In viaggio con i Radiodervish
Non c'è che fare, direbbe una mia amica scrittrice di vaglia, avvocata, siciliana, londinese, gran donna. Non c'è che fare, lo confesso, i Radiodervish sono diventati la colonna sonora tutta personale di questa mia lungasosta mediorientale. E' successo per caso, perché Nabil Ben Salameh, alcuni anni fa, presentò il mio Arabi Invisibili alla Feltrinelli di Bari, con il suo ricchissimo vocabolario italiano e la sensibilità del suo linguaggio e dei suoi contenuto. Poi, da allora, il Medio Oriente, il Mediterraneo, le radici, e infine Gerusalemme ci hanno fatto incontrare più volte, con Nabil, e con Michele Lobaccaro, depositario di una singolare spiritualità laica che si esprime con delicatezza e con tenacia. Incontri fecondi ai quali, in famiglia, siamo molto legati.
Così, ogni volta che possiamo – in famiglia – mettiamo la nostra personale colonna sonora. E ogni volta che possiamo – in famiglia – ce ne andiamo ad ascoltare i loro concerti.
La lunga premessa è per dire che ieri ce ne siamo andati a Umm al Fahm per andarci a sentire un concerto dei Radiodervish, l'ultimo di un tour che li ha portati a Nazareth, e poi a Tel Aviv, a suonare e cantare con Noa. Un'ora e mezza di macchina su autostrade ben curate, fino a che non abbiamo svoltato verso il cosiddetto 'triangolo' che parte della destra israeliana darebbe con gioia all'ANP, in un ipotetico scambio di territori. In effetti, basta uscire dall'autostrada curata allo svincolo verso Tiberiade, e l'aria – anzi, l'asfalto – cambia subito. Si entra, come sempre repentinamente da queste parti, in un altro mondo. Un mondo terzo, in cui è concentrata una buona parte della popolazione palestinese di Israele, a ridosso della Linea Verde. A poca distanza da Jenin. Umm al Fahm fa parte di questa dimensione del terzo tipo. Anzi, ne è il simbolo. Negletto. Considerato semmai un problema, invece di essere considerata una realtà di 50mila abitanti, con una cintura che che fa raggiungere, al suo territorio, oltre i centomila abitanti. Eppure Umm al Fahm nasconde aspetti che in pochi si immaginerebbero. Una galleria d'arte, per esempio, che vorrebbe essere un museo dell'arte contemporanea palestinese, in programma per il 2015.
Progetto sgorgato da una certa qual dose di follia positiva, il museo di arte contemporanea è per ora un modellino nella galleria d'arte di Umm al Fahm mostrato con orgoglio da Said Abu Shakra, anima della Galleria. Il progetto è bello, con le pareti su cui le lettere arabe son incise come se fossero gli intarsi di una mashrabeya, la tipica finestra araba che fa filtrare la luce dall'esterno ma nasconde l'interno della casa a chi sta fuori.
Se il museo è per ora un sogno, la galleria d'arte no. Anzi. E' un contenitore in cui non si esprime solo la comunità degli artisti (israeliani e palestinesi d'Israele), ma anche chi artista non è. Riunito, per esempio, nei workshop per i bambini. Luogo fecondo per la società di Umm al Fahm, insomma.
Non è un caso, dunque, che il concerto intimo, quasi riservato, dei Radiodervish a Umm al Fahm si sia tenuto alla Galleria di Said Abu Shakra. Con un impianto fonico gestito come se si fosse a New York. Perfetto, a dir poco, in una sala che non era proprio fatta per un concerto. Eppure, il suono usciva pulito, avvolgente ma senza disturbare. Una bella serata, in cui – sorprendentemente – si è riunita la comunità dei professionisti (in gran parte medici) che in Italia aveva studiato, tra la fine degli Ottanta e gli anni Novanta, conservando per il Belpaese un amore inossidabile. A dimostrazione, per chi se lo fosse dimenticato in Italia, che c'è stato un tempo nel quale siamo stati un paese accogliente, caldo. Un paese al quale si è ancora, dopo tanti anni di lontananza, grati.
Il cocktail di lingue mediterranee dei Radiodervish, le loro citazioni colte, la poesia antica mescolata con la cultura tradizionale delle varie sponde del mare nostrum sono state ancora una volta colonna sonora di un mescolìo che noi idealisti della terra di mezzo vorremmo tanto ritornasse a essere cultura comune dei popoli del Mediterraneo. Non poteva essere altrimenti. Da qualche parte, magari nella Umm al Fahm negletta, si continua a sognare.
E un grazie, particolare, a Giovanni Pillonca, direttore dell'istituto di cultura italiano di Haifa, e a sua moglie Aurora, che hanno dato il loro sostegno fondamentale per il tour dei Radiodervish, che purtroppo non ha avuto – si dice per questioni tecniche – una tappa in Cisgiordania. Dalla fatica del fare quotidiano nascono ancora delle cose belle. E non è poco.


