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Quel giorno la morte nel bosco finto, dove un lupo finto si avvicinava furtivo a un capretto finto, lasciò per sempre le pagine del libro. David capì che anche lui sarebbe morto, e non come nella favola, non come nel libro illustrato, ma per davvero, sul serio.
Che cosa ne deduciamo? Un nuovo tratto della natura umana? No. Piuttosto un nuovo modo, tremendo, di plagiare gli esseri umani. La violenza estrema dei sistemi totalitari si è mostrata capace di paralizzare i cuori su interi continenti.
Come si spiegano, altrimenti, le posizioni di alcuni intellettuali ebrei non privi di capacità logiche, i quali affermarono che lo sterminio del loro popolo era necessario alla felicità del genere umano, e che si dissero pronti a condurre al macello i propri figli, ripetendo per il bene della Patria il sacrificio compiuto da Abramo?
Uno dei modi grazie ai quali il nazismo plagia l’uomo è rendendolo cieco – o quasi – a tutto. L’uomo non si capacita di essere destinato allo sterminio. L’ottimismo di chi ha un piede nella fossa lascia attoniti.
Tuttavia, la disperazione più totale e lucida non ha generato solo rivolte e resistenza, ma anche il desiderio – che l’uomo normale ignora – di finire giustiziato.
Nella morsa della violenza totalitaria la natura umana subisce un mutamento, si modifica? L’uomo perde il proprio desiderio innato di libertà? Dalla risposta a queste domande dipendono le sorti dell’uomo e del totalitarismo. Una mutazione della natura umana implicherebbe il trionfo universale ed eterno della dittatura, mentre l’anelito inviolabile alla libertà condannerebbe a morte il totalitarismo.
L’uomo non rinuncia mai volontariamente alla libertà. E questa conclusione è il faro della nostra epoca, un faro acceso sul nostro futuro.
Le assemblee umane hanno un unico scopo: conquistare il diritto a essere diversi, speciali, il diritto di sentire, pensare e vivere ognuno a suo modo, ognuno a suo piacimento. È per conquistarsi questo diritto, per difenderlo o estenderlo, che le persone si riuniscono. Di qui, tuttavia, ha origine anche il pregiudizio tremendo ma fortissimo che l’unione in nome di una razza, di un Dio, di un partito o di una nazione non sia un mezzo, bensì il senso della vita. No e poi no! L’unica ragione vera ed eterna della lotta per la vita è l’uomo, la sua pudica unicità, il suo diritto a essere unico.
La direzione politica ci dice che dobbiamo far capire ai soldati che l’Armata Rossa è un esercito di vendicatori. Mentre io stavo per parlare di internazionalismo e di approccio classista... L’essenziale è catalizzare la furia delle masse contro i nemici. E io invece avrei fatto la figura dello scemo della favola, che recita il requiem a un matrimonio...».
Era diventato anche lui uno di quegli istruttori politici dell’esercito che si occupano di scartoffie, danno aria alla bocca e disturbano chi combatte. Rispettavano, invece, chi non faceva domande, non dava spiegazioni, non stilava lunghi verbali e resoconti e faceva la guerra, non la propaganda.
Forse voleva dimostrare non solo a se stesso e ai suoi compagni, ma anche al nemico, che chi distrugge deve comunque arrendersi di fronte alla bellezza della vita anche là dove il lezzo di cadavere ristagna giorno e notte.
«L’uomo non è una pecora» aveva detto. «E per quanto intelligente, non l’ha capito nemmeno Lenin. La rivoluzione si fa per non avere nessuno che ci governi. E invece Lenin ha detto: “Prima vi governavano in modo stupido, io lo farò usando il cervello”».
«Cari compagni,» disse all’improvviso Mad’jarov «avete idea di cosa sia la libertà di stampa? Finisce la guerra, una mattina aprite il giornale e invece di un editoriale giubilante, invece di una lettera dei lavoratori al grande Stalin, invece di leggere che la tal brigata di metallurgici ha deciso di offrirsi volontaria come picchetto alle elezioni al Soviet supremo o che i lavoratori degli Stati Uniti hanno festeggiato il Capodanno in mestizia, tra disoccupazione crescente e miseria, sapete che cosa ci trovate, sul giornale? Informazioni! Riuscite a immaginarvelo? Un giornale che dà
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Stalin costruisce quel che serve allo Stato, e non all’uomo. L’industria pesante serve allo Stato, non all’uomo. La gente non se ne fa nulla del canale tra Mar Bianco e Mar Baltico. Le esigenze dello Stato sono a un estremo, quelle dell’uomo all’altro. E non si concilieranno mai».
«I geni non possono essere ammaestrati» disse Mad’jarov. «Non c’è posto per Dostoevskij nella nostra ideologia. Per Majakovskij sì. Non per niente Stalin lo ha definito il migliore, il più dotato. Majakovskij è lo Stato fatto carne, fatto emozioni. Dostoevskij, invece, è l’uomo
Il realismo socialista è l’affermazione dell’eccezionalità dello Stato, il decadentismo di quella dell’individuo. Sono diversi i metodi, ma la sostanza è la stessa: entrambi si beano della propria eccezionalità. Uno Stato geniale e senza difetti se ne frega di chi non è come lui. E l’individuo coperto di trine e merletti del decadentismo è del tutto indifferente alle altre persone;
Čechov ha portato nel nostro immaginario tutta la Russia nella sua imponenza, tutte le sue classi, tutti i ceti sociali e le età... Ma non solo! Ce li ha portati tutti, milioni e milioni, democraticamente, lo capite? Da autentico democratico russo! E come nessuno aveva fatto prima di lui, nemmeno Tolstoj, ha detto: siamo prima di tutto esseri umani, lo capite?, esseri umani, uomini, persone! Lo ha detto come nessuno aveva mai fatto prima. Ha detto che l’importante è che gli uomini siano prima di tutto uomini, e solo poi arcipreti, russi, bottegai, tatari, operai. Lo capite?
Perché il nostro umanitarismo è sempre stato intollerante, crudele e settario. Da Avvakum a Lenin umanitarismo e libertà sono stati partigiani, fanatici, e hanno sempre sacrificato l’uomo all’umanità astratta.
Partiamo dall’uomo, mostriamogli bontà e attenzioni chiunque egli sia, arciprete, contadino, industriale milionario, forzato di Sachalin, cameriere in un ristorante. Iniziamo rispettando, compatendo, amando l’uomo, altrimenti non ne verrà nulla. È questa, la democrazia, la democrazia mai nata del popolo russo. In mille anni i russi ne hanno viste di tutti i colori, hanno visto la grandezza e la megalomania. Una cosa non hanno mai visto, invece: un sistema democratico. Ed è proprio questa la differenza tra Čechov e il decadentismo. A un decadente lo Stato può dare una scoppola o un calcio nel
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Vede, per qualche motivo a noi russi l’orgoglio nazionale è vietato, altrimenti finiamo subito tra le Centurie Nere».
nostri intellettuali russi, invece, hanno sempre parlato intorno a una tazza di tè. E davanti a una tazza di tè allungato, si sa, confabulavano i nostri rivoluzionari, quelli della Narodnaja Volja, i populisti, i socialdemocratici; anche Lenin parlava della grande rivoluzione di fronte a un bicchiere di tè.
La terra e il cielo si sono guardati per tanto di quel tempo, in quei luoghi, da somigliarsi come si somigliano marito e moglie dopo una vita insieme. E allora non sai più se è il bianco metallico e polveroso dell’erba della steppa a crescere sull’azzurro noioso e pavido del cielo, o se è l’erba ad averne preso i riflessi azzurri; e non è più possibile staccarli l’uno dall’altra, il cielo e la terra, tanto si sono confusi in una polvere color latte.
una frase di Kuprin, o forse era di un qualche autore straniero, sull’amore che è come il carbone: scotta quando arde e sporca quando è freddo...
è la mostruosa disumanità di Stalin che lo ha reso il successore di Lenin. Come amate scrivere voi, Stalin è Lenin oggi. Quelli come lei credono che la miseria delle campagne e gli operai senza diritti siano dettagli temporanei, malattie della crescita. Mentre il fondamento della vostra edificazione del socialismo è il grano che voi, veri kulaki e monopolisti, comprate al contadino a cinque copechi al chilo rivendendoglielo poi a un rublo».
E la conquista della Polonia del 1939, d’accordo con Hitler? E la Lettonia, l’Estonia e la Lituania schiacciate dai vostri carri armati? E l’invasione della Finlandia? Il suo esercito e Stalin hanno tolto ai popoli più piccoli quello che avevano ottenuto con la rivoluzione. E le rivolte contadine sedate in Asia Minore? E Kronštadt? Non l’avrete fatto per la libertà e la democrazia, vero?».
Aveva trovato quel che cercava nel momento stesso in cui aveva rinunciato a collegare la teoria agli esperimenti e gli esperimenti alla teoria.
l’amico è colui che, pur volendoti bene, non ti nasconde le tue debolezze, i tuoi difetti, i tuoi vizi. L’amicizia si fonda dunque sulla somiglianza, ma si manifesta nella diversità, nelle contraddizioni, nelle differenze. Nell’amicizia l’uomo cerca egoisticamente ciò che gli manca. E nell’amicizia tende a donare munificamente ciò che possiede.
Molteplici sono le forme dell’amicizia, vario il suo contenuto, ma una sola è la base, incrollabile: la certezza che l’amico non ti tradisce, che tu non lo tradirai.
Marx aveva descritto le forze di repulsione fra le classi e le aveva studiate meglio di chiunque altro in tutta la storia dell’umanità. Ma come spesso accade a chi fa una grossa scoperta, si era convinto che le forze da lui individuate fossero le uniche a determinare lo sviluppo della società e il cammino della storia. Non si era accorto che esistevano forze potentissime in grado di unire un popolo al di sopra delle classi; dunque, edificata com’era sul disprezzo per la legge di attrazione nazionale, la sua fisica sociale era priva di senso.
Eppure il lavoro non lo rendeva felice, così come spesso non è felice chi ha sempre e comunque la pancia piena.
La burocrazia è quando si ordina a qualcuno di riempire ventiquattro formulari e lo si riduce a confessare di non essere un vero sovietico. Mentre se dice: “Il nostro è uno Stato di operai e contadini, mio padre e mia madre erano nobili, parassiti e zecche, dunque fate bene a cacciarmi via!”, allora è tutto in ordine».
Sono nell’ufficio del direttore del mattatoio, pensò Mostovskoj. Poco distante rantoli di bestie morenti, vapore di viscere calde, uomini sporchi di sangue, e lì, dal direttore, solo silenzio e tappeti, e i telefoni neri sulla scrivania a evocare il legame tra l’ufficio e il macello.
«Quando io e lei ci guardiamo in faccia, non vediamo solo un viso che odiamo. È come se ci guardassimo allo specchio. È questa la tragedia della nostra epoca. Come potete non riconoscervi in noi, non vedere in noi la vostra stessa volontà? Il mondo non è forse pura volontà anche per voi? Vi si può forse indurre a esitare? Vi si può fermare?».
voi avete ucciso milioni di persone, e gli unici ad aver capito che andava fatto siamo stati noi tedeschi!
Non c’è nessun abisso tra di noi! Se lo sono inventato. Siamo due ipostasi della stessa sostanza: uno “Stato partito”. I nostri capitalisti non sono i nostri padroni. È lo Stato a fornire loro un piano e un programma. È lo Stato a intascare produzione e profitto.
Il nazionalismo è l’anima della nostra epoca. E il socialismo in un solo paese è la forma suprema di nazionalismo! Non capisco perché dobbiamo essere nemici. Davvero non lo capisco! Eppure è stato il nostro geniale maestro, il Führer del popolo tedesco, il nostro padre, il migliore amico delle madri tedesche, il nostro sommo e saggissimo stratega a dichiarare questa guerra.
Ci sono due grandi rivoluzionari al mondo: Stalin e il Führer. La loro volontà ha generato il socialismo nazionalista dello Stato. Per me essere vostri fratelli è più importante che combattervi per aprirci un varco a oriente. Le due case che stiamo costruendo devono stare fianco a fianco. Ma ora, maestro, vorrei lasciarla un po’ solo e tranquillo affinché lei possa riflettere bene, prima del nostro prossimo incontro».
Ho visto le campagne morire di fame, e i figli dei contadini che morivano tra le nevi della Siberia; ho visto le tradotte che da Mosca, Leningrado e altre città della Russia portavano in Siberia centinaia di migliaia di uomini e donne, i nemici della grande, luminosa idea del bene sociale. Era un’idea bella e grande, e ha ucciso senza pietà, ha rovinato le vite di molti, ha separato le mogli dai mariti, i figli dai padri.
Perché la bontà è forte sino a quando è priva di forza. Appena la si vuole trasformare in forza, la bontà si perde, scolora, si offusca, svanisce.