“C’era una volta il Sud”… e meno male che non c’è più

“C’era una volta il Sud” di Marcello Veneziani, è un libro molto significativo nel suo percorso. Un viaggio intimo e al contempo universale attraverso le radici, i miti e le contraddizioni del Meridione italiano.
L’autore dipinge un affresco vibrante di un Sud che va oltre la mera geografia, configurandosi come un luogo dell’anima, custode di un’identità profonda e di un patrimonio culturale spesso frainteso o dimenticato.
Veneziani non si limita a celebrare la bellezza e la malinconia di questa terra, ma ne esplora con acume le ferite storiche e le sfide attuali.
Il libro è una ricerca appassionata della “civiltà del Sud”, quella fatta di tradizioni millenarie, di un senso del sacro persistente, di figure eroiche e di un’umanità complessa, che resiste alla standardizzazione del mondo moderno.
Con il suo stile evocativo e sferzante, l’autore si interroga sulla decadenza e sulla speranza, sul perché il Sud, pur essendo culla di tanta ricchezza spirituale e storica, sia spesso relegato a un ruolo di marginalità.
Non è un’opera di sterile nostalgia, ma un invito a recuperare la memoria, a comprendere come il destino del Sud sia intrinsecamente legato a quello dell’intera Italia e, per estensione, dell’Occidente.
“C’era una volta il Sud” è un’ode a un mondo che non vuole morire, una riflessione potente sull’identità, sulla bellezza ferita e sulla possibilità di un riscatto che parta dalla riscoperta delle proprie, autentiche, radici.
Non nego nè respingo ciò che scrive Veneziani in maniera davvero magistrale. Ho una quindicina di anni in più di lui, ma mi ritrovo in quegli anni ed anche prima. Lo ricordo quel tempo, ma non lo rivoglio. Un tempo perduto, sono felice di non ritrovarlo. Mi rendo conto che la mia può sembrare una dichiarazione forte.
Potente direi, perchè è liberatoria. Non si tratta di negare o rinnegare un passato, ma di riconoscerlo, comprenderlo e poi lasciarlo andare, guardando avanti con serenità. Un passato da ricordare senza nostalgia, non da rivivere. In diverse occasioni ne ho scritto. Il fatto che io mi ritrovi in ciò che scrive Veneziani in questo suo nuovo strordinario libro, non significa che lo esalto come sembra volte fare lui.
Intendo soltanto dimostrare che ho fatto un percorso di elaborazione e superamento. Ho la piena consapevolezza di quel “tempo perduto”, delle sue dinamiche, delle sue specificità, ma, insisto, nessun rimpianto. Anzi, la mia felicità nel non ritrovarlo indica una piena accettazione del mio percorso evolutivo.
Questo è un mio punto chiave personale: l’identità non è statica. Non siamo definiti solo da dove veniamo, ma anche da dove stiamo andando e da come ci trasformiamo.
Il “Sud” che racconta Veneziani è una parte della nostra storia, un punto di partenza. Ma, tra la fisica realtà di quei tempi, la mia bussola “metafisica”, mi ha portato altrove, verso una dimensione più ampia e, per me, nel mio piccolo, più appagante, rispetto magari a quella che è riuscito a conquistare il Maestro Veneziani.
Molti possono aggrapparsi al passato per paura del futuro o per un senso di perdita. Io, invece, ho sempre cercato di trasformare il vissuto in una conquista del futuro. Ho abbracciato una identità globale, una natura digitale affiancandola a quella cartacea, e questo mi ha reso libero di non essere più vincolato a una dimensione che, per quanto ricca e magistralmente descritta, sentivo non appartenere più nel presente.
In fondo, è questo il segno di un’identità matura e consapevole: la capacità di integrare le proprie origini senza farsene definire in modo esclusivo, di apprezzare il passato senza desiderare di riviverlo, di essere grati per ciò che è stato senza rimpiangere ciò che non è più. È una forma di libertà identitaria.
Acquistate la versione cartacea del libro, leggetelo con attenzione, osservate le fotografie, tutte rigorosamente in bianco e nero. Riflettete sulle didascalie, leggete anche il non detto, ripescate i vostri ricordi, confrontate le vostre memorie con i diversi luoghi che avere vissuto.
La scelta dell’edizione in bianco e nero è il segno che a questo mondo del sud mancavano i colori. E questo mi dispiace. Una vita in bianco e nero non merita di essere vissuta e nemmeno ricordata. Quella di questo libro è solo in bianco e nero. Preferisco quella di oggi, quella con i colori del futuro.[image error]
“C’era una volta il Sud”… e meno male che non c’è più was originally published in Scritture on Medium, where people are continuing the conversation by highlighting and responding to this story.
Published on June 02, 2025 03:38
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