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June 8 - July 4, 2023
Noi non possiamo addurre come scusa l’ignoranza, ma solo l’indifferenza. La nostra generazione sa come stanno le cose. Abbiamo l’onere e l’opportunità di vivere nella fase in cui le critiche all’allevamento intensivo hanno fatto breccia nella coscienza popolare. Siamo noi quelli a cui chiederanno a buon diritto: «Tu che cos’hai fatto quando hai saputo la verità sugli animali che mangiavi?»
Non dovremmo illuderci sul numero di opzioni alimentari etiche che la maggior parte di noi ha a disposizione. In America la produzione non industriale di pollo non basta a nutrire la popolazione di Staten Island e quella non industriale di maiale non basta per soddisfare New York, figuriamoci il paese.24 La carne etica è una cambiale, non una realtà. Chiunque sostenga con serietà l’opzione della carne etica dovrà mangiare parecchi piatti vegetariani.
Che mondo creeremmo se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l’immaginazione morale e la volontà pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale?
la compassione è un muscolo che si rafforza con l’esercizio, e allenarsi regolarmente a preferire la gentilezza alla crudeltà ci cambierebbe.
Può sembrare ingenuo affermare che scegliere se ordinare un medaglione di pollo o un hamburger vegetariano è una decisione importante. D’altra parte, sarebbe di certo suonato incredibile se negli anni Cinquanta ti avessero detto che sederti in un posto o in un altro al ristorante o sull’autobus avrebbe potuto cominciare a sradicare il razzismo. Sarebbe suonato altrettanto incredibile se, all’inizio degli anni Settanta, prima delle campagne di César Chávez per i diritti dei braccianti agricoli, ti avessero detto che rifiutandoti di mangiare uva avresti potuto cominciare a liberare quei
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Decidere che cosa mangiare (e che cosa rifiutare) è l’atto fondante della produzione e del consumo che determina tutti gli altri. Scegliere vegetale o animale, agroindustria o fattoria a gestione familiare, non cambia il mondo di per sé, ma insegnare a noi stessi, ai nostri figli, alla comunità in cui viviamo e alla nostra nazione a optare per la coscienza invece che per la comodità può farlo.
In un’occasione Martin Luther King affermò con passione che «prima o poi arriva l’ora in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né popolare», a volte bisogna prendere una decisione semplicemente «perché la coscienza dice che è giusta».
La prossima volta che ti siedi a tavola, immagina che insieme a te siedano altri nove commensali e che insieme rappresentiate tutta la popolazione del pianeta. Organizzati per nazioni, due sono cinesi, due indiani e un quinto rappresenta tutti gli altri paesi dell’Asia nordorientale, meridionale e centrale. Il sesto rappresenta le nazioni del Sudest asiatico e dell’Oceania. Il settimo l’Africa subsahariana e l’ottavo il resto dell’Africa e del Medio Oriente. Il nono rappresenta l’America meridionale, centrale e settentrionale. L’ultimo posto è occupato dall’europeo. Se distribuiamo i posti in
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Detto questo, a meno di procurarti il cibo in segreto e di consumarlo nel tuo sgabuzzino, non mangi da solo. Noi mangiamo in quanto figli e figlie, in quanto famiglie, in quanto comunità, in quanto generazioni, in quanto nazioni e sempre più in quanto pianeta. Non possiamo evitare, nutrendoci, di irradiare un’influenza anche nostro malgrado. Come chiunque sia stato vegetariano per un certo numero di anni potrà dirti, l’influenza che questa semplice scelta alimentare ha su quello che mangiano gli altri intorno a te può essere sorprendente.
Quando alziamo la forchetta, diciamo da che parte stiamo. Ci mettiamo in un determinato rapporto con gli animali d’allevamento, con i lavoratori del comparto zootecnico, con l’economia nazionale e con il mercato globale. Non prendere una decisione - mangiare «come tutti gli altri» - vuol dire prendere la decisione più facile, cosa che è sempre più problematica.
Oggi mangiare come tutti gli altri vuol dire aggiungere una goccia nel vaso. Può non essere quella che lo farà traboccare, ma sarà un atto che si ripeterà ogni giorno della nostra vita, e ogni giorno della vita dei nostri figli e dei figli dei nostri figli...
Il motivo migliore per credere che potrebbe esserci un futuro migliore è che sappiamo esattamente quanto potrebbe essere brutto il futuro.
Dal punto di vista razionale, l’allevamento industriale è palesemente sbagliato, e sotto molti punti di vista. Con tutte le mie letture e conversazioni, devo ancora trovargli una difesa credibile. Ma il cibo non è razionale. Il cibo è cultura, abitudine e identità. Per alcuni l’irrazionalità porta a una specie di rassegnazione. Le scelte alimentari vengono accostate alle scelte sulla moda e alle preferenze nello stile di vita: non rispondono a giudizi su come dovremmo vivere. E sono d’accordo sul fatto che la confusione sul cibo, i significati quasi infiniti che genera, rendono la questione
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Non sto dicendo che la ragione non debba guidarci in molti aspetti importanti, ma il semplice fatto di essere umani, di comportarci in modo umano, è più che un esercizio della ragione. Reagire esige una capacità di attenzione che va al di là delle informazioni e al di là delle contrapposizioni tra ragione e desiderio, fatto e mito, e persino umano e animale.
L’allevamento intensivo cesserà prima o poi per via della sua assurdità economica. È completamente insostenibile. La terra finirà per scuoterselo via di dosso come un cane si scuote via le pulci; resta da vedere se finiremo scossi via anche noi.
Non dovrebbe essere responsabilità del consumatore capire che cos’è crudele e che cos’è benevolo, che cos’è distruttivo per l’ambiente e che cos’è sostenibile. I prodotti alimentari crudeli e distruttivi dovrebbero essere illegali. Non ci serve l’opzione di comprare giocattoli per bambini colorati con vernici al piombo, o spray con clorofluorocarburi o farmaci con effetti collaterali non indicati. E non ci serve l’opzione di comprare animali provenienti da allevamenti industriali.
Che io sieda alla tavola globale, con la mia famiglia o con la mia coscienza, l’allevamento industriale, per quanto mi riguarda, non appare solo irragionevole. Accettarlo mi sembrerebbe inumano. Accettarlo - nutrire la mia famiglia con il cibo che produce, sostenerlo con i miei soldi - mi renderebbe meno me stesso, meno il nipote di mia nonna, meno il figlio di mio padre. Questo voleva dire mia nonna quando disse: «Se niente importa, non c’è niente da salvare».