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June 8 - July 4, 2023
Quasi un terzo delle terre emerse del pianeta è destinato al bestiame.
I maiali domestici - la specie che mangiamo - sono a loro volta suddivisi in una moltitudine di razze. Una razza, a differenza di una specie, non è un fenomeno naturale. Le razze sono mantenute dagli allevatori attraverso l’incrocio selettivo di esemplari con caratteristiche particolari, cosa che oggi avviene solitamente per mezzo dell’inseminazione artificiale (utilizzata all’incirca nel novanta per cento degli allevamenti suini).7 Se prendessi qualche centinaio di maiali domestici di una singola razza e li lasciassi fare per qualche generazione, comincerebbero a perdere le caratteristiche di
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Dal momento che i tratti che più importano all’allevatore, al consumatore e al maiale non sono gli stessi, accade regolarmente che gli allevatori selezionino animali che soffrono di più perché i loro corpi mostrano caratteristiche che l’industria e i consumatori richiedono.
Guardando un pastore tedesco di razza, potresti esserti accorto che, quando è in piedi, ha il posteriore più basso rispetto al garrese, per cui sembra sempre rannicchiato o che guardi verso l’alto in modo aggressivo. Questo «aspetto» era visto come desiderabile dagli allevatori ed è stato ottenuto nel corso delle generazioni selezionando animali con le zampe posteriori più corte. Il risultato è che oggi i pastori tedeschi - anche con il pedigree migliore - soffrono in modo sproporzionato di displasia dell’anca, una patologia congenita dolorosa che costringe molti padroni a condannare i loro
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Quasi tutti gli animali d’allevamento, a prescindere dalle condizioni in cui si concede loro di vivere - «allevati a terra», «allevati in libertà», «biologici» - son...
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La domanda di carne di maiale magra - «l’altra carne bianca», come ce l’hanno venduta - ha portato l’industria suina a selezionare maiali che non solo soffrono di più di problemi agli arti e al cuore, ma che sono più soggetti a irritabilità, paura, ansia e stress.
Il genoma delle razze suine utilizzate oggi nell’allevamento intensivo, invece, è così alterato che i maiali devono essere perlopiù allevati in edifici dal clima controllato, senza sole né stagioni. Alleviamo creature incapaci di sopravvivere in qualunque luogo che non sia l’ambiente più artificiale. Abbiamo sfruttato il tremendo potere della genetica moderna per produrre animali che soffrono di più.
Niente - non una conversazione, non una stretta di mano e neppure un abbraccio - fonda un’amicizia con tanta forza come mangiare insieme.
Da un certo punto di vista, il perché di un mattatoio è tutto qui. Sul piatto di fronte a me c’è il fine che promette di giustificare tutti i sanguinari mezzi della porta accanto. L’ho sentito ripetere e ripetere all’infinito da chi alleva animali destinati al consumo alimentare, ed è davvero l’unico modo in cui è possibile impostare l’equazione: il cibo - il gusto, le funzioni che assolve - o giustifica o non giustifica il processo che lo porta nel piatto.
Chiunque lasci intendere che esista una simbiosi perfetta tra l’interesse dell’allevatore e quello degli animali probabilmente sta cercando di venderti qualcosa (e non è fatta di tofu).
Ciò che non è abbastanza chiaro, forse a nessuno, è la portata della nostra complicità, come individui e soprattutto come singoli consumatori, con il comportamento delle grandi imprese. [...] [L]a maggioranza della gente [...] ha dato mandato alle grandi imprese di produrre e fornire tutto il cibo.34
(Quando si parla del tributo ambientale dell’allevamento, si parla in larga misura di questo.) Il problema è piuttosto semplice: enormi quantità di merda. Così tanta merda, gestita così male, che cola nei fiumi, nei laghi e nei mari, uccidendo la fauna selvatica e inquinando l’aria, l’acqua e la terra con modalità devastanti per la salute umana.
Anche qualora i cittadini riescano a far approvare leggi restrittive su queste pratiche, l’immensa influenza che l’industria ha sul governo fa sì che le disposizioni normative siano spesso rese vane o rimangano inapplicate.
Mentre una vacca partorisce un solo vitello per volta, la moderna scrofa industriale genera, nutre e cresce una media di quasi nove maialini, un numero che gli allevatori industriali hanno aumentato di anno in anno.84 La terranno gravida il più possibile, vale a dire per la stragrande maggioranza della sua esistenza. Quando si avvicina il giorno del parto, spesso le inducono il travaglio con mezzi farmacologici perché figli nel momento più adatto per gli allevatori.85 Dopo lo svezzamento dei piccoli, un’iniezione di ormoni le fa tornare rapidamente il ciclo perché nel giro di appena tre
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Un bombardamento di antibiotici, ormoni e altre medicine nel cibo terrà in vita la maggior parte degli animali fino al momento di macellarli malgrado le malattie. I farmaci servono soprattutto a combattere i problemi respiratori, diffusissimi negli allevamenti intensivi di suini. L’umidità dei luoghi in cui sono rinchiusi, la densità degli animali con sistemi immunitari indeboliti dallo stress e i gas tossici prodotti dall’accumulo di merda e piscio rende questi problemi praticamente inevitabili. Tra il trenta e il settanta per cento dei maiali di solito ha qualche tipo di infezione alle vie
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ovviamente, questi virus infettano l’uomo).122 Nel mondo dell’allevamento industriale le aspettative si sono capovolte. I veterinari non lavorano più per la salute ottimale, ma per la redditività ottimale. I farmaci non servono per curare le malattie, ma per supplire a sistemi immunitari distrutti. Gli allevatori non mirano a produrre animali sani.
Le operazioni di pesca a strascico portano a gettare fuori bordo in media l’80-90 per cento degli animali marini che catturano. 140 Le meno efficienti raggiungono una percentuale superiore al novantotto per cento di prede accessorie catturate e ributtate in mare morte.141 Stiamo letteralmente riducendo la biodiversità e la vivacità della vita marina nel suo complesso (cosa che gli scienziati hanno imparato solo di recente a misurare).
Le moderne tecniche di pesca stanno distruggendo gli ecosistemi che alimentano i vertebrati più complessi (come salmoni e tonni), lasciando nella loro scia solo quelle poche specie che, casomai, possono sopravvivere con alghe e plancton. Mentre noi ci ingozziamo dei pesci più ambiti, solitamente carnivori al vertice della catena alimentare come tonno o salmone, eliminiamo i predatori e provochiamo un boom di breve durata delle specie che si trovano un gradino più in basso nella catena.143 Poi peschiamo anche quelle specie finché non scompaiono e scendiamo un gradino più in basso. La rapidità
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Tutto questo importa? Importa abbastanza da indurci a cambiare quello che mangiamo? Forse tutto quello di cui avremmo bisogno sono etichette migliori che ci permettano di prendere decisioni più avvedute sui pesci e i prodotti ittici che compriamo? Che conclusione trarrebbero gli onnivori più selettivi se su ogni salmone che mangiano ci fosse un’etichetta che informa di come salmoni d’allevamento lunghi settantacinque centimetri trascorrano la vita nell’equivalente di una vasca da bagno d’acqua e abbiano gli occhi che sanguinano per il troppo inquinamento?145 E se l’etichetta spiegasse che
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Ci sono cose, però, che possiamo sapere senza leggere l’etichetta. Mentre è realistico pensare che almeno una certa percentuale di vacche e maiali sia macellata in fretta e bene, nessun pesce ottiene una buona morte. Neppure uno. Non c’è bisogno che tu ti chieda se il pesce che hai nel piatto abbia sofferto. Ha sofferto.
Che si parli di pesci, maiali o di altri animali, questa sofferenza è la cosa più importante al mondo? Ovviamente no. Ma non è questo il punto. È più importante del sushi, del baco...
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A me pare che sia inequivocabilmente sbagliato mangiare maiale di produzione industriale o nutrirci la propria famiglia. Forse è sbagliato anche tacere di fronte agli amici che mangiano maiale di produzione industriale, per quanto possa essere difficile dire qualcosa.
La questione per me sta in questi termini: considerato che mangiare gli animali non è assolutamente necessario per me e per la mia famiglia - a differenza di altri al mondo, noi abbiamo facile accesso a un’ampia gamma di alimenti diversi -, dovremmo mangiarli?
Per me l’allevamento intensivo è sbagliato non perché produce carne, ma perché priva gli animali di qualunque felicità.
Una volta pensavo che essere vegetariana mi esentasse dall’impegnarmi a cambiare il modo in cui sono trattati gli animali d’allevamento. Ero convinta che rinunciando alla carne avrei fatto la mia parte. Oggi mi sembra una sciocchezza. L’industria della carne ci tocca tutti nel senso che viviamo tutti quanti in una società in cui la produzione di cibo si basa sull’allevamento intensivo. Essere vegetariana non mi esime dalla responsabilità di come il nostro paese alleva gli animali, specie in un’epoca in cui il consumo di carne aumenta sia a livello nazionale sia a livello globale.
L’allevamento intensivo è solo una questione di soldi. Questa è la ragione per cui sta fallendo e non funzionerà sul lungo periodo: ha generato un’industria alimentare la cui preoccupazione primaria non è nutrire la gente.
L’allevamento intensivo è l’ultimo sistema che creeresti se ti interessasse dare da mangiare alle persone in modo sostenibile sul lungo periodo.
L’ironia è che mentre gli allevamenti intensivi non giovano alla collettività, si aspettano da noi non solo che li sosteniamo, ma che paghiamo per i loro errori. Prendono tutti i costi per lo smaltimento delle deiezioni e li passano all’ambiente e alle comunità in cui operano. I loro prezzi sono artificialmente bassi: quello che non compare sullo scontrino lo pagheremo per gli anni a venire tutti quanti.
perché gli animali che mangiamo trasformano solo una piccola frazione del cibo che ingeriscono in calorie di carne: ci vogliono da sei a ventisei calorie di mangime perché un animale produca una sola caloria di carne.
La stragrande maggioranza di quello che coltiviamo negli Stati Uniti va a sfamare gli animali - parliamo di terra e cibo che potremmo usare per sfamare esseri umani o per salvaguardare la natura -, e lo stesso accade in tutto il mondo, con conseguenze devastanti.
Il relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione ha definito un «crimine contro l’umanità» trasformare cento milioni di tonnellate di cereali e mais in etanolo, ...
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novantotto per cento dei 225 milioni di tonnellate di soia prodotte nel mondo serve come mangime per gli animali.
Dopo essere fuggito dalla Polonia occupata dai nazisti, il premio Nobel Isaac Bashevis Singer paragonò i pregiudizi di specie alle «teorie razziste più estremistiche». Singer sosteneva che i diritti degli animali fossero la forma più pura di difesa della giustizia sociale, perché gli animali sono i più vulnerabili di tutti gli oppressi. A suo parere i maltrattamenti degli animali erano l’epitome del paradigma morale secondo cui «la forza è diritto ».11 Barattiamo i loro interessi più elementari e importanti con quelli più effimeri di noi esseri umani solo perché ne abbiamo il potere. Ovvio che
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Dire che mangiare carne può essere etico suona «simpatico» e «tollerante» solo perché quasi nessuno vuole sentirsi dire che fare quello che vuole fare è immorale.
Ma gli odierni sostenitori del conservatorismo sociale sono gli estremisti di ieri su temi come i diritti delle donne, i diritti civili, i diritti dei bambini e così via. (Chi difende oggi le mezze misure su temi come la schiavitù?)
Perché, quando si tratta di mangiare animali, di colpo diventa un problema affermare verità scientifiche ovvie e inconfutabili: gli altri animali sono più simili a noi che dissimili? Sono nostri «cugini», come dice Richard Dawkins. Persino dire «stai mangiando un cadavere», che è un fatto incontrovertibile, è definito un’iperbole. No, è soltanto la verità.
In realtà non c’è niente di duro o di intollerante quando si afferma che non dovremmo pagare nessuno - e pagarlo giorno dopo giorno - per infliggere ustioni di terzo grado agli animali, privarli dei testicoli o sgozzarli. Guardiamo in faccia la realtà: quel pezzo di carne proviene da un animale che, nella migliore delle ipotesi - e sono pochissimi quelli che hanno la fortuna di cavarsela con così poco -, è...
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Certo, la maggioranza della gente non si confronta mai con il fatto spiacevole che gli alimenti di origine animale (compresi latticini e uova) implicano l’uccisione di animali. Le persone sono scollegate da questa realtà, acquistano carne, pesce e formaggi al supermercato o al ristorante, già cotti o confezionati in pezzi, e in questo modo è facile non pensare affatto agli animali da cui quei cibi si ricavano.
unico evento della sua vita che non mi era concesso di vedere, e sul quale non mi erano state fornite altre informazioni oltre alla data più probabile in cui sarebbe accaduto. La cosa non mi sorprendeva affatto: i produttori sanno bene che più il consumatore capisce cosa accade davvero in un macello, meno carne ha voglia di mangiare.»23 Ben detto.
Secondo Pollan, «mangiare carne di allevamento [è] un atto che richiede un desiderio quasi eroico di ignorare la realtà, o nel mio caso di dimenticarla».
Non ci vuole molto a capire perché l’industria dell’allevamento bovino non permetta neppure a un carnivoro entusiasta di avvicinarsi agli impianti di macellazione. Anche nei mattatoi in cui la maggior parte delle bestie muore in fretta, si fa fatica a immaginare che passi giorno senza che un certo numero di animali (decine, centinaia?) vada incontro a una fine delle più orribili.
Una produzione di carne che segua i principi etici cui la maggior parte di noi si attiene (fornire una buona vita e una morte facile agli animali; pochi reflui) non è una fantasia, ma non può fornire le enormi quantità pro capite di carne a basso prezzo di cui godiamo attualmente.
Non si scherza su questo e non ci si gira dall’altra parte. Diciamo le cose come stanno: si dissanguano, si scuoiano e si dissezionano animali ancora coscienti. Succede di continuo, e i produttori e il governo lo sanno.
Quasi nessuno dei polli e tacchini in commercio è in grado di riprodursi, e nel manipolare i loro geni sono stati inseriti gravi disturbi congeniti (il pollame che mangiamo è senza prospettiva, perché è progettato per non vivere abbastanza da riprodursi).
Quanto dev’essere distruttiva una preferenza culinaria prima di decidere di mangiare qualcos’altro? Se contribuire alle sofferenze di miliardi di animali che vivono vite raccapriccianti e (spessissimo) muoiono in modi altrettanto raccapriccianti non è motivo d’ispirazione, che cosa può esserlo? Se contribuire al massimo grado alla minaccia più seria che il pianeta deve affrontare (il riscaldamento globale) non è sufficiente, che cosa lo è? E se hai la tentazione di mettere a tacere questi tarli della coscienza dicendo «non ora», allora «quando»?
Alla fin fine, l’allevamento industriale non riguarda l’alimentazione delle persone, ma i soldi. A meno di cambiamenti economici e legislativi piuttosto radicali, è inevitabile. E che sia giusto o meno uccidere gli animali per nutrirsene, sappiamo che nel sistema oggi dominante è impossibile ucciderli senza infliggere (perlomeno) occasionali torture. Questa è la ragione per cui persino Frank, l’allevatore con le migliori intenzioni che si potrebbe immaginare, chiede scusa ai suoi animali quando li invia al macello. Sa di non aver concluso un patto equo, ma di essere sceso a un compromesso.
Se non possiamo scegliere di vivere senza violenza, possiamo scegliere di far ruotare i nostri pasti intorno al raccolto o alla strage, all’allevamento o alla guerra. Abbiamo scelto la strage. Abbiamo scelto la guerra. Questa è la versione più autentica della nostra storia di carnivori. Possiamo raccontare una storia diversa?
Il tacchino del Ringraziamento incarna istinti concorrenti: ricordare e dimenticare.
Al centro della nostra tavola del Ringraziamento c’è un animale che non ha mai respirato aria fresca o visto il cielo fino al giorno in cui è stato mandato al mattatoio. Sui rebbi delle nostre forchette sta un animale incapace di riprodursi sessualmente. Nei nostri stomaci va un animale imbottito di antibiotici.
Immaginare lo sguardo delle future generazioni su di noi può farci vergognare, nel senso kafkiano del termine, costringendoci a ricordare? La segretezza che ha reso possibile l’allevamento industriale si sta sgretolando. Nei tre anni che ho trascorso a scrivere questo libro, per esempio, è stato documentato per la prima volta come il bestiame contribuisca al riscaldamento globale più di qualunque altra cosa;