Da Gutenberg a GPT: in cerca della Verità al tempo degli algoritmi

Leggete con attenzione il post che segue. È un capolavoro di scrittura creativa, sintetizza in maniera magistrale il tempo che stiamo vivendo. L’ho fatto tradurre da Google, un lavoro che un traduttore umano non avrebbe saputo fare meglio. Le parole chiave ci sono tutte, quelle che ritroviamo nello spazio e nel tempo della nostra dimensione digitale attuale. Al link che porta la firma dell’autore, chi vuole, può leggerlo in inglese.
All’inizio del XVI secolo, un uomo scosse le fondamenta dell’autorità della Chiesa. Il suo colpo di martello fu un appello alla verità e l’inizio della frammentazione. Martin Lutero affisse le sue 95 tesi alla porta di Wittenberg. Nel giro di poche settimane, furono stampate, tradotte e diffuse in tutto l’impero: un “successo virale” mediatico del XVI secolo. Ciò che seguì non fu solo una guerra di religione, ma un crollo dell’ordine epistemico. Un segnale di fuoco. All’inizio.
“Nel mezzo di un’era digitale che moltiplica le informazioni ma disperde il significato, un’antica domanda si ripropone: cos’è la verità e chi la decide?”
La stampa, all’epoca il più rivoluzionario di tutti i media, democratizzò la conoscenza. Ma prima che questa rivoluzione comunicativa illuminasse veramente l’umanità, causò confusione e frantumò l’ordine esistente. Ciò che seguì fu un secolo di divisione e violenza religiosa: una crisi epistemica dell’ordine divino. Le persone non discutevano solo di Dio, ma della realtà stessa. La tecnologia della stampa ha liberato l’informazione, riversandola in un caos che ha dissanguato l’Europa. Allora, come oggi, la domanda decisiva è: chi decide cosa è vero?
Cinque secoli dopo
Le chiese sono vuote, i feed sono pieni. I dogmi odierni non si chiamano più “peccato originale” o “salvezza”, ma “tasso di coinvolgimento” e “algoritmo”. Non crediamo più nel paradiso e nell’inferno, ma nei thread virali e nella prossima indignazione. Non è più il pulpito, ma il newsfeed a plasmare le nostre realtà. La nuova fede si chiama algoritmo, e i suoi sacerdoti sono le piattaforme.
La verità è degenerata in opinione, e l’opinione in una merce.
Quello che era la stampa allora, i social media sono oggi: una tecnologia che democratizza la verità, e allo stesso tempo la castra. Le toglie le viscere, la rende molle. La verità perde il suo mordente, la realtà il suo spigolo. Fatti alternativi? La nuova etichetta per il declino intellettuale di un’intera società.
Ciò che conta non è se qualcosa è vero, ma se funziona. Viviamo in un’epoca di frammentazione cognitiva. Le tribù dei social media sono sigillate in mondi paralleli. Le reti televisive via cavo diffondono versioni completamente diverse degli eventi dello stesso giorno. I politici vivono in universi paralleli.
Verità: un concetto sentimentale di un’era analogica?
È l’era oscura della verità. Una tempesta e una marea strisciante, tutto in una volta. Ma cosa succederebbe se stessimo assistendo a una nuova svolta proprio ora?
“Tra l’indignazione di Trump, TikTok e Twitter, non è solo la realtà a erodersi, ma anche la nostra capacità di riconoscerla. Ciò che sta scomparendo è più della verità. È la libertà di pensare in generale.”
Il Grande Rumore
I nostri sistemi informativi sono, per la maggior parte, corrotti. TikTok travolge le giovani menti con assurdità basate su algoritmi, e i più giovani spesso non sanno nemmeno usare Google, figuriamoci rendersi conto che gli algoritmi cinesi stanno distorcendo il loro senso della realtà. “X ragebait” è progettato per il massimo coinvolgimento e la minima illuminazione. Funziona come una rete emotiva ad alto voltaggio: cortocircuito garantito. I media mainstream non sono migliori, perché finché le persone sono confuse e arrabbiate, continuano a sintonizzarsi. È quello che chiamano “inondare la zona”. Non c’è da stupirsi che non riusciamo più a concordare nemmeno sui fatti più elementari.
Allora, cosa sta succedendo?
Come siamo finiti in un panorama cognitivo così frammentato? È una combustione più lenta della Rivoluzione Francese, un’emorragia più lunga. Non si tratta solo di uomini disillusi con rancori o di un collasso economico — sebbene anche questi fattori siano reali. Si tratta della disintegrazione fondamentale della realtà condivisa. YouTube, Telegram, Substack: tutti canali di informazione, tutte camere di risonanza. E in mezzo a tutto questo: noi. Scorriamo, cerchiamo, desideriamo una direzione. La società dell’informazione è diventata una società del disorientamento.
Ho un nipote di 17 anni. Quando mi chiede: “Dov’è la verità?”, rispondo: “Nella domanda più intelligente”. Poi lui chiede: “GPT”.
Altre domande?
Non abbiamo bisogno di altre fonti. Abbiamo bisogno di un orientamento. Abbiamo bisogno di sistemi che non solo filtrino, ma ci insegnino a pensare.
Ciò che manca non è il contenuto, ma il contesto.
Nella nostra architettura della verità, ci mancano sistemi che ci aiutino a elaborare e filtrare il rumore opprimente. Il filosofo Byung-Chul Han parla di “Società della Trasparenza”, dove tutto è visibile, ma nulla ha più significato.
I vecchi media alimentano le nostre paure, quelli nuovi alimentano il nostro narcisismo. E da qualche parte nel mezzo, ciò che un tempo consideravamo con una venerazione quasi sacrale scompare: la verità.
Gli strumenti del re-incanto
Ma una rivoluzione è in corso. Il nostro momento Gutenberg non sta arrivando: è già qui. E a differenza della stampa, che inizialmente frammentava la verità prima di consolidarla definitivamente, gli strumenti di ricerca basati sull’intelligenza artificiale accorciano il ciclo. Stanno costruendo ponti attraverso il divario epistemico, in tempo reale.
Forse un punto di svolta. Non un Big Bang, ma una crescente convergenza.
Un nuovo tipo di tecnologia sta entrando in scena: sistemi di ricerca basati sull’intelligenza artificiale come Perplexity, Grok, GPT-5. Non si limitano a comunicare. Cercano — capiscono — o almeno ci provano. Non sono oracoli. Ma lo sono: strumenti d’ordine.
Cos’è l’IA nella sua forma più nobile?
Uno specchio — non della nostra stupidità, ma delle nostre domande.
Dalla disinformazione alla differenziazione
La sfida centrale della nostra epoca non è l’accesso alle informazioni, ma l’alfabetizzazione informativa. Cos’è una fonte primaria? Quali schemi narrativi danno forma alle storie? Che tipo di retorica attiva il nostro sistema limbico?
L’intelligenza artificiale può differenziare — se la addestriamo a farlo.
Non è un generatore di verità. Ma può essere il primo filtro che separa il rumore dalla sostanza. Il suo compito: trasformare l’energia caotica della rete in informazioni utilizzabili. Non è inteso in senso metaforico, è fisico.
L’informazione è energia.
Ogni query di ricerca, ogni atto di contestualizzazione è una forma di trasformazione energetica: dal calore alla luce. Dal rumore alla chiarezza.
Immaginiamo un giovane — perso nella nebbia digitale della cospirazione. Sul suo server Discord si sta diffondendo una visione del mondo apocalittica: Deep State, Kennedy, signori rettiliani — un mosaico di paura e insensatezza, composto da mezze verità e incidenti algoritmici.
Ma ora: accesso a uno strumento di comprensione basato sull’intelligenza artificiale.
Non un oracolo, non un dogma. Ma uno specchio delle sue domande. Più cerca con precisione, più chiaro diventa il quadro. Più differenzia, più gli slogan crollano. Non perché la macchina fornisca la verità, ma perché lo riporta all’arte del chiedere.
Sì, forse è ingenuo. Sicuramente è idealismo. Ma se smettiamo di credere che il pensiero differenziato sia possibile, non rimane altro che manipolazione.
Gli strumenti di intelligenza artificiale agiscono come setacci, portando ordine nel caos.
Consideriamo il tutto nel contesto di quella che potremmo chiamare “termodinamica dell’informazione”: Internet ha portato la temperatura della conoscenza umana a ebollizione e, così facendo, ha scatenato il caos informativo globale.
La disinformazione si diffonde come calore senza direzione.
Gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale agiscono come setacci in questo contesto: filtrano, organizzano e riducono l’entropia. Trovano schemi nel rumore e trasformano il caos in segnale. Non si tratta di apprezzare o meno Elon Musk.
Si tratta di stabilire se possiamo concordare sugli stessi fatti di base, come fondamento condiviso per il ragionamento e il giudizio. Perché senza un minimo di realtà condivisa, la libertà di opinione diventa mera simulazione.
Il Secondo Illuminismo
Cosa ne consegue? Forse stiamo assistendo — silenziosamente, sottilmente — all’inizio di un secondo Illuminismo. Una rinascita digitale della ragione. Ma questa volta, Kant non è più il guardiano: è una rete neurale.
Sapere aude! riceve un aggiornamento:
Osate usare i vostri strumenti per utilizzare il vostro giudizio.
Non stiamo assistendo alla sostituzione dell’umano. Stiamo assistendo alla sua espansione.
La verità come processo
Ciò di cui abbiamo bisogno non è un nuovo dogma, ma una nuova comprensione della verità: non come un rigido giudizio finale, ma come un processo vivo di comprensione, di dubbio, di esame condiviso. La verità non deve più essere un monolite. Deve diventare un dialogo: una pratica di verifica tra umani, macchine e mondo.
La verità non è un possesso. È una pratica.
Nasce nella conversazione, nell’attrito, nella confutazione.
E forse in futuro, anche nel dialogo tra umano e macchina. Un’IA che dialoga con un filosofo potrebbe non creare una nuova metafisica. Ma potrebbe aiutare a formulare pensieri più precisi, a pensare più chiaramente, a rivelare contraddizioni. L’umano pensa, la macchina riflette. Questa non è una fine. È un invito a un futuro migliore.
Forse…
tra cento anni, la gente guarderà indietro e dirà:
2025: quello è stato il momento in cui abbiamo imparato a pensare con le macchine, invece che contro di loro.
Forse no.
Forse annegheremo questi strumenti nel rumore di un capitalismo rabbioso. Forse li useremo per diffondere bugie in modo ancora più efficiente. Forse perderemo l’opportunità, come ci è successo così spesso.
Ma forse, solo forse, scegliamo di pensare.
Scegliamo l’autoresponsabilità. Scegliamo la difficile ma gratificante lotta per la verità. E con questo, un nuovo Illuminismo, non con tesi inchiodate alla porta di una chiesa, ma con domande poste a una macchina che impara.
Forse, solo forse, stiamo già percorrendo quella strada.
Michael Heine
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Da Gutenberg a GPT: in cerca della Verità al tempo degli algoritmi was originally published in Scritture on Medium, where people are continuing the conversation by highlighting and responding to this story.

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Published on April 13, 2025 12:46
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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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