From the Bookshelf of Reading Challenges…

Scrivere su “I tre moschettieri” è certo un’impresa ardua: si tratta di un classico che ha affascinato i lettori di cinque generazioni. Ho iniziato questo libro con un certo scetticismo, sicura che l’avrei trovato una lettura abbastanza noiosa. Invece, tra un duello e una macchinazione di Richelieu, la storia mia ha catturato. Ho letto le vicende di Porthos, Aramis, Athos e D’Artagnan con interesse ma, comunque, senza grandi passioni ma se mi fate la domanda: “Vale la pena leggere I tre moschet

Scrivere su “I tre moschettieri” è certo un’impresa ardua: si tratta di un classico che ha affascinato i lettori di cinque generazioni. Ho iniziato questo libro con un certo scetticismo, sicura che l’avrei trovato una lettura abbastanza noiosa. Invece, tra un duello e una macchinazione di Richelieu, la storia mia ha catturato. Ho letto le vicende di Porthos, Aramis, Athos e D’Artagnan con interesse ma, comunque, senza grandi passioni ma se mi fate la domanda: “Vale la pena leggere I tre moschettieri?”, vi risponderò: “Si, certo!”.
Ho seguito con il cuore in gola il viaggio di D’Artagnan a Londra per recuperare i puntali che un’incauta Regina Anna aveva dato come pegno d’amore al suo spasimante, il duca di Buckingham. Ho ammirato la capacità di Richelieu di manipolare il re, Luigi XIII e di tessere la trama di intrighi apparentemente perfetti, che solo il coraggio dei nostri quattro amici poteva sventare. Ho assistito, affascinata, alla performance magistrale di un’attrice (Milady) che sa quali corde toccare per suscitare nel suo pubblico tutta la gamma di emozioni che va dalla compassione alla paura.
E’ questo lo sfondo su cui si muovono i tre moschettieri, che poi, come tutti sappiamo, sono quattro: D’artagnan, Athos, Porthos e Aramis. I primi due sono i protagonisti indiscussi del romanzo, mentre Porthos e Aramis sono poco più che comprimari.
Dumas descrive il carattere di Porthos, Aramis e Athos dedicando a ciascuno un capitolo in cui sono convalescenti dovendosi riprendere da una delle loro mirabolanti avventure. Soli, senza la necessità di indossare la maschera del moschettiere, appaiono nella loro autenticità. Sono i capitoli in cui ho provato simpatia per questi uomini, solitari per scelta, che riescono a essere se stessi solo con i loro servi.
Mi sarebbe piaciuto anche il personaggio di Milady, la cattiva per antonomasia, se ne avessimo conosciuto la storia, magari sin dall’infanzia. Se volessimo spostarci su altri contesti, potremmo dire che Milady ha un disturbo narcisistico di personalità, il punto è: perché? Io ho bisogno di conoscere le motivazioni alla base della cattiveria, dell’odio, dell’assoluta mancanza di empatia. La cattiveria endogena, squisitamente genetica, non mi convince. Così Milady mi sembra poco verosimile.
Gli elementi migliori del romanzo, però, non riescono a farmi dimenticare alcuni aspetti che stridono con la mia sensibilità, nonostante il monito dello stesso Dumas di non giudicare un’epoca secondo i valori di un’altra.
Non sono riuscita ad apprezzare l’eccessiva litigiosità dei nostri quattro: non è possibile (neanche nel XVII secolo) che basti uno sguardo un po’ duro per scatenare dei sanguinosi duelli dove qualcuno rimane sempre stecchito senza che qualcuno sia minimamente dispiaciuto di aver commesso un assassinio.
Altro elemento fastidioso: la convinzione dei nostri protagonisti che la legge non è uguale per tutti (convinzione ancora oggi imperante, purtroppo). C’è una legge che vieta di duelli, ma ovviamente D’Artagnan e amici ritengono che non valga per loro: se l’onore è in pericolo, non c’è legge che tenga tanto Monsieur Treville li tirerà sempre fuori dai guai, mentendo se necessario. Allo stesso modo, non esitano a farsi giustizia da soli.
Da donna, infine, non posso che essere insofferente al modo con cui Dumas presenta il genere femminile, portatore di sventure, sempre e comunque “La donna è stata creata per la nostra perdizione, ed è da lei che hanno origine tutte le nostre miserie.”
La principale funzione delle dame è quella di mantenere economicamente il proprio amante (se ne hanno i mezzi) o, comunque, di aiutarlo a raggiungere i suoi (di lui, sia ben chiaro) obiettivi.