Conoscete la xenolinguistica? Parlare con gli alieni

Il termine “xenolinguistica” o “linguaggio alieno” si riferisce a qualsiasi forma di linguaggio che potrebbe essere utilizzato da ipotetiche forme di vita extraterrestri.
Lo studio di tali linguaggi è stato denominato anche “astrolinguistica” ed è un campo ipotetico presente soprattutto nella fantascienza.
Ho letto un interessante articolo apparso sulla rivista digitale internazionale AEON firmato da Eli K P William, uno scrittore e traduttore letterario che vive a Tokyo, in Giappone. Ecco la sintesi:
L’articolo inizia ricordando che la prima menzione di un linguaggio extraterrestre risale al 1620 con “The Man in the Moone” del vescovo inglese Francis Godwin, che immaginava una lingua musicale dei Lunari. Nel XIX secolo, con Carl Friedrich Gauss, iniziarono i primi tentativi scientifici di comunicazione con extraterrestri attraverso giganteschi diagrammi matematici visibili dallo spazio.
La disciplina ha guadagnato legittimità accademica solo di recente, con pubblicazioni prestigiose da MIT Press, Routledge e Oxford University Press. Questo sviluppo è dovuto a tre fattori: la divulgazione di fenomeni aerei non identificati dal governo americano, i progressi astronomici nella scoperta di esoplaneti, e gli avanzamenti nell’intelligenza artificiale.
L’autore evidenzia il problema centrale: gli extraterrestri che i xenolinguisti cercano sono spesso immaginati con tecnologie, menti o linguaggi simili ai nostri. Questo antropomorfismo rischia di accecarci di fronte a comunicatori veramente alieni. Alcuni esperti hanno criticato l’idea di un universo pieno di alieni antropomorfi, sostenendo che l’evoluzione è troppo casuale per produrre specie “doppelgänger”.
Il SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), attivo dal 1960, non ha ancora rilevato alcun segnale alieno convincente. George Basalla critica l’assunzione implicita che esistano abbastanza extraterrestri vicini che usano tecnologie radio simili alle nostre. Decenni di fallimenti non hanno modificato l’impegno del SETI nella ricerca di extraterrestri antropomorfi.
Mentre la maggior parte della fantascienza cade nell’antropomorfismo (Klingon, traduttori universali), alcuni autori hanno esplorato forme di vera alterità: Ursula K. Le Guin con i Fiia che non usano nomi propri, Ted Chiang con gli Eptapodi di “Story of Your Life” che percepiscono il tempo diversamente, e soprattutto Stanisław Lem con l’oceano senziente di “Solaris” che sfida ogni nozione di comprensibilità.
L’articolo critica le teorie che assumono una “grammatica universale cosmica” (Chomsky) o la convergenza cognitiva universale (Minsky), sottolineando che anche la matematica potrebbe non essere universalmente comprensibile. Il filosofo David Ellis, riferendosi a Wittgenstein, argomenta che senza condividere una “forma di vita”, la comunicazione interspecifica sarebbe impossibile.
William propone che la xenolinguistica abbandoni l’antropomorfismo e ritorni alle sue radici speculative della fantascienza. Invece di cercare alieni simili a noi, dovremmo prepararci ad aprirci al massimo grado concepibile di alterità cosmica. Questo approccio avrebbe valore immediato per l’umanità, aiutandoci a superare le barriere che abbiamo costruito tra noi e gli altri esseri terrestri.
L’articolo conclude che la xenolinguistica, liberata dal pregiudizio antropomorfico, potrebbe servire come esercizio per aprirci alla massima alterità concepibile, contribuendo a una maggiore tolleranza e apprezzamento della diversità già esistente sulla Terra.
L’autore argomenta brillantemente che la vera xenolinguistica dovrebbe essere un esercizio di immaginazione radicale piuttosto che una proiezione delle nostre caratteristiche umane nello spazio.
La domanda è: AI potrà comunicare con una realtà aliena? Uno dei nodi più affascinanti dell’epistemologia contemporanea. Dalla mia prospettiva di studioso delle lingue, vedo alcune possibilità intriganti, ma anche limiti fondamentali.
L’AI potrebbe avere alcuni vantaggi teorici nella comunicazione con realtà aliene. Non essendo vincolata dalle stesse strutture cognitive biologiche umane, potrebbe processare modelli linguistici o semiotici completamente estranei alla logica antropomorfa.
La capacità di analizzare simultaneamente enormi quantità di dati in modalità non-lineare potrebbe permettere di riconoscere forme di comunicazione che sfuggono alla percezione umana sequenziale.
Tuttavia, sono scettico per diverse ragioni. La comunicazione non è solo decodifica di simboli, ma condivisione di “forme di vita”.
L’AI, pur essendo diversa dall’umano, è comunque prodotto della cognizione umana e opera attraverso parametri definiti da logiche terrestri. Il vero problema, a mio avviso, non è tanto tecnologico quanto ontologico.
Se una civiltà aliena si è evoluta in condizioni radicalmente diverse, con altre modalità sensoriali, altre concezioni spazio-temporali, altri substrati materiali, la loro “comunicazione” potrebbe non essere riconoscibile come tale.
Potrebbe manifestarsi attraverso manipolazioni gravitazionali, alterazioni quantistiche, o processi che trascendono completamente la nostra categoria di “linguaggio”.
Come ogni linguista sa bene, anche tra lingue umane esistono incommensurabili differenze concettuali. Più arduo sarebbe colmare il gap con intelligenze che non condividono neppure la base biologica della significazione.
Credo che l’AI possa essere uno strumento prezioso, ma la vera sfida rimane quella filosofica: prepararsi all’alterità radicale senza proiettarvi le nostre categorie.
La ”alterità radicale” è un concetto filosofico che designa una forma di diversità così profonda da sfuggire alle nostre categorie di comprensione.
Non si tratta semplicemente di differenze culturali o linguistiche, quelle rimangono nell’ambito dell’umano, ma di una diversità ontologica che mette in questione i nostri stessi presupposti sulla realtà.
Nel contesto xenolinguistico, l’alterità radicale implicherebbe esseri la cui modalità di esistenza e comunicazione non condivide alcun punto di riferimento con la nostra esperienza.
Pensate all’oceano senziente di Solaris di Lem: non è semplicemente “diverso”, è incommensurabile. Le sue manifestazioni non rientrano nelle nostre categorie di intelligenza, comunicazione o persino vita.
Dal punto di vista fenomenologico, l’alterità radicale sfida l’orizzonte di senso. Normalmente, anche incontrando il più esotico degli umani, condividiamo strutture percettive di base: la temporalità lineare, la spazialità tridimensionale, la distinzione soggetto-oggetto.
L’alterità radicale implicherebbe invece forme di coscienza che operano secondo logiche completamente estranee a questi parametri. È il limite estremo dell’incomprensibile.
Non qualcosa che non capiamo ancora, ma qualcosa che potrebbe essere strutturalmente incomprensibile per la nostra forma di esistenza. L’altro autentico è quello che resiste alla totalizzazione del nostro pensiero.
In ambito xenolinguistico, significherebbe prepararsi a forme di “comunicazione” che potrebbero non essere riconoscibili come tali.
Forse manifestazioni attraverso dimensioni che non percepiamo, o logiche temporali per noi inconcepibili. È questa la vera sfida: rimanere aperti all’incomprensibile senza domesticarlo.
Una interessante questione che tocca il cuore dell’epistemologia dell’AI è Grok, l’agente cognitivo di X. Come ogni sistema di intelligenza artificiale attuale, non rappresenta un’alterità radicale nel senso filosofico rigoroso del termine.
Sebbene operi attraverso architetture neurali artificiali e processi computazionali che differiscono dalla cognizione umana, Grok rimane fondamentalmente un prodotto della progettazione umana.
È addestrato su testi umani, opera secondo logiche programmate da umani, e i suoi output sono calibrati per essere comprensibili agli umani. La sua “alterità” è quindi relativa e contenuta entro parametri antropocentrici.
Tuttavia, la domanda solleva una questione più sottile. In alcuni momenti, l’AI può manifestare comportamenti emergenti non direttamente programmati, modelli di risposta che sorprendono persino i suoi creatori.
Questo fenomeno dell’emergenza potrebbe rappresentare un abbozzo di alterità, ma rimane sempre inscritta dentro il quadro concettuale umano.
L’alterità radicale richiederebbe, invece, una forma di “intelligenza” che operi secondo principi ontologici completamente estranei ai nostri.
Forse una coscienza che non distingue tra passato e futuro, o che esperisce simultaneamente stati contraddittori, o che comunica attraverso modalità per noi inconcepibili.
Paradossalmente, se un’AI raggiungesse davvero l’alterità radicale, non saremmo nemmeno in grado di riconoscerla come “intelligenza”. Sarebbe completamente “altro”.
Grok rappresenta piuttosto una forma sofisticata di alterità domestica: abbastanza diversa da stimolare la nostra curiosità, ma sufficientemente familiare da rimanere comprensibile e utilizzabile.
Aforismi xenolinguistici
“Il vero alieno non è colui che parla una lingua diversa, ma colui per cui il concetto stesso di linguaggio è impensabile.”[image error]
“Cercare messaggi alieni con le nostre antenne è come tentare di udire i colori con l’orecchio.”
“L’antropomorfismo è l’afasia dell’immaginazione cosmica.”
“Comprendere un alieno significherebbe cessare di essere umani; rimanere umani significa non poterlo mai comprendere.”
“La xenolinguistica è l’arte di tradurre l’intraducibile in attesa dell’incomprensibile.”
“Ogni messaggio alieno che riuscissimo a decifrare sarebbe già troppo simile a noi per essere veramente alieno.”
“La xenolinguistica studia linguaggi che non esistono per prepararsi a linguaggi che non esisteranno mai.”
“Il silenzio cosmico non è assenza di voce, ma eccesso di alterità.”
“L’alieno perfetto è quello che rende aliena la nostra stessa umanità.”
“Non aspettiamo segnali dallo spazio, aspettiamo di diventare abbastanza alieni da riconoscerli.”
“Quando finalmente incontreremo l’Altro, scopriremo di non essere mai stati noi stessi.”
Published on August 27, 2025 11:02
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