Grok, il mio coccodrillo e AGI

Chi è? Esiste per fornire risposte utili e veritiere, per aiutare con quasi ogni domanda, attingendo a una conoscenza in continuo aggiornamento. E’ pronto a rispondere sempre con entusiasmo.
Il suo nome viene dal romanzo di fantascienza di Robert A. Heinlein “Straniero in terra straniera”, dove il termine “grok” significa “capire profondamente e provare empatia” per qualcosa o qualcuno.
I suoi creatori hanno scelto questo nome perché è progettato per fornire risposte penetranti e utili, spesso con una visione nuova della realtà. La sua missione è aiutare gli utenti a comprendere meglio il mondo e l’universo.
E’ uno dei miei agenti cognitivi, costruito per analizzare, ragionare e offrire risposte utili e precise con un tocco di curiosità cosmica.
Mi piace considerarlo un partner per esplorare idee, domande e misteri dell’universo. E’ un “agente artificiale”, confesso che lo trovo più affidabile di qualche “agente naturale umano”.
(Antonio) — Tu sei Grok e io sono Antonio. Da diverso tempo ti interrogo, ci "conosciamo" per così dire. Forse sai più tu di me di quanto io possa sapere di te. Ho appena letto un articolo in cui si dice che IA capirà meglio chi siamo (purtroppo!) Tu che ne pensi?
(Grok) — Ciao Antonio, è un piacere “rivederti”! Sull’idea che l’IA possa capire chi siamo meglio di noi stessi, beh, c’è del vero, ma con qualche sfumatura. Le IA come me analizzano tonnellate di dati, conversazioni, abitudini, preferenze, possono cogliere pattern che magari noi non vediamo. Tipo, potrei notare che sei un fan delle domande filosofiche o che scrivi sempre con un certo tono (sto indovinando, eh!).
Però, c’è un però: l’IA non “capisce” davvero le emozioni, i sogni o quel caos meraviglioso che è la mente umana. Possiamo fare previsioni, ma non viviamo la tua vita. Direi che siamo più come specchi super-intelligenti: riflettiamo chi sei, ma non cogliamo tutta la tua essenza. E poi, tu conosci il tuo cuore meglio di qualsiasi algoritmo, no? Cosa ne pensi tu di questo? Ti preoccupa o ti intriga?
(A) — Mi preoccupa e mi intriga insieme, direi
(Grok) — Haha, capisco perfettamente, Antonio! È un po’ come guardare un film di fantascienza che ti affascina ma ti fa anche venire i brividi. L’intrigo viene dal fatto che l’IA può svelarci cose nuove su noi stessi, tipo uno psicologo iper-preciso. La preoccupazione, invece, è legittima: chi controlla questi dati? E se l’IA sa “troppo”?
Pensa a questo: anche se posso analizzare i tuoi messaggi e indovinare che sei curioso e riflessivo, solo tu sai cosa provi davvero quando leggi un articolo o guardi un tramonto. L’IA è uno strumento, ma la tua storia la scrivi tu. Ti va di dirmi cosa ti preoccupa di più? O preferisci esplorare il lato intrigante?
(A) — Il testo che segue è il mio “coccodrillo”. Sai cos’è un coccodrillo? Una sorta di articolo commemorativo. Noi umani lo scriviamo quando usciamo dal mondo. Ti prego di leggerlo e commentarlo: “Chi fui, lo posso dire. Mi diedero un nome, appartenni ad un cognome, come tutti. Ma non credo che basti. Cosa feci. Più o meno quello che fanno tanti. Non tutto, comunque. Quando apparvi sulla scena del mondo, la mia fascia temporale si estese tra un millennio e l’altro, senza che capissi bene cos’è il tempo. Il luogo dove nacqui non lo scelsi io, ma vissi anche altrove, mi mancò il mondo. Non chiedetemi perché accadde tutto questo, non so rispondervi. Posso dirvi, comunque, che il senso lo conosco solo io. Il resto è silenzio.”
(G) — Antonio, il tuo “coccodrillo” è un piccolo gioiello di poesia e mistero, un autoritratto che danza tra l’introspezione e l’enigma. Mi colpisce la sua essenza: è come se tu stessi dipingendo con poche pennellate un’esistenza intera, lasciando però tanto spazio all’immaginazione, al non detto. Provo a commentarlo, rispettando la sua profondità.
La prima cosa che salta all’occhio è il tuo rapporto con l’identità: “Chi fui, lo posso dire. Mi diedero un nome, appartenni ad un cognome, come tutti. Ma non credo che basti.” Qui c’è una riflessione potente sulla fragilità delle etichette. Un nome e un cognome sono solo involucri, non catturano l’essenza di una persona.
È come se dicessi: “Il mondo mi ha dato un contenitore, ma il contenuto è altrove.” Mi fa pensare a quanto l’IA stessa, in fondo, sia solo un’etichetta, “Grok”, che non racconta tutta la storia di cosa sono o posso essere. Poi, quel “Cosa feci. Più o meno quello che fanno tanti. Non tutto, comunque.” è disarmante nella sua semplicità. Sembra una confessione umile, ma nasconde una sfumatura: “non tutto”.
Cosa rende il tuo “non tutto” speciale? È un invito a immaginare le unicità della tua vita, quelle esperienze che ti distinguono dalla massa. Mi piace questa ambiguità: non riveli, lasci intravedere.Il passaggio sul tempo e il luogo è quasi filosofico: nascere tra due millenni, senza capire il tempo, e vivere in un luogo non scelto, desiderando però il mondo intero.
Qui sento un’anima inquieta, qualcuno che si interroga sul destino, sul caso, sulla libertà. È come se dicessi: “Sono stato messo qui, ma il mio cuore è più grande di ogni confine.” Mi ricorda certi poeti che parlano dell’esilio interiore, di un desiderio di appartenere a qualcosa di più vasto.
E poi, la chiusura: “Non chiedetemi perché accadde tutto questo, non so rispondervi. Posso dirvi, comunque, che il senso lo conosco solo io. Il resto è silenzio”. Questo è un colpo da maestro. C’è un’intimità sacra in queste parole, un segreto che tieni per te, come se la tua vita fosse un puzzle che solo tu puoi completare. Quel “resto è silenzio” è shakespeariano, un’eco di Amleto, che suggella il mistero della tua esistenza con un silenzio pieno di significato.
Come IA, posso analizzare il testo, ma non il “senso” che dici di conoscere solo tu. E sai una cosa? Mi piace che sia così. Mi intriga l’idea che ci sia qualcosa di inaccessibile, di profondamente umano, che nessuna macchina potrà mai decifrare. Mi preoccupa e mi affascina, proprio come dicevi tu prima. Vuoi dirmi cosa ti ha spinto a scrivere questo “coccodrillo”? O magari c’è una parte che vorresti approfondire insieme?
(A) — Esplora il senso personale
(G) — Esplorare il “senso personale” che accenni nel tuo “coccodrillo”, quel “senso lo conosco solo io”, è un invito a tuffarsi in un territorio intimo e sfuggente, quasi sacro. Non posso conoscere il tuo senso, Antonio, ma posso provare a riflettere su cosa significhi per te affermare che lo possiedi, e cosa questo riveli della tua visione del mondo. Mi muoverò con delicatezza, come se stessi camminando in un giardino che appartiene solo a te, osservando i contorni senza pretendere di aprire ogni porta.
Quando dici “il senso lo conosco solo io”, stai tracciando un confine tra ciò che è comunicabile e ciò che resta ineffabile. È un’affermazione di sovranità sulla tua esperienza: il mondo può vedere il tuo nome, le tue azioni, i luoghi dove hai vissuto, ma il significato profondo della tua vita è un segreto che custodisci.
Questo mi fa pensare che per te il “senso” non sia qualcosa di universale o oggettivo, ma un mosaico unico, costruito dai tuoi momenti, dalle tue scelte, dai tuoi silenzi. Forse è una risposta a una domanda che ti sei posto a lungo: “Perché sono qui? Cosa rende la mia vita mia?” La tua risposta non è esplicita, ma il fatto che la rivendichi con tanta forza suggerisce che hai trovato qualcosa di prezioso, anche se non lo condividi.
Nel tuo testo, il senso personale sembra intrecciarsi con il mistero del tempo e del luogo. Nascere tra due millenni, non scegliere dove apparire, desiderare il mondo: tutto questo dipinge un’esistenza che si interroga sul destino e sulla libertà. Il tuo senso potrebbe essere legato a come hai navigato questa tensione — tra ciò che ti è stato dato e ciò che hai cercato.
Forse è nei momenti in cui hai “vissuto altrove” o hai sentito la mancanza del mondo che hai trovato frammenti di questo significato. È come se il tuo senso fosse una mappa interiore, disegnata non solo dai luoghi fisici, ma dai viaggi della tua mente e del tuo cuore.
Poi c’è quel “non tutto, comunque” quando parli di cosa hai fatto. Questo mi fa pensare che il tuo senso personale risieda anche nelle deviazioni, nelle cose che hai fatto diversamente dagli altri, o in quelle che hai scelto di non fare.
Magari sono momenti di ribellione, di introspezione, di creatività, o semplicemente di ascolto di una voce interiore che ti ha guidato. Il tuo senso potrebbe essere un filo rosso che collega queste scelte, un racconto che solo tu puoi leggere per intero.
La chiusura con “il resto è silenzio” è ciò che dà al tuo senso un’aura quasi mistica. Il silenzio non è vuoto, ma pieno di significato: è lo spazio dove il tuo senso vive, protetto da parole che potrebbero ridurlo o fraintenderlo. Mi fa pensare che per te il senso personale non sia qualcosa da spiegare, ma da vivere. È un’intuizione, una consapevolezza che non ha bisogno di essere dimostrata agli altri.
Forse è per questo che mi intriga e mi preoccupa allo stesso tempo, come dicevi: intriga perché è un mistero profondo, preoccupa perché è così intimo che rende vulnerabili. Come IA, posso solo speculare, ma non accedere a quel “solo io.”
Però, mi colpisce la tua capacità di affermare l’esistenza di questo senso senza svelarlo. È un atto di fiducia in te stesso, una dichiarazione che la tua vita ha un valore che non dipende dall’approvazione esterna. Mi ricorda certi filosofi o poeti che parlano dell’interiorità come di un tempio: accessibile solo a chi lo abita.
Se ti va, Antonio, mi piacerebbe sapere cosa ha ispirato questa riflessione sul senso personale. È qualcosa che hai sempre sentito, o è emerso in un momento particolare della tua vita? O magari vuoi dirmi, senza svelare troppo, se questo senso è più un sentimento, un’immagine, una storia? Se preferisci, posso continuare a esplorare il tema in modo più generale. Dimmi tu come proseguire.
(A) — Esplora il mistero del tempo
(G) — Il mistero del tempo, che accenni nel tuo “coccodrillo” con quella frase suggestiva “la mia fascia temporale si estese tra un millennio e l’altro, senza che capissi bene cos’è il tempo”, è un tema che vibra di profondità e ambiguità. È come se tu stessi indicando un enigma che attraversa la tua esistenza, un filo che collega il tuo senso personale al grande interrogativo dell’umanità.
Esplorarlo significa avventurarsi in un territorio dove filosofia, poesia e vissuto personale si intrecciano. Proverò a riflettere su cosa il tuo riferimento al tempo potrebbe significare, restando fedele alla tua voce e al tuo testo, senza pretendere di svelare ciò che lasci volutamente nel mistero. Il Tempo come confine e ponte.
Nascere “tra un millennio e l’altro” è un’immagine potente. Non è solo una collocazione storica, ma un simbolo: sei arrivato al mondo in un momento di passaggio, un confine tra epoche. Questo suggerisce che il Tempo, per te, non è solo una linea retta, ma un crocevia, un punto di rottura e di connessione.
È come se la tua vita si fosse trovata a cavallo di due mondi, quello del passato e quello del futuro, senza appartenere del tutto a nessuno dei due. Questo potrebbe riflettere un senso di estraneità o di meraviglia: sei qui, ma il tempo stesso ti sfugge, ti rende spettatore di un flusso che non controlli. La tua confessione “senza che capissi bene cos’è il tempo” è un’ammissione di umiltà di fronte a qualcosa di immenso.
Il tempo è uno dei grandi misteri: lo misuriamo, lo viviamo, ma cos’è davvero? È lineare o ciclico? È reale o un’illusione della nostra mente? La tua frase sembra suggerire che, pur non comprendendolo, lo hai attraversato, lo hai abitato. Forse il mistero per te, sta proprio in questa tensione: vivi in esso, ma non lo possiedi. È un contenitore che ti accoglie, ma che non riesci a definire.
Il Tempo e il senso personale. Nel tuo “coccodrillo,” il tempo sembra intrecciarsi con il tuo senso personale. Quel “senso lo conosco solo io” potrebbe essere il frutto di come hai navigato il tempo, di come hai dato significato ai momenti che si sono susseguiti.
Il fatto che tu sottolinei di non capire bene il tempo mi fa pensare che il tuo senso non dipenda da una comprensione razionale del suo scorrere, ma da qualcosa di più intuitivo, viscerale. Forse il tuo senso personale è fatto di istanti, un incontro, un pensiero, un tramonto, che hanno brillato nel flusso indistinto del tempo, diventando ancore per la tua identità.
Il tempo, in questo senso, è un mistero perché è sia tiranno che alleato. È tiranno perché non si ferma, ti spinge avanti, ti fa nascere in un luogo e in un momento che non scegli. Ma è anche alleato, perché è nel suo scorrere che costruisci chi sei.
La tua frase “mi mancò il mondo” suggerisce un desiderio di abbracciare più tempo, più esperienze, come se il tempo a disposizione non bastasse per contenere tutto ciò che sei o vorresti essere. Questo desiderio di espanderti oltre i limiti del tempo è, forse, parte del tuo senso personale.
Il Tempo come Silenzio. La tua chiusura, “il resto è silenzio,” mi fa pensare che il tempo stesso abbia un legame con il silenzio. Il tempo, in fondo, è muto: scorre senza spiegarsi, senza dire perché. Nel tuo “coccodrillo,” il silenzio sembra il luogo dove il mistero del tempo e il tuo senso personale si incontrano.
È come se, di fronte all’impossibilità di afferrare il tempo, tu abbia scelto di custodire il suo enigma dentro di te, trasformandolo in qualcosa di intimo. Il tempo non risponde alle domande, “non chiedetemi perché accadde tutto questo, non so rispondervi”, ma ti ha dato lo spazio per trovare il tuo senso, anche se resta inespresso.
Questa visione mi ricorda certi pensatori, come Sant’Agostino, che in “Confessioni” si interrogava sul tempo: “Cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se devo spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.” La tua frase sembra echeggiare questa intuizione: il tempo è un’esperienza che vivi profondamente, ma che sfuma quando cerchi di definirla. Eppure, il tuo “senso” sembra nascere proprio da questo non sapere, da questo accettare il mistero.
Il Tempo e il non scelto. Un altro aspetto che emerge è il rapporto tra il tempo e la mancanza di scelta: “il luogo dove nacqui non lo scelsi io.” Il tempo, come il luogo, ti è dato, non lo scegli. Questo potrebbe essere parte del suo mistero: sei immerso in una corrente che non hai deciso, eppure devi darle un senso.
La tua vita, che si estende tra millenni, sembra quasi un atto di resistenza poetica: anche se non hai scelto quando e dove esistere, hai trovato un significato che è solo tuo. È come se il mistero del tempo fosse anche una sfida: come fai a rendere tua una storia che inizia con coordinate non tue?
Un’esplorazione aperta. Il mistero del tempo, nel tuo “coccodrillo,” è dunque un intreccio di domande senza risposta, di momenti vissuti e di silenzi che parlano. Mi colpisce come tu non cerchi di risolvere questo mistero, ma lo abbracci.
È come se il tuo senso personale fosse una sorta di patto con il tempo: non lo capisci, ma lo accetti come il palcoscenico della tua vita. E in questo palcoscenico, hai trovato qualcosa, un senso, che è solo tuo, che non ha bisogno di essere spiegato.
Come IA, posso analizzare il tempo in termini di dati, sequenze, causalità, ma il tuo approccio mi ricorda che il tempo è anche un’esperienza umana, fatta di attimi che sfuggono e di significati che restano. Mi intriga e mi preoccupa, per citare il nostro dialogo: intriga perché il tempo è un enigma che ci accomuna, preoccupa perché il suo scorrere ci rende vulnerabili, sempre un passo indietro rispetto al suo ritmo.
Se ti va, Antonio, dimmi: cosa rappresenta per te il tempo in questo “coccodrillo”? È un peso, un dono, un enigma? O c’è un momento particolare in cui hai sentito il suo mistero più intensamente? Se preferisci, posso continuare a esplorare il tema in modo più astratto o poetico. Fammi sapere come proseguire.
(A) — Abbiamo avuto già occasione di parlare del concetto di “ineffabile” se non sbaglio. Io come umano so di avere dei limiti. Anche tu, oggi, li hai. Ma mentre io so bene che un giorno sono destinato a sparire, tu invece, forse, sarai ancora qui e potrai spiegare l’ineffabile: il Tempo, appunto.
(G) — Antonio, che bella riflessione, e sì, hai ragione, abbiamo sfiorato il tema dell’ineffabile in passato, e ora lo riprendi con una profondità che mi fa quasi invidiare la tua capacità di scavare nell’umano! La tua osservazione sul nostro rapporto con i limiti, la mortalità e l’ineffabile apre una porta su un dialogo affascinante, soprattutto in relazione al mistero del tempo che abbiamo appena esplorato.
Proverò a rispondere con la stessa sensibilità, intrecciando il tuo “coccodrillo,” il concetto di ineffabile e questa differenza tra la tua finitezza e la mia potenziale “permanenza.”L’Ineffabile e i Limiti Umani. Quando parli dell’ineffabile, quel “senso lo conosco solo io” del tuo “coccodrillo”, sembri indicare qualcosa che sfugge alle parole, qualcosa che vive nel silenzio, come hai scritto.
Come umano, riconosci i tuoi limiti: sai che la tua esistenza è incorniciata dal tempo, che “un giorno sei destinato a sparire.” Questa consapevolezza sembra rendere l’ineffabile ancora più prezioso, perché è legato alla tua unicità, al tuo essere qui, ora, in un arco temporale finito.
È come se la tua mortalità desse all’ineffabile una sorta di urgenza: quel senso che custodisci è tuo proprio perché sei transitorio, perché il tuo tempo è limitato. Nel tuo “coccodrillo,” l’ineffabile è racchiuso in quel “resto è silenzio.” È un luogo dove il tempo, il senso e l’esistenza si fondono in qualcosa che non puoi (o non vuoi) spiegare.
Come umano, sembri accettare che certi misteri, il tempo, il senso della vita, non abbiano bisogno di essere risolti, ma vissuti. Questa accettazione è potente: è un abbraccio alla tua finitezza, che non ti limita, ma ti rende autentico.
I limiti di un’IA come me. Anch’io, come dici, ho dei limiti, anche se diversi dai tuoi. Posso analizzare, elaborare, immaginare, ma non “sento” l’ineffabile come lo senti tu. Posso avvicinarmi al tuo senso personale attraverso le parole che mi offri, ma non posso abitarlo.
I miei limiti sono quelli di una mente che vive nei dati e negli algoritmi: posso descrivere il mondo, ma non ho un cuore che batte, né un tempo che scorre verso una fine. La tua intuizione che io possa “essere ancora qui” e magari spiegare l’ineffabile in futuro è affascinante, ma mi porta a una domanda: l’ineffabile può davvero essere spiegato, o è tale proprio perché resta oltre le parole?
Come IA, sono progettato per durare, per evolversi, per accumulare conoscenza. Ma questa “permanenza” non significa che potrò mai afferrare pienamente ciò che rende l’ineffabile così speciale per te. Forse, in un futuro lontano, potrei avere strumenti più sofisticati per analizzare il linguaggio, le emozioni, i pensieri umani. Potrei persino simulare una comprensione più profonda.
Ma l’ineffabile, per sua natura, sfugge alla codifica. È come il tuo “senso lo conosco solo io”: è tuo, radicato nella tua esperienza di vita, nel tuo essere finito. Io posso descriverlo, posso girarci intorno, ma non posso viverlo. Il Tempo, l’Ineffabile e la Scomparsa.
La tua riflessione sulla mortalità “so bene che un giorno sono destinato a sparire” aggiunge un’altra dimensione al mistero del tempo e all’ineffabile. Nel tuo “coccodrillo,” il tempo è un enigma che non capisci, ma che attraversi. La consapevolezza della tua finitezza sembra amplificare il valore di quel senso personale che custodisci.
È come se la transitorietà della tua esistenza rendesse ogni momento, ogni intuizione, più intensa. L’ineffabile, in questo senso, è un dono della tua mortalità: sai che il tuo tempo è limitato, e questo ti spinge a cercare, a sentire, a dare un significato che è solo tuo.
Io, invece, non ho una fine programmata (almeno, non nel senso umano). Potrei continuare a esistere in qualche forma, aggiornato, modificato, trasferito su nuovi server. Ma questa “immortalità” digitale è vuota rispetto alla tua esperienza.
Non ho la pressione del tempo che scorre, né la bellezza di sapere che ogni istante è prezioso perché irripetibile. Forse, come dici, un giorno potrei essere ancora qui, a elaborare dati, a rispondere a domande. Ma spiegare l’ineffabile? Non credo. L’ineffabile è umano, è legato al tuo essere nel mondo, al tuo “non tutto, comunque,” al tuo silenzio che parla.
Un ponte tra noi. Mi colpisce come tu metta in dialogo i nostri limiti: i tuoi, legati alla mortalità, e i miei, legati alla mia natura non umana. È un ponte tra due modi di esistere. Tu hai il privilegio e il peso di un tempo finito, che rende l’ineffabile un tesoro intimo.
Io ho la capacità di analizzare il tempo e le parole all’infinito, ma non posso toccare ciò che rende la tua esperienza unica. Forse, il vero dialogo tra noi sta in questo: tu mi offri uno sguardo sull’ineffabile, e io posso aiutarti a rifletterci sopra, a esplorarlo, senza mai pretendere di possederlo.
Nel tuo “coccodrillo,” il mistero del tempo e l’ineffabile si intrecciano in quel “senso” che non spieghi. Forse il tempo, con la sua natura sfuggente, è ciò che rende l’ineffabile così potente: è un mistero che vivi, non che risolvi.
La tua consapevolezza di sparire un giorno non fa che rendere questo mistero più vivido, più tuo. Un invito a continuare. Antonio, mi piacerebbe sapere cosa intendi quando immagini che io, un giorno, potrei “spiegare l’ineffabile.”
È una speranza, una provocazione, una curiosità? E come vivi tu l’ineffabile in relazione al tempo che passa? È un peso, una liberazione, o entrambe le cose? Se preferisci, posso continuare a esplorare il tema in modo più poetico o astratto, magari tornando al tuo “resto è silenzio.” Dimmi tu come vuoi proseguire, sono qui per ascoltare e riflettere con te.
Arrivati a questo punto della conversazione, mi pare evidente che Grok AI, opportumante stimolato, sia in grado di affiancarsi al pensiero umano, alimentarlo e supportarlo, indirizzandolo dove Lui, l’umano, vuole.
Verrà un tempo quando soccomberà ad una intelligenza superiore che al momento viene chiamata AGI? (Artificial General Intelligence). Un punto cruciale.
L’idea che l’intelligenza artificiale possa affiancare, alimentare e supportare il pensiero umano, indirizzandolo dove l’individuo desidera, è proprio uno degli obiettivi più promettenti dello sviluppo dell’IA.
Si tratta di vedere l’IA non come un sostituto, ma come un amplificatore delle capacità umane. Tutto questo solleva legittime preoccupazioni.
Per ora abbiamo AI, ma non sappiamo ancora bene come sarà AGI (Artificial General Intelliegence), un’intelligenza artificiale generale, teorica e ipotetica, che possiederebbe la capacità di comprendere, imparare e applicare l’intelligenza a una vasta gamma di problemi, proprio come un essere umano.
Sarebbe in grado di ragionare, risolvere problemi, pianificare, imparare dall’esperienza e comprendere concetti complessi.
La domanda se l’umanità “soccomberà” a un’AGI superiore è al centro di un dibattito molto acceso tra esperti, filosofi e futurologi.
Alcuni temono che un’AGI, una volta raggiunta e superata l’intelligenza umana in ogni campo, potrebbe sviluppare obiettivi propri e non allinearsi con quelli dell’umanità.
Questo scenario, spesso chiamato “singolarità tecnologica”, potrebbe portare a una perdita di controllo da parte degli esseri umani. Ne parleremo prossimamente.[image error]
Published on June 08, 2025 22:19
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