Federica D'Ascani's Blog, page 2
February 5, 2016
Sabato sera: si balla!
Al buio dell’abitacolo, le luci dei fari che intervallavano l’oscurità, si portò una nocca alle labbra, osservando la strada sdrucciolevole fuori dal finestrino. Il tassista era stato clemente, scegliendo di non sostenere alcuna conversazione priva di senso. Non era un gran chiacchierone, almeno finché non entrava in pista. Ma lì erano solo i corpi a doversi esprimere, non certo le menti. Che di brillanti non sempre se ne trovavano, oltretutto. La pioggia cadeva fitta, quella sera, ma a lui non importava sul serio, non quanto aveva dato a intendere a Jack prima di uscire. Billy, che adorava il vicino, non aveva fatto altro che guaire guardandolo passeggiare oltre la siepe e l’attenzione del vecchio non era stata così difficile da catturare. Quell’ammasso di pulci adorava lo strambo soldato claudicante che abitava poco distante da loro e Dre proprio non capiva come mai e quando, soprattutto, fosse nato l’amore viscerale che li legava. Si mordicchiò la pelle morbida del dito, ascoltando distrattamente una canzone jazz in filodiffusione tramite le casse posteriori. Cristo, odiava il jazz! A dire il vero odiava anche i taxi, ma non aveva potuto fare a meno di chiamarne uno, quando aveva appurato che l’acquazzone non sarebbe cessato a breve. Vestito di nero, dai pantaloni regular fit alla maglia in cotone stretch, aveva tagliato i capelli ancora più corti di come li portava di solito, complice il caldo asfissiante che aveva iniziato ad alitargli sul collo con troppa energia; rovinare la sua mise per un po’ d’acqua gli avrebbe mandato il sangue al cervello, invece del punto in cui ne aveva bisogno per divertirsi. Era sabato sera e non poteva permettersi di perdere un fine settimana per via della pioggia. Seppure quel clima gli stesse comodo come un paio di pantofole in pieno inverno. Eppure non era sempre stato così, c’era stato un tempo in cui aveva adorato la neve, odiando l'acqua dal cielo, ma ormai…«Arrivati a destinazione. Sono trenta dollari» proruppe l’autista distraendolo. Cristo, trenta bigliettoni per quindici minuti in macchina era un furto! Con il treno avrebbe speso meno della metà…«Tenga» e scordati il fottuto resto, col cazzo che te lo lascio. Quello sarebbe stato il sottotitolo, se la voce di sua madre non fosse intervenuta prontamente a mettere un freno a quella testa calda che si ritrovava sulle spalle. «Calma, Dre, non fare il solito cazzone intransigente e burbero…» Trenta dollari… Da non crederci! Dre scese dall’auto scuotendo la testa, contento soltanto di sbattere la portiera in faccia a quella musica di merda che ancora gli fischiava nelle orecchie. Si leccò i denti, alzando lo sguardo, mentre la pioggia riprendeva a chiamarlo, sollecita, ricordandogli il perché di quei fottutissimi dollari ormai al semaforo assieme al loro nuovo proprietario.«Cazzo» sbraitò correndo verso l’entrata dell’Oberjack. Appena giunto sulla soglia, lanciò un’occhiata a Phil che lo lasciò passare senza neanche prestargli attenzione, troppo preso a limitare la folla accalcata contro il suo stomaco prominente. Erano finiti i tempi in cui era stato costretto alla stessa trafila, durata in ogni caso meno di quanto avrebbe scandito i sabato sera dei nuovi frocetti in trasferta dal Quince. Le vacanze al caldo col culo ancora gelido dell’inverno americano… Sorrise, suo malgrado, ripensando al freddo nelle vene che si era portato in valigia quando con Rachel era emigrato a Melbourne, poi si guardò intorno ben deciso a non incupirsi.
Le luci psichedeliche avevano già iniziato a roteare sul soffitto, mentre la musica prendeva il sopravvento addirittura sui pensieri. Meglio, non avrebbe dovuto riflettere. Era tardi, sicuramente, e il traffico che avevano incontrato sulla strada non aveva giovato a rendere il viaggio più veloce. Trenta dollari… Inspirò l’aria satura di testosterone e allargò i polmoni mentre con la lingua si leccava le labbra per nulla secche, ma pronte. Pronte e frementi. Il sabato sera era per lui una liberazione: il completo stordimento dopo una settimana di finzione. Si inoltrò nella pista, insinuandosi tra i corpi in movimento, dondolando sulle gambe, a tempo con i bassi, strizzando le chiappe di questo o quello. Prese lentamente confidenza con le onde sonore, facendosi aderire addosso la voce del vocalist, gli odori acri, il divertimento e la promiscuità che era parte di lui. Lui era quel dannato posto e quel dannato posto era il suo specchio. Sam Sparro prese a martellare nelle case, strisciando sotto pelle con quel tono maschio capace di indurirgli le palle e confondergli i pensieri. E chiuse gli occhi, alzando le braccia e trascinandosi in una danza fatta di corpi e dita. D’un tratto avvertì una lingua tra le labbra e, senza vedere neanche di chi fosse, tirò fuori la sua in un gioco di crescente eccitazione. Poi una mano, calda, vigorosa, gli strinse l’uccello con così tanta forza che aprire gli occhi fu istintivo e automatico. La lingua ancora intenta a stoccare promesse di sesso, osservò gli occhi aperti di quell’energumeno in camicia bianca, e l’uccello gli si fece ancora più duro, marmo nei pantaloni ormai troppo stretti. Capelli corti e neri, occhi chiari, di colore indefinito, collo taurino e fisico possente... Fattibile. Il crescendo della musica assecondò quella che in breve divenne una sega al di sopra della stoffa, finché Dre, incontenibile, ringhiò mordendo le labbra dello sconosciuto, afferrandogli il culo con una mano e spingendosi quello che sperava essere un cazzo enorme contro il bacino. Prese a ondeggiare, strofinandosi contro la coscia dello sconosciuto che non faceva altro che infilargli la lingua nel timpano, scendendo sul collo, succhiandogli avido il pomo d’adamo e risalendo lungo il mento.
«Te lo succhio» gli disse a un tratto nell’orecchio, la canzone alle ultime battute su un cazzo ormai gonfio. Senza dire una parola, Dre lo prese per mano e, sgomitando per aprirsi un varco in quell’intrico di corpi e lingue, si incamminò verso i bagni. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di esservi entrato perché, l’uccello già fuori dalle mutande, la lingua dell’uomo gli si avviluppò intorno alla cappella restituendogli una scarica di adrenalina che si irradiò per tutto il corpo, persino nelle dita. Prendere per i capelli quel tipo facendolo affondare tra i suoi peli, spingendogli in gola la sua erezione fino a sentirlo mugolare d’approvazione, fu il minimo che riuscì a fare prima di venirgli in bocca con un rantolo sommesso. Ansimante, la musica della pista talmente potente da battere contro la porta chiusa, Dre guardò il soffitto, sorridendo. Era solo l’inizio ed era cominciato col botto.
Le luci psichedeliche avevano già iniziato a roteare sul soffitto, mentre la musica prendeva il sopravvento addirittura sui pensieri. Meglio, non avrebbe dovuto riflettere. Era tardi, sicuramente, e il traffico che avevano incontrato sulla strada non aveva giovato a rendere il viaggio più veloce. Trenta dollari… Inspirò l’aria satura di testosterone e allargò i polmoni mentre con la lingua si leccava le labbra per nulla secche, ma pronte. Pronte e frementi. Il sabato sera era per lui una liberazione: il completo stordimento dopo una settimana di finzione. Si inoltrò nella pista, insinuandosi tra i corpi in movimento, dondolando sulle gambe, a tempo con i bassi, strizzando le chiappe di questo o quello. Prese lentamente confidenza con le onde sonore, facendosi aderire addosso la voce del vocalist, gli odori acri, il divertimento e la promiscuità che era parte di lui. Lui era quel dannato posto e quel dannato posto era il suo specchio. Sam Sparro prese a martellare nelle case, strisciando sotto pelle con quel tono maschio capace di indurirgli le palle e confondergli i pensieri. E chiuse gli occhi, alzando le braccia e trascinandosi in una danza fatta di corpi e dita. D’un tratto avvertì una lingua tra le labbra e, senza vedere neanche di chi fosse, tirò fuori la sua in un gioco di crescente eccitazione. Poi una mano, calda, vigorosa, gli strinse l’uccello con così tanta forza che aprire gli occhi fu istintivo e automatico. La lingua ancora intenta a stoccare promesse di sesso, osservò gli occhi aperti di quell’energumeno in camicia bianca, e l’uccello gli si fece ancora più duro, marmo nei pantaloni ormai troppo stretti. Capelli corti e neri, occhi chiari, di colore indefinito, collo taurino e fisico possente... Fattibile. Il crescendo della musica assecondò quella che in breve divenne una sega al di sopra della stoffa, finché Dre, incontenibile, ringhiò mordendo le labbra dello sconosciuto, afferrandogli il culo con una mano e spingendosi quello che sperava essere un cazzo enorme contro il bacino. Prese a ondeggiare, strofinandosi contro la coscia dello sconosciuto che non faceva altro che infilargli la lingua nel timpano, scendendo sul collo, succhiandogli avido il pomo d’adamo e risalendo lungo il mento.
«Te lo succhio» gli disse a un tratto nell’orecchio, la canzone alle ultime battute su un cazzo ormai gonfio. Senza dire una parola, Dre lo prese per mano e, sgomitando per aprirsi un varco in quell’intrico di corpi e lingue, si incamminò verso i bagni. Non ebbe neanche il tempo di rendersi conto di esservi entrato perché, l’uccello già fuori dalle mutande, la lingua dell’uomo gli si avviluppò intorno alla cappella restituendogli una scarica di adrenalina che si irradiò per tutto il corpo, persino nelle dita. Prendere per i capelli quel tipo facendolo affondare tra i suoi peli, spingendogli in gola la sua erezione fino a sentirlo mugolare d’approvazione, fu il minimo che riuscì a fare prima di venirgli in bocca con un rantolo sommesso. Ansimante, la musica della pista talmente potente da battere contro la porta chiusa, Dre guardò il soffitto, sorridendo. Era solo l’inizio ed era cominciato col botto.
Published on February 05, 2016 00:49
January 29, 2016
Parlando con Brendan
Quando era approdato a Melbourne, di certo non si sarebbe mai aspettato di essere accolto dalla comunità come invece era accaduto. E in così poco tempo, per giunta. C'era da dire che godeva di un ottimo rapporto con il vicinato; più o meno, tutti sapevano delle sue inclinazioni sessuali e nessuno ne faceva o ne aveva mai sollevato un problema. D'altronde, come diceva Jack, quelli erano beneamati cazzi suoi.
Era a questo che pensava, quella mattina, recandosi al lavoro. Scese dal bus alla fermata poco distante dalla Neverland Press e decise di fare una passeggiata prima di salire in ufficio. Era presto, come sempre, ma quel giorno non aveva proprio voglia di lavorare più del dovuto. Stava tornando la bella stagione e il verso di un cacatua gli ricordò quanto, in fondo, adorasse il dolce tepore del sole più vicino, la brezza leggera riscaldata dal clima temperato e l'odore del mare poco distante. Scosse la testa, leccandosi le labbra, mentre un sorriso gli incurvava quella bocca a cui fin troppi uomini si sarebbero aggrappati per un momento di puro godimento. E non era ego smisurato, il suo, ma semplice constatazione. I suoi genitori si erano impegnati abbastanza per renderlo assurdamente apprezzabile. Non bello, ma affascinante. La bella di casa rimaneva Rachel, anche se era una stronza colossale.
Si voltò verso il baracchino di ciambelle e ne acquistò una, poi riprese a camminare verso i giardini limitrofi e si sedette su una panchina, le guance gonfie di pasta zuccherosa.
«Sembra buono» lo apostrofò una voce e solo il tono con cui gli aveva parlato il proprietario bastò a fargli andare quasi di traverso il boccone. Perché sapeva di chi si trattava e conosceva abbastanza bene le reazioni del suo corpo per capire che, nonostante facesse finta di nulla, non gli era per nulla indifferente. Enfatizzando la tosse, in modo tale da lasciare il dubbio tra lo spavento e l'emozione, si voltò con la fronte aggrottata verso Brendan e lo guardò in cagnesco.
«Di', ma sei impazzito? C'è mancato poco che soffocassi» replicò osservando il collega sedersi di fianco a lui, a pochi centimetri dal suo culo. Troppo pochi, Cristo!
«In effetti ti ho visto un po' troppo tronfio con quella ciambella in mano... Sembrava ti stessi leccando una figa!» rise divertito l'altro allacciando le mani dietro la nuca e inclinandosi all'indietro sulla panchina.
«Galante e signore, come sempre» commentò Dre che non poté fare a meno di delineare con lo sguardo la curva perfetta dell'addome scolpito e le cosce fasciate dai pantaloni di taglio sartoriale. Be', sì, Brendan non se la passava male, come lui del resto... Nel momento in cui gli occhi carezzarono fuggevoli l'incavo del pube, l'uccello gli si drizzò peggio delle Torri di Rialto. Porca troia, quell'uomo lo attraeva in maniera assurda, mai successa una cosa simile con altri. Distolse l'attenzione in maniera subitanea, prima che l'altro si rendesse conto della bava alla bocca per il suo cazzo, quindi si leccò i denti e riprese a guardare con finta ammirazione la natura circostante.
«Ti ho visto scendere dall'autobus e ti ho seguito» riprese Brendan sempre col sorriso sulla bocca. Una bocca che Dre si era chiesto mille volte come si sarebbe adagiata tra le sue palle, lappandone la consistenza prima di risalire lungo l'asta... Cazzo, se non l'avesse smessa subito di fantasticare su di lui sarebbe impazzito. Ed era così ogni santo giorno! Forse il suo smodato interesse verso il collega altro non era che un riflesso incondizionato verso chi si è certo non si potrà mai possedere. Non solo Brendan era al cento per cento etero, ma non sapeva proprio un fottuto niente del fatto che lui invece fosse un tiraculo. E che tiraculo, gente. La migliore zoccola dell'Oberjack!
«Be', potevi chiamarmi» lo riprese lui strofinandosi le mani per eliminare gli ultimi residui di zucchero dai palmi. Sul nero, quei granelli di cristallo rilucevano come la pelle dei dannati vampiri di Twilight.
«Ho preferito farti prendere un colpo» replicò l'altro tornando a ridere «e poi oggi è una gran bella giornata. Mi verrebbe di andare al mare, invece di rinchiudermi in quell'ufficio...»
«Io potrei... In effetti potrei davvero» sottolineò annuendo con il capo. Sapeva di far incazzare Brendan, in quella maniera, ed era il giusto compenso allo stillicidio a cui lo costringeva da quando lo aveva visto la prima volta.
«Lo so che tu puoi. In fondo non devi fare altro che leggere... Merda di un uomo che me lo ricordi ogni giorno. Che vuoi farci? La cultura che io non ho mi costringe a...»
«Tu sei costretto a stare al chiodo!» lo interruppe esplodendo in una risata sincera «Comunque tranquillo» continuò con una pacca sulla spalla - e Dio solo sa se avrebbe volentieri fatto scivolare le dita sotto la camicia bianca, accarezzando i peli del torace, tuffandosi tra quelli più folti tra le cosce, accompagnando magari la lingua a tutto il resto «verrò anche io in ufficio. Oggi viene Liam e dobbiamo definire le ultime correzioni al romanzo, quindi...»
«Quel frocio credo ti abbia messo gli occhi addosso, sai?»
«Geloso?» lo redarguì avvertendo il familiare crampo allo stomaco. Sempre più debole, man mano che passava il tempo, in effetti. Forse si stava abituando a quelle stronzate. Però era sempre più soddisfatto di non aver rivelato a nessuno il suo modo di vivere. Non al lavoro, almeno. Solo il capo sapeva e tanto bastava. Ma O'Brien era un vecchio amico di famiglia, non faceva testo...
«Oh be', per il tuo culo potrei anche cambiare sponda...» scherzò Brendan ammiccando in maniera seducente. E se solo fosse stato vero...
«Andiamo, coglione, che si sta facendo tardi...» lo invitò assottigliando lo sguardo nell'osservare l'orizzonte. Un orizzonte fatto di verde, pali della luce e panchine. Be', non si poteva avere tutto dalla vita e in fondo nulla avrebbe mai equiparato il panorama di casa sua, ad Alberta...
«Sì, andiamo latin lover. Ah!, se quello ti mette le mani addosso dillo che lo sbattiamo fuori. Certo, sempre che non ti piaccia...» continuò il collega seguendolo sul selciato.
«Dovesse piacermi ti inviterò per un triangolo, maschione» replicò lui sorridendo.
Brendan era bello, arrapante, ma... idiota come una gallina. Già, non tutte le ciambelle riuscivano col buco... Non un buco adatto a lui, comunque.
Era a questo che pensava, quella mattina, recandosi al lavoro. Scese dal bus alla fermata poco distante dalla Neverland Press e decise di fare una passeggiata prima di salire in ufficio. Era presto, come sempre, ma quel giorno non aveva proprio voglia di lavorare più del dovuto. Stava tornando la bella stagione e il verso di un cacatua gli ricordò quanto, in fondo, adorasse il dolce tepore del sole più vicino, la brezza leggera riscaldata dal clima temperato e l'odore del mare poco distante. Scosse la testa, leccandosi le labbra, mentre un sorriso gli incurvava quella bocca a cui fin troppi uomini si sarebbero aggrappati per un momento di puro godimento. E non era ego smisurato, il suo, ma semplice constatazione. I suoi genitori si erano impegnati abbastanza per renderlo assurdamente apprezzabile. Non bello, ma affascinante. La bella di casa rimaneva Rachel, anche se era una stronza colossale.
Si voltò verso il baracchino di ciambelle e ne acquistò una, poi riprese a camminare verso i giardini limitrofi e si sedette su una panchina, le guance gonfie di pasta zuccherosa.
«Sembra buono» lo apostrofò una voce e solo il tono con cui gli aveva parlato il proprietario bastò a fargli andare quasi di traverso il boccone. Perché sapeva di chi si trattava e conosceva abbastanza bene le reazioni del suo corpo per capire che, nonostante facesse finta di nulla, non gli era per nulla indifferente. Enfatizzando la tosse, in modo tale da lasciare il dubbio tra lo spavento e l'emozione, si voltò con la fronte aggrottata verso Brendan e lo guardò in cagnesco.
«Di', ma sei impazzito? C'è mancato poco che soffocassi» replicò osservando il collega sedersi di fianco a lui, a pochi centimetri dal suo culo. Troppo pochi, Cristo!
«In effetti ti ho visto un po' troppo tronfio con quella ciambella in mano... Sembrava ti stessi leccando una figa!» rise divertito l'altro allacciando le mani dietro la nuca e inclinandosi all'indietro sulla panchina.
«Galante e signore, come sempre» commentò Dre che non poté fare a meno di delineare con lo sguardo la curva perfetta dell'addome scolpito e le cosce fasciate dai pantaloni di taglio sartoriale. Be', sì, Brendan non se la passava male, come lui del resto... Nel momento in cui gli occhi carezzarono fuggevoli l'incavo del pube, l'uccello gli si drizzò peggio delle Torri di Rialto. Porca troia, quell'uomo lo attraeva in maniera assurda, mai successa una cosa simile con altri. Distolse l'attenzione in maniera subitanea, prima che l'altro si rendesse conto della bava alla bocca per il suo cazzo, quindi si leccò i denti e riprese a guardare con finta ammirazione la natura circostante.
«Ti ho visto scendere dall'autobus e ti ho seguito» riprese Brendan sempre col sorriso sulla bocca. Una bocca che Dre si era chiesto mille volte come si sarebbe adagiata tra le sue palle, lappandone la consistenza prima di risalire lungo l'asta... Cazzo, se non l'avesse smessa subito di fantasticare su di lui sarebbe impazzito. Ed era così ogni santo giorno! Forse il suo smodato interesse verso il collega altro non era che un riflesso incondizionato verso chi si è certo non si potrà mai possedere. Non solo Brendan era al cento per cento etero, ma non sapeva proprio un fottuto niente del fatto che lui invece fosse un tiraculo. E che tiraculo, gente. La migliore zoccola dell'Oberjack!
«Be', potevi chiamarmi» lo riprese lui strofinandosi le mani per eliminare gli ultimi residui di zucchero dai palmi. Sul nero, quei granelli di cristallo rilucevano come la pelle dei dannati vampiri di Twilight.
«Ho preferito farti prendere un colpo» replicò l'altro tornando a ridere «e poi oggi è una gran bella giornata. Mi verrebbe di andare al mare, invece di rinchiudermi in quell'ufficio...»
«Io potrei... In effetti potrei davvero» sottolineò annuendo con il capo. Sapeva di far incazzare Brendan, in quella maniera, ed era il giusto compenso allo stillicidio a cui lo costringeva da quando lo aveva visto la prima volta.
«Lo so che tu puoi. In fondo non devi fare altro che leggere... Merda di un uomo che me lo ricordi ogni giorno. Che vuoi farci? La cultura che io non ho mi costringe a...»
«Tu sei costretto a stare al chiodo!» lo interruppe esplodendo in una risata sincera «Comunque tranquillo» continuò con una pacca sulla spalla - e Dio solo sa se avrebbe volentieri fatto scivolare le dita sotto la camicia bianca, accarezzando i peli del torace, tuffandosi tra quelli più folti tra le cosce, accompagnando magari la lingua a tutto il resto «verrò anche io in ufficio. Oggi viene Liam e dobbiamo definire le ultime correzioni al romanzo, quindi...»
«Quel frocio credo ti abbia messo gli occhi addosso, sai?»
«Geloso?» lo redarguì avvertendo il familiare crampo allo stomaco. Sempre più debole, man mano che passava il tempo, in effetti. Forse si stava abituando a quelle stronzate. Però era sempre più soddisfatto di non aver rivelato a nessuno il suo modo di vivere. Non al lavoro, almeno. Solo il capo sapeva e tanto bastava. Ma O'Brien era un vecchio amico di famiglia, non faceva testo...
«Oh be', per il tuo culo potrei anche cambiare sponda...» scherzò Brendan ammiccando in maniera seducente. E se solo fosse stato vero...
«Andiamo, coglione, che si sta facendo tardi...» lo invitò assottigliando lo sguardo nell'osservare l'orizzonte. Un orizzonte fatto di verde, pali della luce e panchine. Be', non si poteva avere tutto dalla vita e in fondo nulla avrebbe mai equiparato il panorama di casa sua, ad Alberta...
«Sì, andiamo latin lover. Ah!, se quello ti mette le mani addosso dillo che lo sbattiamo fuori. Certo, sempre che non ti piaccia...» continuò il collega seguendolo sul selciato.
«Dovesse piacermi ti inviterò per un triangolo, maschione» replicò lui sorridendo.
Brendan era bello, arrapante, ma... idiota come una gallina. Già, non tutte le ciambelle riuscivano col buco... Non un buco adatto a lui, comunque.
Published on January 29, 2016 01:02
January 10, 2016
Zombie Nightmare 2.0
Con il numero 2127 - 11 Gennaio 2016 Editoriale Aurea da alle stampe la storia di Ester e Logan in Zombie Nightmare 2.0.
Testo: D'Ascani
Disegno: Arces
Una strana moria di persone caratterizza Austin ed Ester si trova a scappare per la vita. Al suo fianco, inaspettatamente, un gringo tutto seduzione e baldanza: Logan. Riusciranno i nostri eroi a uscire dall'incubo?
Testo: D'Ascani
Disegno: Arces
Una strana moria di persone caratterizza Austin ed Ester si trova a scappare per la vita. Al suo fianco, inaspettatamente, un gringo tutto seduzione e baldanza: Logan. Riusciranno i nostri eroi a uscire dall'incubo?
Published on January 10, 2016 06:15
January 8, 2016
Avventura dopo il Natale
Si preparò per uscire di casa con estrema cura, quella sera. Era tornato da casa di Rachel spossato e per nulla contento di ciò che era stato il suo Natale. Non perché non fosse stato tutto sommato bene, quanto perché il dolore della perdita si faceva più intenso se in compagnia di lei, capace di ricordargli entrambi i genitori con un solo battito di ciglia. Era stato straziante rivederla dopo quasi un anno ed era stato altrettanto penoso andare via, dire arrivederci ai bambini e a suo cognato, stringere in un abbraccio la gracile figura di lei ancorata a terra solo con la forza di un affetto fraterno difficile da estirpare. Nonostante la stronzaggine che Dre impiegasse in ogni dialogo affinché mollasse la presa, affinché lo lasciasse respirare senza il fantasma di una famiglia perduta.
Ma quella sera non era adatta a rivangare il passato o la tristezza del presente.
Quella sera era semplicemente sua e di chi avrebbe voluto condividere la sua stessa sete di libertà con lui. Aprì l'armadio, scelse un paio di pantaloni dal taglio informale e una maglia a maniche corte capace di fasciare il suo fisico risaltandone i punti migliori, quindi umettò i capelli con degli schizzi d'acqua e sorrise al suo riflesso della toilette. Cazzo, quanto era figo! D'altronde la fortuna di trascorrere gennaio a Melobourne era senza eguali: vestiti leggeri e lieve brezza sul volto. L'estate australiana era l'inverno del resto del mondo... sublime!
«Surreale anche, eh, Billy?» commentò i suoi pensieri voltandosi verso il suo pastore sonnacchioso. Quell'ammasso di peli non faceva che dormire! Schioccò le labbra, mandandolo idealmente al diavolo, e uscì dalla porta sul retro salutando Jack che proprio in quel momento usciva per la sua passeggiatina serale. Claudicante come sempre e con quella tuba alla Zio Sam che lo faceva sempre sorridere.
«Ehi, Jack, come butta?» lo apostrofò incamminandosi oltre il giardino con le chiavi che facevano la spola tra una mano e l'altra.
«Ehi, ragazzo! Tutto bene, tutto bene. Tranne quella filippina del cazzo che tenta di avvelenarmi ogni giorno con la sua cucina di merda, tutto bene» rispose il vecchio, proseguendo sul marciapiede, traballante sul suo bastone. Reduce di guerra, quello strambo esserino gracile e dinoccolato era una sagoma, ma povera la colf che gli capitava sotto mano! Ne cambiava almeno una ogni due mesi e Dre non ricordava più il record dell'ultima.
«Non ci credo che è così cattiva» commentò con un sorriso sulle labbra mentre scuoteva la testa, divertito. Dopo pochi altri convenevoli, salutò il vecchio soldato e si fermò alla fermata dell'autobus. Non aveva la macchina e a ben guardare non era una gran perdita. Meno stress, meno soldi da sperperare e tutta la gente del mondo da conoscere. Alzò un sopracciglio, sorridendo dei suoi pensieri, narciso, poi protese la mano per fermare il mezzo.
Prese posto a tre file dalla fine, guardandosi attorno. Notò subito il moretto seduto a pochi passi dall'autista, lo sguardo perso nel vuoto del buio esterno, vestito in maniera casual, ma ordinata, e lunghi capelli spioventi davanti agli occhi dall'aria vagamente ribelle. Dre non era tipo di eccitarsi al solo guardare un bel ragazzo, ma dovette ammettere che c'era qualcosa in quel tizio che lo intrigava. Ci pensò su un momento, si grattò distrattamente il labbro superiore, si guardò di nuovo attorno senza realmente osservare nessuno, poi si alzò e si incamminò ondeggiando verso la meta.
«Scusa... Io... credo di conoscerti» iniziò catturando l'attenzione del moretto che a quelle parole sollevò sorpreso lo sguardo.
«Scusa? Dici a me?» chiese come se si fosse appena svegliato, il tono di voce tanto roco da insinuarsi sotto la pelle e arrivare dritto dritto al suo uccello. Cazzo, che tipo!
«Sì... Malcolm, giusto?» tentò sfoderando il suo sorriso migliore, quello con cui sapeva di far breccia, lo stesso che gli aveva procurato appuntamenti davvero niente male. Lo tirava fuori dal repertorio solo quando la situazione lo richiedeva. E quella meritava più di tante altre, davvero.
«No» rispose secco l'altro continuando a osservarlo, i capelli davanti a delle iridi assolutamente mozzafiato. Cobalto... Cazzo, aveva detto di no!
«No che non ti chiami Malcolm o no che non ci conosciamo?» insistette. E sarebbe stata la sua ultima chance, dopodiché sarebbe tornato sui suoi passi, lo avrebbe mandato a cagare e magari si sarebbe fatto una sega ripensando a quegli occhi. Forse il giorno seguente. Non aveva tutto quel tempo da perdere. Sì, ogni conquista andava coccolata, ma c'erano da considerare tanti altri fattori e il rifiuto non era un particolare irrilevante.
«Non mi chiamo Malcom... Anche se credo di averti già visto da qualche parte» commentò senza togliergli gli occhi di dosso l'altro. In effetti quel tipo cominciava a incuriosirlo non poco. Strano. Differente. Terribilmente eccitante.
«E dove?» indagò rimanendo in piedi mentre l'autobus lo sballottava un po' di qua e un po' di là. Dre si tenne con una mano all'asta di ferro sulla sua testa, sicuro di mettere in mostra i bicipiti torniti di cui andava fiero. Come tutto il resto. E che cazzo: era figo, non poteva certo far finta che non fosse così!
«In giro» rispose laconico l'altro. Ok, figo, ma... cazzo, su!
«E... quindi hai detto che ti chiami?»
«Non l'ho detto» continuò con lo stesso tono l'altro. O porca troia, quant'era difficile! Un pompino, santiddio, un pompino chiedeva, certo non la mano e il regno!
«Ok, amico, non c'è problema. Ci si vede» tagliò corto infastidito. Fece per voltarsi, ma il moretto lo afferrò per la mano, bloccandolo e inducendolo a voltarsi.
«Mi chiamo Fred e hai resistito molto più di altri. Di solito la gente se ne va al mio primo no» lo derise allargando le labbra su due file di denti perfetti. E fu un attimo. Dre avvertì il bollore della sua eccitazione salire al livello, correre oltre e gorgogliare spumeggiante nei pantaloni stretti. Si morse il labbro, davanti a quegli occhi, e la smorfia sbarazzina che gli lanciò l'altro gli tolse ogni dubbio.
«Forse andiamo dalla stessa parte...» riprese Fred accarezzandogli il polso con le dita calde. Dre osservò quel gesto, poi tornò con l'attenzione sul volto pulito del moretto ed estrasse la lingua per riprendere a mordersi le labbra.
«Forse sì.»
«Phillis Cafè?»
«Andata.»
Quando Fred si alzò, sovrastandolo di qualche centimetro, l'autobus fece una brusca frenata gettandoli uno tra le braccia dell'altro. E fu allora che che entrarono in collisione e che Dre avvertì un cazzo davvero duro contro il bacino.
«Ti scopo fino a farti urlare» si sentì alitare nell'orecchio prima che la lingua prendesse il posto delle parole e gli lambisse il lobo.
Dre si impose di respirare per non succhiarglielo lì davanti a tutti, quindi si allontanò di un passo, lo osservò e sorrise.
«Non aspettavo altro» commentò soddisfatto.
Ma quella sera non era adatta a rivangare il passato o la tristezza del presente.
Quella sera era semplicemente sua e di chi avrebbe voluto condividere la sua stessa sete di libertà con lui. Aprì l'armadio, scelse un paio di pantaloni dal taglio informale e una maglia a maniche corte capace di fasciare il suo fisico risaltandone i punti migliori, quindi umettò i capelli con degli schizzi d'acqua e sorrise al suo riflesso della toilette. Cazzo, quanto era figo! D'altronde la fortuna di trascorrere gennaio a Melobourne era senza eguali: vestiti leggeri e lieve brezza sul volto. L'estate australiana era l'inverno del resto del mondo... sublime!
«Surreale anche, eh, Billy?» commentò i suoi pensieri voltandosi verso il suo pastore sonnacchioso. Quell'ammasso di peli non faceva che dormire! Schioccò le labbra, mandandolo idealmente al diavolo, e uscì dalla porta sul retro salutando Jack che proprio in quel momento usciva per la sua passeggiatina serale. Claudicante come sempre e con quella tuba alla Zio Sam che lo faceva sempre sorridere.
«Ehi, Jack, come butta?» lo apostrofò incamminandosi oltre il giardino con le chiavi che facevano la spola tra una mano e l'altra.
«Ehi, ragazzo! Tutto bene, tutto bene. Tranne quella filippina del cazzo che tenta di avvelenarmi ogni giorno con la sua cucina di merda, tutto bene» rispose il vecchio, proseguendo sul marciapiede, traballante sul suo bastone. Reduce di guerra, quello strambo esserino gracile e dinoccolato era una sagoma, ma povera la colf che gli capitava sotto mano! Ne cambiava almeno una ogni due mesi e Dre non ricordava più il record dell'ultima.
«Non ci credo che è così cattiva» commentò con un sorriso sulle labbra mentre scuoteva la testa, divertito. Dopo pochi altri convenevoli, salutò il vecchio soldato e si fermò alla fermata dell'autobus. Non aveva la macchina e a ben guardare non era una gran perdita. Meno stress, meno soldi da sperperare e tutta la gente del mondo da conoscere. Alzò un sopracciglio, sorridendo dei suoi pensieri, narciso, poi protese la mano per fermare il mezzo.
Prese posto a tre file dalla fine, guardandosi attorno. Notò subito il moretto seduto a pochi passi dall'autista, lo sguardo perso nel vuoto del buio esterno, vestito in maniera casual, ma ordinata, e lunghi capelli spioventi davanti agli occhi dall'aria vagamente ribelle. Dre non era tipo di eccitarsi al solo guardare un bel ragazzo, ma dovette ammettere che c'era qualcosa in quel tizio che lo intrigava. Ci pensò su un momento, si grattò distrattamente il labbro superiore, si guardò di nuovo attorno senza realmente osservare nessuno, poi si alzò e si incamminò ondeggiando verso la meta.
«Scusa... Io... credo di conoscerti» iniziò catturando l'attenzione del moretto che a quelle parole sollevò sorpreso lo sguardo.
«Scusa? Dici a me?» chiese come se si fosse appena svegliato, il tono di voce tanto roco da insinuarsi sotto la pelle e arrivare dritto dritto al suo uccello. Cazzo, che tipo!
«Sì... Malcolm, giusto?» tentò sfoderando il suo sorriso migliore, quello con cui sapeva di far breccia, lo stesso che gli aveva procurato appuntamenti davvero niente male. Lo tirava fuori dal repertorio solo quando la situazione lo richiedeva. E quella meritava più di tante altre, davvero.
«No» rispose secco l'altro continuando a osservarlo, i capelli davanti a delle iridi assolutamente mozzafiato. Cobalto... Cazzo, aveva detto di no!
«No che non ti chiami Malcolm o no che non ci conosciamo?» insistette. E sarebbe stata la sua ultima chance, dopodiché sarebbe tornato sui suoi passi, lo avrebbe mandato a cagare e magari si sarebbe fatto una sega ripensando a quegli occhi. Forse il giorno seguente. Non aveva tutto quel tempo da perdere. Sì, ogni conquista andava coccolata, ma c'erano da considerare tanti altri fattori e il rifiuto non era un particolare irrilevante.
«Non mi chiamo Malcom... Anche se credo di averti già visto da qualche parte» commentò senza togliergli gli occhi di dosso l'altro. In effetti quel tipo cominciava a incuriosirlo non poco. Strano. Differente. Terribilmente eccitante.
«E dove?» indagò rimanendo in piedi mentre l'autobus lo sballottava un po' di qua e un po' di là. Dre si tenne con una mano all'asta di ferro sulla sua testa, sicuro di mettere in mostra i bicipiti torniti di cui andava fiero. Come tutto il resto. E che cazzo: era figo, non poteva certo far finta che non fosse così!
«In giro» rispose laconico l'altro. Ok, figo, ma... cazzo, su!
«E... quindi hai detto che ti chiami?»
«Non l'ho detto» continuò con lo stesso tono l'altro. O porca troia, quant'era difficile! Un pompino, santiddio, un pompino chiedeva, certo non la mano e il regno!
«Ok, amico, non c'è problema. Ci si vede» tagliò corto infastidito. Fece per voltarsi, ma il moretto lo afferrò per la mano, bloccandolo e inducendolo a voltarsi.
«Mi chiamo Fred e hai resistito molto più di altri. Di solito la gente se ne va al mio primo no» lo derise allargando le labbra su due file di denti perfetti. E fu un attimo. Dre avvertì il bollore della sua eccitazione salire al livello, correre oltre e gorgogliare spumeggiante nei pantaloni stretti. Si morse il labbro, davanti a quegli occhi, e la smorfia sbarazzina che gli lanciò l'altro gli tolse ogni dubbio.
«Forse andiamo dalla stessa parte...» riprese Fred accarezzandogli il polso con le dita calde. Dre osservò quel gesto, poi tornò con l'attenzione sul volto pulito del moretto ed estrasse la lingua per riprendere a mordersi le labbra.
«Forse sì.»
«Phillis Cafè?»
«Andata.»
Quando Fred si alzò, sovrastandolo di qualche centimetro, l'autobus fece una brusca frenata gettandoli uno tra le braccia dell'altro. E fu allora che che entrarono in collisione e che Dre avvertì un cazzo davvero duro contro il bacino.
«Ti scopo fino a farti urlare» si sentì alitare nell'orecchio prima che la lingua prendesse il posto delle parole e gli lambisse il lobo.
Dre si impose di respirare per non succhiarglielo lì davanti a tutti, quindi si allontanò di un passo, lo osservò e sorrise.
«Non aspettavo altro» commentò soddisfatto.
Published on January 08, 2016 01:06
December 17, 2015
Prepara la valigia, Billy, si parte!
Preparare quelle valige era uno stillicidio continuo, simile alle gocce cinesi che ti logorano nel profondo partendo dalla superficie. Una mutanda: un'imprecazione. Un paio di jeans: una maledizione.
Odiava dover andare a stare da Rachel, c'era poco da fare, e il fatto che O'Brien gli avesse concesso i giorni di ferie senza neanche pensarci non faceva che renderlo ancora più frustrato. Zero scuse per scampare a una settimana - già, perché alla fine era diventata una settimana - priva di scopate, ma colma di giramenti di palle.
Rachel e la sua voglia di essere tutti felici.
Rachel, e la sua mania di controllo.
Rachel e quella sua voglia latente di farlo diventare un etero senziente.
«Che palle!» esclamò gettando un ultimo paio di mutande nella valigia e voltandosi con le mani tra i capelli. Gli occhi gli caddero sul suo riflesso e lì rimasero, con le dita incrociate sulla testa, le gambe un po' divaricate e il torace scolpito dalla natura. Doveva ammetterlo: di partire non aveva proprio voglia. Aveva già parlato con Jack, il vicino, che gli avrebbe tenuto Billy per quella settimana e curato le piante del giardino a cui teneva forse più del suo aspetto fisico. D'altronde quel suo piccolo polmone personale lo rendeva una persona migliore, almeno concorreva a tacitare la sua parte menefreghista, ma ansiosa di essere quanto meno umana. Sapeva di avere un carattere di merda, anche se con Rachel non lo avrebbe mai ammesso, e sapeva anche di non meritare le attenzioni che invece molti gli dimostravano. Come Liam. L'ultima volta che si erano sentiti, lo scrittore gli aveva fatto capire le sue intenzioni, proponendogli anche una vigilia in compagnia. Ovviamente aveva declinato l'invito, ben felice in quel momento di portare avanti il nome di Rachel come scusa.
Ma che problema aveva, lui, con i rapporti? Perché aveva così paura di impegnarsi con qualcuno? Liam non era affatto male, anzi... Bello, era bello; dolce anche, per non parlare di come se la cavava a letto. C'era qualcosa che gli sfuggiva, ma non sapeva realmente cosa...
«Che sei un asociale del cazzo, Dre Walker!» accusò il suo riflesso puntandogli un dito contro «e non hai scusanti. Tua sorella ha ragione» continuò avvicinandosi «non vuoi legami, non vuoi stare vicino a nessuno e non c'entra un fottuto niente il fatto che i tuoi siano morti all'improvviso. Tu eri così già da prima, caro il mio Dre» disse fermandosi un momento a osservare i suoi occhi neri scrutare il proprio doppio pensieroso. «Tu hai sempre odiato essere quello che sei. Tu, se avessi potuto scegliere tra essere una checca del cazzo ed essere etero, non ci avresti poi pensato tanto, ti pare? Tu non sei uno di quelli che se ne vanno in giro per strada a dire quanto è totalizzante essere omosessuali. Nossignore. Ma, ehi, non fraintendiamoci» allargò le braccia come Al Pacino «non è che rinneghi il tuo modo di essere: a te piace scopare uomini e il gusto che provi a farti sbattere non ha paragoni, ma... andiamo, sarebbe stata molto più facile la vita per te, se fossi stato dell'altra sponda, quella giusta... e tu lo sai» concluse a pochi centimetri dal suo volto con la tranquillità che lo aveva sempre contraddistinto durante i colloqui lavorativi e le interrogazioni a scuola. Ogni volta sembrava recitasse una parte e in fondo la sua vita non era proprio quello? Un copione di un film strappalacrime dal climax evidente... perfetto per i botteghini.
Nato gay in una città in cui se ne vedevano pochi come lui, e nero, che era un'aggravante, nonostante si trovassero al nord, aveva frequentato scuole normali, vero, ma con lo spauracchio sempre in agguato di non rivelare troppo della propria sessualità, che non si poteva mai dire - e questo rispecchiava la storia tipo di qualsiasi adolescente medio omosessuale del paese. Aveva frequentato il college, aveva avuto brevi storielle, mai degne di nota, e a un tratto la sua vita era stata stravolta dalla morte dei suoi in un supermarket come ce n'erano tanti in giro. Quindi la fuga verso un paese diverso e privo di ricordi troppo pesanti, nonostante quella casa fosse appartenuta ai suoi genitori, l'allontanamento da Rachel, la difficoltà a intraprendere storie serie, la fermezza nel voler continuare alla stessa maniera fino a ritrovarsi solo, rincoglionito e sempre incazzato con la donna delle pulizie come il suo vicino... Un film da Oscar, tranne che per la fine ingloriosa. Ci sarebbe voluto un bel colpo di scena... già, ma quale?
«Quanto sei coglione, amico mio» sospirò voltandosi verso la valigia «tutti gli anni gli stessi identici discorsi e durante gli stessi identici giorni... Sei anche scontato, oltre che triste... Ma come hai fatto a diventare così?» si chiese retorico chiudendo la zip della borsa e uscendo sul ballatoio. Lanciò un'occhiata al piano inferiore, dalle scale, e osservò Billy mangiare i suoi croccantini scodinzolando soddisfatto. Ecco, quel cane era la sua unica vera gioia e abbandonarlo sotto le feste...
«Billy, ma... che ne dici se chiamo la compagnia e chiedo di portarti con me? Mi costerà un occhio della testa, ma per un membro della famiglia mi pare il minimo... La mia famiglia sei tu, d'altronde» sorrise indulgente in una delle sue rare performance nei panni del Dre Walker dolce e affabile. Scese tenendosi al corrimano senza mai distogliere gli occhi dal manto bianco del suo amico, quindi arrivò accanto a lui e si accucciò per accarezzarlo bonariamente. «E poi sai i piccoli come saranno contenti? Sì, be', tu un po' meno... Ti daranno il tormento e tu stai diventando asociale come me, temo...» gli sussurrò guardandolo mentre quello si voltava per lanciargli un'occhiata di sufficienza e alitargli in viso una zaffata di carne marcia. Dre si alzò di scatto, tossicchiando e sventolando la mano davanti alle labbra, atteggiando la bocca in una smorfia di puro disgusto. «Dio,Billy, che cazzo c'è dentro a quegli affari? Carogne? Mi toccherà chiamare il veterinario e segnarti qualche disgorgante... Cristo, non ti si può star vicino» borbottò ciabattando in cucina «e poi dicono che non sono dolce... ma cazzo, puzzi come una fogna...» continuò prendendo il cordless e tornando in salotto.
«Tu starai a dieta, da oggi» promise al pastore puntandogli un dito contro mentre con l'altra mano avviava la chiamata «e non ti sognare di rubacchiare da Rachel o dai bambini, perché tanto ti scopr... Sì? Olympia Airlines? Buongiorno... Josh, sì... Oh, ma che bella voce, Josh...» sorrise, alzando gli occhi al soffitto e mordendosi il labbro con un sorrisino malizioso che ne incurvava la piega dolce.
Odiava dover andare a stare da Rachel, c'era poco da fare, e il fatto che O'Brien gli avesse concesso i giorni di ferie senza neanche pensarci non faceva che renderlo ancora più frustrato. Zero scuse per scampare a una settimana - già, perché alla fine era diventata una settimana - priva di scopate, ma colma di giramenti di palle.
Rachel e la sua voglia di essere tutti felici.
Rachel, e la sua mania di controllo.
Rachel e quella sua voglia latente di farlo diventare un etero senziente.
«Che palle!» esclamò gettando un ultimo paio di mutande nella valigia e voltandosi con le mani tra i capelli. Gli occhi gli caddero sul suo riflesso e lì rimasero, con le dita incrociate sulla testa, le gambe un po' divaricate e il torace scolpito dalla natura. Doveva ammetterlo: di partire non aveva proprio voglia. Aveva già parlato con Jack, il vicino, che gli avrebbe tenuto Billy per quella settimana e curato le piante del giardino a cui teneva forse più del suo aspetto fisico. D'altronde quel suo piccolo polmone personale lo rendeva una persona migliore, almeno concorreva a tacitare la sua parte menefreghista, ma ansiosa di essere quanto meno umana. Sapeva di avere un carattere di merda, anche se con Rachel non lo avrebbe mai ammesso, e sapeva anche di non meritare le attenzioni che invece molti gli dimostravano. Come Liam. L'ultima volta che si erano sentiti, lo scrittore gli aveva fatto capire le sue intenzioni, proponendogli anche una vigilia in compagnia. Ovviamente aveva declinato l'invito, ben felice in quel momento di portare avanti il nome di Rachel come scusa.
Ma che problema aveva, lui, con i rapporti? Perché aveva così paura di impegnarsi con qualcuno? Liam non era affatto male, anzi... Bello, era bello; dolce anche, per non parlare di come se la cavava a letto. C'era qualcosa che gli sfuggiva, ma non sapeva realmente cosa...
«Che sei un asociale del cazzo, Dre Walker!» accusò il suo riflesso puntandogli un dito contro «e non hai scusanti. Tua sorella ha ragione» continuò avvicinandosi «non vuoi legami, non vuoi stare vicino a nessuno e non c'entra un fottuto niente il fatto che i tuoi siano morti all'improvviso. Tu eri così già da prima, caro il mio Dre» disse fermandosi un momento a osservare i suoi occhi neri scrutare il proprio doppio pensieroso. «Tu hai sempre odiato essere quello che sei. Tu, se avessi potuto scegliere tra essere una checca del cazzo ed essere etero, non ci avresti poi pensato tanto, ti pare? Tu non sei uno di quelli che se ne vanno in giro per strada a dire quanto è totalizzante essere omosessuali. Nossignore. Ma, ehi, non fraintendiamoci» allargò le braccia come Al Pacino «non è che rinneghi il tuo modo di essere: a te piace scopare uomini e il gusto che provi a farti sbattere non ha paragoni, ma... andiamo, sarebbe stata molto più facile la vita per te, se fossi stato dell'altra sponda, quella giusta... e tu lo sai» concluse a pochi centimetri dal suo volto con la tranquillità che lo aveva sempre contraddistinto durante i colloqui lavorativi e le interrogazioni a scuola. Ogni volta sembrava recitasse una parte e in fondo la sua vita non era proprio quello? Un copione di un film strappalacrime dal climax evidente... perfetto per i botteghini.
Nato gay in una città in cui se ne vedevano pochi come lui, e nero, che era un'aggravante, nonostante si trovassero al nord, aveva frequentato scuole normali, vero, ma con lo spauracchio sempre in agguato di non rivelare troppo della propria sessualità, che non si poteva mai dire - e questo rispecchiava la storia tipo di qualsiasi adolescente medio omosessuale del paese. Aveva frequentato il college, aveva avuto brevi storielle, mai degne di nota, e a un tratto la sua vita era stata stravolta dalla morte dei suoi in un supermarket come ce n'erano tanti in giro. Quindi la fuga verso un paese diverso e privo di ricordi troppo pesanti, nonostante quella casa fosse appartenuta ai suoi genitori, l'allontanamento da Rachel, la difficoltà a intraprendere storie serie, la fermezza nel voler continuare alla stessa maniera fino a ritrovarsi solo, rincoglionito e sempre incazzato con la donna delle pulizie come il suo vicino... Un film da Oscar, tranne che per la fine ingloriosa. Ci sarebbe voluto un bel colpo di scena... già, ma quale?
«Quanto sei coglione, amico mio» sospirò voltandosi verso la valigia «tutti gli anni gli stessi identici discorsi e durante gli stessi identici giorni... Sei anche scontato, oltre che triste... Ma come hai fatto a diventare così?» si chiese retorico chiudendo la zip della borsa e uscendo sul ballatoio. Lanciò un'occhiata al piano inferiore, dalle scale, e osservò Billy mangiare i suoi croccantini scodinzolando soddisfatto. Ecco, quel cane era la sua unica vera gioia e abbandonarlo sotto le feste...
«Billy, ma... che ne dici se chiamo la compagnia e chiedo di portarti con me? Mi costerà un occhio della testa, ma per un membro della famiglia mi pare il minimo... La mia famiglia sei tu, d'altronde» sorrise indulgente in una delle sue rare performance nei panni del Dre Walker dolce e affabile. Scese tenendosi al corrimano senza mai distogliere gli occhi dal manto bianco del suo amico, quindi arrivò accanto a lui e si accucciò per accarezzarlo bonariamente. «E poi sai i piccoli come saranno contenti? Sì, be', tu un po' meno... Ti daranno il tormento e tu stai diventando asociale come me, temo...» gli sussurrò guardandolo mentre quello si voltava per lanciargli un'occhiata di sufficienza e alitargli in viso una zaffata di carne marcia. Dre si alzò di scatto, tossicchiando e sventolando la mano davanti alle labbra, atteggiando la bocca in una smorfia di puro disgusto. «Dio,Billy, che cazzo c'è dentro a quegli affari? Carogne? Mi toccherà chiamare il veterinario e segnarti qualche disgorgante... Cristo, non ti si può star vicino» borbottò ciabattando in cucina «e poi dicono che non sono dolce... ma cazzo, puzzi come una fogna...» continuò prendendo il cordless e tornando in salotto.
«Tu starai a dieta, da oggi» promise al pastore puntandogli un dito contro mentre con l'altra mano avviava la chiamata «e non ti sognare di rubacchiare da Rachel o dai bambini, perché tanto ti scopr... Sì? Olympia Airlines? Buongiorno... Josh, sì... Oh, ma che bella voce, Josh...» sorrise, alzando gli occhi al soffitto e mordendosi il labbro con un sorrisino malizioso che ne incurvava la piega dolce.
Published on December 17, 2015 15:29
December 10, 2015
Appuntamento scarica nervi... con Liam
«Dre, non puoi mancare, Cristo! Lo sai che i bambini ci tengono e io... Non puoi lasciarmi da sola proprio la sera di Natale, non dopo tutto quello che è successo...»
«Rachel, lo so, ma cerca di capire... Non è semplice neanche per me e venire a casa tua sarebbe come ammettere che effettivamente non c'è più rimedio, che...»
«Ma un rimedio non c'è, infatti! Mamma e papà non li farai certo tornare dal mondo dei morti soltanto perché rimarrai chiuso in casa come un eremita! Lo vuoi capire che oltre al lav...»
«Ma tu che cazzo ne sai di quello che faccio io? Che cazzo ne sai di come sto elaborando il lutto, eh? Pensi che non lo sappia che loro stanno marcendo sotto terra? Pensi che non sappia che non torneranno più da me? Non sono un bambino, non ho bisogno di una seconda madre, Rachel!»
«Vorresti dire che non hai bisogno di me?»
«Ma chi cazzo ha detto una cosa del genere? Oh, porca troia, ma è possibile che ogni volta che ci sentiamo finiamo per litigare? Non ci credo...» sospirò allargando le braccia e guardando al cielo. Un cielo fatto di bianco, faretti al neon e qualche ragnatela. Umidità schivata: menomale!
«Non fare il solito teatrale, Dre. Lo sai anche tu che hai un carattere di merda» lo apostrofò sua sorella col tono della serpe che era.
Inspirò profondamente, imponendosi la calma, quindi si leccò le labbra finendo per mordersi la lingua pur di non mandarla a fanculo. Lui, un carattere di merda? E lei, allora?
«Ascolta, al di là di cosa posso o non posso pensare, ho delle scadenze da rispettare al lavoro e tu non abiti proprio qua dietro, e...»
«Cazzate, Dre. Potresti partire il 24, al mattino, e tornare il 26 sera. Oltretutto sei un fottutissimo editor e lo sai tu come lo so io che questo è un lavoro che puoi fare tranquillamente da casa. Non capisco perché non vuoi stare in famiglia a Natale...»
«Rachel, mi fa male vederti» sbottò sbattendo la mano sul tavolo, al limite della sopportazione. Il silenzio che seguì le sue parole fu eloquente, quasi quanto il click finale col quale Rachel interrompeva la conversazione.
«Cristo santo» sospirò gettando il telefono sul sofà sotto lo sguardo annoiato di Billy. Sembrava fosse abituato ai loro scazzi e in effetti era così. Quante volte litigavano al mese? Almeno due su quattro... Una buona media, di tutto rispetto... Camminò stizzito in cucina, aprì il frigo e prese una lattina di birra, quindi si voltò e si appoggiò col culo al ripiano di marmo del lavabo, sorseggiando la bibita con gli occhi persi nel vuoto. Rivangare il passato non era proprio una scelta opinabile, così come farsi il sangue amaro per una discussione che prevedeva, tra le altre cose, la sua capitolazione nel termine di un paio di giorni.
«Che coglioni, mi toccherà andarci, alla fine!» esclamò dandosi una spinta di reni e sollevandosi per tornare in salone. Si mordicchiò il labbro, ingollando altra birra, quindi abbandonò la lattina su una mensola e riprese il telefono dal sofà. Scorse i numeri sulla rubrica, con una mano sul fianco, e intercettò il nome che avrebbe potuto fare al caso suo. Cosa c'era di meglio di una sana trombata per scrollarsi di dosso tutto il nervosismo accumulato? Lui era tornato in città, d'altronde, glielo aveva detto una settimana prima e lui lo aveva liquidato con un messaggio lapidario.
«Bene, vediamo se ha tutta questa voglia di cioccolata fondente» mormorò portandosi il ricevitore all'orecchio, in attesa. L'uomo non si fece attendere, quasi stesse attendendo proprio la sua telefonata da ore. Quando si diceva il fascino del bel tenebroso...
«Liam? Sì, ciao. Senti, ma... non è che ti andrebbe di... Perfetto! Ci vediamo... ah, ok, allora tra mezz'ora qui. Il tempo di farmi la doccia e... Cazzone!» rise «Ok, ti aspetto» gli disse terminando la comunicazione. Quando si voltò aveva ancora il sorriso tra le labbra.
Lanciò un'occhiata fugace a Billy, ancora acciambellato nella sua cesta e troppo stanco per badare a lui, quindi volò verso il bagno, togliendosi la t-shirt e i pantaloncini durante il tragitto. Fece una doccia veloce, poi indossò un paio di boxer corti e aderenti e si sedette sul sofà, i piedi sul tavolino basso in cristallo, ricordo dei suoi. Di suo padre, precisamente. Accese la tv, si sporse a prendere la lattina di birra, ormai calda, e ne bevve un sorso storcendo la bocca. Natale e non sentirlo...
«Cazzo, a casa, di questi tempi, se uscivi senza paraorecchie ti ritrovavi con i lobi blu dal freddo» borbottò alzandosi « e invece qui ti si sciolgono pure le palle, se non le tieni a bada. Dicembre e fa un caldo soffocante!» finì aprendo il frigo e prendendo una nuova lattina. In quel momento il campanello di casa suonò, così ne prese una seconda e si diresse verso la porta. Era praticamente nudo, il suo cane dormiva della grossa e fuori il sole ancora era alto nel cielo. Un pompino, sorseggiando una birra ghiacciata, sarebbe stato il toccasana per i suoi nervi. Appena aprì la porta, le lattine entrambe incastrate nella destra, Liam lo divorò con lo sguardo. Se non avesse avuto i pantaloni addosso, Dre avrebbe potuto vedergli il cazzo svettare oltre l'ombelico, ne era certo.
«Uhm... è così che mi accogli, Dre?»
«Vuoi sul serio chiacchierare, tesoro?» gli rispose facendosi da parte e lasciandolo entrare. Chiuse la porta, lanciando un'occhiata alla strada deserta prima di voltarsi verso l'ospite, ma non ebbe neanche il tempo di aprire di nuovo bocca. Liam lo sbatté contro il muro e fu solo per puro caso che le birre non scivolarono dalla sua mano, andando allegramente a imbrattare il parquet. L'impatto col freddo dell'intonaco quasi lo rinvigorì, mentre le mani dello scrittore già vagavano oltre i boxer alla ricerca del suo uccello.
«Irruente...» lo apostrofò afferrandogli la testa mentre quello scendeva leccandogli il petto.
«Non sai da quanto desideravo rivederti» mormorò in risposta Liam, inginocchiandosi davanti alla sua erezione scura e pronta. Dre cercò di ignorare il campanello d'allarme che quelle parole avrebbero dovuto segnalargli, chiudendo invece gli occhi e abbandonando la testa all'indietro al primo guizzo di lingua sulla cappella.
«Uhm...» mugolò quando Liam glielo prese in bocca d'un colpo, leccando forsennato tutta la sua lunghezza come se fosse l'unica cosa in grado di dissetarlo. Non pensava, in quel momento, e non esisteva altro che la lingua umida e morbida sulle sue palle. Strinse la mano sui capelli dell'uomo, un po' più lunghi dell'ultima volta, e ansimò quando con entrambe le mani quello iniziò a massaggiargli lo scroto. Un pompino così era quello che ci voleva per dimenticare quella stronza intransigente.
«Vieni, andiamo sul divano» gli disse d'un tratto lo scrittore staccandosi dal suo uccello e rialzandosi «voglio fotterti fino a sentirti urlare» continuò prendendogli una mano e conducendolo davanti al camino spento. Il cazzo in tiro, e ancora fuori dai boxer, Dre si lasciò guidare, quindi appoggiò le lattine, di nuovo calde, su una mensola e rimase in attesa. «Io non urlo, tesoro, dovresti saperlo» lo canzonò alzando un sopracciglio. Vide Liam spogliarsi degli abiti seriosi che lo avvolgevano, poi avvicinarsi afferrandolo per il mento e infilargli la lingua in bocca. «Oggi lo farai» gli disse prima di baciarlo di nuovo. Dre giocò con quella punta guizzante, dolce dei suoi umori, per il tempo necessario a trovare con le dita il cazzo che pungolava il suo. Entrambi nudi, si strinsero in un abbraccio passionale, fatto di forza e desiderio, e l'eccitazione ben presto giunse al parossismo, tanto che Liam lo voltò bruscamente facendolo calare con le braccia sulla testiera del divano. Dre chiuse gli occhi, sentendo il dito bagnato di saliva frugarlo, allargandolo, e aprì la bocca nel momento in cui fu qualcosa di ben più possente a penetrarlo rudemente. Non ricordava Liam così animalesco, ma la cosa gli piacque oltremodo. Fece per portarsi una mano sull'uccello, ma lo scrittore lo bloccò per il polso, piegandosi poi sulla sua schiena per poter essere lui l'artefice del suo orgasmo. Il silenzio nella stanza, ora, era rotto solo dallo schioccare delle sue chiappe contro le cosce possenti di Liam, a ogni affondo, e dai loro respiri affannosi, sempre più corti. Il ringhio di Liam giunse dopo pochi secondi, basso e carico di un orgasmo che giudicò potente quanto quello che si approssimava a provare lui. E l'urlo ci fu, in effetti, proprio come lo scrittore gli aveva annunciato. Non un grido virile, quanto un sospiro stridulo che gli mozzò il fiato in gola, mentre la testa girava e i fiotti del suo piacere si riversavano nel palmo chiuso del compagno.
«Direi che come inizio non c'è male» sussurrò lasciandosi andare a un sorriso che, stranamente, interessò anche i suoi occhi.
Una birra. Ci voleva una birra.
«Rachel, lo so, ma cerca di capire... Non è semplice neanche per me e venire a casa tua sarebbe come ammettere che effettivamente non c'è più rimedio, che...»
«Ma un rimedio non c'è, infatti! Mamma e papà non li farai certo tornare dal mondo dei morti soltanto perché rimarrai chiuso in casa come un eremita! Lo vuoi capire che oltre al lav...»
«Ma tu che cazzo ne sai di quello che faccio io? Che cazzo ne sai di come sto elaborando il lutto, eh? Pensi che non lo sappia che loro stanno marcendo sotto terra? Pensi che non sappia che non torneranno più da me? Non sono un bambino, non ho bisogno di una seconda madre, Rachel!»
«Vorresti dire che non hai bisogno di me?»
«Ma chi cazzo ha detto una cosa del genere? Oh, porca troia, ma è possibile che ogni volta che ci sentiamo finiamo per litigare? Non ci credo...» sospirò allargando le braccia e guardando al cielo. Un cielo fatto di bianco, faretti al neon e qualche ragnatela. Umidità schivata: menomale!
«Non fare il solito teatrale, Dre. Lo sai anche tu che hai un carattere di merda» lo apostrofò sua sorella col tono della serpe che era.
Inspirò profondamente, imponendosi la calma, quindi si leccò le labbra finendo per mordersi la lingua pur di non mandarla a fanculo. Lui, un carattere di merda? E lei, allora?
«Ascolta, al di là di cosa posso o non posso pensare, ho delle scadenze da rispettare al lavoro e tu non abiti proprio qua dietro, e...»
«Cazzate, Dre. Potresti partire il 24, al mattino, e tornare il 26 sera. Oltretutto sei un fottutissimo editor e lo sai tu come lo so io che questo è un lavoro che puoi fare tranquillamente da casa. Non capisco perché non vuoi stare in famiglia a Natale...»
«Rachel, mi fa male vederti» sbottò sbattendo la mano sul tavolo, al limite della sopportazione. Il silenzio che seguì le sue parole fu eloquente, quasi quanto il click finale col quale Rachel interrompeva la conversazione.
«Cristo santo» sospirò gettando il telefono sul sofà sotto lo sguardo annoiato di Billy. Sembrava fosse abituato ai loro scazzi e in effetti era così. Quante volte litigavano al mese? Almeno due su quattro... Una buona media, di tutto rispetto... Camminò stizzito in cucina, aprì il frigo e prese una lattina di birra, quindi si voltò e si appoggiò col culo al ripiano di marmo del lavabo, sorseggiando la bibita con gli occhi persi nel vuoto. Rivangare il passato non era proprio una scelta opinabile, così come farsi il sangue amaro per una discussione che prevedeva, tra le altre cose, la sua capitolazione nel termine di un paio di giorni.
«Che coglioni, mi toccherà andarci, alla fine!» esclamò dandosi una spinta di reni e sollevandosi per tornare in salone. Si mordicchiò il labbro, ingollando altra birra, quindi abbandonò la lattina su una mensola e riprese il telefono dal sofà. Scorse i numeri sulla rubrica, con una mano sul fianco, e intercettò il nome che avrebbe potuto fare al caso suo. Cosa c'era di meglio di una sana trombata per scrollarsi di dosso tutto il nervosismo accumulato? Lui era tornato in città, d'altronde, glielo aveva detto una settimana prima e lui lo aveva liquidato con un messaggio lapidario.
«Bene, vediamo se ha tutta questa voglia di cioccolata fondente» mormorò portandosi il ricevitore all'orecchio, in attesa. L'uomo non si fece attendere, quasi stesse attendendo proprio la sua telefonata da ore. Quando si diceva il fascino del bel tenebroso...
«Liam? Sì, ciao. Senti, ma... non è che ti andrebbe di... Perfetto! Ci vediamo... ah, ok, allora tra mezz'ora qui. Il tempo di farmi la doccia e... Cazzone!» rise «Ok, ti aspetto» gli disse terminando la comunicazione. Quando si voltò aveva ancora il sorriso tra le labbra.
Lanciò un'occhiata fugace a Billy, ancora acciambellato nella sua cesta e troppo stanco per badare a lui, quindi volò verso il bagno, togliendosi la t-shirt e i pantaloncini durante il tragitto. Fece una doccia veloce, poi indossò un paio di boxer corti e aderenti e si sedette sul sofà, i piedi sul tavolino basso in cristallo, ricordo dei suoi. Di suo padre, precisamente. Accese la tv, si sporse a prendere la lattina di birra, ormai calda, e ne bevve un sorso storcendo la bocca. Natale e non sentirlo...
«Cazzo, a casa, di questi tempi, se uscivi senza paraorecchie ti ritrovavi con i lobi blu dal freddo» borbottò alzandosi « e invece qui ti si sciolgono pure le palle, se non le tieni a bada. Dicembre e fa un caldo soffocante!» finì aprendo il frigo e prendendo una nuova lattina. In quel momento il campanello di casa suonò, così ne prese una seconda e si diresse verso la porta. Era praticamente nudo, il suo cane dormiva della grossa e fuori il sole ancora era alto nel cielo. Un pompino, sorseggiando una birra ghiacciata, sarebbe stato il toccasana per i suoi nervi. Appena aprì la porta, le lattine entrambe incastrate nella destra, Liam lo divorò con lo sguardo. Se non avesse avuto i pantaloni addosso, Dre avrebbe potuto vedergli il cazzo svettare oltre l'ombelico, ne era certo.
«Uhm... è così che mi accogli, Dre?»
«Vuoi sul serio chiacchierare, tesoro?» gli rispose facendosi da parte e lasciandolo entrare. Chiuse la porta, lanciando un'occhiata alla strada deserta prima di voltarsi verso l'ospite, ma non ebbe neanche il tempo di aprire di nuovo bocca. Liam lo sbatté contro il muro e fu solo per puro caso che le birre non scivolarono dalla sua mano, andando allegramente a imbrattare il parquet. L'impatto col freddo dell'intonaco quasi lo rinvigorì, mentre le mani dello scrittore già vagavano oltre i boxer alla ricerca del suo uccello.
«Irruente...» lo apostrofò afferrandogli la testa mentre quello scendeva leccandogli il petto.
«Non sai da quanto desideravo rivederti» mormorò in risposta Liam, inginocchiandosi davanti alla sua erezione scura e pronta. Dre cercò di ignorare il campanello d'allarme che quelle parole avrebbero dovuto segnalargli, chiudendo invece gli occhi e abbandonando la testa all'indietro al primo guizzo di lingua sulla cappella.
«Uhm...» mugolò quando Liam glielo prese in bocca d'un colpo, leccando forsennato tutta la sua lunghezza come se fosse l'unica cosa in grado di dissetarlo. Non pensava, in quel momento, e non esisteva altro che la lingua umida e morbida sulle sue palle. Strinse la mano sui capelli dell'uomo, un po' più lunghi dell'ultima volta, e ansimò quando con entrambe le mani quello iniziò a massaggiargli lo scroto. Un pompino così era quello che ci voleva per dimenticare quella stronza intransigente.
«Vieni, andiamo sul divano» gli disse d'un tratto lo scrittore staccandosi dal suo uccello e rialzandosi «voglio fotterti fino a sentirti urlare» continuò prendendogli una mano e conducendolo davanti al camino spento. Il cazzo in tiro, e ancora fuori dai boxer, Dre si lasciò guidare, quindi appoggiò le lattine, di nuovo calde, su una mensola e rimase in attesa. «Io non urlo, tesoro, dovresti saperlo» lo canzonò alzando un sopracciglio. Vide Liam spogliarsi degli abiti seriosi che lo avvolgevano, poi avvicinarsi afferrandolo per il mento e infilargli la lingua in bocca. «Oggi lo farai» gli disse prima di baciarlo di nuovo. Dre giocò con quella punta guizzante, dolce dei suoi umori, per il tempo necessario a trovare con le dita il cazzo che pungolava il suo. Entrambi nudi, si strinsero in un abbraccio passionale, fatto di forza e desiderio, e l'eccitazione ben presto giunse al parossismo, tanto che Liam lo voltò bruscamente facendolo calare con le braccia sulla testiera del divano. Dre chiuse gli occhi, sentendo il dito bagnato di saliva frugarlo, allargandolo, e aprì la bocca nel momento in cui fu qualcosa di ben più possente a penetrarlo rudemente. Non ricordava Liam così animalesco, ma la cosa gli piacque oltremodo. Fece per portarsi una mano sull'uccello, ma lo scrittore lo bloccò per il polso, piegandosi poi sulla sua schiena per poter essere lui l'artefice del suo orgasmo. Il silenzio nella stanza, ora, era rotto solo dallo schioccare delle sue chiappe contro le cosce possenti di Liam, a ogni affondo, e dai loro respiri affannosi, sempre più corti. Il ringhio di Liam giunse dopo pochi secondi, basso e carico di un orgasmo che giudicò potente quanto quello che si approssimava a provare lui. E l'urlo ci fu, in effetti, proprio come lo scrittore gli aveva annunciato. Non un grido virile, quanto un sospiro stridulo che gli mozzò il fiato in gola, mentre la testa girava e i fiotti del suo piacere si riversavano nel palmo chiuso del compagno.
«Direi che come inizio non c'è male» sussurrò lasciandosi andare a un sorriso che, stranamente, interessò anche i suoi occhi.
Una birra. Ci voleva una birra.
Published on December 10, 2015 15:31
Birra: ci vuole una birra.
«Dre, non puoi mancare, Cristo! Lo sai che i bambini ci tengono e io... Non puoi lasciarmi da sola proprio la sera di Natale, non dopo tutto quello che è successo...»
«Rachel, lo so, ma cerca di capire... Non è semplice neanche per me e venire a casa tua sarebbe come ammettere che effettivamente non c'è più rimedio, che...»
«Ma un rimedio non c'è, infatti! Mamma e papà non li farai certo tornare dal mondo dei morti soltanto perché rimarrai chiuso in casa come un eremita! Lo vuoi capire che oltre al lav...»
«Ma tu che cazzo ne sai di quello che faccio io? Che cazzo ne sai di come sto elaborando il lutto, eh? Pensi che non lo sappia che loro stanno marcendo sotto terra? Pensi che non sappia che non torneranno più da me? Non sono un bambino, non ho bisogno di una seconda madre, Rachel!»
«Vorresti dire che non hai bisogno di me?»
«Ma chi cazzo ha detto una cosa del genere? Oh, porca troia, ma è possibile che ogni volta che ci sentiamo finiamo per litigare? Non ci credo...» sospirò allargando le braccia e guardando al cielo. Un cielo fatto di bianco, faretti al neon e qualche ragnatela. Umidità schivata: menomale!
«Non fare il solito teatrale, Dre. Lo sai anche tu che hai un carattere di merda» lo apostrofò sua sorella col tono della serpe che era.
Inspirò profondamente, imponendosi la calma, quindi si leccò le labbra finendo per mordersi la lingua pur di non mandarla a fanculo. Lui, un carattere di merda? E lei, allora?
«Ascolta, al di là di cosa posso o non posso pensare, ho delle scadenze da rispettare al lavoro e tu non abiti proprio qua dietro, e...»
«Cazzate, Dre. Potresti partire il 24, al mattino, e tornare il 26 sera. Oltretutto sei un fottutissimo editor e lo sai tu come lo so io che questo è un lavoro che puoi fare tranquillamente da casa. Non capisco perché non vuoi stare in famiglia a Natale...»
«Rachel, mi fa male vederti» sbottò sbattendo la mano sul tavolo, al limite della sopportazione. Il silenzio che seguì le sue parole fu eloquente, quasi quanto il click finale col quale Rachel interrompeva la conversazione.
«Cristo santo» sospirò gettando il telefono sul sofà sotto lo sguardo annoiato di Billy. Sembrava fosse abituato ai loro scazzi e in effetti era così. Quante volte litigavano al mese? Almeno due su quattro... Una buona media, di tutto rispetto... Camminò stizzito in cucina, aprì il frigo e prese una lattina di birra, quindi si voltò e si appoggiò col culo al ripiano di marmo del lavabo, sorseggiando la bibita con gli occhi persi nel vuoto. Rivangare il passato non era proprio una scelta opinabile, così come farsi il sangue amaro per una discussione che prevedeva, tra le altre cose, la sua capitolazione nel termine di un paio di giorni.
«Che coglioni, mi toccherà andarci, alla fine!» esclamò dandosi una spinta di reni e sollevandosi per tornare in salone. Si mordicchiò il labbro, ingollando altra birra, quindi abbandonò la lattina su una mensola e riprese il telefono dal sofà. Scorse i numeri sulla rubrica, con una mano sul fianco, e intercettò il nome che avrebbe potuto fare al caso suo. Cosa c'era di meglio di una sana trombata per scrollarsi di dosso tutto il nervosismo accumulato? Lui era tornato in città, d'altronde, glielo aveva detto una settimana prima e lui lo aveva liquidato con un messaggio lapidario.
«Bene, vediamo se ha tutta questa voglia di cioccolata fondente» mormorò portandosi il ricevitore all'orecchio, in attesa. L'uomo non si fece attendere, quasi stesse attendendo proprio la sua telefonata da ore. Quando si diceva il fascino del bel tenebroso...
«Liam? Sì, ciao. Senti, ma... non è che ti andrebbe di... Perfetto! Ci vediamo... ah, ok, allora tra mezz'ora qui. Il tempo di farmi la doccia e... Cazzone!» rise «Ok, ti aspetto» gli disse terminando la comunicazione. Quando si voltò aveva ancora il sorriso tra le labbra.
Lanciò un'occhiata fugace a Billy, ancora acciambellato nella sua cesta e troppo stanco per badare a lui, quindi volò verso il bagno, togliendosi la t-shirt e i pantaloncini durante il tragitto. Fece una doccia veloce, poi indossò un paio di boxer corti e aderenti e si sedette sul sofà, i piedi sul tavolino basso in cristallo, ricordo dei suoi. Di suo padre, precisamente. Accese la tv, si sporse a prendere la lattina di birra, ormai calda, e ne bevve un sorso storcendo la bocca. Natale e non sentirlo...
«Cazzo, a casa, di questi tempi, se uscivi senza paraorecchie ti ritrovavi con i lobi blu dal freddo» borbottò alzandosi « e invece qui ti si sciolgono pure le palle, se non le tieni a bada. Dicembre e fa un caldo soffocante!» finì aprendo il frigo e prendendo una nuova lattina. In quel momento il campanello di casa suonò, così ne prese una seconda e si diresse verso la porta. Era praticamente nudo, il suo cane dormiva della grossa e fuori il sole ancora era alto nel cielo. Un pompino, sorseggiando una birra ghiacciata, sarebbe stato il toccasana per i suoi nervi. Appena aprì la porta, le lattine entrambe incastrate nella destra, Liam lo divorò con lo sguardo. Se non avesse avuto i pantaloni addosso, Dre avrebbe potuto vedergli il cazzo svettare oltre l'ombelico, ne era certo.
«Uhm... è così che mi accogli, Dre?»
«Vuoi sul serio chiacchierare, tesoro?» gli rispose facendosi da parte e lasciandolo entrare. Chiuse la porta, lanciando un'occhiata alla strada deserta prima di voltarsi verso l'ospite, ma non ebbe neanche il tempo di aprire di nuovo bocca. Liam lo sbatté contro il muro e fu solo per puro caso che le birre non scivolarono dalla sua mano, andando allegramente a imbrattare il parquet. L'impatto col freddo dell'intonaco quasi lo rinvigorì, mentre le mani dello scrittore già vagavano oltre i boxer alla ricerca del suo uccello.
«Irruente...» lo apostrofò afferrandogli la testa mentre quello scendeva leccandogli il petto.
«Non sai da quanto desideravo rivederti» mormorò in risposta Liam, inginocchiandosi davanti alla sua erezione scura e pronta. Dre cercò di ignorare il campanello d'allarme che quelle parole avrebbero dovuto segnalargli, chiudendo invece gli occhi e abbandonando la testa all'indietro al primo guizzo di lingua sulla cappella.
«Uhm...» mugolò quando Liam glielo prese in bocca d'un colpo, leccando forsennato tutta la sua lunghezza come se fosse l'unica cosa in grado di dissetarlo. Non pensava, in quel momento, e non esisteva altro che la lingua umida e morbida sulle sue palle. Strinse la mano sui capelli dell'uomo, un po' più lunghi dell'ultima volta, e ansimò quando con entrambe le mani quello iniziò a massaggiargli lo scroto. Un pompino così era quello che ci voleva per dimenticare quella stronza intransigente.
«Vieni, andiamo sul divano» gli disse d'un tratto lo scrittore staccandosi dal suo uccello e rialzandosi «voglio fotterti fino a sentirti urlare» continuò prendendogli una mano e conducendolo davanti al camino spento. Il cazzo in tiro, e ancora fuori dai boxer, Dre si lasciò guidare, quindi appoggiò le lattine, di nuovo calde, su una mensola e rimase in attesa. «Io non urlo, tesoro, dovresti saperlo» lo canzonò alzando un sopracciglio. Vide Liam spogliarsi degli abiti seriosi che lo avvolgevano, poi avvicinarsi afferrandolo per il mento e infilargli la lingua in bocca. «Oggi lo farai» gli disse prima di baciarlo di nuovo. Dre giocò con quella punta guizzante, dolce dei suoi umori, per il tempo necessario a trovare con le dita il cazzo che pungolava il suo. Entrambi nudi, si strinsero in un abbraccio passionale, fatto di forza e desiderio, e l'eccitazione ben presto giunse al parossismo, tanto che Liam lo voltò bruscamente facendolo calare con le braccia sulla testiera del divano. Dre chiuse gli occhi, sentendo il dito bagnato di saliva frugarlo, allargandolo, e aprì la bocca nel momento in cui fu qualcosa di ben più possente a penetrarlo rudemente. Non ricordava Liam così animalesco, ma la cosa gli piacque oltremodo. Fece per portarsi una mano sull'uccello, ma lo scrittore lo bloccò per il polso, piegandosi poi sulla sua schiena per poter essere lui l'artefice del suo orgasmo. Il silenzio nella stanza, ora, era rotto solo dallo schioccare delle sue chiappe contro le cosce possenti di Liam, a ogni affondo, e dai loro respiri affannosi, sempre più corti. Il ringhio di Liam giunse dopo pochi secondi, basso e carico di un orgasmo che giudicò potente quanto quello che si approssimava a provare lui. E l'urlo ci fu, in effetti, proprio come lo scrittore gli aveva annunciato. Non un grido virile, quanto un sospiro stridulo che gli mozzò il fiato in gola, mentre la testa girava e i fiotti del suo piacere si riversavano nel palmo chiuso del compagno.
«Direi che come inizio non c'è male» sussurrò lasciandosi andare a un sorriso che, stranamente, interessò anche i suoi occhi.
Una birra. Ci voleva una birra.
«Rachel, lo so, ma cerca di capire... Non è semplice neanche per me e venire a casa tua sarebbe come ammettere che effettivamente non c'è più rimedio, che...»
«Ma un rimedio non c'è, infatti! Mamma e papà non li farai certo tornare dal mondo dei morti soltanto perché rimarrai chiuso in casa come un eremita! Lo vuoi capire che oltre al lav...»
«Ma tu che cazzo ne sai di quello che faccio io? Che cazzo ne sai di come sto elaborando il lutto, eh? Pensi che non lo sappia che loro stanno marcendo sotto terra? Pensi che non sappia che non torneranno più da me? Non sono un bambino, non ho bisogno di una seconda madre, Rachel!»
«Vorresti dire che non hai bisogno di me?»
«Ma chi cazzo ha detto una cosa del genere? Oh, porca troia, ma è possibile che ogni volta che ci sentiamo finiamo per litigare? Non ci credo...» sospirò allargando le braccia e guardando al cielo. Un cielo fatto di bianco, faretti al neon e qualche ragnatela. Umidità schivata: menomale!
«Non fare il solito teatrale, Dre. Lo sai anche tu che hai un carattere di merda» lo apostrofò sua sorella col tono della serpe che era.
Inspirò profondamente, imponendosi la calma, quindi si leccò le labbra finendo per mordersi la lingua pur di non mandarla a fanculo. Lui, un carattere di merda? E lei, allora?
«Ascolta, al di là di cosa posso o non posso pensare, ho delle scadenze da rispettare al lavoro e tu non abiti proprio qua dietro, e...»
«Cazzate, Dre. Potresti partire il 24, al mattino, e tornare il 26 sera. Oltretutto sei un fottutissimo editor e lo sai tu come lo so io che questo è un lavoro che puoi fare tranquillamente da casa. Non capisco perché non vuoi stare in famiglia a Natale...»
«Rachel, mi fa male vederti» sbottò sbattendo la mano sul tavolo, al limite della sopportazione. Il silenzio che seguì le sue parole fu eloquente, quasi quanto il click finale col quale Rachel interrompeva la conversazione.
«Cristo santo» sospirò gettando il telefono sul sofà sotto lo sguardo annoiato di Billy. Sembrava fosse abituato ai loro scazzi e in effetti era così. Quante volte litigavano al mese? Almeno due su quattro... Una buona media, di tutto rispetto... Camminò stizzito in cucina, aprì il frigo e prese una lattina di birra, quindi si voltò e si appoggiò col culo al ripiano di marmo del lavabo, sorseggiando la bibita con gli occhi persi nel vuoto. Rivangare il passato non era proprio una scelta opinabile, così come farsi il sangue amaro per una discussione che prevedeva, tra le altre cose, la sua capitolazione nel termine di un paio di giorni.
«Che coglioni, mi toccherà andarci, alla fine!» esclamò dandosi una spinta di reni e sollevandosi per tornare in salone. Si mordicchiò il labbro, ingollando altra birra, quindi abbandonò la lattina su una mensola e riprese il telefono dal sofà. Scorse i numeri sulla rubrica, con una mano sul fianco, e intercettò il nome che avrebbe potuto fare al caso suo. Cosa c'era di meglio di una sana trombata per scrollarsi di dosso tutto il nervosismo accumulato? Lui era tornato in città, d'altronde, glielo aveva detto una settimana prima e lui lo aveva liquidato con un messaggio lapidario.
«Bene, vediamo se ha tutta questa voglia di cioccolata fondente» mormorò portandosi il ricevitore all'orecchio, in attesa. L'uomo non si fece attendere, quasi stesse attendendo proprio la sua telefonata da ore. Quando si diceva il fascino del bel tenebroso...
«Liam? Sì, ciao. Senti, ma... non è che ti andrebbe di... Perfetto! Ci vediamo... ah, ok, allora tra mezz'ora qui. Il tempo di farmi la doccia e... Cazzone!» rise «Ok, ti aspetto» gli disse terminando la comunicazione. Quando si voltò aveva ancora il sorriso tra le labbra.
Lanciò un'occhiata fugace a Billy, ancora acciambellato nella sua cesta e troppo stanco per badare a lui, quindi volò verso il bagno, togliendosi la t-shirt e i pantaloncini durante il tragitto. Fece una doccia veloce, poi indossò un paio di boxer corti e aderenti e si sedette sul sofà, i piedi sul tavolino basso in cristallo, ricordo dei suoi. Di suo padre, precisamente. Accese la tv, si sporse a prendere la lattina di birra, ormai calda, e ne bevve un sorso storcendo la bocca. Natale e non sentirlo...
«Cazzo, a casa, di questi tempi, se uscivi senza paraorecchie ti ritrovavi con i lobi blu dal freddo» borbottò alzandosi « e invece qui ti si sciolgono pure le palle, se non le tieni a bada. Dicembre e fa un caldo soffocante!» finì aprendo il frigo e prendendo una nuova lattina. In quel momento il campanello di casa suonò, così ne prese una seconda e si diresse verso la porta. Era praticamente nudo, il suo cane dormiva della grossa e fuori il sole ancora era alto nel cielo. Un pompino, sorseggiando una birra ghiacciata, sarebbe stato il toccasana per i suoi nervi. Appena aprì la porta, le lattine entrambe incastrate nella destra, Liam lo divorò con lo sguardo. Se non avesse avuto i pantaloni addosso, Dre avrebbe potuto vedergli il cazzo svettare oltre l'ombelico, ne era certo.
«Uhm... è così che mi accogli, Dre?»
«Vuoi sul serio chiacchierare, tesoro?» gli rispose facendosi da parte e lasciandolo entrare. Chiuse la porta, lanciando un'occhiata alla strada deserta prima di voltarsi verso l'ospite, ma non ebbe neanche il tempo di aprire di nuovo bocca. Liam lo sbatté contro il muro e fu solo per puro caso che le birre non scivolarono dalla sua mano, andando allegramente a imbrattare il parquet. L'impatto col freddo dell'intonaco quasi lo rinvigorì, mentre le mani dello scrittore già vagavano oltre i boxer alla ricerca del suo uccello.
«Irruente...» lo apostrofò afferrandogli la testa mentre quello scendeva leccandogli il petto.
«Non sai da quanto desideravo rivederti» mormorò in risposta Liam, inginocchiandosi davanti alla sua erezione scura e pronta. Dre cercò di ignorare il campanello d'allarme che quelle parole avrebbero dovuto segnalargli, chiudendo invece gli occhi e abbandonando la testa all'indietro al primo guizzo di lingua sulla cappella.
«Uhm...» mugolò quando Liam glielo prese in bocca d'un colpo, leccando forsennato tutta la sua lunghezza come se fosse l'unica cosa in grado di dissetarlo. Non pensava, in quel momento, e non esisteva altro che la lingua umida e morbida sulle sue palle. Strinse la mano sui capelli dell'uomo, un po' più lunghi dell'ultima volta, e ansimò quando con entrambe le mani quello iniziò a massaggiargli lo scroto. Un pompino così era quello che ci voleva per dimenticare quella stronza intransigente.
«Vieni, andiamo sul divano» gli disse d'un tratto lo scrittore staccandosi dal suo uccello e rialzandosi «voglio fotterti fino a sentirti urlare» continuò prendendogli una mano e conducendolo davanti al camino spento. Il cazzo in tiro, e ancora fuori dai boxer, Dre si lasciò guidare, quindi appoggiò le lattine, di nuovo calde, su una mensola e rimase in attesa. «Io non urlo, tesoro, dovresti saperlo» lo canzonò alzando un sopracciglio. Vide Liam spogliarsi degli abiti seriosi che lo avvolgevano, poi avvicinarsi afferrandolo per il mento e infilargli la lingua in bocca. «Oggi lo farai» gli disse prima di baciarlo di nuovo. Dre giocò con quella punta guizzante, dolce dei suoi umori, per il tempo necessario a trovare con le dita il cazzo che pungolava il suo. Entrambi nudi, si strinsero in un abbraccio passionale, fatto di forza e desiderio, e l'eccitazione ben presto giunse al parossismo, tanto che Liam lo voltò bruscamente facendolo calare con le braccia sulla testiera del divano. Dre chiuse gli occhi, sentendo il dito bagnato di saliva frugarlo, allargandolo, e aprì la bocca nel momento in cui fu qualcosa di ben più possente a penetrarlo rudemente. Non ricordava Liam così animalesco, ma la cosa gli piacque oltremodo. Fece per portarsi una mano sull'uccello, ma lo scrittore lo bloccò per il polso, piegandosi poi sulla sua schiena per poter essere lui l'artefice del suo orgasmo. Il silenzio nella stanza, ora, era rotto solo dallo schioccare delle sue chiappe contro le cosce possenti di Liam, a ogni affondo, e dai loro respiri affannosi, sempre più corti. Il ringhio di Liam giunse dopo pochi secondi, basso e carico di un orgasmo che giudicò potente quanto quello che si approssimava a provare lui. E l'urlo ci fu, in effetti, proprio come lo scrittore gli aveva annunciato. Non un grido virile, quanto un sospiro stridulo che gli mozzò il fiato in gola, mentre la testa girava e i fiotti del suo piacere si riversavano nel palmo chiuso del compagno.
«Direi che come inizio non c'è male» sussurrò lasciandosi andare a un sorriso che, stranamente, interessò anche i suoi occhi.
Una birra. Ci voleva una birra.
Published on December 10, 2015 15:31
December 3, 2015
La doccia
Girò la chiave nella toppa ed entrò fischiando sonoramente.
«Billy?! Hai finito di ronfare come un orso?» gridò allegramente chiudendosi la porta alle spalle. L'odore penetrante del nuovo profumatore alla vaniglia lo investì subito, nauseandolo. Chi cazzo glielo aveva fatto fare di comprare quell'affare disgustoso? Non avrebbe dovuto "profumare l'ambiente in maniera delicata e davvero gradevole, signore, vedrà... mi ringrazierà!"?
«Un cazzo» borbottò sfilandosi la giacca «fa uno schifo immondo. Vaniglia... Che cazzo mi è saltato in mente? L'ho sempre odiata, io...»
Si voltò e appese il soprabito alla gruccia in ferro battuto appesa al muro, quindi si tolse le scarpe mantenendo l'equilibro con una mano saldamente ancorata alla credenza dell'ingresso.
«Palla di pelo? Dove sei, scroccone?» chiamò di nuovo voltandosi verso la sala. «Solo io ho un cane che non gliene fotte un cazzo del padrone. "Carino, mi fa sempre le feste quando torno"» parafrasò in falsetto camminando verso la cucina «e io invece ho un sacco di pulci sociopatico. Ehi» disse fermandosi davanti alla cesta enorme quanto il suo cane, sotto le scale «ce l'ho con te. Almeno potresti degnarti di alzare la testa» continuò piegandosi sulle ginocchia. Billy aprì un occhio, mugolando appena, quindi si alzò sulle zampe, si scrollò energicamente in un trionfo di peli bianchi, poi sbadigliò pigramente.
«Ecco, sì, mi raccomando: manda quei cazzo di peli ovunque» lo apostrofò protraendo una mano per accarezzarlo «che poi c'è la serva, qui, che pulisce tutto... Cristo, che palle» aggiunse dandosi del coglione. Sua madre gli aveva fatto una testa così, quando era piccolo, sui commenti sessisti, ma a lui non entrava proprio in testa quell'argomento. Non lo faceva per cattiveria, era istintivo.
«Ma guarda tu se devo farmi tutte queste seghe mentali per una stronzata del genere» mormorò continuando ad accarezzare bonariamente il suo compagno con un sorriso mesto sulle labbra. Era stato un vero dramma trasportare Billy da Alberta a Melbourne, ma neanche i suoi occhioni tristi avevano potuto niente sulla decisione di andarsene via da quella casa. Tutto, lì, urlava dolore.
Si leccò le labbra, allargando le narici, e inspirò a pieni polmoni con lo sguardo perso nel vuoto. Avrebbe dovuto chiamare Rachel, ma il solo pensiero gli provocava un'ulcera perforante che desiderava evitare con tutte le sue forze. Sua sorella era tanto cara, ma una stronza...
«Avanti» si riscosse dando un'ultima pacca sul groppone di Billy «accendo il camino, mi faccio una doccia e poi mangiamo» concluse alzandosi e portando le mani ai fianchi. «Che dici, stasera bistecca per me e solita scatoletta per te? O vuoi quel pappone schifoso che puzza a tre chilometri di distanza?» chiese al cane osservandolo. Era talmente abituato a trattarlo come un suo pari che non si poneva il problema di sembrare uno stupido. E comunque non era stupido: quel pastore, ormai, era la sua famiglia.
«Ed ecco una nuova puntata dei dialoghi interiori di Dre Walker, signore e signori» proclamò cominciando ad armeggiare con la legna «ma questa volta dovete pagare il biglietto. Oh sì» continuò soffiando sulla scintilla appena avviata «perché mi sono rotto il cazzo di farvi da giullare, o sadico pubblico.» Osservò per un momento il fuoco crepitare nella nicchia di pietra, quindi si slacciò i primi bottoni della camicia e si incamminò verso il bagno. Fece scrosciare l'acqua, saggiandone il calore, via via più intenso, con una mano, quindi si spogliò e osservò il suo profilo davanti allo specchio. Come sempre una gioia per gli occhi.
«Quando ci vuole, ci vuole: sono un figo e me lo dico da solo... Ti credo che gli uomini fanno a gara per scoparmi» disse al proprio riflesso guardandosi su entrambi i lati. Schioccò le labbra e sorrise al suo doppio prima di entrare nella cabina doccia. Chiuse gli occhi appena il lento fluire dell'acqua lo avvolse, quindi inclinò il capo all'indietro e lasciò lo stress scivolare lungo il canale di scolo. Senza neanche averne percezione, portò una mano sul petto, accarezzando piano la pelle tesa, poi scese lungo l'addome fino ad arrivare al membro floscio. Non ci aveva pensato neanche per un attimo, prima di entrare lì dentro, ma ormai c'era... perché non approfittarne? Cominciò a massaggiarsi l'uccello, scegliendo con cura la situazione favorevole tra le innumerevoli fantasie a disposizione. Aveva trombato con così tanti uomini da avere l'imbarazzo della scelta. Mentre il sangue iniziava a fluire nelle vene in tensione, si leccò le labbra lasciandosi andare a un paio di occhi verdi che lo avevano catturato qualche mese prima. E con il cui proprietario aveva scopato alla grande per due ore. Era alto, fisico asciutto, occhi contornati da ciglia nere e folte, tanto che sembrava avesse messo il kajal - e forse era anche così, conoscendo alcuni tipi - capello riccio e moro, conturbante, e labbra da succhiacazzi conclamato. L'uccello iniziò a indurirsi, nella sua mano destra, mentre l'altra giaceva abbandonata lungo i fianchi. Quelle cazzate sul tenere occupato tutto ciò che si aveva a disposizione lo indispettivano. Per una sega erano sufficienti le dita di una mano sola, tutt'al più il palmo, ma l'altra? Cazzo, se stava ferma non succedeva proprio niente. Dischiuse la bocca, lasciando che l'acqua vi scivolasse dentro, accarezzando la lingua e lambendo i denti, mentre l'uomo dagli occhi verdi prendeva posto davanti al suo bacino in attesa che lo riempisse. E lo fece, giocando di polso in maniera un po' più accentuata, penetrandogli quelle labbra carnose e magnifiche e osservandolo succhiare a occhi chiusi tutta la sua lunghezza. Non si era mai potuto lamentare delle sue dimensioni, anche se non erano da record... ma in fondo a che serviva? A niente, appunto.
Gemette, aumentando la velocità e raggiungendo una dimensione parallela di piacere paradisiaco.
«Uhm» mormorò mentre lo sconosciuto leccava la cappella guizzando la lingua da una parte all'altra. Lo stava gustando come piaceva a lui, come avrebbe sempre voluto avvenisse, come...
Venne portandosi un pugno alla bocca, soffocando un rantolo spontaneo, quindi aprì gli occhi sorretto dall'ondata di adrenalina che lo aveva appena investito. Puntini neri e bianchi galleggiavano a mezz'aria ovunque volgesse lo sguardo, e si impose di respirare regolarmente, riportando anche i battiti cardiaci a più miti consigli. Niente di meglio di un cazzo di orgasmo in solitaria... A volte era meglio quello che una scopata in coppia. Si pulì sotto il getto d'acqua, insaponandosi con cura e risciacquando il corpo come un perfetto maggiordomo alle prese con un pavimento incrostato, quindi chiuse il rubinetto e uscì dalla cabina giusto in tempo per sentire Billy grattare alla porta in cerca di cibo.
«Che coglioni...» sospirò «Arrivo, mangiaufo a tradimento!» urlò al silenzio del bagno, quindi si tuffò nell'accappatoio, si immerse nella colonia e si vestì, pronto per una serata pigra e serena.
«Billy?! Hai finito di ronfare come un orso?» gridò allegramente chiudendosi la porta alle spalle. L'odore penetrante del nuovo profumatore alla vaniglia lo investì subito, nauseandolo. Chi cazzo glielo aveva fatto fare di comprare quell'affare disgustoso? Non avrebbe dovuto "profumare l'ambiente in maniera delicata e davvero gradevole, signore, vedrà... mi ringrazierà!"?
«Un cazzo» borbottò sfilandosi la giacca «fa uno schifo immondo. Vaniglia... Che cazzo mi è saltato in mente? L'ho sempre odiata, io...»
Si voltò e appese il soprabito alla gruccia in ferro battuto appesa al muro, quindi si tolse le scarpe mantenendo l'equilibro con una mano saldamente ancorata alla credenza dell'ingresso.
«Palla di pelo? Dove sei, scroccone?» chiamò di nuovo voltandosi verso la sala. «Solo io ho un cane che non gliene fotte un cazzo del padrone. "Carino, mi fa sempre le feste quando torno"» parafrasò in falsetto camminando verso la cucina «e io invece ho un sacco di pulci sociopatico. Ehi» disse fermandosi davanti alla cesta enorme quanto il suo cane, sotto le scale «ce l'ho con te. Almeno potresti degnarti di alzare la testa» continuò piegandosi sulle ginocchia. Billy aprì un occhio, mugolando appena, quindi si alzò sulle zampe, si scrollò energicamente in un trionfo di peli bianchi, poi sbadigliò pigramente.
«Ecco, sì, mi raccomando: manda quei cazzo di peli ovunque» lo apostrofò protraendo una mano per accarezzarlo «che poi c'è la serva, qui, che pulisce tutto... Cristo, che palle» aggiunse dandosi del coglione. Sua madre gli aveva fatto una testa così, quando era piccolo, sui commenti sessisti, ma a lui non entrava proprio in testa quell'argomento. Non lo faceva per cattiveria, era istintivo.
«Ma guarda tu se devo farmi tutte queste seghe mentali per una stronzata del genere» mormorò continuando ad accarezzare bonariamente il suo compagno con un sorriso mesto sulle labbra. Era stato un vero dramma trasportare Billy da Alberta a Melbourne, ma neanche i suoi occhioni tristi avevano potuto niente sulla decisione di andarsene via da quella casa. Tutto, lì, urlava dolore.
Si leccò le labbra, allargando le narici, e inspirò a pieni polmoni con lo sguardo perso nel vuoto. Avrebbe dovuto chiamare Rachel, ma il solo pensiero gli provocava un'ulcera perforante che desiderava evitare con tutte le sue forze. Sua sorella era tanto cara, ma una stronza...
«Avanti» si riscosse dando un'ultima pacca sul groppone di Billy «accendo il camino, mi faccio una doccia e poi mangiamo» concluse alzandosi e portando le mani ai fianchi. «Che dici, stasera bistecca per me e solita scatoletta per te? O vuoi quel pappone schifoso che puzza a tre chilometri di distanza?» chiese al cane osservandolo. Era talmente abituato a trattarlo come un suo pari che non si poneva il problema di sembrare uno stupido. E comunque non era stupido: quel pastore, ormai, era la sua famiglia.
«Ed ecco una nuova puntata dei dialoghi interiori di Dre Walker, signore e signori» proclamò cominciando ad armeggiare con la legna «ma questa volta dovete pagare il biglietto. Oh sì» continuò soffiando sulla scintilla appena avviata «perché mi sono rotto il cazzo di farvi da giullare, o sadico pubblico.» Osservò per un momento il fuoco crepitare nella nicchia di pietra, quindi si slacciò i primi bottoni della camicia e si incamminò verso il bagno. Fece scrosciare l'acqua, saggiandone il calore, via via più intenso, con una mano, quindi si spogliò e osservò il suo profilo davanti allo specchio. Come sempre una gioia per gli occhi.
«Quando ci vuole, ci vuole: sono un figo e me lo dico da solo... Ti credo che gli uomini fanno a gara per scoparmi» disse al proprio riflesso guardandosi su entrambi i lati. Schioccò le labbra e sorrise al suo doppio prima di entrare nella cabina doccia. Chiuse gli occhi appena il lento fluire dell'acqua lo avvolse, quindi inclinò il capo all'indietro e lasciò lo stress scivolare lungo il canale di scolo. Senza neanche averne percezione, portò una mano sul petto, accarezzando piano la pelle tesa, poi scese lungo l'addome fino ad arrivare al membro floscio. Non ci aveva pensato neanche per un attimo, prima di entrare lì dentro, ma ormai c'era... perché non approfittarne? Cominciò a massaggiarsi l'uccello, scegliendo con cura la situazione favorevole tra le innumerevoli fantasie a disposizione. Aveva trombato con così tanti uomini da avere l'imbarazzo della scelta. Mentre il sangue iniziava a fluire nelle vene in tensione, si leccò le labbra lasciandosi andare a un paio di occhi verdi che lo avevano catturato qualche mese prima. E con il cui proprietario aveva scopato alla grande per due ore. Era alto, fisico asciutto, occhi contornati da ciglia nere e folte, tanto che sembrava avesse messo il kajal - e forse era anche così, conoscendo alcuni tipi - capello riccio e moro, conturbante, e labbra da succhiacazzi conclamato. L'uccello iniziò a indurirsi, nella sua mano destra, mentre l'altra giaceva abbandonata lungo i fianchi. Quelle cazzate sul tenere occupato tutto ciò che si aveva a disposizione lo indispettivano. Per una sega erano sufficienti le dita di una mano sola, tutt'al più il palmo, ma l'altra? Cazzo, se stava ferma non succedeva proprio niente. Dischiuse la bocca, lasciando che l'acqua vi scivolasse dentro, accarezzando la lingua e lambendo i denti, mentre l'uomo dagli occhi verdi prendeva posto davanti al suo bacino in attesa che lo riempisse. E lo fece, giocando di polso in maniera un po' più accentuata, penetrandogli quelle labbra carnose e magnifiche e osservandolo succhiare a occhi chiusi tutta la sua lunghezza. Non si era mai potuto lamentare delle sue dimensioni, anche se non erano da record... ma in fondo a che serviva? A niente, appunto.
Gemette, aumentando la velocità e raggiungendo una dimensione parallela di piacere paradisiaco.
«Uhm» mormorò mentre lo sconosciuto leccava la cappella guizzando la lingua da una parte all'altra. Lo stava gustando come piaceva a lui, come avrebbe sempre voluto avvenisse, come...
Venne portandosi un pugno alla bocca, soffocando un rantolo spontaneo, quindi aprì gli occhi sorretto dall'ondata di adrenalina che lo aveva appena investito. Puntini neri e bianchi galleggiavano a mezz'aria ovunque volgesse lo sguardo, e si impose di respirare regolarmente, riportando anche i battiti cardiaci a più miti consigli. Niente di meglio di un cazzo di orgasmo in solitaria... A volte era meglio quello che una scopata in coppia. Si pulì sotto il getto d'acqua, insaponandosi con cura e risciacquando il corpo come un perfetto maggiordomo alle prese con un pavimento incrostato, quindi chiuse il rubinetto e uscì dalla cabina giusto in tempo per sentire Billy grattare alla porta in cerca di cibo.
«Che coglioni...» sospirò «Arrivo, mangiaufo a tradimento!» urlò al silenzio del bagno, quindi si tuffò nell'accappatoio, si immerse nella colonia e si vestì, pronto per una serata pigra e serena.
Published on December 03, 2015 05:59
November 30, 2015
Il Castello Rospigliosi. I luoghi di Volevo solo te. Tra fantasy e realtà
Pur non essendo menzionato all'interno del libro, il Castello Rospigliosi occupa un ruolo fondamentale nei cuori dei cittadini della costa laziale in cui si svolgono le vicende di Volevo solo te. Maccarese, infatti, è legata a doppio nodo con il castello medioevale che troneggia al di là del ponte e che sembra sorridere, gentile, agli avventori già dalle mura esterne. Eppure non tutti conoscono le origini, davvero suggestive, che hanno determinato non solo l'aspetto, ma anche il nome di questo maniero passato quasi in secondo piano ai più, ma denso di storia.
Leggende popolari narrano che, nel XII secolo circa, la zona di Maccarese fosse infestata da un terribile drago e che tutti i residenti del luogo, cacciatori e pescatori, ne fossero profondamente terrorizzati tanto da disperdersi ed evitare di frequentare le zone più isolate del paese. Con il passare del tempo furono proprio i cittadini a richiedere l'intervento del papa con l'intento di risolvere l'impasse che rendeva impossibile una pacifica permanenza nella zona. Fu per questo motivo che la chiesa bandì un torneo, a cui presero parte numerosi cavalieri delle famiglie romane più importanti, per stanare e sconfiggere il famigerato drago.
Si narrava che la terribile creatura vivesse in una grotta poco distante dalla città e che lì si nascondesse; forti di questa certezza, i cavalieri si presentarono compatti sulla soglia della grotta (da qui il nome di Malagrotta) senza però sventare il pericolo. Il drago, infatti, uscendo dal suo nascondiglio terrorizzò tutti a tal punto da far scappare anche il più temerario. Soltanto Giorgio dei conti Anguillara rimase, stoico, al suo posto combattendo alacremente e cacciando la creatura seguendola fin sulle sponde del fiume Arrone.
Nel punto in cui il drago scomparve sorse il castello che prese il nome di San Giorgio, oggi però conosciuto ai più con il nome di Castello Rospigliosi per via della famiglia che lo governò in epoca moderna.
Tuttavia sembra che la leggenda derivi dallo spauracchio di alcuni briganti che, tra il X e l'XI secolo, imperversavano nelle zone adiacenti il paese e che erano soliti depredare gli avventori. Tutto ebbe fine con l'intervento degli Anguillara che ottennero, in cambio, le terre di Maccarese dal papa dando inizio alla civiltà che poi mutò sotto il periodo del fascio.
Maccarese fantasy non l'avrei mai pensata... e voi?
*fotoweb
Leggende popolari narrano che, nel XII secolo circa, la zona di Maccarese fosse infestata da un terribile drago e che tutti i residenti del luogo, cacciatori e pescatori, ne fossero profondamente terrorizzati tanto da disperdersi ed evitare di frequentare le zone più isolate del paese. Con il passare del tempo furono proprio i cittadini a richiedere l'intervento del papa con l'intento di risolvere l'impasse che rendeva impossibile una pacifica permanenza nella zona. Fu per questo motivo che la chiesa bandì un torneo, a cui presero parte numerosi cavalieri delle famiglie romane più importanti, per stanare e sconfiggere il famigerato drago.
Si narrava che la terribile creatura vivesse in una grotta poco distante dalla città e che lì si nascondesse; forti di questa certezza, i cavalieri si presentarono compatti sulla soglia della grotta (da qui il nome di Malagrotta) senza però sventare il pericolo. Il drago, infatti, uscendo dal suo nascondiglio terrorizzò tutti a tal punto da far scappare anche il più temerario. Soltanto Giorgio dei conti Anguillara rimase, stoico, al suo posto combattendo alacremente e cacciando la creatura seguendola fin sulle sponde del fiume Arrone.
Nel punto in cui il drago scomparve sorse il castello che prese il nome di San Giorgio, oggi però conosciuto ai più con il nome di Castello Rospigliosi per via della famiglia che lo governò in epoca moderna.
Tuttavia sembra che la leggenda derivi dallo spauracchio di alcuni briganti che, tra il X e l'XI secolo, imperversavano nelle zone adiacenti il paese e che erano soliti depredare gli avventori. Tutto ebbe fine con l'intervento degli Anguillara che ottennero, in cambio, le terre di Maccarese dal papa dando inizio alla civiltà che poi mutò sotto il periodo del fascio.
Maccarese fantasy non l'avrei mai pensata... e voi?
*fotoweb
Published on November 30, 2015 10:02
November 26, 2015
Incontro alla fermata
Accadeva spesso, ultimamente... Che agosto di merda! Ancora doveva abituarsi alle stagioni alla rovescia di Melbourne. Cazzo, possibile che pioveva sistematicamente quando usciva da quel dannato ufficio? E pensare che lui, quel posto, lo adorava. Oddio, adorava... Diciamo che era stato il giusto compromesso dopo la morte dei suoi. Era letteralmente fuggito, con Rachel, e appena pochi giorni dopo quel pomeriggio...
Inspirò profondamente, serrando la mascella, e allargò le narici assottigliando gli occhi nel guardare le pozze d'acqua oltre la vetrata.
«Ok, dai... ti tocca» sussurrò indossando i guanti e preparandosi a uscire in strada. In verità non gli servivano a molto, quelle manopole, ma il desiderio di uniformarsi al clima e alla città era troppo forte. Buffo, considerando che di integrarsi seriamente non aveva proprio la più pallida volontà. Vuoi mettere un finocchio nero in pieno centro? Per carità, tutti bravi, tutti tolleranti, ma... La realtà era un'altra cosa, signore e signori.
Alzò un sopracciglio quindi sospirò, calandosi anche il cappello in testa, e uscì correndo, pronto ad arrivare alla fermata dell'autobus completamente fradicio.
Evviva, evviva!
Si fermò solo quando fu certo di trovarsi sotto la pensilina, quindi riprese fiato deglutendo a vuoto. Non aveva corso molto e a vederlo dall'esterno nessuno avrebbe mai pensato non fosse un tipo allenato. Sì, aveva un bel fisico, non poteva certo nasconderlo, ma era tutta eredità. Lui e le palestre viaggiavano su binari paralleli e ben distanziati, gente. E che cazzo, ma volete mettere dopo una giornata seduto, con le ossa rigide di parole e caffé, alzarsi e mettersi addirittura a correre? O tirar due pugni a quei cristo di palloncini marroni con un paio di guantoni? Ma neanche a pensarci.
Sofà, passeggiatina con Billy, un paio di birre e almeno una scopata a settimana.
Almeno.
Si rialzò, distendendo la schiena, e si asciugò una goccia di pioggia che gli imperlava la fronte. Per fortuna i capelli erano ancora asciutti sotto al cappello, ma il caldo stava rischiando di soffocarlo. Si strappò i guanti di dosso, poi passò al berretto e infine alla giacca che sbottonò di tre bottoni. Respirò, avvertendo un venticello piacevole accarezzargli la pelle accaldata dalla lana. Cazzo, doveva essere fuori di testa. La lana a Melbourne... la nostalgia di casa era troppo pressante. Ancora troppo, in effetti.
Agosto e non sentirlo.
«Caldo, eh? Uhm, non devi essere di queste parti...» si sentì apostrofare a un tratto da dietro le spalle. Si voltò, contraendo la mascella, e osservò il tipo seduto sulla panchina. Era perfettamente asciutto, ben vestito e con tutti i capelli in ordine. Soprattutto in giacca leggera e tenuta quasi primaverile. Snervante. Un cazzone snervante e pure rompicoglioni. Gli affari suoi no? "Non devi essere di queste parti..." e che cazzo ne sapeva, lui, di che parti era? Cosa, aveva per caso un aggeggio del futuro pronto a scandagliargli anche i peli del culo?
Carino, però.
Ecco, era più forte di lui. Al mondo ormai o erano carini o cazzoni. Vie di mezzo non esistevano, quindi doveva scegliere in fretta da che parte mettere quel dandy dal sorrisino enigmatico.
«Ci ho preso, no? E scommetto anche che stai pensando che io sia troppo carino per non provarci» continuò l'altro allargando le labbra, malizioso.
Cazzone. Sì, sì, indubbiamente cazzone. Biondino, occhi chiari, fisico asciutto e cazzone. E ti pareva?!
«Veramente mi chiedevo perché non ti facessi i cazzi tuoi, ma tu continua pure a pensare ciò che vuoi» lo gelò.
Come mai doveva essere sempre così stronzo? Era la pressione alta oppure una sorta di pulsante on/off sulla gestione degli aspetti sociali della sua vita? Era perennemente incazzato, c'era da dirlo. E... Be', sì, prima non era così. Prima dell'omicidio, prima della fuga, prima di tutto... Prima era stato solo un finocchio nero canadese con una vita tutto sommato soddisfacente e il sorriso sulle labbra. Non sempre, ma quasi.
«Ehi, amico, scusa... Non potevo immaginare ti girasse male» mormorò l'altro a disagio. Non seppe perché, ma provò un inusuale senso di soddisfazione nel sentirlo così... debole. Oddio, stava diventando una specie di bastardo malato di potere? Cazzo, cazzo, cazzo!
«No, scusa tu... è che la pioggia mi mette di cattivo umore» capitolò mettendosi seduto accanto a lui «e hai ragione. Non sono di qui. Devo ancora abituarmi alle stagioni diverse.Non dico che a quest'ora sarei stato in mutande, ma poco ci manca» disse tentando un sorriso di riconciliazione.
«Uhm... non male la prospettiva» stette al gioco l'altro. Era di facile ripresa... l'asta tra "cazzone" e "carino" riprese a oscillare. Così come il suo uccello, ma quella era un'altra storia.
«Senti, che ne dici di scambiarci i numeri?» riprese il dandy «Potrei aiutarti ad ambientarti in città... prima di quanto faresti tu, si intende. E magari potrei insegnarti ad amare la pioggia d'agosto. Ha qualcosa di poetico» concluse ammiccando.
Alt. Fermi tutti.
Dre ricordò improvvisamente che c'era un terzo livello da considerare nella valutazione dell'ignoto, oltre "cazzone" e "carino", anche se non gli capitava mai di tirarlo fuori al primo incontro. Quel tipo, comunque si chiamasse, lo aveva raggiunto con due frasi in croce e la cosa non andava affatto bene.
Quel tipo era un dannatissimo cacciatore d'affetto. Lo guardò allargando le narici, provando una bruttissima sensazione di freddo addosso. La mente prese a urlare "allarme rosso, allarme rosso" e non poté fare a meno di seguirne le scie luminose. Si alzò di scatto e, sorridendo, si morse un labbro.
«Sai, io...»
«Ok, ho capito, non sei il tipo. Be', io ci ho provato. In ogni caso tieni, questo è il mio biglietto da visita» gli disse sporgendosi e porgendogli il cartoncino «dovessi sentirti solo o nostalgico... adesso sai come rintracciarmi. Bene» continuò alzandosi a sua volta «il mio autobus sta arrivando. Ci si vede, bel moro» concluse ammiccando e dandogli un pizzicotto sul culo.
Cazzo, ma... davvero? Dre strabuzzò gli occhi prima di vederlo sparire oltre le porte aperte del bus. Si leccò le labbra, quindi osservò l'uomo cercare posto e l'autobus ripartire di gran carriera. Solo dopo qualche secondo si avvide del biglietto nella mano destra.
Gregory Smith.
Alla larga. Cazzo: alla larga!
Inspirò profondamente, serrando la mascella, e allargò le narici assottigliando gli occhi nel guardare le pozze d'acqua oltre la vetrata.
«Ok, dai... ti tocca» sussurrò indossando i guanti e preparandosi a uscire in strada. In verità non gli servivano a molto, quelle manopole, ma il desiderio di uniformarsi al clima e alla città era troppo forte. Buffo, considerando che di integrarsi seriamente non aveva proprio la più pallida volontà. Vuoi mettere un finocchio nero in pieno centro? Per carità, tutti bravi, tutti tolleranti, ma... La realtà era un'altra cosa, signore e signori.
Alzò un sopracciglio quindi sospirò, calandosi anche il cappello in testa, e uscì correndo, pronto ad arrivare alla fermata dell'autobus completamente fradicio.
Evviva, evviva!
Si fermò solo quando fu certo di trovarsi sotto la pensilina, quindi riprese fiato deglutendo a vuoto. Non aveva corso molto e a vederlo dall'esterno nessuno avrebbe mai pensato non fosse un tipo allenato. Sì, aveva un bel fisico, non poteva certo nasconderlo, ma era tutta eredità. Lui e le palestre viaggiavano su binari paralleli e ben distanziati, gente. E che cazzo, ma volete mettere dopo una giornata seduto, con le ossa rigide di parole e caffé, alzarsi e mettersi addirittura a correre? O tirar due pugni a quei cristo di palloncini marroni con un paio di guantoni? Ma neanche a pensarci.
Sofà, passeggiatina con Billy, un paio di birre e almeno una scopata a settimana.
Almeno.
Si rialzò, distendendo la schiena, e si asciugò una goccia di pioggia che gli imperlava la fronte. Per fortuna i capelli erano ancora asciutti sotto al cappello, ma il caldo stava rischiando di soffocarlo. Si strappò i guanti di dosso, poi passò al berretto e infine alla giacca che sbottonò di tre bottoni. Respirò, avvertendo un venticello piacevole accarezzargli la pelle accaldata dalla lana. Cazzo, doveva essere fuori di testa. La lana a Melbourne... la nostalgia di casa era troppo pressante. Ancora troppo, in effetti.
Agosto e non sentirlo.
«Caldo, eh? Uhm, non devi essere di queste parti...» si sentì apostrofare a un tratto da dietro le spalle. Si voltò, contraendo la mascella, e osservò il tipo seduto sulla panchina. Era perfettamente asciutto, ben vestito e con tutti i capelli in ordine. Soprattutto in giacca leggera e tenuta quasi primaverile. Snervante. Un cazzone snervante e pure rompicoglioni. Gli affari suoi no? "Non devi essere di queste parti..." e che cazzo ne sapeva, lui, di che parti era? Cosa, aveva per caso un aggeggio del futuro pronto a scandagliargli anche i peli del culo?
Carino, però.
Ecco, era più forte di lui. Al mondo ormai o erano carini o cazzoni. Vie di mezzo non esistevano, quindi doveva scegliere in fretta da che parte mettere quel dandy dal sorrisino enigmatico.
«Ci ho preso, no? E scommetto anche che stai pensando che io sia troppo carino per non provarci» continuò l'altro allargando le labbra, malizioso.
Cazzone. Sì, sì, indubbiamente cazzone. Biondino, occhi chiari, fisico asciutto e cazzone. E ti pareva?!
«Veramente mi chiedevo perché non ti facessi i cazzi tuoi, ma tu continua pure a pensare ciò che vuoi» lo gelò.
Come mai doveva essere sempre così stronzo? Era la pressione alta oppure una sorta di pulsante on/off sulla gestione degli aspetti sociali della sua vita? Era perennemente incazzato, c'era da dirlo. E... Be', sì, prima non era così. Prima dell'omicidio, prima della fuga, prima di tutto... Prima era stato solo un finocchio nero canadese con una vita tutto sommato soddisfacente e il sorriso sulle labbra. Non sempre, ma quasi.
«Ehi, amico, scusa... Non potevo immaginare ti girasse male» mormorò l'altro a disagio. Non seppe perché, ma provò un inusuale senso di soddisfazione nel sentirlo così... debole. Oddio, stava diventando una specie di bastardo malato di potere? Cazzo, cazzo, cazzo!
«No, scusa tu... è che la pioggia mi mette di cattivo umore» capitolò mettendosi seduto accanto a lui «e hai ragione. Non sono di qui. Devo ancora abituarmi alle stagioni diverse.Non dico che a quest'ora sarei stato in mutande, ma poco ci manca» disse tentando un sorriso di riconciliazione.
«Uhm... non male la prospettiva» stette al gioco l'altro. Era di facile ripresa... l'asta tra "cazzone" e "carino" riprese a oscillare. Così come il suo uccello, ma quella era un'altra storia.
«Senti, che ne dici di scambiarci i numeri?» riprese il dandy «Potrei aiutarti ad ambientarti in città... prima di quanto faresti tu, si intende. E magari potrei insegnarti ad amare la pioggia d'agosto. Ha qualcosa di poetico» concluse ammiccando.
Alt. Fermi tutti.
Dre ricordò improvvisamente che c'era un terzo livello da considerare nella valutazione dell'ignoto, oltre "cazzone" e "carino", anche se non gli capitava mai di tirarlo fuori al primo incontro. Quel tipo, comunque si chiamasse, lo aveva raggiunto con due frasi in croce e la cosa non andava affatto bene.
Quel tipo era un dannatissimo cacciatore d'affetto. Lo guardò allargando le narici, provando una bruttissima sensazione di freddo addosso. La mente prese a urlare "allarme rosso, allarme rosso" e non poté fare a meno di seguirne le scie luminose. Si alzò di scatto e, sorridendo, si morse un labbro.
«Sai, io...»
«Ok, ho capito, non sei il tipo. Be', io ci ho provato. In ogni caso tieni, questo è il mio biglietto da visita» gli disse sporgendosi e porgendogli il cartoncino «dovessi sentirti solo o nostalgico... adesso sai come rintracciarmi. Bene» continuò alzandosi a sua volta «il mio autobus sta arrivando. Ci si vede, bel moro» concluse ammiccando e dandogli un pizzicotto sul culo.
Cazzo, ma... davvero? Dre strabuzzò gli occhi prima di vederlo sparire oltre le porte aperte del bus. Si leccò le labbra, quindi osservò l'uomo cercare posto e l'autobus ripartire di gran carriera. Solo dopo qualche secondo si avvide del biglietto nella mano destra.
Gregory Smith.
Alla larga. Cazzo: alla larga!
Published on November 26, 2015 09:14


