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La luce, in Gita al Faro, è ciò che la Storia è per la vita umana. In realtà l’intero romanzo è come un lampo che per un istante inonda la foresta. Invece di disperdere l’oscurità, ne lascia una traccia indelebile.
Quello che toglie il respiro in letteratura non è l’ignoto bensí ciò che è familiare, reso nuovo da una diversa rappresentazione. Leggiamo per incontrare noi stessi.
Cosí, se si pensava solo alla sua bellezza, bisognava tener presente quel fremito, quella cosa viva – trasportavano mattoni lungo un’asse inclinata, mentre li osservava – e inserirla nel quadro; se invece si pensava a lei solo come una donna, bisognava dotarla di una qualche stravaganza; o ipotizzare un desiderio latente di spogliarsi della sua regalità di forme, come se la sua bellezza l’annoiasse, e l’annoiasse tutto ciò che gli uomini dicono della bellezza, e volesse solo essere come chiunque altro, insignificante. Chi lo sa. Chi lo sa. Ma doveva rimettersi al lavoro).
Lily ribadí l’intenzione di sottrarsi alla legge universale; si difese; le piaceva star sola; le piaceva essere quella che era; non era fatta per il matrimonio; e cosí dovette sostenere lo sguardo severo di due occhi di ineguagliata profondità, e affrontare la naturale certezza della signora Ramsay (e sembrava una bambina, adesso) che la sua cara Lily, la sua piccola Brisk, era una sciocca.
Era saggezza? Era esperienza? Era, ancora una volta, l’inganno della bellezza, che fa sí che tutte le proprie percezioni, a poca distanza dalla verità, s’impiglino in una rete dorata?
poiché ciò che lei desiderava non era la conoscenza bensí l’unità, non iscrizioni su tavole, nulla che si potesse scrivere in una lingua nota agli uomini, bensí l’intimità stessa, che è conoscenza, pensava, poggiando il capo contro un ginocchio della signora Ramsay.
Madre e figlio dunque – oggetti di universale venerazione, e in questo caso la madre era famosa per la sua bellezza – potevano senza irriverenza essere ridotti, rifletté lui, a un’ombra viola.
che si potesse percorrere quel lungo cunicolo non piú soli ma dando il braccio a qualcuno – il sentimento piú strano al mondo, e il piú elettrizzante – abbassò il gancetto della scatola dei colori, con piú veemenza del necessario, e il gancetto parve racchiudere per sempre in un cerchio la scatola dei colori, il prato, il signor Bankes, e quella selvaggia di Cam, che passò sfrecciando.
Le parole sembravano cadere in un pozzo di acqua limpida, sí, ma cosí deformante che, già mentre scendevano, le si vedeva contorcersi per assumere dio sa quale forma nella mente della bambina.
in cuor suo lei preferiva di gran lunga i tipi un po’ tonti agli uomini intelligenti che scrivevano trattati,
E, sfiorando con le labbra i capelli del figlio, pensò, non sarà mai piú cosí felice, ma s’interruppe, ricordando la collera del marito nel sentirglielo dire. Tuttavia era vero. Non sarebbero mai piú stati cosí felici. Un servizio da tè da dieci penny faceva felice Cam per giorni. Li udiva sgambettare e cinguettare allegramente al piano di sopra appena svegli. Correvano a perdifiato in corridoio. Poi la porta si spalancava ed entravano, freschi come rose, con gli occhi sgranati, perfettamente svegli, come se quell’entrare in sala da pranzo per la colazione, come facevano ogni giorno, fosse per
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Di stare in silenzio, da sola. L’essere e il fare, espansivi, luccicanti, vocali, evaporavano; e ci si poteva ridurre, con un senso di solennità, al proprio sé, in un cuneo di tenebra, invisibile agli altri.
Sotto è tutto buio, tutto si dilata, si fa incredibilmente profondo, ma di tanto in tanto risaliamo in superficie e questo è ciò che si vede di noi.
paese. Le luci s’increspavano e scivolavano via come fossero gocce d’acqua argentea intrappolate nel vento.
Nella solitudine ci si liberava delle preoccupazioni.
E d’un tratto il significato che, senza alcuna ragione, magari mentre escono dalla metropolitana o suonano un campanello, investe le persone, rendendole simboliche, rappresentative, calò su di loro, lí in piedi a guardare nella luce del crepuscolo, e ne fece i simboli stessi del matrimonio, marito e moglie.
E di nuovo si sentí sola in presenza della consueta antagonista, la vita.
Di nuovo percepí, come un dato di fatto, senza ostilità, la sterilità degli uomini, perché se non lo faceva lei nessuno l’avrebbe fatto, e cosí, dando a se stessa la piccola scossa che si dà a un orologio che si è fermato, la vecchia familiare pulsazione riprese, come un orologio riprende a ticchettare – uno due tre, uno due tre.
ora che la vita si era rafforzata e prendeva di nuovo il sopravvento, cominciò a darsi da fare, come un marinaio che non senza stanchezza vede il vento gonfiare le vele e tuttavia non vorrebbe salpare di nuovo, e pensa che, se solo la nave fosse affondata, sarebbe stato risucchiato nel vortice e avrebbe potuto riposare sul fondo del mare.
come se la sua stanchezza derivasse in parte dalla pietà che provava per gli altri, e la vita, la decisione di riprendere a vivere, fosse stata sollecitata dalla pietà.
Restava comunque vero che è quasi impossibile detestare qualcuno se si fa lo sforzo di guardarlo. Le piacevano i suoi occhi, azzurri, infossati, minacciosi.
la signora Ramsay compativa sempre gli uomini come se mancasse loro qualcosa, mai le donne, come se loro avessero qualcosa.
Era colpa delle donne. Le donne rendevano impossibile la civiltà con il loro «fascino», con la loro frivolezza.
La verità era che non apprezzava la vita famigliare. E in tale stato d’animo si è portati a chiedersi, A che scopo si vive? Perché prendersi tanto a cuore la riproduzione della specie umana? È davvero auspicabile? Siamo attraenti, come specie? Non molto, pensava, guardando quei ragazzini piuttosto disordinati.
Era quello il suo modo di guardare, diverso dal suo. Ma guardare insieme li univa.
E tutte le vite che abbiamo vissuto e tutte le vite a venire sono piene d’alberi e di foglie novelle7
Ora pareva che, toccato dalla penitenza umana con tutto il suo affanno, l’onnipotente avesse tirato le tende lasciando vedere, chiare, distinte, la lepre dritta immobile, l’onda che s’infrange, la barca che rolla; cose che, se sapessimo meritarle, dovrebbero appartenerci sempre. Ma l’onnipotente, purtroppo, tira il cordone e richiude le tende; non gli va; nasconde i suoi tesori in uno scroscio di grandine, e cosí li frantuma, li mischia al punto che pare impossibile ripristinarne la quiete o ricomporne i frammenti in un intero perfetto o leggere nei pezzi sparsi le parole chiare della verità.
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Adesso, giorno dopo giorno, la luce proiettava, come un fiore riflesso nell’acqua, la sua immagine chiara sulla parete opposta. Solo le ombre degli alberi, veleggiando nel vento, s’inchinavano sulla parete, offuscando per un attimo lo stagno in cui la luce si rifletteva; o gli uccelli, volando, disegnavano una morbida macchia che fluttuava adagio sul pavimento della stanza da letto.
Cosí la bellezza regnava, e la quiete, e insieme configuravano la bellezza stessa, una forma da cui la vita si era distaccata; solitaria come uno stagno al crepuscolo, in lontananza, visto dal finestrino di un treno che si allontana cosí velocemente che lo stagno, pallido nel crepuscolo, seppur intravisto quasi non viene defraudato della sua solitudine.
Al calar delle tenebre, il raggio del Faro, che nel buio si posava con tanta autorevolezza sul tappeto, evidenziandone il disegno, nella luce piú tenue si fondeva con la luce lunare scivolando gentile come per fare una carezza, indugiava in uno sguardo furtivo e poi tornava a farsi amorevole. Ma proprio nella pausa di quell’amorosa carezza, mentre il raggio si allungava sul letto, la roccia si spaccò; si allentò un altro lembo dello scialle; pendeva lí, ondeggiando.
pulviscolo giallo al punto che la signora McNab, quando entrava e con la sua andatura ondeggiante si metteva a spazzare e spolverare, sembrava un pesce tropicale che nuota in acque trafitte da lance di sole.
La Natura integrava ciò che l’uomo anticipava? Completava ciò che lui iniziava? Con imparziale compiacimento ne vedeva la miseria, ne perdonava la meschinità e acconsentiva alla sua tortura.
Perché era arrivato quel momento, quell’attimo incerto in cui palpita l’alba e la notte s’interrompe, quando una piuma basta a far abbassare il piatto della bilancia.
Dalla finestra aperta entrava mormorando la voce della bellezza del mondo, troppo flebile per udire esattamente ciò che diceva – ma che importanza aveva se il significato era chiaro?
Sí, sí – era uno di quei momenti in cui uno smisurato bisogno, della cui natura non era pienamente consapevole, lo spingeva ad avvicinare una qualunque donna, a costringerla, non importava come, tanto grande era il suo bisogno, a dargli ciò che voleva: comprensione.
Beckwith. Ma no. Stavano lí, isolati dal resto del mondo. L’immensa autocommiserazione di Ramsay, quel suo bisogno di comprensione tracimava allargandosi in pozze ai suoi piedi, e lei, miserabile peccatrice qual era, non faceva altro che raccogliersi la gonna intorno alle caviglie per non bagnarla. Restava lí zitta, stringendo il pennello.
Una sola linea sulla tela la esponeva a innumerevoli rischi, a svariate decisioni irrevocabili. Ciò che in teoria sembrava semplice, nella pratica si complicava immediatamente; come le onde che dall’alto della scogliera appaiono simmetriche, ma a chi vi nuota in mezzo appaiono divise da profondi abissi e crinali schiumosi. Tuttavia bisognava correre il rischio, tracciare quel segno.
In mezzo al caos c’era forma; quell’eterno scorrere e fluire (guardò il movimento delle nuvole e lo stormire delle foglie) veniva condotto alla stabilità. Vita rimani qui, diceva la signora Ramsay.
Il suo vago riandare col pensiero alla signora Ramsay sembrava in sintonia con quella casa quieta; con quella foschia; con quella fresca aria mattutina.