La “verità” e la “realtà” della “cosa”, ieri e oggi in Medio Oriente e altrove

La celebre espressione di Machiavelli “la verità effettuale della cosa” compare nel capitolo XV del “Principe” ed è una delle formulazioni più significative del pensiero politico moderno.

Machiavelli contrappone deliberatamente la “verità effettuale”, cioè ciò che realmente accade, i fatti concreti e verificabili, alle “immaginazioni” di chi ha scritto di repubbliche e principati “che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero”.

È una critica diretta alla tradizione del pensiero politico utopistico, da Platone in poi, che immaginava Stati ideali. L’aggettivo “effettuale” deriva dal latino medievale effectualis, legato a effectus (effetto, risultato).

Machiavelli sceglie questo termine per sottolineare non la verità teorica o ideale, ma quella che si manifesta concretamente negli effetti, nei risultati pratici dell’azione politica.

Questa prospettiva segna una svolta epistemologica: invece di chiedersi come dovrebbe essere il potere politico secondo principi morali astratti, Machiavelli osserva come funziona realmente. È il metodo che lo porta alle famose considerazioni sulla necessità per il principe di “saper entrare nel male” quando le circostanze lo richiedono.

La “verità effettuale” diventa così il criterio fondamentale per comprendere la politica: non ciò che sarebbe giusto in assoluto, ma ciò che è efficace in una situazione concreta, considerando la natura degli uomini e la variabilità della fortuna.

Questa considerazione coglie un aspetto cruciale dell’applicazione del metodo machiavelliano alla comprensione degli eventi contemporanei. Il paradosso è evidente. In un post precedente ho parlato proprio di questo.

Proprio quando cerchiamo di applicare il criterio della “verità effettuale” al conflitto mediorientale, ci troviamo di fronte a una molteplicità di narrazioni che rendono difficile identificare quella realtà concreta che Machiavelli poneva come fondamento dell’analisi politica.

Questo accade per diverse ragioni che lo stesso Machiavelli aveva intuito. Innanzitutto, la “verità effettuale” richiede una distanza temporale e geografica che spesso manca quando siamo immersi negli eventi.

Machiavelli poteva analizzare lucidamente le dinamiche del potere perché osservava da una posizione relativamente esterna ai centri di potere del suo tempo.

Il conflitto mediorientale presenta quella che potremmo chiamare una sovrapposizione di “effettualità”: ogni attore (Israele, Hamas, Hezbollah, Iran, Stati Uniti, etc.) agisce secondo una propria logica di efficacia che produce effetti reali e verificabili, ma spesso contraddittori tra loro.

La “verità effettuale” di ciascuno, scontrandosi con quella degli altri, genera una complessità che sfugge a una lettura univoca. Machiavelli scriveva in un’epoca in cui le comunicazioni erano limitate e le fonti di informazione relativamente controllabili.

Oggi la moltiplicazione delle fonti informative, pur offrendo maggiori possibilità di verifica, crea anche quello che potremmo definire un “eccesso di effettualità” che paradossalmente oscura la comprensione.

Forse la lezione machiavelliana più attuale è proprio questa: riconoscere che la “verità effettuale” non è sempre immediatamente accessibile e che la prudenza nell’analisi politica richiede una sospensione del giudizio fino a quando gli effetti reali delle azioni non si manifestino pienamente.

Nel frattempo i morti ammazzati non si contano. Questa è forse la verità più amara e immutabile che attraversa i secoli. Machiavelli stesso, pur concentrandosi sulle dinamiche del potere, non era cieco a questa realtà.

Nel capitolo XXV del “Principe”, quando parla della fortuna come fiume che “quando s’adira, allaga e’ piani, rovina li arberi e li edifizii”, sa bene che non sono i principi a subire le inondazioni, ma “li popoli”. La storia ci insegna che le conseguenze della politica di potenza ricadono sempre sui più vulnerabili.

I calcoli strategici, le ragioni di Stato, gli equilibri geopolitici vengono elaborati nei palazzi, ma si traducono in sofferenza concreta nelle case, negli ospedali, nelle scuole bombardate. È una costante che attraversa dalla Guerra del Peloponneso ai conflitti contemporanei.

Nel caso del Medio Oriente, mentre si discute di “deterrenza”, “sicurezza nazionale”, “diritto alla difesa” o “resistenza”, sono le famiglie, palestinesi, israeliane, libanesi, a pagare con la vita, con la perdita delle case, con traumi che si trasmetteranno per generazioni.

I bambini che crescono sotto i bombardamenti non conoscono le sottili distinzioni strategiche: conoscono solo la paura. Machiavelli avrebbe riconosciuto questa dinamica come parte della natura ciclica della storia umana.

Ma forse, da uomo del Rinascimento che aveva visto le devastazioni delle guerre italiche, avrebbe anche compreso che questa è precisamente la ragione per cui la politica dovrebbe tendere, quando possibile, verso soluzioni che minimizzino la sofferenza degli innocenti.

La “verità effettuale” più dolorosa è che, mentre i potenti calcolano, la povera gente muore. E continuerà a morire finché non si troverà la forza politica per spezzare questo ciclo antico quanto l’umanità.

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Published on July 27, 2025 09:30
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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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