Giuseppe Granieri's Blog, page 4

February 24, 2012

Le parole della nuova editoria

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Published on February 24, 2012 23:56

February 18, 2012

Odiare Amazon non è una strategia

Una parte dell'editoria americana muove accuse pesanti contro il «nemico più forte». Ma forse c'è una lezione da imparare.
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Published on February 18, 2012 00:24

February 11, 2012

La cultura degli algoritmi

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Published on February 11, 2012 00:28

February 4, 2012

Il futuro dei libri, ora

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Published on February 04, 2012 00:36

January 24, 2012

La lettura senza carta

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Published on January 24, 2012 23:39

January 20, 2012

January 15, 2012

Il prezzo (giusto) degli ebook

[image error] Per la prossima edizione di IfBookThen abbiamo preso una decisione che ci è costata un po', poiché avevamo la tradizione di non parlare di noi (e in effetti non lo faremo in modo diretto). Però c'è una prospettiva in cui l'esperienza di 40k è di interesse generale e abbiamo forse qualcosa da condividere.

In un futuro prossimo (o relativamente prossimo), quando i numeri di vendita della carta non giustificheranno più l'investimento degli editori, il solo-digitale diventerà lo standard e porrà una serie di problemi operativi che sono in parte molto diversi da quelli che si affrontano facendo edizioni miste carta-digitale.
E in questo anno e mezzo, noi -lavorando solo sul digitale- abbiamo testato sul campo alcuni di questi problemi (che vanno dalla comunicazione dei libri alla strategia dei prezzi). Cercheremo di mettere in ordine le idee per renderle uno spunto utile.

Sui prezzi, in particolare, c'è ancora molto da scoprire. Ed è un problema sensibile perché non riguarda solo la soddisfazione del lettore, ma anche la sopravvivenza dell'autore (che deve essere remunerato) e il mantenimento della struttura operativa che porta testi di qualità al pubblico (editing, proofreading, confezionamento, eccetera). Ma soprattutto deve poter garantire la sostenibilità di investimenti dell'editore che sono strategici per il lettore. Un esempio su tutti: le traduzioni.

Il nostro approccio da un lato è particolare (lavoriamo su testi brevi) dall'altro è molto aperto. Non usiamo DRM e cerchiamo di mantenere un prezzo coerente. Ma qui inizia il difficile: trovare il prezzo che accontenti tutti -facendo a meno dei ricavi della carta- non è un'operazione semplicissima. L'editore del futuro deve salvaguardare gli interessi dei lettori, ma anche quelli di chi lavora per portare il libro al pubblico (staff editoriale, autore, traduttore).

Il prezzo secondo i lettori. Alcuni nostri esperimenti dimostrano che la catena del valore del libro si sta contraendo. Promozioni come questa (che finisce oggi) raccontano con i numeri che 99 centesimi sono un prezzo attraente per il lettore (in 4 giorni avete fatto diverse centinaia di download). E a guardare il mercato -e gli standard che sta trovando- un romanzo dovrebbe uscire con un prezzo tra 6.99 e 9.99.

Il prezzo che salvaguarda l'autore e l'editore. Prezzi così bassi -considerando l'anomalia europea dell'IVA sugli ebook, al 21% in Italia- sono sostenibili se una parte dei ricavi deriva anche dalle vendite su carta. Se pubblichi solo in digitale il margine per gli autori e per mantenere l'organizzazione degli editori diventa sostenibile solo postulando un numero molto maggiore di copie vendute. E il mercato non è destinato a crescere in proporzioni tali da giustificare l'ipotesi secondo cui tutti i titoli venderanno il doppio o il triplo delle copie.

Sarà un mercato sempre più competitivo, con prezzi sempre più aggressivi e affollato -presto anche in Italia- dai self-publisher. Il rischio di questi prezzi (per i lettori) è che ad esempio si riducano drasticamente gli investimenti nelle traduzioni. Tradurre un romanzo costa anche migliaia di euro e il numero di copie da vendere per giustificare l'investimento -a questi prezzi- diventa spesso un argomento su cui ragionare a fondo e con prudenza. Il primo rischio è che molta letteratura non mainstream perda uno sbocco sui mercati diversi da quello della lingua originale.

Stesso ragionamento per i nuovi titoli: pagare gli anticipi agli autori sarà sempre più complicato se i ricavi complessivi non avranno più il beneficio dei prezzi della carta.

Se ci pensiamo bene, non è una cosa nuova. Lo abbiamo visto accadere con il giornalismo: i ricavi dell'online (che dipendono solo dalla pubblicità e non più da abbonamenti e acquisto copie) hanno portato effetti durissimi sulla remunerazione dei giornalisti. Che spesso sono pagati 5 euro ad articolo o meno (o niente). Il rischio per l'editoria è che il valore del lavoro che c'è dietro risenta della pressione verso il basso sui prezzi.

Stesso discorso per gli autori. Noi, non è un segreto, paghiamo royalty da standard digitali (25%), ma anche qui c'è da considerare che i prezzi ridotti riducono il ricavo dell'autore. Certo, gli autori potranno scegliere il self-publishing e prendere il 70% dalle vendite dirette. Ma può reggersi un sistema basato solo sul self-publishing?
Secondo me abbiamo ancora bisogno degli editori (per dirne una: i self-publisher non si traducono da soli)

La trappola dei prezzi minori di 2.99. Al momento, per lo stato del mercato, noi rilasceremmo volentieri alcuni dei nostri titoli con un prezzo inferiore a 2.99, cercando il prezzo naturale dei 40k classic -che potrebbe essere 1.99 o 1.49. Ma per far trovare i nostri libri su tutte le piattaforme, dobbiamo fare lo stesso prezzo dappertutto. E questo significherebbe ridurre le royalty prese da Amazon del 50%, poiché in quella fascia di prezzo viene pagato all'editore il 35% e non il 70%.
E, ancora una volta, dobbiamo pensare al guadagno dell'autore, ai costi delle traduzioni e alla sostenibilità del sistema.

Lo scenario generale. In un modello del genere, solo digitale e con queste pressioni sui prezzi, gli editori per rimanere competitivi saranno portati a contrarre sensibilmente i costi. Già storicamente l'editoria è uno dei business più strani al mondo (un settore in cui con due titoli su dieci -se va bene- paghi gli altri otto in perdita). E questo potrebbe significare anche un rischio per i lettori: libri meno curati, traduzioni sottopagate, eccetera eccetera.

La percezione del valore. Questa, lo ammetto, è una mia fissa. Però, osservando anche quanto accade negli Stati Uniti (stare su quel mercato per noi è una palestra insostituibile) c'è una relazione diretta tra prezzo e percezione del valore. E questa è un'altra cosa di cui cerchiamo di tenere conto. Se paghi un libro meno di un cappuccino come percepisci i mesi di lavoro dell'autore?

Ritornando al lettore. Io non credo che in futuro vedremo un'inversione di tendenza. I prezzi scenderanno e le strategie saranno sempre più aggressive. Questo può non essere necessariamente un bene per il lettore, lo dicevamo prima. Sarà una situazione con lati positivi e qualche rischio di effetti negativi. Gli editori, per garantire quello che oggi abbiamo, una volta archiviati i ricavi della carta, dovranno inventarsi nuovi modi per far quadrare il cerchio.
Richard Nash tempo fa diceva che non si riesce più a far ricavi vendendo solo contenuti. Bisognerà innovare, studiare approcci differenti, guardare avanti. Una bella sfida, che va combattuta salvaguardando gli interessi di tutti: da chi lavora e deve essere pagato il giusto a chi deve poter trovare il libro che ama ad un prezzo congruo e confezionato con la giusta qualità.

Non sarà facile venirne a capo, ma se amiamo la lettura bisogna provarci tutti insieme.
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Published on January 15, 2012 03:19

January 14, 2012

Come un racconto

Ralph Koster, game designer, ha scritto un lungo e interessante pezzo in cui sostiene
-da fan del gioco immersivo- che «la capacità di immersione, in un videogame, non è più
un elemento centrale ma uno stile di gioco. Questo è ancora più vero in un mondo in cui i giochi
stanno diventando di massa e tutto è mobile e pieno di interruzioni».

Il post va letto tutto (Is immersion a core game virtue?) e se hai poco tempo puoi leggere la sintesi di
Massively, che definisce «un lamento» l'analisi di Ralph.

La mia prima reazione è stata di totale disaccordo. Poi, complice anche un articolo cui sto lavorando (su
Star Wars: The Old Republic),
ho finito per rifletterci meglio e avvicinarmi alla posizione di Koster. Con qualche distinguo.

Così ho pensato di condividere alcuni appunti, più per razionalizzarli io che per interesse generale.



# Io non amo i giochi stand-alone, quindi non sto parlando di quel tipo di gioco.
Adoro invece i MMORPG (Massively Multiplayer Online
Role Play Games
). Ho iniziato a giocare ancora prima che diventassero grafici (allora si chiamavano MUD)
anche se -a parte una breve parentesi con Darkfall- non gioco seriamente dal 2006 (World Of Warcraft).

I MUD erano dei mondi condivisi con altri giocatori, e funzionavano per righe di testo e descrizioni.
Praticamente leggevi e scrivevi, e accadevano cose. Era come entrare in una specie di racconto
collettivo e -interazioni a parte- avevano tutte le caratteristiche di un medium noto (e immersivo)
come il libro.


# I forum dei netgamer sono allo stesso tempo il fotogramma dell'assassinio della lingua italiana
(come la conosciamo) e una miniera inesauribile di dati e di idee. Tra queste, una abbastanza vera
di cui non credo di riuscire a risalire alla fonte. Il succo è più o meno questo: «Prima si chiamavano
MMORPG, ora solo MMO. Ci siamo persi per strada il RPG (gioco di ruolo)».


# Più arricchisci il medium di suggestioni più l'immersività diventa faticosa e richiede disciplina.
La maggior parte dei MMO giocati (da Dark Age of Camelot in poi, con un'eccezione importante come
l'antico Star Wars Galaxies) spingevano prevalentemente verso
l'azione ed è probabilmente vero che aumentando la massa di giocatori cambia la modalità di gioco.



# I MMO sono un po' come i social media: la qualità dell'esperienza che ne hai dipende dalla qualità
delle persone con cui entri in contatto. Il Role Play, che è credo una componente essenziale
dell'immersione, richiede alcune skill e competenze che vanno acquisite e che i tutorial dei giochi
non ti insegnano. Devi esserci portato, devi avere immaginazione, forse anche buone letture (che non saranno
essenziali, ma certo aiutano). Per i numeri dei giochi di oggi è chiaramente uno dei tanti «stili
di gioco» possibili, ma fossi un progettista avrei difficoltà a collegarlo all'idea di «massivo».


Tutti i MMO prevedono infatti dei server appositamente dedicati al RP, ma è una delle opzioni disponibili.
E in media anche sui server RP la qualità viene fatta dalla selezione delle interazioni.


# Da questo punto di vista -tra tante innovazioni e qualche piccolo bug normale in un gioco
giovane- The Old Republic segna un passo avanti fortissimo nel ritorno all'immersione. Per tutti, ma solo in un certo senso.



Ogni personaggio ha una sua storia e deve interpretare il suo ruolo «anche» interagendo con il gioco.
Le sue scelte e le sue risposte influenzano gli eventi e il tutto avviene con dei cinematic stratosferici.
Le classi hanno storyline affascinanti, che invitano anche alla ripetizone del gioco da altri punti
di vista. Tra i personaggi che ho provato il mio preferito è lo Smuggler (lato Repubblica) ma anche la storia
dello Sniper (lato Impero) è divertentissima e suggestiva. Persino le schermate di loading entrano
nel racconto, facendoti leggere quello che ti sta succedendo e centrandoti come protagonista
di una storia. Un esempio: «L'agente Imperiale #nomepersonaggio ha assunto l'identità di Red Blade -un noto assassino- per
infiltrarsi tra le truppe nemiche» ecc. ecc. Sei sempre dentro una storia.

(Nota buffa: se si riforma la gilda «Mattatoio Numero 5», in cui giocava mezza 40k già ai tempi di WoW, saremo lato Impero perchè
abbiamo sempre giocato coi cattivi. Ma se dovessi identificarmi con un personaggio sarei prima lo
Smuggler e poi lo Sniper -nella foto).


# La mia prima impressione con Old Republic è che ti spinge molto all'immersione, utilizzando più
il linguaggio del cinema che non quello dei libri. In alcuni casi, l'abitudine ai MMO tradizionali mi ha portato
persino a desiderare più azione. Però sicuramente è un territorio molto fertile
per giocare in modo immersivo da soli (è un'opzione percorribile anche questa) ed è una buona base
per chi voglia adottare anche in gruppo questo stile di gioco.

Ma rimane una delle scelte possibili. Quella che forse a me -come player piacerebbe di più- ma che
non può essere imposta a milioni di giocatori. I MMO sono disegnati per far divertire chi ama esplorare
come chi ama il combattimento continuo e ripetitivo. Chi entra nel personaggio e chi si diverte
a tendere agguati agli altri giocatori.


# Se dovessi optare per una conclusione su queste note sparse, direi che sicuramente Koster ha ragione
su diversi punti. Ma dal mio punto di vista (con cui si può ovviamente non concordare) il gaming è probabilmente
la forma di intrattenimento più evoluta che abbiamo nel XXI secolo.
E l'evoluzione nella progettazione dei giochi
-ancora nella sua infanzia- andrà di pari passo con la «crescita» e «l'educazione» dei giocatori. In fondo il nostro cervello
funziona -con maggior o minore consapevolezza da parte nostra- inserendo tutto in una storia. E lo fa allo stesso modo con
la realtà come con gli stimoli che vengono da universi sintetici.
La tecnologia ci sta abilitando a sfruttare sempre meglio questa opportunità. Magari sbaglio, ma io tendo a vederla positiva: sono convinto che nei prossimi anni
sicuramente vedremo cose sempre più stupefacenti.
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Published on January 14, 2012 04:43

January 13, 2012

Editori, tra paura e coraggio

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Published on January 13, 2012 23:17

January 6, 2012

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Giuseppe Granieri
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