Vita e destino
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E dove la violenza cerca di cancellare varietà e differenze, la vita si spegne.
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Nelle sorti della gente del lager la somiglianza nasceva dalla differenza. Un giardino lungo una polverosa strada italiana, il cupo fragore del Mare del Nord, un coprilampada di pergamena arancione in casa di un dirigente alla periferia di Bobrujsk: il loro passato poteva avere poco in comune, ma non c’era detenuto per cui non fosse meraviglioso.
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Passavano intere settimane senza nemmeno l’ombra di una SS! Erano i detenuti a farsi carico del servizio di polizia all’interno delle città-lager. Erano i detenuti a far rispettare l’ordine dentro alle baracche, a controllare che nel paiolo ci fossero solo patate marce e guastate dal gelo e a curarsi che quelle più grandi e belle finissero ai depositi alimentari dell’esercito.
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Si sarebbe potuto credere che, se anche fossero spariti i comandanti, i prigionieri non avrebbero tolto l’alta tensione ai recinti, avrebbero continuato a lavorare e non sarebbero comunque evasi.
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Il 15 settembre dell’anno passato ho visto giustiziare ventimila ebrei, donne, vecchi e bambini. Quel giorno ho capito che Dio non può aver permesso nulla di simile, e mi è parso evidente che non esiste. Le tenebre attuali sono la vostra forza, in lotta con un male tremendo...».
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Vide una contadina, una povera donna vestita di stracci con il collo smunto e le mani scure di chi lavora, e vide l’orrore negli occhi degli uomini che l’avevano arrestata e la scortavano: impazzita per la fame, quella donna aveva mangiato i suoi due figli.
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Le ho viste, io, le sofferenze immani dei contadini, e la collettivizzazione era a fin di bene. Non ci credo, io, nel bene. Io credo nella bontà».
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Da giovane, tra amici che la pensavano come lui, era facile capirsi, sentirsi vicini. E ogni idea, ogni opinione del nemico era estranea, mostruosa. Adesso, invece, gli capitava di cogliere, nei giudizi di chi la pensava diversamente da lui, idee che gli erano state care decenni prima, o di sentire estranee le considerazioni e le parole degli amici. Mah, forse è perché sono al mondo da troppo tempo, pensava Mostovskoj.
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Eppure, in una lingua fatta di sorrisi, occhiate, pacche sulle spalle e una quindicina di parole russe, tedesche, inglesi e francesi – tutte storpiate – i prigionieri parlavano comunque di solidarietà, compassione, sostegno, amore per la casa, per le mogli e i figli con colleghi di decine di nazionalità e lingue.
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Non c’era posto al mondo in cui costruire rifugi fosse ritenuta cosa tanto seria quanto a Stalingrado.
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«Quei due erano fatti all’inverso, anche d’aspetto: il comandante era una persona semplice, figlio di contadini, mentre il commissario portava i guanti e l’anello al dito. Adesso riposano fianco a fianco».
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C’è qualcosa, invece, che chi partecipa a uno scontro perde quasi del tutto: la percezione del tempo. Colei che a Capodanno danza fino a mattina non saprà dirvi se il tempo sia trascorso veloce o lento. «Sono qui da un’eternità, eppure sono sembrate poche settimane» vi dirà, invece, un prigioniero dello Schlisselburg con venticinque anni di carcere alle spalle. La notte della ragazza è un tripudio di avvenimenti effimeri – sguardi, musica, sorrisi, corpi che si sfiorano –, tutti talmente impetuosi da non lasciarle alcuna percezione della durata. Eppure la somma di quei brevi attimi genera la ...more
Alberto Radice
Percezione del tempo
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il comandante era di pessimo umore.
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Eppure non era stato capace di esporre i suoi timori, le sue angosce e i suoi pensieri più foschi al comandante del fronte. Né l’uno né l’altro, tuttavia, avrebbero saputo dire perché quell’incontro li aveva delusi. C’era qualcosa al di sopra degli eventi – l’essenziale – a cui nessuno dei due era riuscito a dar voce.
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«Non è egoismo, il suo. La nonna è una populista» aveva detto Nadja, aggiungendo: «E i populisti sono brava gente, ma con poco cervello».
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Ora la sua angoscia si placava solo quando ne incolpava Ljudmila. Pensava continuamente a sua madre. Pensava a cose a cui non aveva mai pensato e alle quali l’aveva costretto a pensare il nazismo: al suo essere ebreo, al fatto che sua madre fosse ebrea.
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che la storia di Prout è strana. Se la sua ipotesi è giusta è perché ai suoi tempi nella determinazione dei pesi atomici si commettevano errori madornali. Se invece avessero saputo fissarli con la precisione di Dumas e Stass, Prout non avrebbe certamente avuto il coraggio di supporre che fossero tutti multipli dell’idrogeno. Sbagliando, ha visto giusto».
Alberto Radice
Prout
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Nel XX secolo era la fisica a indicare la strada... E nel 1942 il crocevia di tutti i fronti del conflitto mondiale era Stalingrado.
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Quella stessa mattina i tedeschi mi ricordarono ciò che avevo dimenticato in anni di potere sovietico: sono ebrea. «Juden Kaputt!» gridavano dai camion. Poi me lo ricordarono anche alcuni vicini di casa. Sotto la mia finestra la moglie del portinaio commentava: «Grazie a Dio gli ebrei hanno i giorni contati». Ma perché? Suo figlio ha sposato un’ebrea, è stata a trovarli, mi ha raccontato dei nipoti...
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Non so cosa sia peggio: la cattiveria o la compassione con la quale di solito si guarda un gattino rognoso a cui resta poco da vivere. Non avrei mai creduto di doverlo provare sulla mia pelle.
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Dai tempi dello zar per me l’antisemitismo è legato al patriottismo di bassa lega dell’Unione di San Michele Arcangelo. Qui, invece, quelli che chiedono di liberare la Russia dagli ebrei si umiliano di fronte ai tedeschi e sono pronti a vendere la Russia per trenta denari nazisti. E intanto dalla periferia vengono a rubare in città, occupano le case, portano via coperte e vestiti. Farabutti. Un po’ come quelli che davano la colpa ai medici e li ammazzavano, durante l’epidemia di colera del secolo scorso.
Alberto Radice
Antisemitismo e opportunismo
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Sai, Viktor caro, dopo averlo incontrato mi sono sentita di nuovo un essere umano; qualcun altro mi trattava con gentilezza, oltre ai cani.
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C’erano due diversi gruppi di persone, su quella strada. Da una parte gli ebrei in cappotto e cappello, le donne con gli scialli pesanti. E sul marciapiede gli altri, in abiti estivi: bluse chiare, uomini in maniche di camicia, alcuni con le casacche ucraine ricamate. Pareva quasi che per gli ebrei in marcia anche il sole avesse smesso di splendere, che camminassero nel freddo di una notte di dicembre.
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Prima negli occhi delle persone cercavo i sintomi delle malattie, di glaucomi e cataratte. Adesso non ce la faccio più a guardarli, quegli occhi, perché ci vedo solo il riflesso dell’anima. Di un’anima buona, Viktor caro! Triste e buona, sorridente ma condannata, sconfitta dalla violenza ma che al tempo stesso sulla violenza trionfa. Di un’anima forte, Viktor!
Alberto Radice
Occhi
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Mi cercherò un altro posto dove stare. Più si è tristi, con meno speranze di sopravvivere, più si è generosi, buoni, migliori. I poveri, gli stagnini, i sarti, tutti condannati a morte certa, sono molto più nobili d’animo, molto più generosi e intelligenti di chi è riuscito a mettere da parte qualcosa da mangiare.
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Non c’è posto al mondo dove la speranza sia viva come nel ghetto. Succedono tante cose, nel mondo, ma lo scopo, il senso di tutto è uno solo: la salvezza degli ebrei. Quanta speranza!
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Il nazismo era pervenuto all’idea di eliminare interi strati della popolazione, insiemi legati dalla razza o dall’etnia, sulla base del fatto che in quegli strati e sottostrati la probabilità di un’opposizione nascosta o manifesta era maggiore che altrove. La meccanica delle probabilità e degli insiemi umani.
Alberto Radice
Nazismo e probabilità/quanti
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La parola di Getmanov, parola di capo e parola decisiva, era ascoltata avidamente da centinaia di persone con il dono della ricerca, del canto e della scrittura, e tutto questo nonostante Getmanov non solo non sapesse cantare, suonare il pianoforte o curare regie teatrali, ma non fosse nemmeno in grado di interpretare con gusto e profondità un testo scientifico, una poesia, un brano musicale o un dipinto... La sua parola era decisiva perché il partito gli aveva affidato la cura dei propri interessi in ambito artistico e culturale.
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vuoto attorno a lui si fece ancora più fastidioso. Aveva appena dato voce a ciò di cui era bene evitare di parlare anche solo per scherzo, a ciò di cui si poteva solo tacere. Perché chi si indignava per i pettegolezzi su Stalin e la consorte sbagliava tanto quanto chi li diffondeva: bocca chiusa, punto e basta.
Alberto Radice
Stalinismo e controllo gossip
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Quando, durante la collettivizzazione forzata, c’era stata qualche deviazione dalla linea, ancor prima delle Vertigini del successo – l’articolo di Stalin – Sagajdak aveva scritto che la carestia era colpa dei kulaki che seppellivano espressamente il grano e non mangiavano, si gonfiavano e morivano a villaggi interi, vecchi e bambini compresi, e tutto per nuocere allo Stato.
Alberto Radice
Carestia e manipolazione informazioni
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lui stesso era incline a ritenere una prerogativa degli uomini nuovi l’affetto che anche alcuni suoi collaboratori mostravano per i figli. Lo sapeva, e sapeva che gli avrebbero perdonato la guaritrice fatta venire con un aereo da Odessa, o l’erba miracolosa di un qualche santone dell’Estremo Oriente arrivata a Kiev con una staffetta militare.
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con gli ospiti già in cappotto e cappello, Getmanov disse: «Un soldato si abitua a tutto, a scaldarsi con niente e a mangiare un pugno di mosche. Ma a vivere lontano dai figli non ci si abitua mai».
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in quel nuovo, ultimo addio, quando dalla porta socchiusa l’aria fredda e umida della strada si mescolò al calore della casa, quando la pelliccia ruvida del montone di lui sfiorò la seta profumata della vestaglia di lei, entrambi sentirono che le loro vite, una cosa sola fino a quel momento, si stavano dividendo, e l’angoscia era fuoco nei loro cuori.
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Quando parlavano con lei, gli uomini non mancavano mai di notare che era una bella donna, ed Evgenija Nikolaevna lo sentiva. Grišin, invece, la guardava come si guardano le vecchie lacrimose e gli invalidi: in quell’ufficio non era più una persona, non era più una giovane donna, era solo una questuante.
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Grišin calmo, semplice, mortale, ma con nell’animo l’onnipotenza granitica dello Stato.
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Per Šarogorodskij Fet era un dio, un dio russo in primo luogo. E altrettanto divine erano per lui la fiaba di Finist e il Dubbio di Glinka. E sebbene apprezzasse Dante, non vi ritrovava la divinità della musica e della poesia russe.
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Viktor le rimproverava di non voler aiutare le persone, di trattare male i suoi parenti. Perché se solo la moglie avesse voluto, pensava lui, sua madre si sarebbe trasferita da loro e non sarebbe rimasta in Ucraina.
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Se la radio avesse annunciato l’apertura di un nuovo fronte o la violazione del blocco intorno a Leningrado, nessuno avrebbe mosso un muscolo; ma se avessero detto che sul treno di Mosca era stato tolto il vagone di lusso, ogni avvenimento bellico sarebbe svanito, fagocitato dalle passioni per la conquista dei biglietti di prima classe.
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La donna lo insultò, strattonandolo, e il cieco perse l’equilibrio, finendo a terra. Ljudmila la guardò. Da dove le veniva quell’espressione disumana? Che cosa l’aveva generata? La fame del 1921, vissuta da bambina? La moria del 1930? Una vita fatta solo di miseria? Il cieco rimase immobile per un istante, poi si alzò e si mise a urlare con voce stridula. I suoi occhi ciechi dovevano aver visto con insostenibile chiarezza tutta la scena: un poveruomo con il colbacco di traverso che agitava il bastone.
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Si erano messi d’accordo per confutare l’idea che il cuore di chi ha gli abiti unti e le mani nere è sempre buono.
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Tutti sono colpevoli di fronte a una madre che ha perso il figlio in guerra, e da che mondo è mondo tutti cercano – invano – di giustificarsi.
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L’anima passa attraverso mille tormenti, costruisce per anni, a volte per decenni, pietra dopo pietra, il suo tumulo, prima di arrivare ad ammettere una perdita eterna, prima di rassegnarsi all’evidenza.
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A terra sapeva che la forza di un capo è anche nei suoi punti deboli, e la debolezza dei sottoposti nei loro punti di forza. E all’occorrenza, sapeva farsi passare per idiota o ridere di una battuta idiota detta da un idiota. E sapeva tenere al guinzaglio piloti che non avevano paura di niente e di nessuno.
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Korol’ non aveva ancora superato i propri pregiudizi etnici e la sua condotta era uno sfregio all’amicizia tra i popoli. Perché i pregiudizi razziali erano una prerogativa dei nazisti, e Korol’ doveva tenerlo bene a mente.
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«La responsabilità di questo gesto inqualificabile è, sì, di chi lo ha commesso, ma è anche mia, di un commissario di reggimento che non è stato in grado di aiutare l’aviatore Korol’ a sbarazzarsi di istinti obsoleti e ributtanti. La questione è più seria di quanto sembri, ma non punirò Korol’ per la sua violazione. Mi faccio, invece, carico della responsabilità di rieducarlo».
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«Visto? Fanno sempre così, quelli: una mano lava l’altra e tutte due lavano il viso. Se al posto di Korol’ ci fossi stato tu o Vanja Skotnoj, Berman ti avrebbe sbattuto al disciplinare!».
Alberto Radice
Pregiudizi
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Era giunta l’ora più amara dell’amore, l’ora del distacco, l’ora del destino: nonostante le lacrime, alcune ragazze sarebbero state dimenticate il giorno seguente, altri li avrebbe divisi la morte, per altri ancora il destino aveva in serbo fedeltà e un nuovo incontro.
Alberto Radice
L'ora del distacco e del destino
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Non era solo fame, la sua. Abarčuk lo sapeva e si odiava per questo. Un altro sentimento lo turbava, un sentimento meschino e orribile, tipico dei lager. La voglia di stare con i forti, di parlare a tu per tu con quel Perekrest di fronte al quale tutto l’enorme lager tremava come una foglia.
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«Sai cos’ho pensato? Non invidio più chi sta fuori. Invidio chi sta nei lager tedeschi. Che bellezza! Sapere che a picchiarti è un nazista. A noi, invece, è toccata una sorte tremenda: siamo prigionieri dei nostri stessi compagni...».
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«Lei e il suo delirio mistico mi ripugnate quanto chi ha creato questo lager» gli rispose Stepanov, saccente. «Sia lei che loro dimenticate che la Russia ha una terza via, la più naturale: la democrazia, la libertà».
Alberto Radice
Democrazia
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