Federica D'Ascani's Blog, page 4
October 28, 2015
L'emigrazione veneta
C'è stato un tempo in cui il Veneto era terra di migrazioni frequenti e Wikipedia recita che già prima dell'annessione al regno d'Italia lo fosse.
Molti non lo sanno, eppure è così. Scrivendo Volevo solo te ho scoperto cose talmente interessanti su questa popolazione (perché è il caso di cominciare a chiamarla così) che mai avrei immaginato. C'è, pensate, una città in Francia chiamata Vannes proprio in onore dei fondatori italiani. E ancora in Brasile, in America, in Germania, Svizzera, Ungheria... i veneti sono ovunque.
Scherzando a mio marito, tempo fa, dissi che sono come i Gremlins... Ricordate quel film fantasy di tanti anni fa? I simpatici esserini pucciosi si moltiplicavano a contatto con l'acqua... Be', ragazzi, è così: loro sono tra noi! Potete andare ovunque: un veneto vi avrà preceduto.
Perché?
Le motivazioni posso soltanto immaginarle, vivendo io stessa a stretto contatto con molti di loro. La serietà, la responsabilità e l'attaccamento alla famiglia e al lavoro, oltre che alla terra.
Ma c'è anche altro e questo ci riporta al contesto storico di cui ormai parliamo frequentemente. Dunque... veniamo a noi.Tra il 1932 e il 1939, mentre ancora molte zone di Maccarese risultavano paludose e soggette alla lunghissima opera di bonifica, circa 3000 famiglie giunsero nella Pianura pontina per lavorare e colonizzare la terra per volontà del Duce. Di queste quasi 3000 famiglie ben il 60% era veneto e non era una scelta casuale, ma ben ponderata da parte del regime. Si aveva infatti la necessità di immettere una popolazione con comprovata vitalità e prolificità e la regione che meglio si sposava con queste esigenze era appunto quella veneta.
All'epoca si aveva una costante lotta all'urbanesimo, guerra voluta dal Duce per evitare la prolificazione di borghi, per diminuire i costi portati da una città numerosa e, in generale, per garantire il ruolo solitario e lavoratore del contadino medio. Questo significa che quando giunsero queste famiglie in pianura, la vita non fu per nulla semplice. Le case erano decisamente lontane le une dalle altre, non c'era quasi nulla e quel poco era determinato dal duro lavoro. Insomma, un sorta di incubo che nell'intero agropontino vide la realizzazione di vere e proprie città lavoro.
Sapete che qui a Maccarese gli effetti della bonifica sono ancora ben visibili e presenti? Se dovesse accadere, per caso, che le idrovore utilizzate all'epoca, e modernizzate certo, cessassero di lavorare, in pochi mesi si avrebbe lo stesso scenario che quelle famiglie trovarono al loro arrivo qui. Assurdo vero? Eppure affascinante...
Comunque, per la cronaca, esistono associazioni di Veneti nel mondo e addirittura Onlus e quelli all'estero hanno combattuto per veder riconosciuta la lingua veneta antica, da loro ancora parlata, accettata dalla regione nel 2007. Se pensavo che solo a Maccarese ci fosse una situazione simile, sbagliavo!
Una domanda sorge spontanea: ma quanti saranno mai?
Molti non lo sanno, eppure è così. Scrivendo Volevo solo te ho scoperto cose talmente interessanti su questa popolazione (perché è il caso di cominciare a chiamarla così) che mai avrei immaginato. C'è, pensate, una città in Francia chiamata Vannes proprio in onore dei fondatori italiani. E ancora in Brasile, in America, in Germania, Svizzera, Ungheria... i veneti sono ovunque.
Scherzando a mio marito, tempo fa, dissi che sono come i Gremlins... Ricordate quel film fantasy di tanti anni fa? I simpatici esserini pucciosi si moltiplicavano a contatto con l'acqua... Be', ragazzi, è così: loro sono tra noi! Potete andare ovunque: un veneto vi avrà preceduto.
Perché?
Le motivazioni posso soltanto immaginarle, vivendo io stessa a stretto contatto con molti di loro. La serietà, la responsabilità e l'attaccamento alla famiglia e al lavoro, oltre che alla terra.
Ma c'è anche altro e questo ci riporta al contesto storico di cui ormai parliamo frequentemente. Dunque... veniamo a noi.Tra il 1932 e il 1939, mentre ancora molte zone di Maccarese risultavano paludose e soggette alla lunghissima opera di bonifica, circa 3000 famiglie giunsero nella Pianura pontina per lavorare e colonizzare la terra per volontà del Duce. Di queste quasi 3000 famiglie ben il 60% era veneto e non era una scelta casuale, ma ben ponderata da parte del regime. Si aveva infatti la necessità di immettere una popolazione con comprovata vitalità e prolificità e la regione che meglio si sposava con queste esigenze era appunto quella veneta.
All'epoca si aveva una costante lotta all'urbanesimo, guerra voluta dal Duce per evitare la prolificazione di borghi, per diminuire i costi portati da una città numerosa e, in generale, per garantire il ruolo solitario e lavoratore del contadino medio. Questo significa che quando giunsero queste famiglie in pianura, la vita non fu per nulla semplice. Le case erano decisamente lontane le une dalle altre, non c'era quasi nulla e quel poco era determinato dal duro lavoro. Insomma, un sorta di incubo che nell'intero agropontino vide la realizzazione di vere e proprie città lavoro.
Sapete che qui a Maccarese gli effetti della bonifica sono ancora ben visibili e presenti? Se dovesse accadere, per caso, che le idrovore utilizzate all'epoca, e modernizzate certo, cessassero di lavorare, in pochi mesi si avrebbe lo stesso scenario che quelle famiglie trovarono al loro arrivo qui. Assurdo vero? Eppure affascinante...
Comunque, per la cronaca, esistono associazioni di Veneti nel mondo e addirittura Onlus e quelli all'estero hanno combattuto per veder riconosciuta la lingua veneta antica, da loro ancora parlata, accettata dalla regione nel 2007. Se pensavo che solo a Maccarese ci fosse una situazione simile, sbagliavo!
Una domanda sorge spontanea: ma quanti saranno mai?
Published on October 28, 2015 12:59
October 26, 2015
L'Italia del Duce e il Nord al Sud
C'è una cosa comune nella visione idilliaca del fascismo e del nazismo e questa cosa rese quasi folli i rispettivi capi di governo, perché galvanizzati da un'idea talmente grande di città da essere scambiati facilmente per esaltati. Questa nota che metteva in relazione le due dittature si riassumeva in una sola parola: Roma. Della serie: l'impero romano colpisce ancora.
Ah, questi romani, conquistatori grandi e forti, colonizzatori indiscussi e dall'architettura che ancora oggi resiste in varie parti del mondo.
Ovviamente, se si deve essere grandi, si cerca di ispirarsi ai migliori: gliene fareste un torto a quei due lì? Assolutamente. Ciò che interessa le città lavoro e l'architettura che Gentile chiamò "fascismo di pietra" è ciò che forse più di tutto decretò il positivo di quel governo passato di cui ancora notiamo gli effetti oggi. In Italia, per lo meno. Della Germania, adesso, poco ce ne importa.
Il Duce, appena insediatosi, iniziò subito a promulgare le sue personali visioni di gloria e grandezza e bisogna riconoscergli il merito del carisma e dell'effettiva laboriosità della sua mente che in effetti concretizzò un bel po' di cose per tutta la penisola. Tra palazzi, istituzioni, leggi innovative (ragazzi, gli va riconosciuto) ci furono anche le cosiddette città lavoro di cui si parlava poc'anzi. In un paese "alla frutta" la creazione di lavoro era vista come un miracolo. Be', ne sappiamo qualcosa di questi tempi, no? Eppure non crediate che le motivazioni del Duce fossero così nobili. Lui voleva una colonizzazione del suolo urbano, dichiarando di fatto guerra alla Roma reale che fino a quel momento era rimasta inerte a osservare il paese uscire dalla Grande Guerra. In rotta anche contro l'urbanizzazione eccessiva, specialmente quella che aveva visto la popolazione rurale riversarsi nelle città, decretando quindi, secondo il regime, un abbassamento della natalità oltre che il dispendio ulteriore di fondi per la creazione di nuove scuole, chiese, ospedali, il Duce promulgò l'importanza della terra e del lavoro nei campi. Una novella Rossella O'Hara italiana con la terra di Littoria tra le mani e lo sguardo perso verso l'orizzonte, insomma.
Fu così, proprio così, che numerose cittadine videro la luce, vedendo il trasferimento dell'intero Nord al Sud e quasi mai viceversa. Tra tutte, molta risonanza, anche mediatica, la ebbe la "Pentapoli" pontina, costituita da: Littoria, Sabaudia, Pontina, Aprilia e Pomezia.
Rifacendosi al modello ostiense di bonifica, per mano soprattutto dei Ravennati, il Duce dispose vere e proprie città lavoro che qui dove abito io si tradussero principalmente nell' Azienda di Maccarese. Quasi tutti veneti e lombardi, con una spruzzata di abruzzesi qui e lì (a Fiumicino, per esempio, sono tantissimi i napoletani) i contadini assunti rivoltarono e abitarono queste terre, dando vita alle città che tutt'ora viviamo.
E quando dico che le viviamo ancora oggi, intendo dire che in molti posti sembra essere rimasti cristallizzati agli anni 30. Come a Maccarese, paese in cui di romani romanacci ce ne sono ben pochi. Strano, vero? Eppure nessuno lo sa. E mi viene da ridere quando si parla di differenza tra nord e sud, tra la metodologia di lavoro propria dell'Italia del meridione, del mezzogiorno e del settentrione perché, proprio qui, c'è un raccordo di tutte le parti della penisola ed è proprio questo che rende grande e particolare questa realtà.
Adesso capite perché ho voluto scrivere Volevo solo te?
Ah, questi romani, conquistatori grandi e forti, colonizzatori indiscussi e dall'architettura che ancora oggi resiste in varie parti del mondo.
Ovviamente, se si deve essere grandi, si cerca di ispirarsi ai migliori: gliene fareste un torto a quei due lì? Assolutamente. Ciò che interessa le città lavoro e l'architettura che Gentile chiamò "fascismo di pietra" è ciò che forse più di tutto decretò il positivo di quel governo passato di cui ancora notiamo gli effetti oggi. In Italia, per lo meno. Della Germania, adesso, poco ce ne importa.
Il Duce, appena insediatosi, iniziò subito a promulgare le sue personali visioni di gloria e grandezza e bisogna riconoscergli il merito del carisma e dell'effettiva laboriosità della sua mente che in effetti concretizzò un bel po' di cose per tutta la penisola. Tra palazzi, istituzioni, leggi innovative (ragazzi, gli va riconosciuto) ci furono anche le cosiddette città lavoro di cui si parlava poc'anzi. In un paese "alla frutta" la creazione di lavoro era vista come un miracolo. Be', ne sappiamo qualcosa di questi tempi, no? Eppure non crediate che le motivazioni del Duce fossero così nobili. Lui voleva una colonizzazione del suolo urbano, dichiarando di fatto guerra alla Roma reale che fino a quel momento era rimasta inerte a osservare il paese uscire dalla Grande Guerra. In rotta anche contro l'urbanizzazione eccessiva, specialmente quella che aveva visto la popolazione rurale riversarsi nelle città, decretando quindi, secondo il regime, un abbassamento della natalità oltre che il dispendio ulteriore di fondi per la creazione di nuove scuole, chiese, ospedali, il Duce promulgò l'importanza della terra e del lavoro nei campi. Una novella Rossella O'Hara italiana con la terra di Littoria tra le mani e lo sguardo perso verso l'orizzonte, insomma.
Fu così, proprio così, che numerose cittadine videro la luce, vedendo il trasferimento dell'intero Nord al Sud e quasi mai viceversa. Tra tutte, molta risonanza, anche mediatica, la ebbe la "Pentapoli" pontina, costituita da: Littoria, Sabaudia, Pontina, Aprilia e Pomezia.
Rifacendosi al modello ostiense di bonifica, per mano soprattutto dei Ravennati, il Duce dispose vere e proprie città lavoro che qui dove abito io si tradussero principalmente nell' Azienda di Maccarese. Quasi tutti veneti e lombardi, con una spruzzata di abruzzesi qui e lì (a Fiumicino, per esempio, sono tantissimi i napoletani) i contadini assunti rivoltarono e abitarono queste terre, dando vita alle città che tutt'ora viviamo.
E quando dico che le viviamo ancora oggi, intendo dire che in molti posti sembra essere rimasti cristallizzati agli anni 30. Come a Maccarese, paese in cui di romani romanacci ce ne sono ben pochi. Strano, vero? Eppure nessuno lo sa. E mi viene da ridere quando si parla di differenza tra nord e sud, tra la metodologia di lavoro propria dell'Italia del meridione, del mezzogiorno e del settentrione perché, proprio qui, c'è un raccordo di tutte le parti della penisola ed è proprio questo che rende grande e particolare questa realtà.
Adesso capite perché ho voluto scrivere Volevo solo te?
Published on October 26, 2015 02:44
October 22, 2015
I lupanari... i luoghi di perdizione dell'Italia di una volta
Secondo voi è proprio vero il detto "si stava meglio quando si stava peggio"?
Non lo so, ma so di certo che le persone che "bazzicavano" gli anni 30 lo avrebbero pensato. Per la libertà che si respirava. Ovviamente parlo di quella maschile. Il femminismo iniziava le sue strenue lotte, ma con l'avvento del fascismo era sedato e ridimensionato a ogni tentativo di protesta.
E veniamo a noi...
I lupanari, le famose case chiuse.
Ovviamente non erano presenti solo a Roma e, forse, i più famosi luoghi di perdizione non erano neanche propri della capitale, eppure erano una solida realtà, pronta a realizzare i sogni dei giovanotti "di primo pelo" e distendere i pensieri dei signori più "maturi". E, per quanto recarsi in quelle case non fosse uso rispettoso verso la moglie, era pratica normale frequentarli, oltretutto ben più antica degli anni 30, come sappiamo. D'altronde non si è forse sempre detto che la meretrice è il mestiere più antico del mondo? Caligola lo sa bene!
A Roma erano in voga i bordelli de la Suburra, oppure nei dintorni del Circo Massimo, ma ce n'erano di minori sparsi per tutti i quartieri della città. Sapete perché si chiamavano bordelli? Perché inizialmente erano luoghi costituiti in villini situati ai bordi della città. Sotto il periodo del fascio, Mussolini dispose che attorno a ognuno di essi venisse eretto un muro, detto "del pudore", non più alto di dieci metri: piccolo paravento per una pratica vecchia quasi quanto l'antica Roma. Ma le rimostranze per i lupanari erano già iniziate e quella fu una maniera dittatoriale per mettere a tacere qualsiasi recriminazione in merito.
Tutto era perfettamente organizzato: la toeletta, gli asciugamani in dotazione per potersi concedere l'igiene richiesta prima di usufruire dei servizi, e poi i prezzi, anche scontati, a seconda delle necessità del momento.
Ma sapete una cosa? Come accade oggi, con internet e i siti gratuiti nei quali è possibile perdersi e trovare quel guizzo in più di cui alcuni hanno bisogno per "ritemprarsi", anche allora esisteva chi non aveva il denaro necessario per approfittare di quella che per noi, in epoca moderna, appare come una strana libertà sessuale. I cosiddetti "flanellatori", coloro che non pagavano, ma semplicemente sostavano nella "hall" del lupanare respirando il clima lezioso e lussurioso del luogo, ovviamente mal visti dalle varie gestrici che pretendevano l'obolo anche solo per guardare.
Ovvio no?
Ed ecco che una semplice ricerca su internet ci riporta di colpo a quegli anni, con pannelli e immagini così spinte, per come immaginiamo quell'epoca, da lasciarci stupiti e farci anche spuntare un sorriso di incredula ammirazione.
C'è chi dice che una volta le persone erano bigotte, che al giorno d'oggi si ha molta più libertà di allora... Ma sarà proprio così?
Non lo so, ma so di certo che le persone che "bazzicavano" gli anni 30 lo avrebbero pensato. Per la libertà che si respirava. Ovviamente parlo di quella maschile. Il femminismo iniziava le sue strenue lotte, ma con l'avvento del fascismo era sedato e ridimensionato a ogni tentativo di protesta.
E veniamo a noi...
I lupanari, le famose case chiuse.
Ovviamente non erano presenti solo a Roma e, forse, i più famosi luoghi di perdizione non erano neanche propri della capitale, eppure erano una solida realtà, pronta a realizzare i sogni dei giovanotti "di primo pelo" e distendere i pensieri dei signori più "maturi". E, per quanto recarsi in quelle case non fosse uso rispettoso verso la moglie, era pratica normale frequentarli, oltretutto ben più antica degli anni 30, come sappiamo. D'altronde non si è forse sempre detto che la meretrice è il mestiere più antico del mondo? Caligola lo sa bene!
A Roma erano in voga i bordelli de la Suburra, oppure nei dintorni del Circo Massimo, ma ce n'erano di minori sparsi per tutti i quartieri della città. Sapete perché si chiamavano bordelli? Perché inizialmente erano luoghi costituiti in villini situati ai bordi della città. Sotto il periodo del fascio, Mussolini dispose che attorno a ognuno di essi venisse eretto un muro, detto "del pudore", non più alto di dieci metri: piccolo paravento per una pratica vecchia quasi quanto l'antica Roma. Ma le rimostranze per i lupanari erano già iniziate e quella fu una maniera dittatoriale per mettere a tacere qualsiasi recriminazione in merito.
Tutto era perfettamente organizzato: la toeletta, gli asciugamani in dotazione per potersi concedere l'igiene richiesta prima di usufruire dei servizi, e poi i prezzi, anche scontati, a seconda delle necessità del momento.
Ma sapete una cosa? Come accade oggi, con internet e i siti gratuiti nei quali è possibile perdersi e trovare quel guizzo in più di cui alcuni hanno bisogno per "ritemprarsi", anche allora esisteva chi non aveva il denaro necessario per approfittare di quella che per noi, in epoca moderna, appare come una strana libertà sessuale. I cosiddetti "flanellatori", coloro che non pagavano, ma semplicemente sostavano nella "hall" del lupanare respirando il clima lezioso e lussurioso del luogo, ovviamente mal visti dalle varie gestrici che pretendevano l'obolo anche solo per guardare.
Ovvio no?
Ed ecco che una semplice ricerca su internet ci riporta di colpo a quegli anni, con pannelli e immagini così spinte, per come immaginiamo quell'epoca, da lasciarci stupiti e farci anche spuntare un sorriso di incredula ammirazione.
C'è chi dice che una volta le persone erano bigotte, che al giorno d'oggi si ha molta più libertà di allora... Ma sarà proprio così?
Published on October 22, 2015 01:11
October 21, 2015
Da Belli a Baglioni, passando per Ostia e Maccarese
C'era una poesia del Belli, poi ripresa da Baglioni nella storica "Ninna nanna" che recitava:
Rivedremo ancora li sovrani
che se scambiano la stima
boni amichi come prima
so' cugini e fra parenti
nun se fanno i comprimenti
torneranno ancora più cordiali
li rapporti personali.
Senza l'ombra d'un rimorso
sai che ber discorso
ce faranno tutti insieme
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone.
Questi sono gli anni in cui si gettano le basi per il Regime che sarà. Mussolini dona al Re, il Re dona a Pacelli, futuro Papa (che sarà successivamente oggetto di critiche ferocissime in relazione al nazismo e al razzismo di cui si fece protagonista) il Papa dona al Duce.
Mentre fuori dall'Italia accadono magnificenze che faranno del mondo moderno una creatura più semplice, o più catastrofica, da vivere, il nostro paese si prepara alla dittatura, con il beneplacito dei paesi limitrofi, uno in particolare, che osservano e macchinano.
Ma, come ogni cosa, anche quel tipo di governo porta e apporta delle cose buone, migliorie e guizzi di modernità insperata. Una mia amica direbbe "tra tante boiaccate una azzeccata la deve pure fare" e così è Mussolini che, tra le altre cose, crea le città lavoro. Tra cui Latina. Tra cui Maccarese.
Maccarese. Strano nome, vero? Magari anche poco commerciale. Be', certo, non è Roma, insomma, o Lido di Ostia, ben più famoso per svariati motivi.
Ma Maccarese ha una storia: e che storia, ragazzi! La bonifica a opera dei contadini lombardi e veneti, i Rospigliosi, il castello, gli Albertaschi, l'agricoltura, la grande azienda operosa e competitiva...
Non ve lo aspettavate, eppure è così.
E io ho deciso di raccontarvela, questa storia, per fare in modo che un altro piccolo tassello di dignità e operosità si vada a incastrare in quel grande quadro che è la memoria.
Vi ho incuriositi?
Bene.
Viaggeremo insieme fino a scoprire Volevo solo te, e poi andremo oltre, perché la storia d'Italia, nel decennio che ha portato alla seconda grande guerra, è vasto e pieno di contraddizioni da raccontare...
Rivedremo ancora li sovrani
che se scambiano la stima
boni amichi come prima
so' cugini e fra parenti
nun se fanno i comprimenti
torneranno ancora più cordiali
li rapporti personali.
Senza l'ombra d'un rimorso
sai che ber discorso
ce faranno tutti insieme
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone.
Questi sono gli anni in cui si gettano le basi per il Regime che sarà. Mussolini dona al Re, il Re dona a Pacelli, futuro Papa (che sarà successivamente oggetto di critiche ferocissime in relazione al nazismo e al razzismo di cui si fece protagonista) il Papa dona al Duce.
Mentre fuori dall'Italia accadono magnificenze che faranno del mondo moderno una creatura più semplice, o più catastrofica, da vivere, il nostro paese si prepara alla dittatura, con il beneplacito dei paesi limitrofi, uno in particolare, che osservano e macchinano.
Ma, come ogni cosa, anche quel tipo di governo porta e apporta delle cose buone, migliorie e guizzi di modernità insperata. Una mia amica direbbe "tra tante boiaccate una azzeccata la deve pure fare" e così è Mussolini che, tra le altre cose, crea le città lavoro. Tra cui Latina. Tra cui Maccarese.
Maccarese. Strano nome, vero? Magari anche poco commerciale. Be', certo, non è Roma, insomma, o Lido di Ostia, ben più famoso per svariati motivi.
Ma Maccarese ha una storia: e che storia, ragazzi! La bonifica a opera dei contadini lombardi e veneti, i Rospigliosi, il castello, gli Albertaschi, l'agricoltura, la grande azienda operosa e competitiva...
Non ve lo aspettavate, eppure è così.
E io ho deciso di raccontarvela, questa storia, per fare in modo che un altro piccolo tassello di dignità e operosità si vada a incastrare in quel grande quadro che è la memoria.
Vi ho incuriositi?
Bene.
Viaggeremo insieme fino a scoprire Volevo solo te, e poi andremo oltre, perché la storia d'Italia, nel decennio che ha portato alla seconda grande guerra, è vasto e pieno di contraddizioni da raccontare...
Published on October 21, 2015 00:20
October 19, 2015
Viaggio in un passato ancora recente...
Cosa avvenne negli anni 30? Ci avete mai pensato? Seriamente, intendo.
Be', vi stupirà sapere che avvennero tantissime cose, molte delle quali decidettero gran parte della modernità che viviamo ancora adesso a distanza di più di 80 anni... Sembra quasi surreale, vero? Eppure nel lontano 1930 venne scoperto, per esempio, Plutone, lo stesso pianeta nano che qualche mese fa ha così tanto fatto parlare di sé. Il pianeta dal grande cuore bianco che ha fatto sognare milioni di romanticone, scalzando quasi, per un momento, il più celebre Venere e il suo messaggio d'amore.
Che coincidenze, non è vero?
E pensate, sempre nel 1930 fu disputato il primo mondiale di calcio. Organizzato dall'Uruguay e vinto anche dalla sua nazionale. Uhm... questa è una grande coincidenza, ma non impossibile.
E il primo musical a colori? Sempre del 1930. Il re del Jazz, prodotto dalla Universal.
Pensate che sia finita qui?
No, assolutamente.
Lovecraft, il microscopio elettrico, la prima donna a sorvolare l'Atlantico e tante altre che hanno combattuto per un emancipazione che con la guerra imminente si andrà a far benedire per tantissimo tempo ancora...
Il decennio degli anni 30 ha segnato la storia, ha portato alla seconda guerra mondiale, ha deciso il destino di milioni di uomini...
E in tutto questo si colloca la storia di Flora e Fausto, il loro amore profumato di salsedine e illuminato dalla luce torrida del sole di agosto.
Volevo solo te non è solo un romanzo d'amore, non è solo un romanzo erotico.
Volevo solo te è ciò che siamo stati e che talvolta continuiamo a essere.
Be', vi stupirà sapere che avvennero tantissime cose, molte delle quali decidettero gran parte della modernità che viviamo ancora adesso a distanza di più di 80 anni... Sembra quasi surreale, vero? Eppure nel lontano 1930 venne scoperto, per esempio, Plutone, lo stesso pianeta nano che qualche mese fa ha così tanto fatto parlare di sé. Il pianeta dal grande cuore bianco che ha fatto sognare milioni di romanticone, scalzando quasi, per un momento, il più celebre Venere e il suo messaggio d'amore.
Che coincidenze, non è vero?
E pensate, sempre nel 1930 fu disputato il primo mondiale di calcio. Organizzato dall'Uruguay e vinto anche dalla sua nazionale. Uhm... questa è una grande coincidenza, ma non impossibile.
E il primo musical a colori? Sempre del 1930. Il re del Jazz, prodotto dalla Universal.
Pensate che sia finita qui?
No, assolutamente.
Lovecraft, il microscopio elettrico, la prima donna a sorvolare l'Atlantico e tante altre che hanno combattuto per un emancipazione che con la guerra imminente si andrà a far benedire per tantissimo tempo ancora...
Il decennio degli anni 30 ha segnato la storia, ha portato alla seconda guerra mondiale, ha deciso il destino di milioni di uomini...
E in tutto questo si colloca la storia di Flora e Fausto, il loro amore profumato di salsedine e illuminato dalla luce torrida del sole di agosto.
Volevo solo te non è solo un romanzo d'amore, non è solo un romanzo erotico.
Volevo solo te è ciò che siamo stati e che talvolta continuiamo a essere.
Published on October 19, 2015 14:04
October 18, 2015
Da dove vieni? Maccarese... Cioè?
A chi mi chiede perché ho voluto scrivere un romanzo ambientato Maccarese rispondo: perché non sai dov'è, perché non sai cos'è, perché non sai chi c'è.
Maccarese, fu Vaccarese, piccola cittadina del litorale romano, una delle aziende agricole potenzialmente più forti in Europa e terra di passaggio di numerose famiglie nobiliari, dagli Albertaschi ai Rospigliosi, è un colore, un odore, un sapore diverso da quello che conosci.
Città lavoro creata dal Duce, ma ben più antica del fascio; cugina in bonifica della più famosa Ostia, ancora sospesa tra antico e moderno.
Perché Volevo solo te è ambientato nel 1932 e a Maccarese?
Perché è lì che la mia storia d'amore è nata ed è lì che Flora e Fausto sono venuti a trovarmi, raccontandomi l'incanto di uno sguardo lungo il fiume Arrone...
Maccarese, fu Vaccarese, piccola cittadina del litorale romano, una delle aziende agricole potenzialmente più forti in Europa e terra di passaggio di numerose famiglie nobiliari, dagli Albertaschi ai Rospigliosi, è un colore, un odore, un sapore diverso da quello che conosci.
Città lavoro creata dal Duce, ma ben più antica del fascio; cugina in bonifica della più famosa Ostia, ancora sospesa tra antico e moderno.
Perché Volevo solo te è ambientato nel 1932 e a Maccarese?
Perché è lì che la mia storia d'amore è nata ed è lì che Flora e Fausto sono venuti a trovarmi, raccontandomi l'incanto di uno sguardo lungo il fiume Arrone...
Published on October 18, 2015 12:43
July 11, 2015
Questa settimana vorrei condividere con voi...
Una gioia! Sì, è uscito il mio nuovo romanzo. Avrete notato, no, che non c'è stato 'aggiornamento de Le ultime ore dell'Angelo. Ebbene, sono stata davvero troppo occupata per il lanci, lo ammetto, ma torno settimana prossima. Ma adesso permettetemi di presentarvi il mio piccolo gioiello di Luglio. Edito da Rizzoli per la collana You Feel, arriva in tutti gli stores online:
SPLENDIDO COME IL SOLE DI TULUM
Come è stato per L'Istinto di una donna, anche questo è un libro che non solo sento molto, ma particolare perché in ogni caso legato, seppur in maniera molto più fresca e semplice, al mondo dell'omosessualità e alla voglia di dire che siamo tutti assolutamente uguali. Vi lascio la sinossi e il link di acquisto ad amazon, fermo restando che potrete trovarlo anche su tutti gli altri negozi online come Kobo, Ibs, Ituns, Googleplay e via discorrendo! Un bacio e che #tulum sia con noi per tutta l'estate torrida che ci sta soffocando!
Clicca qui per acquistare Splendido come il sole di Tulum
Fanny attende trepidante il momento del fatidico sì. Abbandonata appena nata e cresciuta senza affetti, ha finalmente la possibilità di essere felice e costruirsi una famiglia. Ma il matrimonio non si fa: Carlo, lo sposo, la lascia sull’altare e scardina ogni certezza costruita fino a quel momento. In pochi minuti, senza pensare troppo alle conseguenze e per non morire di dolore, Fanny decide di partire lo stesso per il Messico, meta del viaggio di nozze, chiedendo al suo grande amico Davide di accompagnarla. Non sa che lui aveva già pronte le valigie per fuggire dall'Italia e da una vita di solitudine affettiva, specialmente dopo il suo outing che lo aveva definitivamente allontanato da un padre bigotto e omofobo. Il viaggio spinge Fanny e Davide a iniziare un percorso interiore alla riscoperta di loro stessi. Alejandro e Rafael, due animatori del villaggio, sembrano incarnare le paure e le speranze di entrambi. Insieme a loro, Fanny e Davide capiranno davvero quali sono i loro sogni per il futuro. E l'amore li travolgerà, inaspettato, caldo e splendido come il sole di Tulum.
Una doppia storia d’amore che procede su due binari paralleli e diversi, con la forza che solo l’amore vero sa dare.
SPLENDIDO COME IL SOLE DI TULUMCome è stato per L'Istinto di una donna, anche questo è un libro che non solo sento molto, ma particolare perché in ogni caso legato, seppur in maniera molto più fresca e semplice, al mondo dell'omosessualità e alla voglia di dire che siamo tutti assolutamente uguali. Vi lascio la sinossi e il link di acquisto ad amazon, fermo restando che potrete trovarlo anche su tutti gli altri negozi online come Kobo, Ibs, Ituns, Googleplay e via discorrendo! Un bacio e che #tulum sia con noi per tutta l'estate torrida che ci sta soffocando!
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Fanny attende trepidante il momento del fatidico sì. Abbandonata appena nata e cresciuta senza affetti, ha finalmente la possibilità di essere felice e costruirsi una famiglia. Ma il matrimonio non si fa: Carlo, lo sposo, la lascia sull’altare e scardina ogni certezza costruita fino a quel momento. In pochi minuti, senza pensare troppo alle conseguenze e per non morire di dolore, Fanny decide di partire lo stesso per il Messico, meta del viaggio di nozze, chiedendo al suo grande amico Davide di accompagnarla. Non sa che lui aveva già pronte le valigie per fuggire dall'Italia e da una vita di solitudine affettiva, specialmente dopo il suo outing che lo aveva definitivamente allontanato da un padre bigotto e omofobo. Il viaggio spinge Fanny e Davide a iniziare un percorso interiore alla riscoperta di loro stessi. Alejandro e Rafael, due animatori del villaggio, sembrano incarnare le paure e le speranze di entrambi. Insieme a loro, Fanny e Davide capiranno davvero quali sono i loro sogni per il futuro. E l'amore li travolgerà, inaspettato, caldo e splendido come il sole di Tulum.
Una doppia storia d’amore che procede su due binari paralleli e diversi, con la forza che solo l’amore vero sa dare.
Published on July 11, 2015 07:54
July 1, 2015
Capitolo 10 - Le ultime ore dell'Angelo
Continuano le pagine del diario di Milena Quaglini, la serial killer di Vigevano...04 Dicembre 1997
Sono tornata da Mario per le bambine. Per le bambine e per Dario che non riusciva a trovare un senso da nessuna parte. Sono tornata in questa città infernale, dove viveva e vive tutt'ora la mia famiglia. Sono tornata per stare male di nuovo. Mario è un bastardo e non so come ho potuto pensare di ricostruire il mio futuro con lui. Mi umilia appena ne ha l'occasione, e anche davanti alle bambine. Dario ormai è abituato e cerca di star dentro casa il meno possibile. Sono tornata e vorrei morire adesso, pur di non sentire addosso la responsabilità della mia azione. Ho ripreso a bere più di prima. So che non dovrei, ma se bevo non faccio del male a nessuno, solo a me stessa. È Mario a far male agli altri. Lui lo sa, ma non gli interessa. Ha mangiato tutti i soldi che avevamo, beve in continuazione con il risultato di non riuscire a governare le sue azioni. Lo odio. Sono un po' di notti che sogno di ucciderlo. Vorrei strangolarlo con le stringhe delle tapparelle. Vorrei fracassargli la testa come ho fatto con quel porco di Della Pozza. Il caso di quel bastardo è stato archiviato come conseguenza di una caduta accidentale. Ho visto gli sguardi dei poliziotti e so che pensavano che le cose fossero andate diversamente. La colpa è stata mia. Ho dichiarato delle cose senza pensare che avrebbero potuto confutarle facilmente. Be', se me la sono cavata con Della Pozza, potrei anche con Mario. Lo odio e merita di morire. Merita di morire come avrebbe meritato di essere ammazzato mio padre. Da una parte mi sento sporca e meschina a dire queste cose. È mio padre e in quanto tale gli dovrei rispetto. Dovrei amarlo solo perché è mio padre. Così mi è stato insegnato... Questo non toglie il fatto che vorrei uccidere Mario e chi come lui approfitta della propria forza e autorevolezza per vessare le donne che, come me, non riescono a ribellarsi. Lo ucciderei, se non fosse per le mie figlie. Forse cambierà. Lo dice sempre, magari lo farà sul serio questa volta.
07 maggio 1998
Oggi ho afferrato un coltello, pronta a squartargli la schiena, poi mi sono resa conto delle mie azioni e ho lasciato perdere. Ho paura. Ho paura che lui si renda conto di ciò che voglio fare e mi ammazzi, così, per primo. Le mie figlie sembrano più contente, da quando siamo tornati a vivere tutti insieme. Non si rendono conto di che incubo sia stare con quell'uomo che loro chiamano papà. Come ho potuto pensare che lui sarebbe stato un buon padre? Un fallito alcolizzato! Mi ha fatto il lavaggio del cervello, quando ci siamo conosciuti, ma ormai non ha più potere mentale su di me. Lo vedo per quello che è. Un uomo che merita di morire. E che non merita l'amore delle figlie.
02 Agosto 1998
Ho detto basta. Si è spento un interruttore e il mio carattere remissivo ha cessato di esistere. Non posso far sempre finta di nulla. Non posso sempre concedere al mio carnefice il beneficio del dubbio. Non posso e non voglio più. Mi ha umiliata, mi ha distrutta nell'animo. Mi ha chiamata stupida davanti alle bambine, mi ha malmenato mentre giocavano con le loro bambole. Mi ha dato un calcio mentre correvo schermandomi il volto con le mani per non essere colpita; una delle cose più odiose che io abbia mai vissuto. Ma non ho osato reagire. Non subito. No. Ho atteso. Come un ragno sulla sua ragnatela. Ho atteso che arrivasse la notte. Ho atteso che lui dormisse profondamente. Lo odio. Lo odiavo. Non avevo abbastanza forza, né nel carattere, né nel fisico. Non quando lui era sveglio. Ma mentre dormiva... Be', lì avevo la possibilità di farlo tacere una volta per tutte. E oggi ho detto basta. Mi sono avvicinata al letto, ho osservato il suo profilo. Le spalle si sollevavano e abbassavano. Ho ascoltato il battito del mio cuore suonare all'unisono con il suo respiro pesante e lo stomaco mi si è accartocciato. Non riesco a capire come abbia fatto a sopportare quel suo russare per così tanto tempo. Odio anche quello, ma non ho mai potuto neanche strattonarlo per farlo smettere. L'unica volta che ci ho provato, i primi mesi di convivenza, ci ho rimediato un ceffone in pieno viso, tale da dover rimanere in casa per una settimana Era più un cazzotto che un ceffone, ma ormai è acqua passata. Mi sono avvicinata di più. Ho distinto chiaramente il sibilo nelle narici, le labbra socchiudersi a ogni espirazione. Ho visto rosso, poi nero, poi bianco, e ancora nero. Avevo la cinta delle tapparelle, in mano, ma non so neanche in quale momento l'ho presa. Credo subito dopo aver messo a letto le bimbe, ma non ne sono certa. Non vorrei averle staccate ed essermele portate nella camera delle piccole. Avrei potuto fare qualcosa di diverso, da ciò che ho fatto, ma ripensandoci non ne sarei stata capace. Credo. Comunque mi sono avvicinata e sono salita piano sul letto. Avevo pensato di stringergli le corde intorno al collo, ma poi ho realizzato di non aver abbastanza forza. Ho afferrato la lampada sul comodino e gliel'ho sbattuta in testa. L'ho dovuta prendere con entrambe le mani, perché era pesantissima. Ho rischiato di rovinare tutto, in effetti. Non credevo fosse così dannatamente pesante e per poco non mi cadeva a terra. Mi ha fatto tornare in mente Della Pozza, ma è stato un rapido flash. In quel momento avevo bisogno di rimanere lucida. Ho fatto in tempo a incaprettarlo prima che si riprendesse del tutto. Quel diavolo è come l'erba cattiva. Si è rigirato e mi ha aggredita, ma fortunatamente era legato per bene. Sono saltata giù dal letto, ho preso il portagioie, e gliel'ho spaccato in testa. A quel punto è stato più facile continuare, perché l'ho stordito a dovere. Avevo un sogno da tempo e l'ho realizzato. Gli ho avvolto quelle dannate cinte intorno al collo, gli ho messo un piede dietro al collo per riuscire a fare leva nel miglior modo possibile, poi ho iniziato a tirare. Ho tirato finché ne ho avuta la forza. Non mi sono resa conto subito di averlo ammazzato. Ha smesso di respirare, ma io ho continuato a tirare. Avevo le gocce di sudore che mi colavano dalla fronte, per lo sforzo. È stata una liberazione. Quando ho realizzato che non lo avrei più sentito urlare o russare ho sorriso. Poi ho pensato al fatto che non mi avrebbe più picchiata e ho riso di gusto. È stato un crescendo... Più riflettevo alle conseguenze del mio gesto, più ridevo come una pazza. Ma non sono pazza. Ho fatto quello che dovevo. Per i miei figli, per me stessa. Ho bevuto un bel bicchiere di vino per festeggiare, poi l'ho avvolto nei sacchi della spazzatura. Volevo dormire, ma non avrei mai potuto con lui in camera. Non voglio più sentire i suoi occhi puntati su di me. L'ho trascinato sul balcone, poi ho respirato l'aria fresca della notte. Ho chiuso gli occhi, con il sorriso sulle labbra, e poi li ho riaperti. Dovevo per forza coprire Mario con qualcosa, altrimenti quell'impicciona della vicina si sarebbe insospettita. Ho preso il tappeto che avevo tirato fuori per metterlo in sala da pranzo e l'ho appeso alla ringhiera del balcone. Ora sono in camera, sdraiata sul letto. Sola, nel silenzio che ho sempre desiderato e che non ho mai avuto qui dentro. L'ho ucciso. Cristo, l'ho ucciso!
03 Agosto 1995
Non ce l'ho fatta. Ho pensato che avrebbe cominciato a puzzare. Ho pensato che mi avrebbe perseguitato per tutta la vita se non lo avessi sepolto. Ho chiamato la polizia. Mi stanno venendo a prendere. Che fine faranno le mie bambine? Le guardo giocare con le loro Barbie e mi si stringe il cuore. Ho ammazzato loro padre. Ho fatto bene, ma loro lo capiranno? Non riesco a fermarmi, continuo a piangere come una stupida. Sento la sua voce ripetermi quanto io sia stupida. Ha ragione, ma non lo ammetterò mai con nessuno. Neanche a lui, che vive in me. Vive in me come vive Della Pozza che mi fa sentire costantemente una puttana. Tutti e due sanno che io sono stupida, ma io non darò soddisfazione a nessuno. E piango. Le guardo, le mie bambine, e piango. Dario non torna quasi mai a casa, ma lo penso sempre. Che pessima madre sono? Sono pessima. Ho ammazzato due uomini, ma forse chi meritava di morire ero io.
Ero io?
Published on July 01, 2015 16:09
June 18, 2015
Episodio n.9 de Le ultime ore dell'angelo
Milena è morta. Si è impiccata. Marisa sente addosso tutto il peso della sua morte e tenta con ogni mezzo di non cedere al dolore che prova.Quando entrò nell'ufficio, ad aspettarla trovò Antonio. Contrito, in silenzio, si limitò a fissarla senza dire nulla. Marisa intuì che si sentiva in colpa per ciò che era avvenuto. Più che altro per le dure parole spese il giorno prima riguardo quella faccenda. Ma come poter pensare a una tragedia simile? Si rese conto di pensare come un familiare di Milena e non come una semplice funzionaria dello Stato. La realtà, che Antonio doveva aver compreso molto bene, era che tra carceriere e detenuto si instaurano rapporti che vanno al di là della morale sociale. Affetti costruiti con parole, occhiate, sospiri, confessioni. Segreti. Milena dipingeva e molto bene. Le aveva fatto un ritratto, poco tempo prima, che Marisa custodiva in casa come un regalo prezioso. Chiunque avesse sentito quella storia non avrebbe di certo compreso, ma a lei non interessavano i giudizi altrui. Sapeva cosa aveva passato la donna durante la sua vita e per questo non si sentiva per nulla in grado di condannarla. Era stata chiamata “L'Angelo sterminatore” e per lei era proprio questo: un angelo. Un angelo inviato dall'alto per dispensare giustizia laddove non ne esiste. Una donna che sembrava attrarre tutti gli uomini egoisticamente violenti del circondario. A raccontarla sembrava la trama di un romanzo, ma le sofferenze vissute da Milena erano state reali e tragicamente devastanti. Marisa deglutì, sorpassando Antonio, e si diresse verso lo spogliatoio femminile. Lo avrebbe ringraziato, non appena quella storia avesse trovato la giusta valvola di sfogo. Avvertì le lacrime pungerle le ciglia, tanto che strinse gli occhi per evitare che tracimassero rovinandole il trucco. Per quanto soffrisse per la morte di una persona che reputava vittima e non carnefice, si rendeva conto di doversi dare un contegno. Aprì il suo armadietto e lanciò la borsa all'interno, quindi si tolse la giacca e la appese malamente alla gruccia. Quando richiuse lo sportello e si voltò verso la porta, Marisa aveva riacquistato tutto il controllo proprio di una guardia carceraria. Inspirò profondamente e uscì fuori, gli occhi a cercare lo sguardo solidale del collega.-Insomma, com'è accaduto?-Si è impiccata stanotte con le lenzuola. Hanno chiamato i soccorsi, ma ormai era troppo tardi.-E adesso chi avvertirà Roberto?-Chi?-Roberto, l'uomo che doveva sposare! Chi lo avvertirà di cosa è accaduto?-Ci ha già pensato la televisione. E l'avvocato Sardo farà il resto. Dai, vieni, dobbiamo prendere servizio. Comunque mi dispiace, so quanto ci tenevi.
-Grazie- mormorò lei, prendendo le scale dirette alle celle. Roberto era un galeotto che, conosciuta la storia di Milena tramite giornali e televisioni, si era invaghito di lei fino al punto di instaurare una relazione. Era recente la notizia del loro imminente matrimonio e Milena, per quell'evento, non stava nella pelle. Aveva incrementato i suoi disegni a carboncino, sorridente quasi quanto il sole che amava guardare dalle sbarre. Marisa non capiva il perché di quel gesto estremo. Le aveva confidato che aveva chiesto a Licia, il suo avvocato, di ricorrere in appello. Aveva dei progetti, parlava spesso dei figli che avrebbe voluto vedere più spesso. Insomma, lontano dagli uomini malati del suo passato, sembrava essere rifiorita. Marisa giunse al cancello d'entrata e constatò il silenzio del luogo. Le detenute avevano saputo e forse avevano anche vissuto, in parte, l'agonia che si era consumata quella notte. Marisa chiuse gli occhi e recitò una preghiera, incamminandosi lungo il corridoio tra le celle. Sperò che l'anima della donna trovasse finalmente pace.
Published on June 18, 2015 08:35
June 11, 2015
Le ultime ore dell'angelo - settimo capitolo
Este 10 Agosto 1995
Ho toccato il fondo più e più volte. Ma ho deciso di riemergere per i miei figli. Forse un giorno riuscirò a essere la madre che hanno sempre voluto. Mario è un lontano ricordo e non ho più intenzione di tornare insieme a lui. L'ho promesso e giurato a me stessa il giorno in cui mi sono vista piombare l'ufficiale giudiziario a pignorare tutti i nostri mobili. Non tornerò indietro, nonostante lui mi abbia pregata di tornare insieme, facendo leva sul fatto che le bimbe sono separate. La grande è voluta rimanere con lui e non ho potuto far altro che lasciarla lì. Sono venuta in Veneto per ricominciare e ho tutta l'intenzione di farlo. Lavoro in una palestra, ora, facendo la portinaia, e arrotondo con le pulizie in casa di un vecchio. Non sono i lavori migliori della mia vita, però il Signor Dalla Pozza mi ha prestato dei soldi per aiutarmi in questo primo periodo. Ha detto che non devo preoccuparmi per la restituzione subito. Ci metteremo d'accordo uno di questi giorni. È un caro vecchietto. Farò di tutto per riunire tutti e tre i miei figli sotto lo stesso tetto. Riuscirò a essere felice di nuovo. Ho trascorso anni nella sofferenza fisica e psicologica, non potendo abbandonare neanche per un giorno i miei fedeli compagni di percorso: il vino e gli antidepressivi. Forse non riuscirò mai più a farne a meno, però non toccherò più il fondo come nel '92. Mai più. Preferisco sentire le loro voci che mi perseguitano, piuttosto che non riuscire a capire in che anno mi trovi. I miei figli mi hanno vista in condizioni pessime e non tollero più situazioni simili. Farò del mio meglio affinché tutto questo non accada mai più.
*
Mario mi ha chiamata di nuovo, cercandomi. Ha detto che vuole rimettersi con me. Mi ha ripetuto di farlo per le bambine. Mai per Dario. Dario è grande e dice che non ha bisogno di me. Forse ha ragione, ma ho sbagliato tanto anche con lui e non me lo perdonerò mai. Avevo giurato di non comportarmi come mia madre e invece sono stata uguale a lei. Comunque gli ho detto che ci penserò. Non vorrei tornare da lui, ma da sola sta diventando difficile. Ho più libertà ora, è vero, e non ho voglia di tornare alla povertà e agli stenti. Per quanti sacrifici sia costretta a fare, i soldi dei miei quadri sono riuscita a metterli da parte, a differenza di quando abitavo con lui, anche se ben presto dovrò restituirli a Dalla Pozza. Non so davvero come comportarmi. Mi sento sola, però, e questa situazione non potrà andare avanti a lungo.
*
Il vecchio ha cominciato a comportarsi in maniera strana. Sono due settimane che, mentre rassetto la sua stanza, mi tocca. Lui dice inavvertitamente, ma non credo sia così. È viscido. Mario continua a pungolarmi, facendo leva sul mio istinto materno. Spero di riuscire a non cedere. Sto risalendo la china, lentamente, e non voglio vanificare ogni cosa. Non voglio. Mi sento sola, la bimba chiede spesso di me e della sorella. Non so proprio come comportarmi. Da una parte c'è lui che non vorrei più vedere, dall'altra le mie figlie divise per un capriccio che vorrebbero ricongiungersi. Come posso far vivere loro questo stillicidio? Sono una pessima madre. Una pessima madre.
*
Dalla Pozza mi sta ricattando. Dio, non ho abbastanza denaro per restituire ciò che mi ha prestato. Gli ho già dato tutto ciò che avevo, sono rimasta senza nulla e lui ne vuole di più. E mi guarda in una maniera che fa venire i brividi. È vecchio, ma ha molta più forza di me. Non posso crederci. Credo di avere una sorta di calamita per gli uomini sbagliati. Ma non credevo, sul serio, che cercare lavoro mi facesse incappare in un problema simile. Ha ragione Mario. Lavorare aumenta i rischi di tradimenti. E noi siamo ancora sposati, per la legge. Non avrei mai tradito, ma rischio di farlo contro la mia volontà. Cristo, mi fa schifo!
25 Ottobre 1995
Sono andata a lavoro e... Sì, ho discusso con Dalla Pozza. Ho discusso con lui, perché pretendeva che pagassi in natura. Ha detto così. Avrei dovuto pagare in natura, dato che non raggiungevo le cinquecentomila lire che ha chiesto al mese. Mi ha detto che mi ha assunto per questo motivo. Perché lo attraevo e perché voleva che facessi a lui ciò che gli fanno le puttane. Una puttana... Sono diventata una puttana! Mi ha afferrato per un braccio, tanto che ancora sento dolore, e ha iniziato a urlare che dovevo soddisfarlo subito. Ho cercato di divincolarmi, ma non ci sono riuscita, quindi ho preso la prima cosa che mi è capitata tra le mani e gliel'ho scaraventata addosso. Una lampada. Era una lampada. Il sangue è iniziato a schizzare subito ovunque e mi sono spaventata. Ho indietreggiato e lui è caduto, sbattendo la testa contro il tavolo. L'ho osservato per alcuni minuti. Ero quasi imbambolata, a dire il vero. Non avevo mai considerato la possibilità di poter porre fine ai miei problemi in questo modo. E per un momento mi è dispiaciuto aver fatto così in fretta. Avrei potuto battere quella lampada ancora e ancora su quella testa di cazzo di un vecchio. Avrei voluto ammazzarlo in mille altri modi, a dire il vero, ma ho lasciato che il suo rantolio mi cullasse ancora per qualche minuto. Non l'avevo ammazzato, in fin dei conti... Sono andata via, quasi in trance, e quando sono tornata indietro ho chiamato l'ambulanza. Mi hanno fatto talmente tante domande che sono andata nel panico. Sarebbe stato semplice raccontare la verità, ma poi ho pensato ai miei figli e a Mario. A quanto lui avesse ragione circa la questione della donna lavoratrice. Ho detto loro che lo avevo trovato così, quando sono entrata, e che non mi recavo in quella casa da un po'. Nessuno può testimoniare il contrario. Non c'era nessuno con noi, quindi nessuno può affermare che io gli abbia fracassato il cranio con quella lampada. Ho tolto dalla faccia della terra un bastardo ed è questo ciò che conta. Non è morto, ma lo farà. È vecchio e conciato male. Morirà.
Tornerò da Mario e ricomincerò da capo. Se riuscirò a rimanere sobria, forse, riuscirò anche a essere una brava madre e una brava moglie. E lui mi amerà come desidero. Lui mi amerà di nuovo, più di prima.
Published on June 11, 2015 05:44


