E’ possibile perdonare e dimenticare? A questo serve la vecchiaia?

La giornalista Marina Corradi riflette sul significato della vecchiaia e sulla possibilità che una lunga vita possa servire a comprendere gli errori del passato e a chiedere perdono. In un articolo su Avvenire riassume la testimonianza di Lauro Azzolini, ex brigatista coinvolto nell’omicidio Moro, durante un processo riaperto 50 anni dopo i fatti accaduti alla Cascina Spiotta, dove morirono Mara Cagol (moglie del fondatore delle BR Renato Curcio) e il carabiniere Giovanni D’Alfonso. Azzolini, oggi 82enne, ha ammesso di essere stato presente quel giorno e ha fornito una nuova versione degli eventi, affermando che Mara Cagol sarebbe stata uccisa da un carabiniere mentre era già a terra e disarmata. L’articolo evidenzia come Azzolini, rivolgendosi al figlio del carabiniere ucciso, abbia espresso un sincero “Mi dispiace” per la morte del padre. La vecchiaia, tra le tante cose, sembra anche significare la possibilità del perdono.
Questa la sintesi dell’articolo. La vecchiaia è una fase naturale della vita che ha diverse funzioni e significati, sia a livello biologico che sociale e culturale. Diversi sono gli aspetti che possono aiutare a comprendere il suo “scopo. La trasmissione di conoscenza ed esperienza.
Gli anziani spesso svolgono un ruolo cruciale nel trasmettere conoscenze, valori e tradizioni alle generazioni più giovani. La loro esperienza di vita può essere una risorsa preziosa per la comunità. Possono essere cura e supporto familiare.
In molte culture, gli anziani contribuiscono alla cura dei nipoti e al supporto all’interno della famiglia, creando un legame intergenerazionale forte. Il tempo porta un periodo di riflessione, in cui le persone hanno il tempo di elaborare le esperienze vissute e sviluppare una saggezza che può essere condivisa con gli altri.
La naturale evoluzione biologica fa parte del ciclo vitale e può avere un ruolo nell’equilibrio delle popolazioni e nella selezione naturale. La crescita personale è un’opportunità per dedicarsi a passioni, hobby o attività che durante la vita lavorativa non erano possibili, contribuendo alla realizzazione personale.
Si riduce la pressione competitiva. Nelle società animali, la vecchiaia può ridurre la competizione per le risorse, permettendo alle generazioni più giovani di prosperare. Il risultao di tutto questo porta un contributo sociale. Molti anziani continuano a contribuire alla società attraverso volontariato, mentoring o altre forme di partecipazione civile.
La vecchiaia non ha un unico “scopo”, ma è una fase della vita con molteplici dimensioni e significati, che variano a seconda del contesto culturale, sociale e individuale. Nasce una vera e propria prospettiva filosofica.
La vecchiaia può essere vista come un momento per riflettere sul senso della vita, tramandare valori e costruire legami più profondi con gli altri. Vivere oltre la fase produttiva consente di esplorare dimensioni dell’esistenza che spesso vengono trascurate durante gli anni lavorativi.
Non è solo un periodo di “attesa”, ma può trasformarsi in una fase ricca di significato e contributi preziosi per sé stessi e per la società. La salute gioca un ruolo cruciale nella capacità di vivere una vita piena e produttiva anche in età avanzata.
Navigo nel quinto ventennio, quindi posso dire di essere in piena vecchiaia. Sono tanto vecchio che ricordo perfettamente quella data del 29 aprile 1975 quando al telegiornale vidi come avevano fracassato la testa di un povero ragazzo che aveva scritto un tema su di un argomento che, in quei giorni, era di fuoco: le Brigate Rosse. Ero in classe e come ogni mattina avevo i miei giornali. Alcuni li conservo ancora.
Ho letto questo libro sulla cui copertina rivedo il volto di tanti ragazzi che incontravo ogni giorno. L’articolo di Marina Corradi mi ha riportato indietro e con amarezza ricordo anche quello che il suo giornale scrisse su questo ragazzo. Purtroppo non ne ho conservato una copia. Anche allora lo leggevo. Ho ritrovato il testo nelle pagine di questo libro. Mi basta solo il ricordo al quale faccio seguire la speranza del perdono, come la giornalista, auspica. Mi chiedo ma è davvero possibile perdonare e dimenticare? A questo serve la vecchiaia?
“Il 29 aprile 1975, dopo più di un mese e mezzo di sofferenze, moriva a Milano uno studente di diciott’anni di nome Sergio Ramelli. Il 13 marzo, mentre tornava a casa, era stato aggredito a colpi di chiave inglese da un gruppo di militanti di Avanguardia Operaia. Sergio Ramelli era iscritto al Fronte della Gioventù, organizzazione di segno opposto, e aveva scritto un tema contro le Brigate Rosse, in cui sottolineava come i primi due omicidi politici commessi dalle Br non fossero stati condannati unanimemente dai partiti e dai giornali democratici: d’altra parte “uccidere un fascista non è reato” era lo slogan che, dopo le stragi di piazza Fontana e piazza della Loggia, infiammava cortei e manifestazioni antifasciste. Quel tema, finito nelle mani del collettivo della sua scuola, era stato affisso in bacheca con la scritta “Questo è il tema di un fascista”. E da quel momento Sergio Ramelli era stato ripetutamente oggetto di minacce e violenze. Fino all’agguato fatale di quel 13 marzo. A distanza di cinquant’anni, quella di Sergio Ramelli rimane una figura divisiva: un simbolo e un martire per coloro che condividono le sue idee e che a ogni anniversario della morte lo ricordano con la cerimonia del “Presente!”, oppure un fascista che, in quanto tale, anziché ricordato andrebbe rimosso. Ma chi era davvero Sergio Ramelli? Un picchiatore, com’è stato definito da coloro che cercano di giustificare i suoi aggressori? O uno studente come tanti che però aveva idee differenti da quelle della maggioranza dei suoi coetanei? Dopo i due volumi dedicati a Walter Alasia, brigatista che con Ramelli condivideva diverse cose oltre alla giovane età, Giuseppe Culicchia chiude la sua trilogia sugli anni di piombo con un libro che cerca di ricostruire la vita e la morte di un ragazzo ucciso dopo aver scritto un tema in classe, e di ricomporre le schegge di una deflagrazione che, cominciata con la bomba di piazza Fontana, ha attraversato tutto il paese e ha continuato a ferire e ammazzare per oltre un decennio.”
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