Romo (ex giocatore dei Dallas
Cowboys). La tecnologia moderna si basa per lo più sul
vapore. In tutte le città si respira un clima dittatoriale,
in cui l’aristocrazia, in particolar modo i sindaci, hanno pieno
potere sulla plebe. In seguito alla pioggia di meteoriti, agenti
cancerogeni e ancora sconosciuti hanno inquinato l’aria e
mutato un gran numero di animali fuori dai centri urbani. Le cause restano ancora un mistero. I cittadini sono costretti a
indossare maschere antigas nei luoghi aperti. Particolari
generatori a vapore si occupano delle sterilizzazioni. Un
fenomeno diffuso fra i ricchi gentiluomini texani è il
collezionismo dei mutanti da esporre e far combattere nelle
arene. I giochi sono divenuti sinonimo di potere.
La Cisterna di Nicola Lombardi
La Cisterna

Nuovo Ordine Morale. Una feroce dittatura militare. Un nuovo sistema carcerario estremo in cui le Cisterne rappresentano il terribile strumento per una radicale epurazione della società. Giovanni Corte, giovane pieno di speranze, conquista l’ambito ruolo di Custode della Cisterna 9, nella quale dovrà trascorrere un anno. E comincia così per lui un cammino - inesorabile, claustrofobico, allucinante - lungo gli oscuri sentieri dell’anima umana, verso il cuore buio di tutti gli orrori che albergano fuori e dentro ciascuno di noi.
D'Ambra e d'Ombra (Moon Witch 2) di Davide Camparsi
D'Ambra e d'Ombra

Celestine Seymour da qualche tempo fa strani sogni nei quali rivive i drammatici eventi accaduti a Salem nel 1692, durante la caccia alle streghe. Incubi costellati di tradimenti, inganni e corruzione. Di giorno, invece, nella sua casa di Stirling, in Scozia, all’interno del ciondolo d’ambra ereditato dalla madre intravede qualcosa di altrettanto inquietante e ancora più incredibile.
Una guerra tanto segreta quanto mortale è in atto tra le donne che vengono chiamate streghe e la misteriosa Inquisizione del Labirinto.
Richard, il giovane parroco di St. Mary, vecchio amico d’infanzia, e la donna enigmatica e selvaggia che le appare in alcune visioni divengono i suoi confidenti mentre il dubbio la rode e la sua sanità mentale vacilla.
Celestine dovrà capire chi sono gli amici e i nemici, se prendere parte a questa battaglia o diventarne vittima, mentre vicino al suo cuore, il ciondolo d’ambra palpita sempre più impetuoso. Sfidandola a correre libera sotto la luna.
Insomma, ragazzuoli, anche questo mese abbiamo abbastanza per cui gioire di cui godere...
Published on March 19, 2015 01:40
March 5, 2015
Premio Strega, 500 copie di malcontento
Published on March 05, 2015 04:18


